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Autore: GiuliaStark    19/08/2015    0 recensioni
Nuova città, nuova vita. È questo che pensava Savannah quando aveva lasciato le sue origini. Ma niente è mai come sembra ed i cambiamenti, anche se voluti, sono difficili da affrontare soprattutto se si è soli e disillusi dalla vita. Delle volte però il destino è strano e quando ci si mette di punta fa accadere anche le cose più improbabili, incontrare nuovamente persone che credevi perse per sempre; ed è questo che accade a Savannah in un giorno che credeva come tutti gli altri. Torna ad incrociare la sua strada con quella di un vecchio amico, torna a sorridere, torna ad avere una vita, delle amicizie, torna a credere ed improvvisamente quel buio che si porta dentro non le sembra poi così scuro. Ma, dopo tutto quello che ha passato, potrà tornare anche ad amare? Ad aprirsi completamente a qualcuno che potrà chiamare ‘’suo’’? Scoprirsi della sua corazza e mostrarsi vulnerabile, indifesa ed impaurita? La vita ti pone davanti a delle sfide, mette in discussione le tue convinzioni, ti cambia, ed è questo che le succederà quando incrocerà un paio di occhi verdi…
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Angolo autrice

Ecco il primo capitolo, buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate !




~~POV SAVANNAH


Era una mattina come tutte le altre quando finalmente decisi di dare una svolta alla mia vita. Ne avevo un disperato bisogno ma non ne avevo mai avuto il coraggio. Ogni volta che cercavo di cambiar pagina c'era sempre qualcosa che me lo impediva portandomi a rimanere bloccata nello stesso circolo vizioso. Cos’era successo di diverso? Non lo so, non lo saprei spiegare nemmeno io ma ringrazio qualunque cosa sia stata. Fu così che in una plumbea giornata di tre mesi fa lasciai l'Irlanda e tutto ciò che mi legava ad essa per partire con direzione Londra. Perché proprio Londra? Perché non avevo scelta… non potevo permettermi un biglietto per L.A per inseguire il mio sogno, quindi lo misi in un cassetto e dopo averlo chiuso con cura lo lasciai lì nella speranza che, prima o poi, avessi trovato il coraggio di aprirlo di nuovo. Non credo mi sarebbe mancata la mia vecchia cittadina, lì avevo solo problemi, anzi, ne ero letteralmente sommersa e probabilmente fu questa la causa maggiore che mi aveva spinta ad andarmene verso qualcosa di migliore; Mullingar mi stava stretta ormai… era culla di ricordi troppo dolorosi da poter sostenere ed io ero stanca di metter su ogni volta dei sorrisi di circostanza. Ne volevo di veri. Volevo ridere a crepapelle, volevo sorridere piena di gioia per il semplice fatto che avevo cambiato aria, vita e mi ero ripresa la vecchia me. E invece? Nulla. Ero qua da tre mesi ed avevo ancora addosso lo stesso senso di agonia e costrizione che mi aveva spinta a partire. Ero piena di casini, io prima di tutto ne ero uno vivente. Non avevo mai avuto qualcosa di normale nella mia vita, ogni cosa doveva sempre complicarsi: le relazioni, le amicizie, i rapporti familiari e scolastici, perfino la relazione con me stessa. Tutto. Londra era la città adatta a me, era grigia, uggiosa, a volte malinconica altre piena di vita; mi rispecchiavo bene nella sua parte estremamente gotica e quasi triste, mi dava un certo senso di conforto, come se io e lei fossimo due vecchie amiche con lo stesso carattere. Amavo parlare con lei, la trattavo veramente come una persona, una consigliera… ormai mi era entrata dentro e si era amalgamata perfettamente alla mia anima nera. In qualche modo ci intendevamo alla perfezione, cosa che non accadeva con la mia precedente città, era come se un qualcosa mi seguisse e consigliasse. Un giorno durante i miei soliti giri esplorativi dei primi giorni avevo trovato un bellissimo caffè letterario dove mi rifugiavo ogni volta che le ombre prendevano il sopravvento su di me; lì mi sentivo protetta, al sicuro. Adoravo l’odore del caffè caldo misto al profumo delle pagine di un libro, mi avvolgevano trasportandomi in un altro mondo, avevano il potere di calmarmi e farmi pensare positivo. Per questo erano tre mesi esatti che frequentavo il piccolo caffè nel quartiere che affacciava sul lato sinistro del Tamigi; venivo qua ogni mattina alla stessa ora, mi sedevo allo stesso tavolo accanto la grande vetrata ed ordinavo la stessa colazione. Mi piaceva questa quotidianità, mi aiutava ad entrare in un luogo tutto mio; di tanto in tanto alzavo lo sguardo dal libro che stavo leggendo per puntarlo fuori: analizzavo ogni cosa e persona mi passava di fronte cercando di immaginare la sua storia passata, presente e futura. Osservavo le persone, adoravo farlo. Le osservavo e basta, da quando fin troppi mi avevano deluso non mi avvicinavo a nessuno più del dovuto per paura di essere ferita ancora una volta come un ingenua; non so perché rimanevo affascinata dall’osservare, forse perché dietro ad un vetro sentivo che nessuno poteva ferirmi… ero irraggiungibile per chiunque e mi piaceva. Scrutavo i volti e li decifravo come le parole incise sulle pagine dei libri che leggevo; delle volte li fotografavo anche se avevano un’espressione particolare dipinta sul volto. Ecco un’altra mia grande via di fuga: la fotografia. Attraverso un obbiettivo mi sentivo padrona delle cose che mi circondavano, come se potessi gestirle a modo mio e vedere solo ciò che volevo vedere; fotografare mi provocava fortissime emozioni perché ogni singola foto che scattavo rappresentava un particolare sentimento o istante della mia vita. Immortalavo di tutto. Dal passante frettoloso che si affrettava verso l’entrata della metro di Piccadilly Circus, ai bambini che giocavano ad Hide Park la domenica mattina, alla vecchietta che sedeva a pochi tavoli di distanza da me fino alla gente del sobborgo vicino il vecchio porto dove vivevo. Ma non fotografavo solo le persone, il più delle volte ciò che richiamava la mia attenzione era qualche oggetto, anche il più banale per me aveva un certo fascino ed una sua storia tutta da raccontare; uno degli effetti che amavo usare di più era il bianco e nero. Non c’era un motivo particolare, ma uno più di altri si avvicinava maggiormente: era così che il mondo mi appariva. Come una foto in bianco e nero dai contorni nitidi e contenuti sfocati. Forse lo prediligevo perché il bianco si può sempre trasformare in colore e dare quella luce che serviva, la luce che serviva a me per opacizzare la mia oscurità. Le foto erano la nostra memoria per questo le amavo così tanto, avevano il mistico potere di catturare ogni attimo, anche il più piccolo, e lasciarlo impresso per sempre. Ti ricordano, a distanza di anni, chi eri, cosa ti piaceva, le tue aspettative… ogni singola cosa. Tutti gli scatti che facevo li tenevo gelosamente stretti e nascosti, perché, si, rappresentavano scorci di vite altrui ma in ognuna c’era anche un po’ di me stessa, per questo ero spesso riluttante a farle vedere a qualcuno perché sembrava come se mi mettessi a nudo, spogliandomi dei miei scudi e mostrando la vera me. Se mai ci sarà qualcuno di davvero importante nella mia vita glielo farò capire mostrandogli i miei scatti. Oggi non era una giornata diversa dalle altre: mi alzai alle 08:30 precise, mi vestii ed alla fine mi incamminai verso il piccolo caffè per dare inizio alla solita giornata; era una tranquilla domenica di fine ottobre decorata con una dolce e silenziosa pioggerellina tipica Londinese che dava quel tocco vintage ad ogni cosa. La pioggia era un’altra cosa che amavo. Era come se lavasse via le cose brutte del mondo lasciandolo nuovamente puro dal marciume che lo abitava. Non so perché ma mi rassicurava, mi rigenerava… ed era una sensazione impagabile quando ti sfiorava la pelle con una carezza quasi materna. Era in giornate come queste che ritrovavo la vecchia me stessa che avevo abbandonato tanto tempo fa; era come se la pioggia mi scoprisse, lavando via la mia armatura contro il mondo e portandomi di nuovo alla fragilità. Quando ero a Mullingar, giornate come queste usavo trascorrerle davanti la finestra della mia camera seduta sulla vecchia sedia a dondolo, appartenuta a mia nonna tempo fa, avvolta in una coperta a sorseggiare cioccolata calda mentre osservavo il mondo fuori attraverso le goccioline d’acqua che lo purificavano. Avevo sempre pensato che ci fossero solo due cose che ti permettevano di guardare il mondo per quello che era realmente: l’obbiettivo di una macchina fotografica e l’acqua. Quale cosa migliore per osservare la vita se non attraverso la fonte stessa che la creava? L’acqua era forma di limpidezza, di verità visto che portava via con se ogni cosa; agiva da filtro. Attraverso di essa potevi veramente capire il senso delle cose perché ti apparivano com’erano realmente senza trucco e senza inganno. Forse per apparire tutti più sinceri e veri bisognava vivere in una bolla d’acqua. Fin da piccola avevo sempre avuto una certa attrazione per la pioggia ma prima di venire a Londra non avevo mai avuto il coraggio di innamorarmene; da quando ero qui invece mi ero lasciata trasportare da talmente tante cose diverse che mi sentivo in qualche modo cambiata, non sapevo se in meglio o in peggio… dopotutto non avevo nessuno che poteva dirmelo. Vagavo per le vie di Oxford Street mentre la pioggia continuava a venir giù lentamente e nel frattempo mi strinsi un po’ di più al giubbetto di pelle che indossavo mentre affondavo le mani nelle tasche per ricevere un po’ di calore. La domenica mattina la dedicavo interamente a me stessa visto che non dovevo lavorare; era come se rubassi del tempo e lo sfruttassi per le cose che amavo fare. Stamattina ad esempio avevo avuto l’idea di perdermi per i sobborghi, di scoprire nuovi scorci da immortalare con il mio obbiettivo, nuovi luoghi da scoprire di una Londra che diventava mia pezzo per pezzo, di arrivare a conoscerne ogni angolo, soprattutto quelli più remoti che frequentavano in pochi e questi diventavano per me come tesori a lungo perduti per poi essere ritrovati. Il vento mi scompigliava i lunghi capelli portandoli a svolazzare nella frizzante aria della mattina che mi arrivava fin alle ossa provocandomi dei piacevoli brividi che mi ricordavano che, in qualche modo, ero ancora viva, che nonostante tutto quello che avevo passato ero ancora in piedi. Si, forse ricoperta di cerotti, lividi e con uno strato ancora più spesso a difendermi, ma pur sempre in piedi, pur sempre pronta a combattere per le cose e le poche persone nelle quali credevo ancora. Non era stato facile lasciarmi il passato alle spalle, dimenticarmi di certi luoghi e persone, ma mi sentivo in dovere di farlo. Un dovere verso me stessa. Stavo veramente uno schifo per aver abbandonato tutto, ma l’alternativa era rimanerne soffocata; ogni cosa sembrava volermi sovrastare e il peso dei ricordi era troppo per delle spalle fragili come le mie. Tutto della mia vita era stato vissuto con immensa difficoltà, ma gli ultimi due anni furono i peggiori, sembrava che tutto il male di questo mondo si fosse concentrato in quel lasso di tempo deciso a sconvolgermi e cambiare la mia vita una volta per tutte. Inizialmente avevo ingenuamente pensato che tutto si sarebbe risolto, che prima o poi il dolore e le sofferenze sarebbero passate… tipo i temporali estivi: fanno tanto rumore, sono violenti e, si, lasciano anche danni, ma alla fine passano sempre. E invece avevo torto marcio. Il mio temporale mi perseguitava da molto tempo ormai e non aveva intenzione di andarsene. I miei nuvoloni neri mi facevano da scudo per il mondo, mi impedivano di avvicinarmi agli altri e di conseguenza agli altri di avvicinarsi a me. Lo consideravo un sollievo, almeno non dovevo passare tutta la procedura di conoscere qualcuno e sforzarmi di trovare il coraggio di fidarmi. Dall’altro lato invece bramavo fortemente di tornare a fidarmi, di provare quell’ebbrezza che ti dava il sapere di avere qualcuno accanto che tiene a te, di cui fidarti ciecamente ed al quale affideresti non solo i tuoi segreti ma anche la tua vita. Era una bella sensazione. Quasi afrodisiaca. Una volta avevo avuto anche io il dono di provarla, ma tutte le cose belle prima o poi finiscono. Ed anche quella finì dispersa al vento come cenere.
  
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