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Autore: TimeKeeper    04/09/2015    1 recensioni
Freddo.
Fu la prima sensazione che lei percepì: l’ostile gelo di una notte d’inverno, senza luna né stelle.
Era distesa nella neve, sul ciglio di una strada, con i lunghi capelli rossi sparsi nel fango; catturava l’aria a fatica, con la piccola bocca semiaperta, e lacrime ghiacciate coprivano il suo volto latteo. Stringeva la neve nei pugni, in una lotta disperata, anche ora che il suo hakudo si stava lentamente spegnendo. Coperta di soli stracci sarebbe morta congelata.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Urahara Kisuke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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4.
Foolish, weak, fragile

 
 
«Silenzio, Jinta! Arriva!» sussurrò Ururu da dietro la porta scorrevole, strattonando l’amico.
«Stai zitta tu, antipatica – ribatté subito lui – E non mi toccare!»
Benihime aprì la porta e rivolse loro un sorriso divertito: «Litigate di nuovo voi due?» chiese, non riuscendo a provare per loro il benché minimo sentimento di rimprovero.
«Vedi, è colpa tua, hai rovinato tutto!» strillò Jinta all’amica, serrando i pugni lungo i fianchi.
«No, non’è vero, sei tu che parli sempre!» rispose Ururu, crucciata.
Entrambi si guardarono in silenzio per un lungo istante, aggrottando le piccole fronti in segno di sfida, davanti all’espressione perplessa di Benihime.
«Ehi, Benihime, non è che puoi uscire un attimo e rientrare di nuovo?» chiese Jinta risoluto: aveva lo sguardo di chi sa di essere l’unico a poter risolvere la situazione.
«Cosa?» chiese la ragazza incredula.
«Dai su, su, esci!» continuò il bambino, spingendola fuori dalla stanza e sbattendo la porta scorrevole.
Benihime rimase in silenzio davanti alla porta, in attesa di chissà quale scherzo da parte delle due piccole pesti.
«Ora puoi entrare!» urlò Ururu, dopo qualche istante.
La ragazza fece scorrere lentamente la porta, pronta a reagire ad un qualsiasi evento inatteso. Appoggiò il piede nudo sul pavimento di legno, cercando di non farlo scricchiolare: la stanza era buia e priva di qualsiasi rumore. Nel momento stesso in cui richiuse la porta dietro di sé, tutte le luci si accesero contemporaneamente.
«Buon compleanno, Behinime!» urlarono una serie di voci, tutte insieme.
La ragazza rimase immobile sulla soglia, bloccata dall’emozione. Jinta, Ururu e Tessai avevano indossato dei buffi cappellini conici dei colori più strani e saltellavano allegramente canticchiando una canzone d’auguri; al centro della stanza stava la tavola apparecchiata a festa, con i cibi più rari e prelibati. Al muro avevano appeso uno striscione con evidenti errori d’ortografia, scritto probabilmente dai bambini in segno di amicizia. Al fondo della stanza, a dirigere ironicamente gli amici intenti a cantare con il ventaglio usato come una bacchetta, stava il direttore, vestito di tutto punto, con abiti eleganti all’occidentale.
«Vieni, forza, devi aprire i regali!» disse Ururu alla ragazza, trascinandola per la manica.
«Io… - riuscì solo a sussurrare lei, stupita ed emozionata allo stesso tempo – Grazie»
«Devi ringraziare il direttore – le rispose Jinta, addentando una fetta di dolce – E lui che ha pensato a tutto»
Benihime cercò lentamente lo sguardo di Urahara; non riuscì a trattenere il rossore quando i loro occhi si incontrarono. Lui la stava osservando silenziosamente dall’altro capo del tavolo: i piccoli occhi azzurri fissi e decisi, le labbra sottili distese in un lieve sorriso. Allungò la mano per picchettare debolmente, con il suo ventaglio, su uno dei bicchieri appena riempiti da Tessai e si rivolse agli amici con un inchino esagerato.
«Un attimo di silenzio, prego! – esordì l’uomo, invitando tutti ad avvicinarsi al tavolo – Siamo qui riuniti, oggi, per festeggiare la nostra cara Benihime. Dato che non ti ricordi la data della tua nascita, abbiamo deciso noi per te. Che gesto carino, vero? Il signor Tessai ha collocato la tua nascita utilizzando le qualità del tuo carattere, per determinare segno ed ascendente»
«Che lavoraccio!» esclamò Tessai, asciugandosi il sudore dalla fronte.
Benihime sentì nascere dal petto una sensazione estremamente piacevole, un calore improvviso, come un fuoco di felicità. Osservò il viso di coloro che le stavano intorno e regalò ad ognuno il suo più affettuoso sorriso.
«Grazie – disse, con la voce che tremava – Grazie infinite a tutti quanti»
«Allora, Benihime, li apri questi regali?» chiese impaziente Jinta, pulendosi la bocca sporca di cioccolato, con la manica della maglia.
La ragazza scartò lentamente i regali, gustando ogni istante. Ogni cosa era così magica, che spesso durante la serata dubitò che potesse essere reale. Indossò la pinza per capelli a forma di fiore che le aveva regalato Ururu e ripose tutti gli altri doni accuratamente, in attesa di poterli portare nella sua stanza. I bambini staccarono lo striscione e cominciarono le pulizie, mentre il signor Tessai spazzava a terra con un’esile scopa di saggina.
«Benihime – la chiamò dolcemente il direttore – Anche io ho un dono per te» disse, porgendole una busta di carta argentata.
«La ringrazio, direttore, non era necessario» rispose prontamente la ragazza, con un inchino delicato.
Urahara si limitò a sorriderle, porgendole il pacco.
Benihme esitò. Allungò le mani verso quelle del direttore, tremando lievemente, ed afferrò la busta; la scartò, facendo attenzione a non sciupare la carta ed il fiocco. Quando anche l’ultima barriera fu rimossa, il respiro le si mozzò in gola per l’emozione: tra le sue mani giaceva un lungo vestito elegante, di seta blu oltremare, con ricami argentati e file di brillanti.
«Direttore, io non posso accettarlo» disse lei, accennando a restituirgli il dono.
«Oh, la la! Vuoi offendermi?» chiese lui, aggrottando le sopracciglia.
«No, signore, assolutamente. E’ che io non merito un regalo del genere! Dovete aver speso molto denaro e io… »
Urahara appoggiò la sua mano sulla guancia di lei: «Sei o no la mia principessa, Benihime?»
La ragazza trattenne il respiro: si sentì avvolta dall’odore acre di lui, così intenso e pungente.
«Stai diventando indipendente, ormai, presto qualche bel giovanotto si farà avanti e ti chiederà un appuntamento – continuò il direttore, senza allontanare la mano dal viso di lei – Vorrai mica uscire con l’uniforme dell’emporio?»
Sciocca, debole, fragile. Per un attimo aveva sperato che quel dono significasse qualcosa di più, per un istante aveva immaginato di poterlo indossare per lui. Ma perché continuava ad illudersi? Non aveva diritto di chiedere nulla, dopo tutto ciò che aveva ricevuto.
«La ringrazio infinitamente, direttore – disse lei, abbozzando un lieve sorriso – Lo terrò sicuramente in gran conto perché è stato lei a donarmelo»
Urahara la guardò allontanarsi verso la sua stanza e sparire nella penombra della casa notturna.
C’era qualcosa di poetico nel suo corpo, nei suoi movimenti: fin dal giorno in cui l’aveva trovata, riversa a terra e coperta solo di stracci, qualcosa in lei l’aveva attratto come una calamita. Il giorno in cui avesse scoperto il suo segreto, quel morboso interesse per lei sarebbe svanito? Preferiva non chiederselo, ora che il suo enigma era ancora incompleto.
Sarebbe stata bellissima con quel vestito.
   
 
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