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Autore: _candyeater03    05/09/2015    3 recensioni
{Tributi dei Settantaquattresimi Hunger Games}{Raccolta di OneShots; 10159 parole}
***
Questo è il canto dei tributi, una confessione, un sussurro, un epitaffio.
Gli ultimi pensieri di molti che non lo credevano, perché la morte coglie di sorpresa. Di molti che hanno abbassato la guardia nel momento fatale, convinti di essere al sicuro. Illusi anche solo per un giorno di potercela fare.
Ma non era forse sempre stata questa la regola? Un solo vincitore. Oppure due, magari.
Questo è il racconto di sette morti, e di altre tre. Dieci anime bambine soffiate via, dieci colpi sul tamburo della ribellione.
***
1. You and I’ll be safe and sound
2. Just close your eyes
3. I remember you said don't leave me here alone
4. I remember tears streaming down your face
5. No one can hurt you now
6. You'll be alright
7. Hold on to this lullaby
8. All that's dead and gone and past tonight
9. Come morning light
10. Everything's on fire
11. Epilogo
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Everything's on fire



 
Giudicare un tributo per il numero delle proprie vittime, rapidamente uccise o squartate orribilmente con le più letali armi da taglio, è una cosa totalmente normale.
È una cosa totalmente normale dimenticare le vite perse al Bagno di Sangue o, per volgere la questione sul personale, immediatamente dopo. Non esiste un pensiero comune che la ritiene una cosa orribile, un invalido termine di paragone.

Non si sceglie di diventare assassini. Semplicemente si è costretti ad esserlo.
Nemmeno i volontari lo fanno, contrariamente all’idea comune che le persone hanno di loro. Non scelgono di diventare assassini. Scelgono di essere vincitori, di coprirsi di gloria e ricchezze, di posare la corona sul capo del proprio Distretto. Anche se ciò sottintende uccidere spietatamente, non è ciò che loro vogliono. Non è ciò che vuole nessuno.

Io non ho scelto di dover essere costretta ad uccidere per vivere quando, in quella giornata grigia e orribilmente anonima della Mietitura, resa speciale solo dal suddetto evento, il mio nome era stato gridato e amplificato dal microfono dell’accompagnatrice.
Mio fratello mi aveva guardata con occhi stentatamente rassicuranti, ma che non nascondevano un sentimento di puro terrore. Era troppo grande per offrirsi volontario al mio posto, ma, anche se non lo fosse stato, dubito che l’avrebbe fatto.
Non era un ragazzo particolarmente altruista, né coraggioso. Non venne nemmeno a salutarmi, non venne nessuno, poiché io non avevo nessun altro.

Avevo passato quell’ora totalmente vuota a parlare con Maria, la mia mentore, persona apparentemente simpatica, ma non interiormente.
Mi squadrava continuamente con aria superiore, e parlava con tono di voce mellifluo, come per intendere che, qualora avessi fatto un passo falso, o avessi abbassato inutilmente la guardia, lei mi avrebbe fatta fuori facendolo passare per un incidente.
Non si rivelò migliore in futuro.

Durante la Cerimonia d’Apertura, nessuno si era preoccupato di guardare i due poveri, deboli, tributi del Distretto 8.
Gli spettatori erano in evidente visibilio. Gridavano in estasi i nomi dei Tributi Favoriti, tenendo poco conto di tutti gli altri. Inspiegabilmente, quando tutti i carri fuoriuscirono dal Centro Immagine, l’oggetto dell’ammirazione dei capitolini cambiò.
Quando mi voltai, stizzita più che curiosa, non riuscii a distogliere più lo sguardo, cosa che, probabilmente, non fece impazzire il pubblico.

Erano i due tributi del Distretto 12 a provocare tutto questo scalpore.
Non ricordavo i loro nomi, probabilmente erano Kathlyn e Peter, o qualcosa del genere. L’unica cosa che mi era saltata alla mente su di loro, era stato l’atto eroico della ragazza, offertasi alla Mietitura per salvare sua sorella.
Entrambi erano raggianti nei loro abiti di fuoco, si tenevano per mano e sorridevano al mondo attraverso le telecamere. Mi montò nell’anima uno strano sentimento che, nonostante il mi0 tentativo, era impossibile da confondere con della semplice ammirazione.

Alla fine della Cerimonia, Maria era furiosa.
“Hai un solo obiettivo adesso, da anteporre alla tua vita”, mi aveva intimato con aria evidentemente alterata, senza guardarmi, “devi uccidere Katniss Everdeen.”

Katniss.
Ecco qual era il suo nome.

“Perché devo farlo?” avevo chiesto con aria eccessivamente sottomessa e falsamente sorpresa.
Maria premette violentemente il pulsante contrassegnato dal numero otto.

“Questo è unicamente un mio desiderio”, aveva esordito “ed io per te sono l’ago della bilancia tra la morte e la vittoria, in questi Giochi.” 
L’ascensore si fermò all’ottavo piano con un sonoro scampanellio.

Avevo capito perfettamente.
Maria era il tipo di mentore capace di uccidere i propri tributi, se questi non raggiungevano i suoi fini.

“Okay”, avevo risposto, con una punta d’incertezza nella voce, “e il ragazzo? Peter?” 

Peeta”, mi aveva corretto, prima di ridere acidamente, “quello è un buono a nulla. Se gli va bene, potrebbe anche non morire da solo.” 
Maria scomparve nella sua stanza sbattendo la porta sonoramente, prima che io potessi realizzare ciò che avrei dovuto fare. 

Ucciderai un tributo.
Avrei dovuto uccidere Katniss Everdeen. Un obiettivo che la mia mente non concepiva, ma che sarei stata costretta a compiere. 
Togliere ad altri la vita per salvare la propria, un principio che la gente dei Distretti conosce fin troppo bene. Una cosa che, al contrario degli sventurati ragazzi sorteggiati per i Giochi, Capitol City avrebbe potuto scegliere di evitare.
Non l’ha fatto. E persone innocenti sono da sempre costrette a pagare per colpa loro.

Avevo guardato il riepilogo della Cerimonia con tutta la mia troupe di sostegno, ad esclusione di Maria che si rifiutava di uscire dalla sua stanza.
Infine, con l’amaro in bocca, ero andata a dormire.

 
*


Maria aveva attentamente pianificato l’omicidio di Katniss Everdeen nei giorni successivi.
Sul mio piedistallo metallico, avevo mentalmente riepilogato il piano. 

“Appena suona il gong, non perdere tempo, ma cerca di non esplodere”, sentivo ancora la mia mentore sorridere freddamente scrutandomi coi suoi occhi di ghiaccio, “prendi il grosso zaino verde davanti a te, e seguila senza farti notare.” 

Lo zaino verde si trovava pochi metri davanti a me, indubbiamente vicino a me più che a ogni altro tributo.
Avevo fatto due più due e capito che Maria doveva aver corrotto qualche Stratega, probabilmente attraverso altre persone, non in maniera diretta. Altrimenti il fatto che lei conoscesse il colore dello zaino e l’utilità degli oggetti al suo interno non avrebbe avuto molte altre spiegazioni logiche.

Avevo individuato la Ragazza in Fiamme, come era assurdamente normale chiamarla nella capitale.
Era esattamente davanti a me, circa ottanta metri più avanti. Pensai che, almeno, avrei potuto seguirla senza farmi notare.

Il gong suonò inaspettatamente, ma mi ritrovai ugualmente pronta a correre.
Mi tolsi rapidamente dal centro degli scontri, afferrando il mio zaino al volo e aspettando che Katniss Everdeen decidesse una direzione da prendere. Avevo iniziato a seguirla verso il bosco, ma, essendo lei più veloce di me, ad un certo punto ero arrivata ad averla persa di vista quasi del tutto, capace di seguire soltanto il lieve rumore dei suoi passi.

Avevo perso la cognizione delle ore che passavano, e, quando l’inno di Capitol City esplose in cielo a tutto volume, io stavo ancora cercando.
Seguirono circa due ore di indecisione sul luogo in cui avrei portato a termine la fase successiva del piano. 

“Accendi un fuoco.” 
Per quello non avevo avuto problemi. Dall’inizio ero stata la migliore al corso di sopravvivenza dell’Addestramento a Capitol City. 

“Quindi vuota il contenuto dello zaino verde.”
Lo zaino era enorme, ma vi erano pochi oggetti al suo interno. Un pacco di biscotti, una giacca a vento, degli occhiali, probabilmente per la visione notturna. E sotto, riposta con cura, una tanica di benzina. Non molto grande rispetto alla media, doveva contenere meno di quindici litri, ma sarebbe stata più che abbondante per il compito che dovevo portare a termine. Sicuramente ne avrei utilizzata solo una piccola parte. 

“Poi individuala per accertarti che sia in stato non del tutto cosciente, in modo che non abbia il sangue freddo necessario da poter agire con calma”, allora Maria si era sistemata dietro l’orecchio una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi, con cipiglio severo, “e non proseguire fino a che non riesci a trovarla.” 
Avevo afferrato gli occhiali per la visione notturna, senza i quali non sarei riuscita a vedere molto. Poi avevo girovagato a vuoto per molto tempo, sperando che nessuno sarebbe stato attratto dalle fiamme, trovandomi a circa un giorno di viaggio dalla Cornucopia.
Quando riuscii a scorgerla, strategicamente appostata dietro un cespuglio, Katniss era su un albero, e sembrava sufficientemente distratta da non riuscire a reagire al pericolo con sufficiente reattività.

Mi ero girata per calcolare la distanza con il fuoco che avevo acceso, ma riuscivo a vederlo con difficoltà, quindi avevo deciso di accenderne un secondo più vicino al tributo del Distretto 12. Non ti scoveranno, avevo mentalmente ripetuto, probabilmente sono troppo lontani.
Le ultime parole di Maria mi risuonavano ancora nella mente mentre tornavo indietro a raccogliere i miei scarsi ma utili averi. 

“Poi, beh, fai ciò che devi fare”, aveva accompagnato a quest’ordine un sadico sorriso, “scappa più veloce che puoi e prega di non restarne uccisa.”

Prega di non restarne uccisa. Se avessi avuto fortuna, sarei riuscita a scappare senza recare ustioni troppo gravi.
La probabilità che accadesse il contrario mi spaventava, l’ansia di morire cresceva in me come quella di uccidere. Perdere la vita o togliere a un tributo la possibilità di vincere, di sfamare il proprio Distretto per un anno intero, togliere una persona amata ai suoi cari, agendo di spontanea volontà.

Non del tutto, a dire il vero. Ma a Capitol City non importava.
Ogni tributo era uguale a un altro, distinto e ricordato era solo il vincitore. E, avanzando col tempo, anno dopo anno, anche i vincitori erano uguali tra loro. Tutti distinti e ricordati allo stesso modo. Erano i migliori, mai forti abbastanza per fronteggiare la capitale. Ogni vincitore, ogni tributo, ogni Distretto, retto a stento in piedi nell’illusoria speranza di essere ricordato per le proprie gesta.
Nessuno capiva di essere solo carne da macello. Ricordato solo per essere la vivente rappresentazione della vittoria di Capitol City.

Ero riuscita ad infilare nel mio zaino soltanto la giacca a vento, quando uno spaventoso rumore di passi pesanti e indistinte parole catturò la mia attenzione.
Non ebbi il tempo di voltarmi che un sentimento sconosciuto, di puro e innegabile terrore, prese possesso di me. Spinsi rapidamente dietro un albero i restanti miei averi, in modo da non farmi trovare fornita di cose che il mio aggressore, o meglio, i miei aggressori, avrebbero potuto trovare utili.

Dopo qualche secondo, l’intero branco dei Tributi Favoriti mi aveva irrimediabilmente circondata.
Peeta, il ragazzo del Distretto 12, era con loro, e mi guardava con aria sadica e desiderosa. Provai ad indietreggiare, aggrappandomi all’irragionevole e fievole speranza di poter scappare dal terrificante gruppo dei Favoriti, ma finii per urtare la ragazza del Distretto 1.
Clove, l’unica di cui ricordavo il nome, si fece avanti nel gruppo a spintoni, chiedendo il diritto di pugnalarmi per prima. Il suo compagno di Distretto le diede la sua spada con noncuranza, una lama piuttosto spessa ma all’apparenza facile da usare. Clove aveva rifiutato con un rapido gesto della mano, certa che avrebbe potuto fare di meglio con il suo coltello.

La rassegnazione aveva inevitabilmente preso il sopravvento sull’ansia, che iniziava a placarsi rapidamente.
Sarei morta. Tutti muoiono prima o poi.

La Favorita aveva aperto la sua giacca totalmente foderata di coltelli.
Incitata dai suoi compagni, ne aveva preso uno dall’orribile lama spessa e ricurva.

“Non ti preoccupare ragazzina. Sarò breve”, mi aveva scrutata con sguardo sardonico, come per scegliere dove sarebbe stato più doloroso pugnalarmi.
Avevo preferito non ricordarle che io ero più grande di lei di circa due anni, considerato il fatto che Clove avrebbe potuto ritirare in un attimo la promessa di una morte rapida. “Ti chiami Abigal, giusto? Che bel nome”, mentre mormorava queste parole con tono beffardo, il pugnale mi attraversò lo stomaco senza che me l’aspettassi. Quando Clove lo estrasse per affondarlo una seconda volta gridai di dolore, ma senza riuscire a sentirmi.
I Favoriti ridevano mentre la vita scivolava lentamente via da me.

Ero stata una stupida.
Come avevo potuto pensare che nessuno sarebbe riuscito a trovarmi? Ma dopotutto avevo avuto scelta? Sì, in effetti.
Con le mie capacità di sopravvievenza e un po’ di fortuna forse sarei riuscita a sfuggire agli altri tributi. Magari non a vincere, ma nemmeno a morire in questo modo. Anche senza aiuti dall’ambiente esterno.

Avevo visto i Favoriti avventarsi sul mio zaino, e sentito delusi mormorii dopo aver scoperto che il suo contenuto era solo una misera giacchetta.
Le mie labbra si incurvarono in un debole e quasi impercettibile sorriso.

“È meglio che ce la filiamo, così potranno raccogliere il corpo prima che cominci a puzzare”, il ragazzo del Distretto 2 aveva incitato il gruppo dei Favoriti a muoversi in direzione di Katniss.

Avevo alzato lo sguardo al cielo, rimanendo stupita dalla quasi totale precisione con cui gli Strateghi avevano ricreato il cielo notturno.
Avevo ripetuto nella mente tutti i nomi delle costellazioni che conoscevo. Forse Sirio era più luminosa. Forse la Stella Polare non era così distante da Cassiopea. Non considerando queste imperfezioni, mi figuravo ancora sotto il cielo del Distretto 8, a vivere una vita ignara della misura in cui il mondo è ingiusto.

“Grazie Maria”, avevo esordito con tono beffardo, sapendo che una telecamera stava inquadrando la mia morte in quel momento, “sei stata la mentore migliore che io potessi avere.”
Avevo portato le tre dita della mano sinistra alla bocca, e poi le avevo alzate verso il cielo, sapendo che era un gesto tipico del Distretto 12.

Dopo pochi secondi, avevo visto Peeta ritornare con passo deciso.
“Mi dispiace”, aveva mormorato con aria leggermente affranta, prima di pugnalarmi una terza volta.
Il sorriso che mi rivolse prima di voltarsi fu l’ultima cosa che riuscii a scorgere, prima che tutto si facesse nero. 

Dopotutto, ora sono felice di non avere delle morti sulla coscienza. 
Nessuna, se non la mia.






NdA:
Ciao!
Non mi faccio viva da moltissimo tempo, e forse tutta questa disinvoltura potrebbe sembrare un pochino inadeguata. Ad ogni modo, probabilmente ogni persona sana di mente che sia riuscita ad arrivare fin qui si starà chiedendo il senso di questa cosa strana e lunghissima che ha appena letto. Ebbene, io vedo le cose in un modo molto strano. Non credevo sinceramente che quella povera, piccola, ragazza del Distretto 8 avesse acceso un fuoco nel cuore della notte così, a caso, solo per scaldarsi. Quindi quella che mi ostino di continuo a chiamare mente hem, mia povera mente malata ha partorito tutta questa strana storia. Quindi perdonatemi C:
In ogni caso, questo era l'ulltimo capitolo vero e proprio, e il lungo e commovente discorso finale lo farò nelle Note dell'Autrice che non si merita quella A maiuscola dell'epilogo, che sto già scrivendo. Niente, lettore avvisato mezzo salvato.
Ci vediamo presto hehe ma che stai dicendo?!

Candy<4
   
 
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