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Autore: heysassenach    06/09/2015    1 recensioni
L'amore tra fratelli.
L'odio tra rivali.
Una città sull'orlo della catastrofe.
[Medici/Pazzi]
{Ho modificato titolo e descrizione, perché non ero soddisfatta. Se vi va, lasciate una recensione c:}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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Roma, Autunno 1477

Di locande squallide e bordelli, se ne trovano in ogni città. Roma, fiore all'occhiello dello Stato Pontificio, ne era addirittura satura. Una bella contraddizione per una città Santa, riflettè il mercenario, se non fosse che la stessa casta sacerdotale sembrava gradire parecchio. Ripercorse mentalmente la lista dei bastardi di papi e cardinali, mentre oltrepassava a grandi falcate un'osteria che di certo aveva visto tempi migliori.
Non che lui stesso non si crogiolasse nei piaceri della carne, in fondo. Ma da un mercenario c'era da aspettarselo: nessun uomo rischierebbe la vita ogni giorno, senza trastullarsi un po' con quello che i soldi guadagnati per la sua fedeltà possono offrirgli.
Doveva essere giunto al luogo dell'incontro, perché i suoi occhi si posarono su quello che certamente era tutto meno che un abituale avventore di quel posto. Un fiorentino, e anche ricco, a giudicare dai vestiti. Poiché non diede cenno di averlo notato- del resto il mercenario non appariva tanto diverso dal resto della clientela di quella catapecchia- gli si fece incontro.
«Messere», lo salutò liberandosi del cappuccio del mantello, «spero che il vostro viaggio da Firenze non sia stato faticoso».
Probabilmente il suo aspetto doveva essere peggiore di quanto si ricordasse, perché l'effetto sortito sul ricco fiorentino fu quanto di più insperato si potesse immaginare. Vedersi sbucare da un vicolo malfamato un mercenario imponente e coperto di cicatrici, non doveva essere il massimo. Ora l'uomo lo fissava con tanto d'occhi, indeciso se rispondere o scappare.
«Mi...Mi avevano detto che avrei incontrato un...», deglutì sonoramente, prima di  pronunciare con un filo di voce la parola «...conte».
Il mercenario allargò le braccia, esplodendo in una rauca risata. «Deluso?». Adesso poteva vedere meglio il suo interlocutore, illuminato da uno sporadico raggio di sole. Nonostante fosse di mezza spanna più basso di lui, aveva una certa presenza fisica, che lo faceva  apparire leggermente tarchiato. Portava i capelli lunghi, alla maniera dei fiorentini, certamente ben più curati dei suoi, che ormai assomigliavano sempre di più a un groviglio sporco di massa indistinta. Gli occhi color miele lo fissavano ora con un misto di sospetto e divertimento, mentre la bocca era contratta in una smorfia indecifrabile.
«Non è imprudente incontrarsi in pieno giorno?», domandò il fiorentino, con tutto l'autocontrollo che riusciva ad ostentare.  
Il mercenario scrollò le spalle. Del resto, lui stava solo seguendo un ordine, e andare ad un incontro organizzato da Sua Santità era di gran lunga preferibile ad un assassinio in un vicolo buio. Sperò di non diversi ridurre a sgozzare anche questo sconosciuto, o avrebbe dovuto chiedere una ricompensa più alta.
«Questo dipenderà unicamente da voi», asserì con un certo distacco, «ma non preoccupatevi: metà di questi zotici è troppo ubriaca per capirvi, e l'altra metà è semplicemente troppo stupida. Sua Santità sceglie bene i luoghi dove concludere gli affari, messere».
«Oh, lo vedo». Lo sconosciuto arricciò il naso, gli occhi che indugiavano sulle travi annerite dell'ingresso. «Non sono qui per concludere niente, temo», riprese, oltrepassando un uomo più simile ad un mucchio di stracci che a una persona.
Un puzzo di sudore e alcol li travolse, non appena varcarono la soglia. Sebbene l'ora non fosse particolarmente tarda, il locale era già ben popolato. Il mercenario si chiese da quanto, effettivamente, gli uomini già palesemente ubriachi che sedevano ai tavoli non tornassero a casa. Individuò immediatamente il solito tavolo, abbandonandovisi con una tale naturalezza che non si stupì dello sguardo perplesso del fiorentino.
«A proposito, messere: non vi ho chiesto il vostro nome». Quello inarcò un sopracciglio, stupito. «Sua Santità non vi ha accennato niente? Come è possibile?»
«Temo che Sua Santità non si fidi particolarmente del sottoscritto, di questi tempi». Sorrise, suo malgrado, consapevole di quanto potesse apparire sgradevole il suo viso deturpato da profonde cicatrici. Anche quelle, seppur indirettamente, erano merito del Pontefice. «Specialmente dopo la campagna a Città di Castello», fu l'amara conclusione.
In effetti, se ultimamente il Papa aveva fatto a meno del suo fedele servitore in più d'una occasione, la causa era sicuramente quella.
«Abbiamo rischiato di rendere vana un'impresa di riconquista di fondamentale importanza, a causa della vostra scelleratezza», aveva gracchiato l'anziano pontefice, avvolto in un sontuoso pellicciotto bianco che lo rendeva del tutto simile ad un enorme, vecchio ermellino. Il mercenario aveva provato a dare delle spiegazioni, ma ogni scusa sarebbe suonata talmente ridicola che aveva preferito lasciar perdere: quando Sisto IV si metteva in testa una cosa, non c'era modo di fargli cambiare idea.
Il fiorentino gli rivolse uno sguardo interrogativo, invitandolo implicitamente a continuare. «Diserzione», proseguì sbrigativo, «ho visto mio fratello morire davanti ai miei occhi». Non c'era ombra di sentimento nella sua voce roca, solo mera indifferenza, come se la storia che stava raccontando appartenesse a un altro. Intrecciò le dita delle mani, cercando con gli occhi l'oste. «Il fato ha voluto che io fossi il capitano, tuttavia». Lanciò uno sguardo al suo interlocutore, che parve cogliere al volo l'ovvia conclusione. «Diserta il capitano, disertano tutti», completò il fiorentino.
Il mercenario si era volto indietro a guardare le mura della città assediata una sola volta, ma questo gli era bastato per capire che qualcosa non andava. Manipoli di soldati in ritirata sciamavano dalle mura in fiamme simili a formiche in fuga da un formicaio.
Solo in quel momento il mercenario si era reso conto del suo madornale errore. Era tornato indietro a rotta di collo, le lacrime che gli pizzicavano gli occhi per uscire. Era stato uno sciocco, a lasciare che i sentimenti prendessero il sopravvento. Era pur sempre un maledetto capitano di ventura. E i capitani di ventura non se la danno a gambe come femminucce. Gli uomini muoiono, nei campi di battaglia, e lui sarebbe morto così. Ma ora, si sarebbe preso la sua rivincita. Era entrato nella città come in un sogno. La visione dei corpi accatastati come sacchi di patate lo aveva colpito, ma lui era passato oltre. Aveva radunato i suoi uomini e aveva ripreso la città. Ma la sua avventatezza non poteva sperare di passare inosservata.
L'oste era un uomo tanto simile a un rospo, che il mercenario faticava a non scoppiare a ridergli in faccia ogni volta che i suoi occhi si posavano sul corpo tozzo e bitorzoluto. Se non altro era sorprendentemente efficiente, perché nel giro di pochi minuti il capitano si era ritrovato a sorseggiare in silenzio la sua squallida birra, gli occhi indagatori del fiorentino ancora prepotentemente puntati addosso.
«Dunque», disse rompendo quel silenzio carico di interrogativi, «temo di aver interrotto la vostra presentazione. Voi siete?»
Quello si schiarì la voce e raddrizzò la schiena, mettendo in mostra il superbo orgoglio di chi è particolarmente fiero del nome che porta. «Francesco de'Pazzi, messere». Le sue labbra sottili si arricciarono in un sorriso baldanzoso, mentre con sommo coraggio si accingeva a dare un primo sorso all'intruglio che doveva essere birra.
«Pazzi», gli fece eco il mercenario, pensieroso. «Dovete essere ricco forte, eh? Cosa posso fare per voi, messere?».
Francesco lo studiò divertito, per niente sorpreso dal rinnovato interesse per la sua persona da parte di un uomo che metteva a rischio la sua vita per un mucchio di fiorini.
«Innanzitutto, capitano, ditemi chi siete».
«Oh beh», fece il mercenario protendendosi a sua volta in avanti, «Giovan Battista, Conte di Montesecco. Capitano di ventura, mercenario... Per un po' di fiorini posso anche ballare, sapete?»
Francesco de'Pazzi ridacchiò, scuotendo la testa. Era un buon inizio, pensò il Montesecco. Cosa mai poteva volere un nobile fiorentino, da uno come lui?
«Bene...conte. Sono qui per proporvi un affare».
«Sono tutto orecchi, messere. Ditemi chi devo far fuori», lo esortò il capitano senza troppi preamboli. Del resto, era così che funzionava. Qualcuno lo mandava a chiamare, gli offriva denaro per ammazzare un rivale- spesso un rivale in amore- e lui eseguiva. Non c'era suono più dolce del tintinnio di una borsa carica di fiorini mentre si allontanava dal luogo di un'imboscata.
Francesco liquidò la sua proposta con un gesto annoiato della mano. Un grosso rubino baluginò alla luce ambrata delle torce.
«No, no. Non si tratta di questo... Non solo, almeno», aggiunse, in risposta al suo sguardo confuso. «Avrete capito che la questione è delicata, immagino. Non ho intenzione di rivelarvi tutto in un luogo come questo», asserì lanciando un'occhiata disgustata al tavolo accanto, «ma per ora ho solo una richiesta. Recatevi a Firenze».
Il Montesecco lo fissò per qualche istante, confuso. «Tutto qui?»
«Penserete che Firenze è una signoria a tutti gli effetti», proseguì Francesco de' Pazzi con una certa noncuranza, «ma non è così».
«Vi ascolto».
Il fiorentino abbassò la voce, mentre i suoi lineamenti decisi si contraevano nella tipica espressione di chi ne sa una più del Diavolo. «È tutta apparenza. I Medici si sono circondati di amici fidati, sapete, ma quelle assemblee sono fasulle». Fece una pausa d'effetto, e riprese: «È sempre lui, che prende le decisioni».
«Lui?»
«Lorenzo de' Medici», spiegò l'uomo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. In effetti, il nome di Lorenzo de' Medici aveva acquisito una fama via via crescente, nel corso degli ultimi anni. Persino a Roma era giunta voce dei licenziosi banchetti che si divertiva ad organizzare per la sua illustre cerchia di amici. Tesorieri dello Stato Pontificio, i Medici erano certo una famiglia interessante, soprattutto agli occhi di un mercenario. Il Montesecco si chiese che diavolo poteva aver fatto Lorenzo de' Medici per rendere necessario un viaggio tanto lungo e faticoso.
«È il veleno della nostra città», spiegò l'uomo, scuro in volto.
«Correggetemi se sbaglio, messere, ma ero certo di aver udito dell'unione delle vostre famiglie», asserì il Montesecco.
«Dite il vero. Un terribile errore». Francesco battè seccamente il calice vuoto sul tavolo lercio. «Ma forse potrà tornarci utile».
«Smettete di parlare per enigmi e dite cosa devo fare io a Firenze», ribattè il conte con un'impazienza che nemmeno lui sapeva di avere. Francesco de' Pazzi lo guardò in cagnesco, indeciso se ricambiare un simile, irrispettoso atteggiamento con la stessa moneta, ma un attimo dopo i suoi lineamenti si distesero in un sorriso sornione. «Andate a parlare con Lorenzo, e scoprite cos'ha in mente. Dite di essere lì per conto del Papa, e proponetegli la questione del recente decreto sull'eredità», disse, avvampando per la foga.
«Quanto, precisamente, Sua Santità sa di tutto questo vostro macchinare?». Il conte fece per ordinare un'altra birra, ma ci ripensò. Aveva bisogno di pensare lucidamente.
«Oh, amico mio», spiegò Francesco con il medesimo sorrisetto, «È proprio sua l'idea».
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Una marea di domande gli vorticavano in testa, evanescenti e sfuggenti come dita di fumo. Fu costretto ad appoggiarsi al muro per non cadere: se avesse perso i sensi in un vicolo come quello, di certo non avrebbe rivisto l'alba. Brancolando nella semioscurità, si ritrovò a svoltare in una via più ampia ed illuminata. Aveva solo una vaga idea di dove si trovava, ma era certo che la bettola chiamata 'casa', non doveva essere lontana. Ed infatti eccola lì, con i suoi infissi di legno ammuffito e il suo aspetto decadente. Il Montesecco si ripromise di restaurarla, un giorno, sebbene spendere i soldi in vino e puttane fosse più gratificante. Come tutti i buoni propositi da ubriaco, se ne sarebbe dimenticato la mattina dopo.
Si era appena abbandonato nel suo giaciglio, quando una voce gli parlò nell'oscurità. «Ma guardati», lo rimproverò con una nota di amaro sarcasmo nella voce cristallina, «ho visto morti con più energia».
Lui si rotolò tra le coperte roteando gli occhi, stizzito. «Giulia», mugnugnò lamentoso, «che diavolo ci fai qui?».
La figura avanzò verso il fascio di luce tremula che filtrava dalla finestrella. Il Montesecco riuscì a scorgere un sorriso increspare le sue labbra a cuore. «Non vuoi che stia qui?»
«No. Voglio solo dormire, accidenti a te».
Lei lo ignorò con tutta la naturalezza del mondo, e proseguì: «Ti ho aspettato per ore. Credo di essermi anche addormentata, a un certo punto», cinguettò, fresca come una rosa. La luce fioca ne illuminava solo in parte i lineamenti delicati, ma la sua bellezza era tale da rendere la stanza meno buia, agli occhi del Montesecco.
«Sei vestita come una puttana».
«Se non lo fossi, credi che qualcuno mi pagherebbe?», lo rimbeccò lei, lisciandosi le gonne in un gesto di stizza.
«Dimmi cosa vuoi e vattene». Il mercenario si rizzò a sedere, strabuzzando gli occhi.
«Soldi», fu la secca risposta di lei.
«Ti sembro un uomo ricco? Guarda questo posto, per Dio!». Nonostante il suo tono di voce fosse leggermente alterato, lei sembrò non farci caso. «Non m'importa. Sai bene che sono incinta», replicò decisa, una mano che accarezzava protettiva la leggera rotondità del ventre, «e che questo figlio è tuo».
La sua risata spezzò la quiete della notte. «Sei una puttana. Vai con decine di uomini ogni notte, non può essere mio».
«Invece sì», insistette lei, «so che è così. Non negare l'evidenza, tu mi ami e io amo te». La sua voce era rotta dal pianto, e il Montesecco fece appello a tutta la sua forza di volontà per non scaraventarla fuori a calci.
«Se è amore, quello che provi per me, ora te ne andrai e mi lascerai dormire». La prese per un braccio, scortandola alla porta. «La notte è ancora lunga: va' e guadagnati da vivere».
Chiusosi la porta alle spalle, il buio calò su di lui e lo avvolse. Ebbe appena il tempo di biasimarsi per aver bevuto troppo, prima di scivolare in un sonno senza sogni.




 
Angolo autrice:
Salve! Se siete arrivati fino a qui, vuol dire che avete sopportato tutto il capitolo, per cui non posso che augurarmi che vi sia piaciuto. :) 
Questa è una storia sulla quale sto rimuginando da un po' di tempo, e che finalmente ho trovato il tempo per scrivere. Tengo davvero molto sia alla storia, che all'idea che mi sono fatta dei personaggi: nella mia testa sono tutti ben definiti, e spero di rendere loro giustizia. Come penso si sia capito, l'intera vicenda ruoterà attorno alle vicissitudini di Medici e Pazzi, visti in egual misura (quindi, dimentichiamoci il discorso buoni/cattivi: per citare il caro Tom Hiddleston, "Ogni cattivo è un eroe, nella sua testa"). 
Il Montesecco è un personaggio più complesso di quanto si possa evincere da questo primo capitolo, non è solo muscoli, cicatrici e fiuto per l'oro, ma in lui c'è anche insicurezza (come si è visto nell'accenno all'assedio di Città di Castello) e una mente brillante (quando non è ubriaco, sia chiaro). 
Per il resto, dato che non voglio tediarvi oltremodo con le mie chiacchiere, vi saluto, vi ringrazio per la vostra attenzione e vi invito a lasciare una recensione: che la storia vi sia piaciuta o meno, è sempre piacevole ricevere consigli e giudizi da chi sicuramente ne sa più di me! Alla prossima! :D
 
   
 
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