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Autore: acchiappanuvole    04/09/2015    1 recensioni
[-Altro - anime/manga vari]
Manga: Boy's next door -Kaori Yuki
Aveva sentito quel momento avvicinarsi, il presentimento pungergli il cuore anno dopo anno. Aveva osservato il segreto di Dallas in silenzio, sperando che si rivelasse e lo comprendesse nei suoi piani. Il segreto è una strana malattia. Non si è scoperta una cura contro il segreto, per tenere a bada il segreto. Il segreto che ti fa da migliore amico e da nemico prediletto: il paradosso del segreto che non vive –che giace in eccitata animazione sospesa- finché prima lo si uccide e poi lo si resuscita, lo si mette in funzione. Il segreto che non infetta finché non cessa di essere segreto, finché non lo si condivide, non lo si dissemina, non lo si contagia. Il segreto racconta come nessuno. Il segreto sa che tutti contano su di lui.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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~~When logic and proportion
have fallen softly dead
and White Knight is talking backwards
and the Red Queen'soff whit her head
Remember what the doormouse said:
"Feed yuor head!"
"Feed your head!"

-White Rabbit; Jefferson Airplane-


Guida creata da il blog di Lisa.


Quando era tardi, prima di prendere il Ritalin ed infilarsi a letto, prima che il Ritalin finalmente lo stendesse, Dallas andava in bagno e si inginocchiava davanti alla tazza. Ma non veniva mai fuori niente. Non riusciva a sopportare l'idea di ficcarsi un dito in gola; se ci fosse riuscito, sapeva che si sarebbe sentito meglio. Si sarebbe ripulito. Non si sarebbe sentito così pieno, e forse non sarebbe stato così schifosamente. Dallas sputava nella tazza e tirava l'acqua e tornava a letto, aspettando di addormentarsi.
All'epoca aveva ventuno anni e soffriva d'insonnia; da poco meno di due settimane si faceva di coca. Fatto la mattina, fatto la sera. Non era mai stato un ragazzo problematico. Buoni voti a scuola, una condotta soddisfacente, amici puliti. La classica vita di un figlio di buona famiglia, con un tetto sopra la testa, genitori realizzati e un fratello minore talmente carino da costringerti a rimirarti allo specchio storcendo il naso.
Talvolta si diceva che una famiglia sarebbe stato meglio non averla perché, in quel modo, il peso delle aspettative non lo avrebbe inesorabilmente schiacciato.
Faceva il barista al Salvador Blanco, un locale  come ce ne sono a migliaia nelle strade di Santa Monica, di proprietà di un messicano che aveva fatto fortuna -secondo voci indiscrete- con affari poco puliti.

-Sei mai stato innamorato Dass?-
-Nah-
-Mai?-
-No!-

E sembrava vero che non fosse mai stato innamorato; Dallas non riusciva a ricordare di avere mai  provato un attaccamento reale e sincero verso qualcuno. Non riusciva a ricordare niente al di là del puro e semplice bisogno.
Niente di davvero forte. C'erano un sacco di tipe con cui gli sarebbe piaciuto scopare - o che avrebbe scopato, se ne avesse avuta l'occasione- diavolo! Se era per quello avrebbe praticamente scopato chiunque.
Ma c'era davvero qualcuno - c'era mai stato qualcuno- che lui avesse mai desiderato con tutto se stesso?
Quando era tardi e le pasticche tardavano a fare il loro effetto, avrebbe voluto essere di nuovo al Salvador Blanco. Perché il Salvador Blanco gli piaceva: il fumo, il jukebox, le scommesse, i biliardi, le ombre dei patti illeciti. Un mondo poco cristallino, un mondo esaltante di vizi, dove se sapevi farti rispettare diventavi veramente qualcuno. Sì, per Dallas quello sciabordare ambiguo di pericolose attività era l'ancora di salvezza dal vialetto con aiuole di casa sua, dall'amore soffocante di sua madre, l'eccessiva aspettativa di suo padre, e dagli occhi ammirati di suo fratello.
Un'enorme bugia! Tutto quello che loro gli dipingevano addosso era un'enorme bugia!
Al Salvador Blanco Dallas ci lavora da tre anni. Un lavoretto come un altro per mantenersi da solo l'università, aveva detto ai suoi. Era entrato  un pomeriggio per bere qualcosa e in pratica non ne era più uscito. Francisco lo aveva assunto dopo nemmeno cinque minuti di colloquio.
-Sai versare da bere e tenere la bocca chiusa?-
-Sì-
-E allora puoi venire a lavorare qui-

Stop.
Dallas si era distinto, tutti chiedevano di lui. Perché Dallas aveva servito da bere a caio che a suo volta si riforniva di roba da tizio, e tizio era uno di quelli tosti e non lo spacciatorucolo da vicolo buio. Quindi Dallas poteva procurarla buona la roba, talvolta era riuscito anche a surclassare Francisco e a guadagnarci sopra senza che l'altro sospettasse niente.
Oh sì. Dass era proprio tagliato per l'esaltante mondo parallelo.
E adesso che ha ventuno anni e la droga che gli scorre nel sangue, Dass sente che può intraprendere il volo folle verso la downtown e diventarne il signore, le palle non gli mancano e di scrupoli ormai non sa più che farsene.
E' sempre questo che si racconta dopo che alza le ginocchia dalle piastrelle e tira l'acqua del water.
Notte dopo notte.
E' un rito. Il rito del vorrei ma non posso.
Il rito che ha per colonna sonora la musica dello stereo di Lawr.
Lawr che dorme nella stanza accanto e lascia che la musica vada per tutta la notte senza che mamma o papà dicano niente. Perché Lawr è Lawr. Una testa bruna di  tredici anni, con gli occhi verdi che guardano distante e la mente  persa in un mondo tutto suo dove nessuno della famiglia pare poter accedere.
O meglio, nessuno tranne lui  -per qualche incomprensibile concessione-.
Ora Dallas non lo ricorda bene, ma doveva aver avuto undici o dodici anni e Lawr cinque. Una domenica estiva suo padre li aveva portati entrambi al lunapark. E a suo padre Lawr già piaceva da impazzire all'epoca.
Così sensibile Lawr, con il viso da bambina, così bello, così interessato al mondo, così tutto!
Che fine faceva un anonimo ragazzetto come Dallas di fronte al "figlio scambiato dalle fate" come  sempre sua madre chiamava Lawrence.
Ad ogni modo, quel giorno in quel lunapark suo padre aveva comprato un palloncino a testa. Uno blu per lui e uno rosso per Lawr.
Ma Lawr se l'era fatto scappare, a forza di tormentare il filo legato al suo piccolo polso aveva finito per slacciarlo e lasciar volare via il palloncino. Dallas ricorda ancora il modo in cui gli occhi di suo fratello si erano ingigantiti in quello sgomento infantile che hanno i bambini che perdono qualcosa alla quale avevano subito attribuito un enorme valore.
Ora frignerà e ne vorrà un altro, si era detto Dallas, giocherellando con il suo di palloncino ben legato al polso robusto.
Lawr però non aveva frignato, era rimasto col naso all'insù non perdendo mai il palloncino di vista, come se continuando a guardarlo, a vegliarlo, il palloncino potesse pentirsi di aver spiccato il volo verso il suicidio celeste e ritornare quindi al polso del suo padrone.
A quel punto suo padre lo aveva richiamato da parte e Dallas si era già prospettato cosa il genitore volesse dirgli.
-Sei piuttosto grande per i palloncini-
-Sei stato tu a comprarmelo!-
-Altrimenti tu non lo avresti voluto?-
E Dallas aveva risposto con un'alzata di spalle.
-Tu sei un ometto, vero Dass? Non te ne fai nulla del palloncino-
Dallas a quel punto aveva fissato il suo bel palloncino blu; la sua navicella spaziale dove a bordo non c'erano fratelli minori e genitori votati a farti sentire in colpa perché il tuo maledetto palloncino sta ancora legato al polso mentre quello del tuo stupidissimo fratello ha pensato bene di filarsela.
-Tu sei un bambino generoso, non è così Dass?-
Certo, lui era generosissimo. Da quando quel marmocchio era arrivato gli era praticamente stata imposta la generosità. Dividere la stanza, i giocattoli, mangiare i cereali d'avena perché i fiocchi di cioccolato a Lawr non piacciono. Smettere di vedere le partite di baseball la domenica perché si doveva portare Lawr al parco, non guardare più la tv perché quei cartoni animati così violenti non erano educativi per Lawr, aiutarlo nei compiti scemi dell'asilo, farlo salire sul sellino posteriore della bicicletta e camminare sul lato esterno della strada e lasciare Lawr in quello interno, vicino al muretto, che almeno se una macchina deve stirare uno dei due meglio che tocchi al più grande.
Tutto doveva essere sempre e solo in funzione di Lawr.
Tanto che ormai il bambino aveva sviluppato una silenziosa dipendenza da lui che lo portava a seguirlo come un gatto, sempre alle calcagna.
Così, mentre suo padre lo istigava alla generosità che Dallas in verità non aveva ne avrebbe mai voluto avere, lui  liberava il braccio dal palloncino andando a legarlo su quello del fratello che, per la prima volta, distoglieva gli occhi dal puntino rosso nel cielo.
-Tieni! Questo è più bello!- aveva bofonchiato Dass, legandoglielo talmente stretto da rischiare di bloccargli la circolazione. Lawr lo aveva fissato a lungo e alla fine aveva sorriso. E da allora per Dallas non c'era più stata pace.

Mentre si rigirava nelle coperte dopo il secondo Ritalin, Dallas non riusciva ugualmente a chiudere occhio. La sveglia analogica lampeggiava le tre del mattino e il brusio di qualche canzone falsamente  rock lo innervosiva ogni secondo di più.

"Devi portare pazienza, lo sai che ha spesso degli incubi, se non ascolta quella musica rimane sveglio per tutta la notte"
"Lo credo bene che abbia degli incubi con quella merda che ascolta!"
"Dass per favore, in fin dei conti il volume è così basso che dubito tu riesca a sentirlo".

Oh invece lo sento mamma! Lo sento fottutamente bene il fottuto volume!
 Dallas si era alzato, stordito dal farmaco e dal nervosismo, irrompendo nella stanza di Lawr, lasciando che la porta sbattesse contro il muro. Il ragazzo sdraiato nel letto e svegliato di soprassalto si era ritrovato d'improvviso l'imponente figura del fratello maggiore davanti.
- Lo sai che esistono gli auricolari cazzo! Io lavoro! Non sono come  te che non combini niente dalla mattina alla sera, ho bisogno di dormire hai capito!- e così dicendo Dallas aveva staccato la presa dello stereo rischiando di farlo cadere.
-Scusa- un mormorio sommesso. Sono sei anni che Lawr dorme con lo stereo in attività perenne, di certo quell'improvviso scatto d'ira da parte del fratello era del tutto inaspettato e in qualche modo ingiustificato.
- Al diavolo le tue scuse! Hai tredici anni sarà anche ora che impari a dormire senza quella roba!- ed indicando lo stereo pericolosamente in bilico sul bordo del tavolo, Dallas uscì dalla stanza sbattendo energicamente la porta. Che ci provassero i suoi a saltar fuori con qualche paternale, sarebbe stato capace di zittirli per sempre.
Traballando per l'azione del farmaco si gettò nuovamente sul proprio letto, uno strano ronzio nelle orecchie che non proveniva da nessuna parte se non dalla sua testa.
- Dass...- un sussurro dapprima poi un tono più chiaro. Dallas si sforzò di alzare la testa verso la porta scorgendo Lawr sull'uscio. Ci mancava solo questa, si disse, rotolando sul materasso per mettersi dritto.
- Che vuoi?-
- Mi dispiace- la  voce di suo fratello aveva assunto quella fragilità tipica del pianto. A ben ricordare Lawr non aveva mai pianto nella sua vita se non a causa sua. Talvolta lo stato di dipendenza che il minore aveva sviluppato nei suoi confronti poteva essere paragonato allo stesso grado di dipendenza di Dass verso la droga.
- D'accordo ma ora tornatene a letto- Dallas bofonchia  la frase, i farmaci gli stanno rallentando la lucidità.
- Non riesco più a dormire. Lo sai che non ci riesco se non ascolto la musica-
- Ci...bah...ci devono essere le mie cuffie là sul comò. Prendile e attaccale al tuo stereo-.
- Se uso le cuffie la musica diventa troppo vicina, troppo vera. Non riuscirei a dormire ugualmente-
- Tu sei da psichiatra, lo sai?- così dicendo si spostò appena facendo un po' di posto sul letto.
 - Vieni qui, ma azzardati a fare casino e ti rispedisco in camera tua a pedate!-
Lawrence non se lo fece ripetere, raggiungendolo per posizionarsi al suo fianco. Dopo quell'attimo gli occhi di Dallas si chiusero per riaprirsi due ore dopo. Era inutile, qualsiasi farmaco ormai aveva una durata troppo breve per lui.
Cercò di sistemarsi meglio sul materasso ma Lawr gli si era arpionato addosso e dormiva troppo profondamente per rischiare di svegliarlo e riavviare così un'altra discussione irritante. Dass sbuffò sonoramente. Aveva il bisogno di farsi e quelle braccette magre glielo impedivano. Erano come due piccole catene che lo riconducevano a quello stato di prigionia dal quale non riusciva a liberarsi. Lawr gli si addossò maggiormente, incrociando una gamba nella sua e posizionando meglio la guancia sul petto di Dallas. Sembravano due amanti  che condividevano un letto troppo piccolo.
Dallas cercò di allentare la presa del ragazzino ma senza successo.
- Razza di piovra- borbottò finendo per passare le dita fra i capelli corvini di Lawrence. Non ricordava di averlo mai fatto nemmeno con una donna. Non concedeva tenerezze. Baci e abbracci l'avevano sempre infastidito, eppure con Lawr risultavano del tutto normali. Per un attimo ebbe l'atroce dubbio di poter essere in grado di spingersi oltre. Per rabbia, per lussuria, per rivincita. Come sarebbe stato approfittare del dolce Lawr e vedere la sua espressione di fiducia incondizionata sbriciolarsi in un terrore perpetuo?
Scosse la testa nauseato da sé stesso. Se c'era una sola cosa buona nella sua vita quella era Lawrence, perché affannarsi a volerla distruggere?
Eppure la tentazione c'era. Faceva parte della sua libertà poter distruggere tutto il mondo in cui si era ritrovato a crescere per poterne costruire uno proprio, senza pareti nitide o certezze scontate. Dallas era il caos, e in quanto tale necessitava del caos per riuscire a imporre se stesso. Era geloso della perfezione di Lawr tanto quanto ne era affascinato. Detestava tutto di lui tanto quanto lo adorava. Si trovava sempre combattuto in malati paradossi ben sapendo che un giorno lo avrebbero trascinato davvero verso qualcosa di estremo e di irreparabile. Una copia sbrigativa del giovane Olden. Una vita non vita. Sempre più spesso il disegno finale gli sembrava questo.

Alle 6.00 del mattino riuscì a liberarsi della calda morsa del fratello per potersi trascinare al bagno, svuotare la vescica, gettarsi in doccia. Era necessario trovare una soluzione immediata. Le pareti candide di casa erano diventate un controsenso alla sporcizia che gli si era depositata dentro. Perché il punto stava proprio qui. Dallas si sentiva sporco. E le droghe non gli erano servite di certo a cambiare questa sensazione, ma anzi l'avevano aumentata a dismisura. Si sentiva sporco nella mente, nei pensieri e nelle azioni. Ogni giorno peggio, ogni giorno più insopportabile.
Rientrò in stanza, Lawr disteso sul letto non dava segno di volersi svegliare, e a conti fatti era molto meglio così. Aveva un'aria serena, le labbra piegate in quello che poteva sembrava l'accenno d'un sorriso. Per Dass era insopportabile. Le sue notti facevano schifo e quello se ne stava beatamente spaparanzato ad usurpare il suo letto e a sognare chissà quali radiosi mondi.
- Fanculo!- ringhiò sedendo sul margine destro del materasso, lontano dalla presenza tiepida del fratello.
Qual'era la porta di confine da oltrepassare?
Si massaggiò la testa, gli occhi bruciavano di stanchezza e l'astinenza cominciava a pizzicargli il naso e a ribollirgli il sangue. Infilata una maglietta e dei jeans, Dass pensò di trovare rifugio in cucina. Sua madre tuttavia l'aveva preceduto e se ne stava ferma davanti la finestra con una tazza di caffè fumante e lo sguardo contemplativo.
- Giorno- Dass decise che fra sua madre e suo fratello forse era meglio la presenza della donna.
- Oh, giorno tesoro- lei lanciò uno sguardo rapido all'orologio rosso appeso al muro sopra il frigorifero - Sei molto mattiniero- sorrise - Ti preparo un paio di uova?-
Dass scosse il capo trovando improvvisamente interessante la piccola crepa sulla superficie liscia del tavolo. - No, basta un caffè -
- Scherzi?! E l'energia per studiare da dove la prendi! Ora ti faccio una bella omelette con bacon e dei pancakes -
- No mamma davvero, va benissimo solo il caffè -
- Ci metto un attimo. Abbondo con il bacon, ok?!-
In uno scatto il pugno di Dass andò a schiantarsi sul tavolo - Ti ho detto che bevo solo il caffè ci senti razza di stupida donna!-
La vide sgranare gli occhi, come quando un sasso colpisce la superficie ferma d'uno stagno creando un'increspatura sempre più vasta. Era sempre riuscito a controllarsi prima, ma l'astinenza urlava e i nervi non reggevano.
- Va bene. Solo caffè - disse la donna mantenendo una tonalità neutra per nascondere il turbamento.
- Mi dispiace-
-Non importa- sforzò un altro sorriso iniziando a pulire con un panno color limone la superficie immacolata del piano cucina.
- Mamma- Dass prese respiro, gridò mentalmente alla bestia dentro di lui di mettersi calma per cinque minuti. Il tempo di riottenere il perdono e mandare giù il caffè.
- Mamma davvero mi dispiace- si avvicinò alla donna che gli dava le spalle seguitando a passare il panno avanti indietro nello stesso punto. Dass la cinse con le braccia sussurrando un altro "mi dispiace" che ebbe quantomeno l'effetto di sentirla rilassare contro il suo petto.
- Non dovevo risponderti così. E' che sono nervoso ultimamente. Ho un sacco da studiare e talvolta mi sembra di non farcela-
-Dovresti lasciare il lavoro- contrariamente alle sue speranze il tono della donna non si era addolcito, sembrava impacciata come sempre accadeva quando era nervosa - Non hai bisogno di lavorare- proseguì
- Io e tuo padre paghiamo l'università e le spese perciò perché devi affaticarti con orari assurdi sottraendo tempo prezioso allo studio?- la sentì deglutire e la bestia dentro di lui gridò che era in trappola, che sarebbe bastato stritolarla tra le braccia come in una morsa.
- Lo so hai ragione- si sentì dire - Ma non mi va che dobbiate farvi carico di tutto-
Lei si voltò nell'abbraccio puntandogli addosso gli occhi, dello stesso dannato colore di quelli di Lawrence, per fissarlo con malcelata apprensione. Era una donna piccola, esile nella sua armatura di ossa e pelle bianca, sarebbe bastata una forte spinta per farla finire a terra e spaccarle la testa.
- I soldi non sono un problema e lo sai- gli posò ambo i palmi delle mani sulle guance e Dass avvertì il proprio corpo afflitto da un improvviso torpore, le gambe formicolavano e minacciavano un assurdo cedimento. - Se vuoi che te la dica tutta né a me né a tuo padre piace pensare che lavori chissà dove fino all'alba...-
- E' solo un bar per studenti mà...-
- Ti rende nervoso e stanco. Ultimamente stento a riconoscerti. Una volta non mi avresti mai risposto a quel modo...- e finalmente le vide le lacrime farsi largo in quelle iridi verdi e smarrite. Provò un vago senso di vittoria. L'abbracciò nuovamente e lei stavolta contraccambiò.

 

 

  
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