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Autore: GiuliaStark    05/09/2015    0 recensioni
Nuova città, nuova vita. È questo che pensava Savannah quando aveva lasciato le sue origini. Ma niente è mai come sembra ed i cambiamenti, anche se voluti, sono difficili da affrontare soprattutto se si è soli e disillusi dalla vita. Delle volte però il destino è strano e quando ci si mette di punta fa accadere anche le cose più improbabili, incontrare nuovamente persone che credevi perse per sempre; ed è questo che accade a Savannah in un giorno che credeva come tutti gli altri. Torna ad incrociare la sua strada con quella di un vecchio amico, torna a sorridere, torna ad avere una vita, delle amicizie, torna a credere ed improvvisamente quel buio che si porta dentro non le sembra poi così scuro. Ma, dopo tutto quello che ha passato, potrà tornare anche ad amare? Ad aprirsi completamente a qualcuno che potrà chiamare ‘’suo’’? Scoprirsi della sua corazza e mostrarsi vulnerabile, indifesa ed impaurita? La vita ti pone davanti a delle sfide, mette in discussione le tue convinzioni, ti cambia, ed è questo che le succederà quando incrocerà un paio di occhi verdi…
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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~~Mi piaceva venire al porto prima di andare al lavoro, lo trovavo rilassante e motivante. Era questo il centro stesso della vita di Londra e non nelle vie affollate. Proveniva tutto da qua: cibo, vestiti, persone. Il porto era un centro di passaggio per tutto, come una specie di punto di partenza. La vita non smetteva mai perché c’era sempre un carico pronto ad attraccare e gente ad accoglierlo. Ero seduta a gambe incrociate su una vecchia panchina di legno corrosa dalla salsedine che affacciava direttamente sulla banchina del molo numero sette e fissavo pensierosa il mare; il vento soffiava leggero e mi arrossava leggermente le guance con la sua pungente carezza autunnale. Tutto aveva una sfumatura quasi fredda: le onde azzurro ghiaccio si muovevano lentamente con una danza ondulatoria seguendo sempre lo stesso ritmo. Avanti e indietro, avanti e indietro. E via così all’infinito. L’orizzonte aveva ancora quella sfumatura rosata dell’alba visto che era ancora molto presto, forse nemmeno le sette. Non sapevo perché mi svegliavo sempre a quest’ora della mattina, ma era come se non riuscivo a stare nel letto più di quelle ore necessarie che mi servivano per riposare. O forse era la casa. Probabilmente anche quella faceva la sua parte. Era davvero piccola, vecchia, cigolante e con uno strano odore ma era l’unica che con il lavoro che facevo mi potevo permettere di prendere in affitto. E poi sotto sotto mi piaceva. Era mia soltanto e questo già faceva da incentivo, poi avevo sempre avuto un debole per le cose vecchie. Davano quel tocco di vissuto che ti entrava dentro. Racchiudevano storie altrui, stralci di vite a metà viste attraverso un mobile, un vecchio televisore od uno strano oggetto appartenuto agli anni cinquanta che poteva essere benissimo un pezzo da museo. Come le fotografie che facevo. Quella casa cadeva letteralmente a pezzi; quando scoppiavano dei temporali entrava anche dell’acqua dal tetto, molte assi del pavimento erano da cambiare e le scale barcollavano un po’, ma ormai non riuscivo a separarmene. Dalla piccola mansarda che usavo come camera oscura per sviluppare le mie foto c’era una vista da mozzare il fiato: da lì il porto appariva in tutta la sua bellezza e maestosità, soprattutto quando calava il sole fino al livello dell’acqua e le prime luci venivano accese lungo gli attracchi. Era un momento magico quello, l’avrò fotografato come minimo un centinaio di volte, ma ogni sera era sempre uno spettacolo diverso. Sia l’alba che il tramonto avevano la caratteristica di essere diversi tutte le volte: i colori, le sfumature, l’emozione... cambiava tutto come se indossassero un vestito diverso per uscire e mostrarsi nella loro magnificenza. Amavo le piccole cose. I gesti mascherati, le emozioni nascoste da dover portare a galla ma più di tutti amavo la diversità, ovunque essa risiedeva. Al contrario di molti apprezzavo e rispettavo ciò che era differente dal senso comune. Al giorno d’oggi c’erano fin troppe cose uguali, troppe brutte copie di un’originalità quasi persa del tutto e che in pochi avevano il coraggio di far loro. La diversità era il colore di questo mondo, erano le sfumature che davano quel tanto di vitalità che bastava a caratterizzare anche la più piccola delle cose. Alzai lo sguardo al cielo ed incrociai qualche gabbiano che volava libero e tranquillo sulle banchine, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso nella speranza di riuscire a prendere qualche pesce dimenticato a terra dai pescatori che svuotavano le reti appena arrivate dalla pesca mattutina. Sospirai e mi domandai come faceva la gente di qua a non accorgersi della magnificenza di questo posto, i più evitavano anche di passarci perché convinti che questo quartiere fosse uno dei più pericolosi. Si, probabilmente era vero dato che la maggior parte dei residenti erano immigrati e di sera si riempiva della peggior criminalità; ma era in queste ore che mostrava la sua bellezza ed innocenza. Come due facce di una stessa medaglia. Alle prime luci dell’alba appariva circondato da un’atmosfera rilassante, magica, quasi surreale come se riservasse questo spettacolo solo ai pochi che sapevano comprenderlo appieno senza farsi troppe domande sul poi ma concentrandosi solo sul momento. Il famoso ‘’Cogli l’Attimo’’. Mentre continuavo a perdermi nel momento sentii scricchiolare la panchina accanto a me, segno che qualcuno si era appena seduto:
- Buongiorno bambina – disse un marcato accento olandese.
Mi voltai e sorrisi in direzione del vecchietto seduto accanto a me. Si chiamava Sven, aveva settantacinque anni ed era un immigrato Olandese. La prima volta che lo conobbi fu dopo la prima settimana che mi ero trasferita qui; era una mattina molto simile a questa ed io ero seduta proprio su questa panchina. Allora venivo qua da un paio di giorni ed ogni volta lui c’era già, tutto indaffarato nel suo lavoro; se devo essere sincera non saprei spiegare il momento esatto in cui avevamo cominciato a parlare, ma credo fosse dovuto alla sigaretta che mi aveva chiesto. All’inizio ero intimorita dai suoi modi di fare ed il suo aspetto burbero, ma, giorno dopo giorno imparai a conoscerlo durante il piccolo rituale che avevamo insieme nel fumare e guardare il mare. Alla fine era una persona buona. Ciò che lo aveva reso così in apparenza era la crudeltà della vita. Mi raccontò d’essere figlio di due persone umili: il padre pescatore e la madre sarta. Aveva una sorella più piccola: Pola, una bambina minuta e cagionevole. La pesca era una cosa di famiglia, anche suo nonno aveva praticato lo stesso mestiere del padre e il suo bisnonno ancora prima di lui. Iniziò a lavorare assieme al padre fin da piccolissimo mentre la sorellina aiutava la madre in sartoria; erano tempi duri quelli: c’era poco lavoro e tanta povertà. Mi disse che quando scoppiò la guerra lui aveva sette anni mentre Pola cinque e la famiglia li mandò qui a Londra da alcuni parenti della madre. Non rividero più i loro genitori. Morirono durante la guerra. Quando mi aveva raccontato la storia, giunta a quella parte mi ero rattristata. Chissà come doveva essere vivere con solo un’immagine sfocata agli angoli remoti della tua mente delle persone che ti avevano cresciuto; sicuramente orribile. Non aveva quasi nulla di loro, solo ricordi frammentari. La pesca era tutto ciò che gli era rimasto, come una piccola eredità. Aveva lavorato qui al porto tutta la vita mentre la sorella aprì una piccola pasticceria; si era creato una bella famiglia per ricompensare al vuoto che i suoi genitori avevano lasciato. Conobbe sua moglie, Madison, un giorno al mercato mentre vendeva il pesce appena pescato, fu un colpo di fulmine da come mi disse; si sposarono nove mesi dopo essersi incontrati e tempo tre anni ebbero il loro primo figlio: Darren. Purtroppo la sorella morì due anni fa per un tumore. Ora era nonno, aveva un bella famiglia, viveva con la moglie in un bel quartiere residenziale in un appartamento regalatogli dal figlio e si godeva questa sua passione per il mare e la pesca. Era felice ed io lo ero per lui, ma ovviamente si portava sempre dietro il ricordo di un’infanzia sacrificata. Mi aveva presa a cuore; in realtà non ci dicevamo quasi nulla quando ci incontravamo ma bastavano i silenzi, erano quelli a parlare per noi. Anche io gli avevo raccontato parte della mia storia e lui era stato lì, ad ascoltare in silenzio a squadrare ogni mio singolo movimento o espressione. Mi stupii quando me ne accorsi perché era la stessa cosa che facevo anche io. Pensavo non esistessero più persone che avevano questa abitudine, oppure se ancora c’erano di certo non mi sarei mai sognata di incontrarne una. Era stato lui a trovarmi il lavoro in un vecchio negozio di vinili in centro e la casa dove abitavo. Gli dovevo tutto. Delle volte mi dava dei consigli, come un nonno saggio che ti insegnava i principi della vita e ciò che era giusto o sbagliato. Lo adoravo. Anche se non lo gridavo ai quatto venti, questo burbero vecchietto mi era entrato nel cuore; lui lo sapeva anche se non ne faceva mai parola ma a me andava bene così, l’importante era che capisse quanto per me contava questa nostra specie di amicizia visto che era l’unica che avevo da anni. Anche stavolta rimanemmo quasi tutto il tempo in silenzio a contemplare l’orizzonte che mano a mano era diventato sempre più azzurro segno che ormai per me era ora di andare al lavoro; così buttai la cicca a terra e salutai Sven per incamminarmi verso il centro. Prendevo il bus per sei fermate e poi la metropolitana per altre otto; il negozio era situato nei pressi Shoreditch. Amavo alla follia quel quartiere. Era il centro esatto dell’arte, della diversità e del colore; mi sarebbe piaciuto vivere lì perché mi rappresentava alla perfezione. Tutti i palazzi avevano murales che li abbellivano dandogli quel tocco di unicità che mancava troppo spesso nelle cose al giorno d’oggi. Erano pezzi d’arte esposta agli occhi del mondo, mirava al cuore e ti trasmetteva emozioni vere, emozioni quotidiane, sincere. Questi secondo me erano i veri artisti da lodare: quelli silenziosi, sconosciuti, che si accontentavano di un pezzetto di muro ed un po’ di vernice per esprimere quello che si portavano dentro. Era una galleria d’arte all’aperto sotto il cielo cupo di Londra a fare da spettatore. Il bello di questo quartiere non si fermava solo ai dipinti sui muri, ma era come una festa continua: i marciapiedi e le piazze si riempivano di artisti di strada, ognuno con il proprio talento messo a servizio degli altri, sotto l’occhio critico del pubblico. C’era il pittore sempre situato all’angolo con la vecchia farmacia che ritraeva o dipingeva qualunque cosa; una volta mi disse di aver dipinto perfino me, ma tutt’ora non mi aveva ancora mostrato il quadro. Dall’altro lato della strada, proprio vicino al fioraio, invece, c’era Jason il ballerino Argentino che danzava senza sosta per tutta la giornata il suo repertorio fino alla tarda serata. Era un quartiere magnifico. Molte delle foto che facevo provenivano da qua. Mi attirava come una calamita. Se avessi avuto anche io il coraggio avrei fatto lo stesso. Magari fare ciò che amavo mi avrebbe resa veramente felice. Continuai a camminare per la via principale mentre tenevo le mani in tasca e guardavo il cielo Londinese stranamente limpido, sospirai ed accelerai il passo per non far tardi a lavoro e nel mentre pensai alla giornata che mi avrebbe aspettata oggi. Non che mi dispiacesse il lavoro, anzi, amavo la musica vecchio stile ed ancora di più amavo i vinili, ma purtroppo le mie aspirazioni erano altre. Sapevo che non dovevo aspettarmi niente, che sognare non era per me, ma delle volte non potevo farne a meno. Immaginavo di potermi concentrare esclusivamente sulla fotografia o la scrittura e riuscire a cavar fuori qualcosa di produttivo che mi avrebbe permesso di acquistare una bella casa e vivere dignitosamente. Purtroppo come avevo già detto: sognare non è da tutti. È per le persone coraggiose ed io di certo non lo ero. Come si poteva chiamare una che era andata via dalla sua cittadina per non affrontare i problemi che aveva se non codarda? Arrivai al negozio e trovai Marcus, il proprietario, che aveva aperto da poco. Era un ragazzo di ventotto anni, alto, decisamente troppo alto, capelli castani ed occhi azzurri. Aveva una personalità adeguata a gestire un’attività simile: la musica era la sua vita e lo trasmetteva non solo attraverso il suo lavoro ma anche con il modo di vestire ed esprimersi soprattutto se l’argomento riguardava qualcuno dei suoi artisti preferiti. Sembravo io quando parlavo io di scrittura e fotografie. Suo padre, David Carry, veniva spesso qua in negozio ad aiutarci, o almeno così diceva lui; la verità era un’altra. Si era messo in testa che suo figlio doveva chiedermi di uscire. Ogni volta che c’era il signor Carry, cadevo in un profondo stato di imbarazzo visto che non faceva altro che lodarmi davanti al figlio creando ancora più tensione. In realtà non c’era mai molto lavoro, la gente passava e delle volte si fermava, condivideva pochi minuti della loro vita con noi e poi tornavano ognuno alle proprie esistenze. Delle volte entravano dei personaggi abbastanza particolari come ad esempio il ragazzo hippie che si metteva poco distante dalla nostra porta a strimpellare qualche nota con la sua vecchia e scordata chitarra acustica stracolma di adesivi presi durante i viaggi intrapresi. Avevo già detto quanto amavo questo quartiere e la sua gente? Probabilmente si, ma non era mai abbastanza:
- Buongiorno Marcus – dissi appena varcata la soglia d’entrata.
Lui si voltò e mi sorrise. Delle volte mi domandavo se prendeva veramente sul serio le parole del padre, sperai di no. Non per essere cattiva, Marcus era un bravo ragazzo ma non avrei augurato a nessuno di andarsi a prendere un disastro come me. Mi tenevo lontana dalle persone quanto bastava per tenermi al sicuro, per tenere protetti quei frammenti di un cuore spezzato ed incerottato che mi portavo dietro da tempo.
- Buongiorno a te – prese il pacchetto di sigarette dal bancone e me lo porse – Mi fai compagnia? – me lo chiedeva ogni mattina
- No grazie, ne ho fumata già una mentre venivo qui e poi sto cercando di smettere – ridacchiai – I soldi mi servono per altro –
- Spero che prima o poi accatterai – ridacchiò mentre scuoteva la testa e si posizionava una sigaretta tre le labbra.
Questa mattina non era diversa dalle altre: dopo il mio solito rifiuto a Marcus iniziai a sistemare i nuovi arrivi. C’era uno scatolone che conteneva dei vinili davvero quasi introvabili, pezzi che avevano fatto la storia della musica ed ora considerati dei piccoli tesori da custodire gelosamente. Li adoravo. Avevano un suono fantastico, puro, coinvolgente… vero. A Mullingar avevo una vasta collezione di vinili nella mia stanza, era la cosa di cui andavo più fiera in assoluto ma purtroppo quando dovetti andarmene fui costretta a venderli per ricavare qualche soldo con cui partire. Alcuni di essi erano un vecchio ricordo di mio nonno che mi li aveva regalati dalla sua discografia privata. Era un collezionista accanito, anche peggio di me. Mi mancava. Mi mancava quello stralcio di vita familiare che avevo vissuto quando erano ancora vivi i miei nonni, quando la famiglia era un legame vero, sincero e speciale. Ora si era perso tutto da anni ormai. Passai la maggior parte del tempo a riordinare il retro del negozio liberandomi di tutti gli scatoloni vuoti, mentre Marcus occupava il posto in cassa; quando ebbi finito e tornai dentro notai che quello che era appena uscito era già il decimo cliente in meno di tre ore:
- Oggi abbiamo avuto più clienti del solito – dissi sorpresa mentre mi sedevo sullo sgabello accanto a quello di Marcus per riposarmi un po’ dalla faticaccia che avevo appena fatto.
-  Già, probabilmente per quell’incontro di oggi pomeriggio –
- Che incontro? – domandai aggrottando le sopracciglia.
- Sinceramente non ne ho idea, credo qualche giovane artista emergente – annuii – Hai finito di là? –
- Si – sospirai esausta – Mi hai messo ai lavori forzati, eh? – scherzai un po’.
- Beh allora non ti piacerà affatto sapere che ce ne sono altri da sistemare – sorrise imbarazzato grattandosi la testa. Spalancai di botto gli occhi alla sua affermazione ma lui mi precedette - Tranquilla – ridacchiò – Vado io, tu dammi il cambio qui –
Sorrisi leggermente mentre lui si alzava e si dirigeva nel retro. Presi il giornale che era poggiato su un lato del bancone e lo aprii: era vecchio di due settimane. Ridacchiai scuotendo la testa ma iniziai comunque a sfogliarlo; passarono all’incirca una ventina di minuti quando la porta del negozio si aprì di nuovo con il suo solito scampanellio dovuto al sonaglino appeso sulla porta. Sollevai lo sguardo per incontrare quello del cliente ed accoglierlo ma quando incrociai i suoi occhi e riconobbi il suo viso rimasi completamente attonita:
- Niall…? – sussurrai con un filo di voce.
Mai e poi mai mi sarei sognata che questo giorno fosse arrivato. Era come fare un salto indietro nel passato e ritrovare quella parte di te che credevi aver perso per sempre e che ti eri arresa a riavere.  Eppure era lì, davanti a me, con il suo solito viso angelico, gli occhi azzurri, la carnagione chiara ed i suoi immancabili capelli biondi. Era lo stesso ragazzo che salutai tre anni fa prima che andasse a fare quel provino, solo un po’ più cresciuto. Per qualche secondo temetti di sognare, che tra poco mi sarei risvegliata nel mio letto dalla rete cigolante e che mi sarei accorta che faceva parte solo di un brutto tiro giocatomi dal mio inconscio più nascosto e profondo. Sbattei le palpebre un paio di volte ma lui non scomparve. Rimase proprio lì:
- Savannah..? – anche lui era senza parole – Che… che cosa ci fai qui!? – domandò avvicinandosi con ancora l’espressione incredula.
- Ehm.. ci lavoro – risposi cercando di evitare il suo sguardo.
- Io credevo che fossi a Mullingar! -
- Mi sono trasferita qui da poco – sussurrai abbassando lo sguardo fingendomi indaffarata.
- Come mai hai lasciato l’Irlanda? – domandò cercando il mio sguardo ma io puntualmente continuavo ad evitarlo.
- È complicato – sospirai e faci il giro del bancone.
In fondo in fondo speravo che se ne andasse, che tornasse alla sua vita e che continuasse per la sua strada. Non gli avevo mai dato la colpa per non avermi più cercata, beh forse un po’ si, ma semplicemente avevamo preso due strade differenti l’una dall’altro. A dirla tutta fu lui a cambiare strada, ma questo poco importava. Ormai eravamo due estranei. Io non sapevo cosa accadeva nella sua vita e lui non sapeva cosa accadeva nella mia ed era meglio così. E cosa gli avrei dovuto dire poi? Che da quando lui se ne era andato, tutto ciò che avevo intorno mi era crollato addosso come un castello di carte? A quale scopo poi? Farlo sentire in colpa per aver inseguito il suo sogno? No. Non era da me. Anche se non ci vedevamo o sentivamo da due anni non voleva dire che non tenessi a lui. Anzi, era tutto il contrario. Niall era e rimarrà sempre una delle persone più importanti della mia vita. Continuavo a dargli le spalle camminando per il negozio temendomi occupata:
- Sav.. – mi richiamò – Sono i passati due anni dall’ultima volta che ci siamo visti e tutto quello cha sai fare è tenermi a distanza?! – domandò. Potevo sentire la tristezza e la delusione nella sua voce. Mi dispiaceva, ma d’altronde che altro potevo fare per tenerlo lontano da mie guai? Lui ormai aveva la sua vita ed io non ero nessuno per impedirgli di viverla serenamente:
- Niall, cosa vuoi? – mi voltai verso di lui - Non lo vedi che sto lavorando?! –
Inarcò le sopracciglia e fece una risata sarcastica distogliendo lo sguardo dal mio:
- Ah si? Io non vedo nessuno – fece spallucce disinvolto e leggermente irritato. Era proprio testardo delle volte.
- Cosa vuoi? – domandai mentre distoglievo lo sguardo dal suo, non ce la facevo a reggerlo… mi sentivo come colpevole
- Cosa voglio?! – esclamò con dell’evidente sarcasmo nella voce – Voglio sapere perché la mia migliore amica da ben tutta la vita di punto in bianco è sparita per anni! –
Mi girai di scatto spalancando gli occhi a quelle parole; mi avvicinai lentamente a lui mentre un nodo cominciò a formarmisi alla base della gola rendendomi difficile perfino respirare:
- Sparita?! – cacciai fuori le parole con una risata seccata mentre distolsi per qualche istante lo sguardo – Io sparita… questa si che è bella! – esclamai irritata guardandolo nuovamente – Sei tu quello che è sparito, che si è reso irreperibile ogni volta che provavo a cercarti! Io sono rimasta sempre nello stesso posto… - sussurrai quasi con le lacrime agli occhi – Non sono io quella che se ne è andata… -
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, era più forte di me. Odiavo rinfacciargli il fatto che se ne era andato, ma, nonostante fossi estremamente fiera di lui, era la verità. Niall era andato via e con la sua partenza tutti i miei problemi mi sommersero trascinandomi in un tunnel buio e senza via d’uscita; lui era sempre stato la mia ancora di salvezza, il mio scoglio, tutto… e di colpo semplicemente non c’era più. Quando all’improvviso sentii due mani afferrarmi delicatamente il volto mi girai ed incontrai le iride azzurre e preoccupate di Niall, in quell’istante capii che ero scoppiata in lacrime senza neanche rendermene conto; mi staccai da lui e mi asciugai gli occhi con il dorso della mano ma lui si avvicinò nuovamente e mi abbracciò. Fu un abbraccio bisognoso, amichevole e protettivo. Mi erano mancati da morire i suoi abbracci, lui era l’unico che sapeva sempre come farmi sentire meglio, ma ero anche consapevole che era solo un piccolo momento passeggero. Quasi come un fotogramma o un piccolo tassello che non avrebbe cambiato affatto il disastro che c’era nella mia intera esistenza. Le nostre vite erano come due figure scomposte di un enorme puzzle, ma mentre il suo era ben ordinato e quasi completo, il mio, invece, era confuso, con pezzi da riordinare, altri che avevo perso ed altri ancora da trovare. Come potevo permettergli di rompere così quella bella immagine che, tassello dopo tassello, aveva creato con molta fatica? Per avere in cambio chi? Una vecchia amica incasinata a tal punto di impazzire? Decisamente no. Ci staccammo poco dopo e prima di dividerci completamente Niall mi stampò un bacio in fronte. Sapevo che percepiva la mia tensione ma in quel momento non sapevo come reagire o comportarmi, mi sembrava tutto frutto di un’illusione:
- Ehi… - mi prese il mento tra il pollice e l’indice e mi costrinse a guardarlo – Basta piangere ok? – sussurrò gentilmente con un sorriso.
- Sto bene – feci spallucce.
- No, non stai bene – scosse la testa con una risata sarcastica – Sei sempre la solita testarda – sorrise.
- Cosa ti importa se sto bene o meno?! – indurii lo sguardo – Se ti importava non avresti smesso di cercarmi senza darmi nemmeno una spiegazione –
Stava per dire qualcosa quando all’improvviso gli squillò il telefono; socchiuse gli occhi tirando un sospiro irritato e prima di rispondere mi guardò con sguardo dispiaciuto ma io mi limitai a scuotere la testa guardando altrove. Nel frattempo iniziai a fissare il vuoto cercando di capire perché il destino mi aveva giocato un tiro simile. Non avrei mai pensato che un giorno, quando meno me lo sarei aspettato, il passato fosse tornato a bussarmi alla porta. E invece era successo. Mi aveva messa in una situazione decisamente scomoda ponendomi, assieme la mia vita attuale, di fronte a ciò che avevo perso della mia vecchia esistenza. Mi era stato posto come una sfida, o come una cattiveria, dovevo ancora decidere quale tra due sarebbe stata la descrizione più accurata. Di una cosa ero certa, qualunque cosa fosse decantava palesemente le parole: “Lo lascerai andare o farai l’egoista? A te la scelta, buona fortuna”. Quando Niall agganciò il telefono capii che stava per salutarmi, così lo precedetti:
- Vai, torna a fare la rockstar e rendimi fiera di te – sussurrai con un accenno di sorriso.
- Davvero sei fiera di me? – domandò quasi incerto mentre si grattava la nuca.
- Certo – incrociai le braccia al petto e feci spallucce – Sempre stata e sempre lo sarò –
- Perché mi suona tanto come un addio? – disse mentre scuoteva la testa incredulo: aveva capito.
- Perché lo è Niall.. – sospirai passandomi una mano tra i capelli cercando di calmarmi e non scoppiare di nuovo in lacrime – Tu ormai hai la tua vita ed è stato un caso che le nostre strade si siano incrociate di nuovo dopo tutto questo tempo… - non riuscii a continuare perché mi interruppe.
- Io non voglio assolutamente dirti addio, non di nuovo, ok? – parlò con un tono di voce duro come per imporsi; non accennava affatto ad arrendersi e questo rendeva tutto ancora più difficile – Dannazione, ti ho ritrovata dopo due anni e che tu lo voglia o meno resterai sempre la mia migliore amica! –
- Niall… - sussurrai contrariata ma lui mi interruppe di nuovo.
- Stammi bene a sentire, staremo qui per altre due settimane – si voltò di scatto in cerca di qualcosa ed io seguii attentamente i suoi movimenti cercando di capire cosa volesse fare, poi prese una penna e scrisse qualcosa sul bordo del giornale che stavo leggendo. Quando ebbe finito strappò il piccolo pezzo dal resto della pagina e me lo mise in mano – Questo è il mio numero, chiamami, io e te dobbiamo risolvere fin troppe cose e non ho intenzione di salutarti finché non le abbiamo risolte tutte –
Annuii, ormai esasperata, ed infilai il foglietto in tasca senza nemmeno guardare Niall. Lui sapeva che non lo avrei chiamato, lo sentivo dalla tensione che emanava il suo corpo quando avevo preso con così tanta semplicità quel foglietto:
- Vai ora, non vorrei che ti dessero per disperso –
Annuì leggermente per poi avvicinarsi e poggiarmi un altro bacio sulla fronte, solo che questo durò più dell’altro. Come a voler suggellare questo incontro, come una specie di marchio o una promessa nascosta. All’improvviso la porta del retro si aprì facendoci voltare entrambi proprio mentre Marcus entrava nuovamente in negozio. Incrociai il suo sguardo e notai la sua perplessità; aveva riconosciuto Niall ed era abbastanza intelligente da capire che il nostro non era un comportamento adottato tra due estranei. Feci un passo indietro ed infilai le mani nelle tasche posteriori dei jeans mentre facevo saettare lo sguardo tra il pavimento in parquet e gli occhi di Niall:
- Promettimi che mi chiamerai – disse a voce bassa mentre lanciava delle occhiate a Marcus.
- Va bene, va bene... – risposi in tono sbrigativo.
Lui annuì leggermente ancora con quello strano sguardo dipinto sul volto che sicuramente non mi sarei più tolta dalla testa per tutta la giornata e, prima di chiudersi definitivamente la porta alle spalle, mi sorrise debolmente. Poi, come era venuto sparì, lasciandomi quella sensazione di vuoto come quando ti svegli da un bel sogno. Che avessi sognato per davvero? Infilai di corsa una mano nella tasca ed afferrai il foglietto dove aveva scritto il suo numero; non so per quanto tempo lo fissai, forse avevo paura che sarebbe scomparso tra le mie mani da un momento all’altro, ma invece era lì, tra le mie dita, e continuava a restarci:
- Tutto bene? – la voce di Marcus mi riportò alla realtà facendomi sobbalzare leggermente.
- Eh? – sembravo appena uscita da una specie di trance – Si, si… tutto bene – mi apprestai a dire.
- Sicura? – insistette aggrottando leggermente le sopracciglia non ancora pienamente convinto.
- Sicurissima – forzai un sorriso ma con scarsi risultati.
- Quello non era Niall Horan? –
- A quanto pare si – dissi con un sospiro
Forse Niall aveva ragione. Dovevamo incontrarci, parlare e chiarire. Non si poteva lasciare in sospeso una cosa così grande che aveva sparso solo che sofferenza; io in primis volevo capire perché lui attribuisse la colpa a me quando la versione della storia era un’altra. Cosa gli era stato raccontato? Che fosse stata una mossa già decisa senza renderlo partecipe? Lo avrei scoperto solo chiamandolo e chiamarlo implicava riaprire una vecchia ferita, strappare da sopra di essa i cerotti e lasciarla sanguinare nuovamente:
- Lo conoscevi? – mi voltai a guardarlo di sfuggita prima di distogliere nuovamente lo sguardo e puntarlo sulla porta d’entrata.
- Una volta si… -






ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, come avete letto c'è stato l'inserimento della figura di Niall che nel prossimo sarà ancora più presente fino a sfociare all'incontro con i ragazzi ma soprattutto con Harry.
una piccola precisazione: la storia è ambientata quasi due anni fa, quindi Zayn sarà presene.
Un bacio a tutti e spero che mi farete sapere cosa ne pensate
A presto

GiuliaStark

  
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