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Autore: crushdizzies    04/09/2015    1 recensioni
Mi aveva vista andare avanti come se fossi fatta di pietra e ora, davanti a quest’esitazione davanti al portone della chiesa, gli occhi lucidi di Jacke si riempiono di speranze: forse crollerò e finalmente esternerò il mio dolore. Io lo farei, piangerei, urlerei, se potessi, se sentissi qualcosa. Ma sono vuota, sola. Una rosa in uno sterminato prato d’erba. Non ho più niente. Cos’è il dolore? E la felicità? La paura?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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California 5 Quando apro gli occhi mi accoglie una forte luce bianca che mi ferisce gli occhi. Ci metto un po’ ad abituare la vista.
Il braccio sinistro è fasciato e dalla fasciatura si vede il sangue assorbito dalle garze. La scritta si legge.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime e al ricordo del dolore e di quello che mi ha fatto Derek.
Mi guardo intorno, aspettandomi di vedere Jacke su una sedia, ma lei non c’è.
Dov’è Jacke? Forse in un letto accanto al mio? Lentamente mi alzo a sedere.
Ci sono altri tre letti, ma in nessuno di questi c’è Jacke. Dov’è la mia Jacke?
Poi, ad un tratto, quasi in risposta alla mia domanda, un grido si leva. Proviene dal corridoio, da una stanza non lontana dalla mia.
È Jacke, lo sento. Cerco di scendere dal letto ma mi gira la testa e ho una nausea pazzesca.
Così mi butto giù dal letto, rotolando su un fianco. La testa vortica, ma cerco di riprendere il controllo di me stessa.
Mi alzo in piedi, reggendomi al letto. Mi sento come se avessi i postumi di una sbornia.
Barcollante e intorpidita esco dalla stanza e inseguo le urla di dolore e terrore di Jacke.
Mi reggo al corrimano appeso alle pareti del corridoio. Le urla si fanno sempre più forti e vicine. 
Infine, mi fermo davanti all’ultima stanza.
La porta è aperta. Jacke è sdraiata su un lettino e ha gli occhi chiusi.
Piange, urla e si contorce, cercando di liberarsi dalla gente che le sta attorno, medici e infermieri che cercano di farla calmare.
Ma lei è spaventata, chissà che incubi sta facendo.
Perché ci hanno separate? Perché io non sono lì accanto a lei a tenerle la mano, ma qui in piedi e mezza drogata?
« Dove cazzo è questo valium? », esclama una dottoressa. Si volta verso la porta e mi vede là impalata.
« Sicurezza! », chiama « Riportatela nella sua stanza », ordina. Subito due energumeni con il camice verde compaiono davanti a me.
« Vieni Liz, torniamo a dormire », dice uno dei due. Come sanno il mio nome?
« No », protesto indietreggiando.
« Voglio stare con Jacke », dico e faccio per superarli, per andare da Jacke che ha tanto bisogno di me in questo momento.
Uno dei due energumeni mi placca e mi solleva da terra. Comincio a scalciare e a urlare. Voglio tornare da Jacke, dalla mia ragazza, cazzo! Ha bisogno di me! Non mi ascoltano e, di nuovo, mi ritrovo nel letto sul quale mi ero svegliata.
Mi ricacciano gli aghi nelle braccia, chiudono le porte e si mettono fuori a fare la guardia, lasciandomi sola con le urla di Jacke che mi straziano. Ogni urlo è un taglio profondo nel mio cuore, ogni urlo è come se una piccola parte della mia anima si lacerasse.
Comincio a piangere, sentendomi piccola e impotente.
Non posso fare niente.
Jacke ha paura, è sola e io, ancora una volta, non posso proteggerla, così come ieri sera su quella dannata spiaggia.
Le urla vanno avanti ancora per venti minuti e il mio cuore fa male per lei.
Quando tutto finisce, resto a singhiozzare acciambellata nel letto.
Jacke.

Passa una settimana d’inferno.
Un dottore entra per controllarmi le ferite, mi cambia il bendaggio e poi palle fino alla sera, quando ricomincia la tortura.
L’hanno spostata e tengono anche la porta della mia stanza chiusa, perché le urla giungano più lontane. Tanto riesco a sentirle lo stesso.
Chiedo sempre notizie su Jacke a chiunque varchi la soglia, ma tutti i dottori hanno sempre le stesse cazzate da dirmi.
“Sta bene”. E quando gli chiedo perché non me la fanno vedere dicono “è debole, deve riposare”.
Ormai non ci sono più nemmeno gli energumeni fuori dalla porta. Credono che io ci abbia rinunciato.
Ma si sbagliano.
L’occasione di rivedere Jacke entra nella mia stanza spingendo un mucchio di vassoi.
Si chiama Jeff ed è un ragazzo socievole e affezionato al signor King, ex pugile e unico ricoverato nella mia stessa stanza.
Jeff porta il vassoio della cena al signor King e lo posa sul grembo del vecchio, aiutandolo a sedersi.
« Come va il lavoro, Jeff? », chiede l’ex pugile.
« Bene, benissimo signor King. Mi hanno assegnato un nuovo corridoio », annuncia contento il ragazzo.
« Sa, ora devo servire alla ragazza nuova, quella del telegiornale », dice Jeff.
Il mio cuore perde un colpo e il vecchio signor King annuisce con l’aria di chi la sa lunga e mi lancia un’occhiata densa di significato.
Aveva visto quel telegiornale. Lo avevo visto anche io.
Stavo sdraiata sul letto a guardare passivamente la televisione, quando avevo riconosciuto la spiaggia dove eravamo state aggredite io e Jacke. Il servizio del TG parlava di noi. Diceva che una delle due ragazze era stata trovata svenuta e di questa non si conosceva il nome, mentre il mio nome lo sapevano. Le ipotesi dell’aggressione erano molte e alcune si avvicinavano alla realtà.
Jeff appoggia il vassoio di cibo sul tavolino accanto alla mia testa.
« Ecco a te », dice con un sorriso e si volta per andare via.
Gli prendo una mano e il mio avambraccio ferito urla di dolore per lo sforzo tremendo.
Jeff si gira terrorizzato. Non se lo aspettava.
« Dov’è? », chiedo. Lui guarda prima me, poi il vassoio e un altro sorriso si apre sul suo volto.
« Ah il dolce. Te lo vado a prendere subito ». E muove un passo verso il carrello, ma io non mollo la presa sul suo polso.
Jeff si gira di nuovo, turbato.
« Dov’è lei? », chiedo. Jeff capisce, ma cerca di non darlo a vedere.
« Lei chi, scusa? », chiede con finta ignoranza.
« Non fare il coglione. Virginia. Virginia Jackson, quella del telegiornale ».
Lui sembra sempre non capire. Stringo la presa sul suo polso, il braccio che urla.
« Sai bene di chi sto parlando, brutto stronzo, portami da lei », ordino.
Jeff non tenta di divincolarsi ma so che se lo facesse, non riuscirei a resistere.
« Senti, non so cosa tu stia dicendo, ma se continui così dovrò chiamare qualcuno per farti calmare », dice.
La sua minaccia fa scoppiare tutte le mie come se fossero bolle di sapone.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime e mi tocca implorare.
Farei anche questo per Jacke. Tuttavia non rinuncio a farlo con un tono di disprezzo e rabbia.
« Jeff, è una settimana che non la vedo, che non so niente di lei e tutti continuano a dirmi che sta bene, ma non è vero! Io la notte sento le sue urla, come se quella notte sulla spiaggia non fosse ancora finita, come se fossi ancora lì, con Derek che mi fa questo », e gli mostro il braccio fasciato « Non sai che tortura sia per me stare qui a sentirla soffrire senza poter fare nulla per proteggerla? Non staresti male anche tu? Per favore, aiutami, portami da lei », imploro, quasi piangendo.
Lui deglutisce e si guarda intorno circospetto.
Nella stanza c’è solo il signor King ma sta mangiando ed è anche un po’ sordo da un orecchio.
« Ti reggi in piedi? », chiede. Sorrido beffarda. È un po’ che non ci provo, ma non dovrebbe essere complicato.
« Per chi mi hai presa? », chiedo. Mi siedo e poi mi alzo in piedi. Le gambe mi tremano un po’, però mi reggono.
Jeff mi accompagna lungo i corridoi spingendo il carrello del cibo.
Si ferma davanti ad una stanza e apre la porta. Jacke è sul letto e si volta. Il suo viso si illumina e io mi lancio su di lei.
« Liz! », esclama. Mi bacia. Risentire il suo sapore sulle labbra era una sensazione che non provavo da troppo tempo.
Inspiro a pieni polmoni il suo odore di buono e l’abbraccio forte.
« Jacke », sussurro. Lei sembra voler piangere. È una settimana che non la vedo e quasi temevo di aver dimenticato il suo volto, la dolcezza dei suoi baci, le farfalle nello stomaco che mi assalivano ogni volta che mi sfiorava… invece è tutto come ricordavo.
« Che cosa ti hanno fatto? », le chiedo spostando lo sguardo lungo il suo meraviglioso corpo. Sembra stia bene. Un po’ palliduccia ma sta bene.
« Non lo so, solo tanti prelievi », racconta.
« Come stai? », le chiedo.
« Meglio, ora che ti vedo. La notte non riesco a dormire, anche se mi riempiono di calmanti. Credo sia per questo che mi tengono qui. Non ho detto niente a nessuno di quella sera. Non ci sono riuscita », racconta. La abbraccio sospirando.
« Ti sento urlare tutte le sere e sto davvero male per questo. Perché urli? », chiedo con le lacrime agli occhi.
« E’ come se non se ne fosse mai andato. Sento ancora il suo odore sulla mia pelle, le sue mani che mi toccano e mi sento… così sola », mormora. La voce le trema leggermente. Mi afferra il colletto della maglia e avvicina le sue labbra alle mie.
« Non te ne andrai, vero? », chiede piangendo. Ha paura.
« Non ti lascerò sola, Jacke », prometto.
La bacio, accarezzandola. Cerco di fare in modo che dimentichi Derek, che esca dalla sua mente.
Voglio solo proteggerla, anche se sarà difficile.
Continuo a baciarla fino a quando non le viene il fiatone.
Poi si sdraia sul lettino e io l’abbraccio, stesa accanto a lei.
Jacke si accoccola contro di me e chiude gli occhi. Si addormenta sorridendo.
Credo che questa sia la prima volta che dorme per davvero.
La bacio e lei stringe la mia maglia.
  
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