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Autore: Hayley Lecter    05/02/2009    0 recensioni
Los Angeles, la città degli angeli, di quel demone chiamato droga. Grace, 19 anni, è la protagonista che racconta in prima persona questa storia, la sua storia, la sua vita caduta nel vorticoso tunnel delle sostanze chimiche. Si accetta ogni tipo di recensione, ringrazio tutti coloro che posano gli occhi su questa storia.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appuntamento con il Mostro.

Fuori fa caldo, un caldo infernale.
Accendo l'aria condizionata, chiudo il finestrino e alzo il volume dello stereo ancora di più.
Il cielo nero pece stasera, non riflette le luci della città.
I lampioni sono quasi tutti spenti, le case abbandonate, niente viandanti, ma soprattutto niente volanti della polizia.
La luna sembra vegliare da lassù, sembra prendere la forma del viso di mia madre, eppure neanche il suo ricordo, è servito a placare il mostro.
I miei occhi zigzagano rapidi da una parte all'altra, tra le villette fatiscenti del quartiere.
Mi accosto al marciapiede, finalmente ho trovato quello che stavo cercando.
- Ce l'hai la chiva? -
- Si. Dinero senorita, dinero. -
Flaco.
Il ponte verso la valle dei morti.
Piccolo, mingherlino, quasi fragile.
I vestiti cascanti sul corpo pelle e ossa, gli occhi cerchiati di viola e iniettati di sangue.
Lo conosco da quasi due anni ormai, ma non abbiamo mai approfondito più di tanto i rapporti.
In questo mondo non c'è mai da fidarsi abbastanza.
La nostra è una conoscenza priva di conversazione e dialogo.
A dirla tutta non so neanche come si chiami o dove abiti.
Certamente lui potrebbe dire lo stesso di me.
Tutto quello che sappiamo l'uno dell'altro è che a ognuno di entrambi serve qualcosa e ci impegnamo che questa cosa arrivi a destinazione.
Gli allungo i 50 dollari dal finestrino e li afferra.
Dall'altra mano mi passa una bustina, piena di una fitta polverina bianca.
In un attimo, la infilo nello spazio nascosto del cruscotto e con un cenno sparisco dalla vista Flaco, dal quartiere, dalla mia stessa vita.
Comincio a rabbrividire, un pò per il freddo dell'aria condizionata sparata al massimo, un pò per l'eccitazione.
Il terrificante mostro ha spalancato le fauci, pronto a ghermire la prossima preda.
La strada non potrebbe essere più solitaria di così.
Parcheggio la mia auto scassata poco distante dal ponte, circa 100 metri.
Recupero il sacchetto di polverina magica tanto amata dal cruscotto, l'accendino, le sigarette, metto tutto dentro il giubottino di pelle e scendo.
I piedi mi portano meccanicamente sul monticello di rifiuti più nascosto che c'è sotto il ponte.
La luna rischiara l'oscurità, ma almeno qualche lampione illumina l'ambiente a mio favore.
Mi guardo attorno, con un pizzico di ansia e nervosismo, amalgamati per rendere la situazione sempre più frizzante.
Fra l'immondizia male assortita riesco a trovare una lastra di plastica ridotta piùttosto male, ma liscia abbastanza da garantire che il mio "lavoro" vada a buon fine.
Apro la bustina, con mani tremanti, troppo su di giri, troppo andata, troppo con il cervello in trip, per preoccuparmi del resto del mondo.
Ne spargo un bel pò sulla lastra di plastica, la posiziono sulle ginocchia, la sistemo per crearne una striscia e la contemplo amorevolmente, come se fosse mia figlia che ha appena conseguito una laurea.
Al momento stesso, non ti va di sprecarla, di mandarla giù.
L'attesa è sempre molto più eccitante di tutto il resto.
Sei sempre lì che giri e rigiri, ti stanchi, ti incazzi, sbuffi, mandi affanculo Flaco sul perchè stavolta ti abbia fatto spostare di tanto dalla solita postazione e poi.. Boom!
Mostro che morde. Mostro che divora.
Sembra tutto un grande universo visto da qui.
Sembrano averti messo un nuovo paio di occhiali sul naso.
Anche i lampioni, appaiono più luminosi e il cielo non sembra così tanto oscuro.
Il suo spirito aleggia dentro di te, come un candido angelico custode, pronto ad alleviare il dolore.
Potresti anche volare, se solo ti andrebbe di alzarti dal cumulo di sporcizia e sbattere furiosamente le braccia sù e giù.
Superman non è nessuno pari a me.
Senza riflettere, porto le mani al taschino del giubottino.
Le mani, in cerca di qualcosa, trovano l'I-pod.
Sfilo le cuffiette e me le infilo nelle orecchie.
Lascio che la musica mi attraversi completamente, come ha fatto lei.
Su riproduzione casuale le solite canzoni dei Red Hot Chili Peppers.
Mi stendo su un vecchio materasso ingiallito, in attesa del peggio.
Le note, la voce, il ritmo sembrano far parte di questa giostra, questo carosello, che non conosce freni.
Chiudo gli occhi e sento un fastidioso calo di umore, mio conoscente ed estraneo.
Tacca dopo tacca, si esaurisce.
Quei brevi minuti di euforia sono andati, adesso sono libera da demoni e devo fare i conti con me stessa.
Il cervello detta ordini, incapace di darsi una calmata anch'esso, tentatore.
Ne voglio ancora.
Ci vorrebbe così poco a preparare di nuovo il rituale, filtrarmi la solida morte e ricadere nel fosso.
La vocina della coscienza si fa avanti, intimorita.
Il mostro non accetta ramanzine.
<< Magari potresti lasciarla per domani.. non è mai saggio spararsene un'intera bustina di seguito. >>
D'accordo, adesso parto, vado in un locale, mi scolo qualcosa e vado a casa.
Appena sveglia mi passerà tutto, non mi accorgerò di quanto tempo è passato e potrò tornare qui.
Così penso e così agisco.
Destinazione Beverly Inn, il motel più vicino.
Lascio la mia auto a riposare, a ribollire delle mie vibrazioni negative.
Mi tasto addosso, sul giubottino, per verificare che ci sia tutto ciò di cui ho bisogno.
Attraverso il portoncino del motel.
Jerry, il banconista, mi saluta da dietro una lunga carrellata di gente che ha davanti, in attesa di realizzare la loro richiesta.
- Buonasera dolcezza, non ti ho vista in giro da queste parti ultimamente.. come mai? -
Il suo sguardo mi scannerizza da sotto a sopra, con un cipiglio interrogativo sul volto.
- Cosa vuoi che ti dica? -
Ribatto in tono fermo.
- Ehi, d'accordo non scaldarti tanto. Cosa ti posso dare? Il solito? -
Di parola in parola riprende a parlare con il suo tono naturale, da finto e bravo lavoratore onesto, lì a lavorare per guadagnarsi da vivere.
- No. Due bottiglie di vino dovrebbero andar bene. -
- Quale preferisci? -
- Quello che costa meno, ma che faccia effetto..-
- D'accordo, ti dò questo và...-
Si allunga sotto il bancone, dentro uno sportello e ne pesca fuori due bottiglie di vino rosso.
Non faccio nemmeno caso all'etichetta.
- Mettimi sul conto anche una camera, dormo qui stanotte.-
- Va bene tesoro, stanza 101, sali le scale, la prima a destra.-
Procedo il cammino a passo veloce.
Apro la porta della stanza e la richiudo, con uno scatto della piccola leva, per garantirne una chiusura sicura.
Getto sul letto il giubottino, e incurante dei particolari, stappo la prima bottiglia.
Sfilo dalle tasche le sigarette.
Un sorso e una boccata, un sorso e una boccata, un sorso e una boccata.
Via così fino a che, con occhi impastati, apro la seconda bottiglia e accendo la seconda sigaretta di seguito.
A un quarto della seconda sorsata di vino, le palpebre cominciano già a non reggere più il peso dell'imminente sonno.
Scivolo dalla sedia, cado per terra, bottiglia e sigaretta alla mano, con la faccia spiaccicata sul tappeto liso, in coma profondo, ancora una volta vittima della mia vita incasinata.

  
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