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Autore: Relie Diadamat    09/09/2015    5 recensioni
La storia parte dalla confessione di Mordred a Morgana, riguardo la vera identità di Emrys. La Sacerdotessa s'infiltra dunque a Camelot, sotto mentite spoglie, smascherando Merlin dinanzi al suo re. Arthur decide di risparmiare il suo servo, ma lo condanna all'esilio. Emrys viene poi catturato da Morgana, la quale desidera una sola cosa: portarlo dalla propria parte.
Dal testo:
«Io e te potremmo avere tutto. Un futuro, Camelot, il diritto di essere ciò che siamo. Insieme, potremmo essere invincibili, conducendo Arthur Pendragon verso la sua fine.» Il fiato di Morgana s’adagiava su ogni centimetro del volto del ragazzo, quasi come una carezza ammaliante. «Avremmo la nostra vendetta, tutto ciò che abbiamo sempre desiderato».
«Credo nella speranza, ho fiducia nelle buone intenzioni. Credo nel regno che Arthur è destinato a costruire.» Merlin ebbe come l’impressione che la sua voce non fosse mai stata tanto ferma. «Non me ne faccio nulla della vostra vendetta. Il vostro tutto equivale al niente, per me».

[Questa storia partecipa al contest "The Once and Future contest, indetto da Elisaherm e Chloe R Pendragon sul forum di efp]
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Mordred, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Morgana
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Salve a tutti!
Eccomi ancora qui a postare il secondo capitolo di questa storia... "fuori dagli schemi". Comincio ringraziando tutti coloro che hanno aggiunte la storia nelle preferite/ricordate/seguite; ringrazio coloro che semplicemente leggono in silenzio e tutte quelle splendide persone che si sono fermate a lasciarmi il loro pensiero: Grazie!
Aspetto come sempre le vostre impressioni! :)
Buona, spero, lettura!
Ps. Vi è presente un OC secondario.
Arrivate fino in fondo, c'è una sorpresa per voi ^^ - Soprattutto se amate il Mergana!
 

II.  And I don’t want the world to see me,    
      ‘Cause I don’t think that they’d understand

 
 





Venti giorni.
Erano passati venti giorni dal suo esilio da Camelot e la sua cattura per mano di Morgana.
La strega non lo aveva ancora eliminato e pareva aver tenuto fede alla parola data: lo stava portando allo sfinimento.
Quando quella mattina riaprì gli occhi, Merlin respirava a fatica, la faccia scarna contro il pavimento madido di quel posto. Di tanto in tanto vi aveva visto passeggiare dei ratti, grigi e fetidi come quelle mura.
Morgana lo aveva umiliato, torturato; Mordred se n’era restato in disparte con un volto imperscrutabile, le spalle contro il muro: un passivo osservatore della sua caduta.
Merlin si era accorto di quanto fossero numerosi i sostenitori di Morgana. Lo deridevano, dietro barbe ispide e scure, rivestiti di armature laccate di meschinità ed ignoranza.
Era stato ammanettato, il più grande mago di tutti i tempi, liberato dal ferro angusto delle precedenti catene solo per ricevere manette stregate; esse gli bruciavano i polsi ogniqualvolta decidesse di utilizzare la magia.
Era in gabbia, non vi era via d’uscita.
Quella mattina, col volto contro il suolo gelido, si chiese come stesse Arthur in quel momento o se Gaius si fosse già svegliato.
C’era il sole, o forse piovigginava?
Sussultò visibilmente nell’udire la porta di legno scuro spalancarsi, mentre un filo di luce flebile andò a posarsi sul proprio volto.
Un tozzo di pane sbatté contro il naso del ragazzo, mentre un ghigno nacque sul volto della Sacerdotessa. «La tua colazione», annunciò Morgana avvicinandosi. «Avrai tanta fame, nevvero?»
Merlin serrò la mascella, le mani costrette dietro la schiena. La strega amava umiliarlo, le piaceva da morire.
Lo stregone decise d’ignorarla, restando prono sul pavimento, ma la donna parve perdere la pazienza tanto che lo afferrò per una ciocca di capelli, costringendolo a guardarla in volto. «Voglio essere guardata quanto ti parlo.» gli disse a denti stretti, il viso pallido arrabbiato. «Ed esigo una risposta».
Merlin sostenne il suo sguardo, trascurando il violento battere del proprio cuore. Non l’avrebbe avuta vinta, non con lui.
«Ripeterò la domanda per un’ultima volta: Hai fame?» Morgana, ad un passo dal volto di Emrys, pretendeva risposte.
«Sapete, Morgana…», cominciò il corvino con voce rauca e la gola assiderata, «Si dorme malissimo sul pavimento».
La Sacerdotessa, irritata dai suoi giochetti e la sua sfacciataggine, gli strinse il collo, quasi arpionandoglielo con le unghie. «Sei solo un povero sciocco, Emrys. Ti ho offerto tutto ciò che un uomo possa desiderare, tutto quello che Arthur non ti ha mai dato».
Il mago la guardò con disprezzo, domandandosi per un momento dove fosse finita la donna che aveva tanto amato. Che fine aveva fatto quella fanciulla così vicina al Paradiso, più di quanto lui non lo fosse mai stato?
«Voi non valete neanche la metà di Arthur», si sforzò di dirle, con voce ancora più provata. «Siete incapace di amare, Morgana, e questo vi porterà alla deriva».
Le labbra carnose della strega fremettero dall’ira; d’istinto picchiò violentemente la guancia smorta del corvino, lasciandolo ricadere al suolo. Una smorfia di disprezzo affiorò sul proprio volto e, a pugni stretti si chinò sullo stregone. «Non esiste persona meno degna d’amore di Arthur Pendragon. Non sono incapace d’amare, Merlin, sono le persone che non meritano di essere amate».
Con quell’avvertimento, Morgana si rialzò uscendo dalla stanza.
 




 
 
 
 
Arthur aveva ancora la guancia rasata sul cuscino morbido ed immacolato quando le tende scarlatte vennero disserrate, permettendo ai prepotenti raggi del sole d’infastidirgli il volto.
Il sovrano arricciò il naso, coprendosi il volto col cuscino. «Merlin! Quante volte devo dirti che…»
La voce del monarca si spense non appena si sentì baciare dolcemente il collo. «Faresti meglio ad alzarti, Arthur. I tuoi doveri ti attendono».
Gwen. Era solo Gwen.
La regina si avvicinò allo specchio rimirandosi l’acconciatura. Si era alzata prima, senza scomodare servi o serve, facendo da sé; c’era voluta una mezz’oretta buona, ma alla fine il risultato sembrava impeccabile.
Vide il riflesso di suo marito mentre s’accinse ad alzarsi dal materasso, passandosi una mano sul volto per scacciare la stanchezza. Ginevra sentì quel buco allo stomaco estendersi, turbandole l’aria: avvertiva la tristezza di Arthur, ma non sapeva proprio come aiutarlo. Oramai, il biondo si sentiva tradito dall’unica persona che gli era sempre stata accanto e Gwen non sapeva come rincuorarlo, come prenderlo… fargli capire che Merlin l’aveva sempre difeso.
Sospirò, donando un sorriso tirato al consorte quando lo vide avvicinarsi. Arthur le baciò piano le labbra, quasi un soffio, poi sparì dietro al divisorio senza chiamare alcun servo.
Il biondo, dopo aver udito la moglie abbandonare la stanza, si levò la maglia rimanendo a torso nudo.


 
«E’ ora d’alzarsi!»
«Dici sempre la stessa cosa, tutte le mattine».

 
Il re di Camelot chiuse la mano destra in un pugno, fino a far impallidire le nocche, per poi gettare contro il legno chiaro l’indumento.




 
 
 
 
Morgana era irosa. Continuava a corrugare la fronte per la rabbia: torturare Emrys era gratificante, certo, ma non se Arthur continuava a respirare tranquillo e indisturbato nel suo castello!
Doveva trovare un modo per trascinare quel verme dalla propria parte, e alla svelta: stava perdendo la pazienza.
Alun, uno stregone alleato, era stato convocato dalla Sacerdotessa stessa per un urgente favore. Era un uomo dall’accento pungente e la pelle olivastra e si era dimostrato un complice fidato, anche quella volta.
«Concedetemi di dirvi, Lady Morgana, che minacciare con la morte un uomo che ha perso tutto, non è stata una scelta tanto astuta.» Lo stregone, chino al suo cospetto, aveva sollevato gli occhi grigi su di lei, sorridendo sicuro di sé.
Mordred, ritto in piedi accanto al trono della Sacerdotessa, lo guardava diffidente.
«Illuminami, allora», lo aveva sfidato la donna, scettica quasi quanto il ragazzo druido.
«Esiste una forza, mia signora, più potente di qualsiasi altra minaccia, più letale di qualsiasi veleno.» Alun fece una pausa, assicurandosi di avere tutta l’attenzione della strega verso di lui, per poi aggiungere: «L’amore».
«Mi prendi in giro, Alun?» lo ammonì severa, avvertendo la leggera risata di scherno di Mordred.
«Vostro fratello è stato spesso soggetto alla morta a causa del suo amore per… quella serva. Un uomo innamorato farebbe di tutto per la propria amata. Qualsiasi cosa».
Morgana parve rifletterci per qualche istante, la bocca semiaperta e lo sguardo verso il vuoto.
Il druido aggrottò la fronte dietro i suoi ricci castani, cercando lo sguardo della strega. Morgana non poteva credere realmente alle fandonie di quel villano!
Con le iridi inchiodate su un punto fisso della stanza, la Sacerdotessa ci rifletté a lungo: Merlin era un semplice ragazzino quando lo aveva visto per la prima volta e, per una qualche ragione, Morgana n’era incuriosita. Fin dal primo momento aveva sospettato di piacergli, ma la cosa non la sorprendeva più di tanto; era la figliastra del re e la fanciulla più desiderabile di tutta Camelot. Sedurlo, a quel tempo, non le avrebbe recato alcune difficoltà. Le cose, però, erano cambiate. Merlin sembrava non cedere più al suo fascino…
«Come?», domandò soltanto, ricevendo un’occhiata incredula da parte del suo protetto.
Alun, invece, parve rallegrarsi della sua scelta. Portò all’insù le labbra furbe, cominciando: «Esiste un modo estremamente sbrigativo…»
Morgana, da quel momento, non ebbe orecchie che per lo stregone.







 
 
Ginevra, distesa al suo fianco, aveva già chiuso gli occhi da tempo, lasciandosi cullare consenzientemente dalle braccia di Morfeo. Arthur, steso di schiena, l’aveva osservata respirare in silenzio, beandosi di quell’unica cosa bella rimasta nella sua vita.
Non ce la faceva più, non poteva più mentire. In quei giorni lo aveva fatto di continuo con i suoi cavalieri, sua moglie ed i propri sudditi. Evitava volontariamente servi e battute di caccia ed ormai non poteva più negarlo a se stesso: stava male, era ferito… Solo, non voleva che il mondo lo vedesse perché, n’era sicuro, nessuno l’avrebbe mai compreso.
Eppure, nel silenzio ricercato delle sue stanze, non c’era anima viva ad osservarlo. Voltò lo sguardo verso la finestra, ove filtravano i pallidi raggi della nobile luna.

 
«Merlin, mi raccomando: non. Mollare. La. Presa.»
«E’ finita, non c’è più corda!»

 
 
Ritornò insistente e fastidioso come tutte le volte, quel nodo alla gola, impedendogli d’ignorarlo.
Cedette ai sentimenti, Arthur, dapprima mimandolo con le labbra in un sussurro muto: «Mi manca.» Poi, trovò il coraggio e, lo ripeté in un soffio: «Mi manca».
 
 
 
 




*
 





 
Merlin era stato afferrato da due tizi barbuti, vestiti di armature argentee, per essere trascinato ai piedi della strega, dove l’obbligarono ad inginocchiarsi.
«Merlin!» lo accolse, distendendo le labbra in un finto sorriso. «Mi hanno detto che ancora rifiuti il mio cibo».
Il mago la guardava muto, tremante a causa del freddo e del dolore, con gli occhi stanchi e pesanti.
«Oh…», Morgana si era alzata dal suo trono di pietra, avvicinandosi al ragazzo che intanto veniva sollevato dai due scagnozzi della Sacerdotessa. «Non guardarmi così».
Un brivido gli percorse la schiena, mentre a poca distanza Morgana gli sorrise melliflua: «Cercavo solo d’essere gentile».
«La nobiltà è qualcosa che non vi appartiene, Morgana», buttò fuori sfacciato, con la sua lingua lunga e un sorriso azzardato.
Non se ne pentì, neanche quando uno schiaffo invisibile gli girò il volto verso sinistra, inducendolo verso il suolo.
«Fuori!», gridò furiosa ai suoi uomini, lo sguardo furioso verso il ragazzo riverso a terra.
Merlin si morse il labbro, stanco di trovarsi in quel posto, esausto delle continue torture e offese. Voleva smetterla di mordersi la lingua per fermare il pianto; era al limite ed era stanco.
La Sacerdotessa gli camminò in tondo, vedendolo cercare di rialzarsi aiutandosi con le ginocchia. Un piccolo animale indifeso, caduto nella trappola del cacciatore, ecco cosa sembrava.
Morgana se ne compiacque: l’aveva avvelenata, ostacolata e rifiutata. La sua paura non poteva che soddisfarla.
Si rimise in piedi a fatica, Emrys, solo per essere scaraventato verso il basso, con la schiena rivolta al pavimento. Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra rinsecchite e screpolate, appagando ancora di più la sete bramosa della corvina.
Merlin aveva paura, maledettamente paura e, senza neanche accorgersene, aveva cominciato a lacrimare; voleva implorarle di smettere, di ucciderlo se necessario, ma non lo fece.
Erano soli, la stanza era vuota, decorata solo dalla luce che filtrava dalle ampie vetrate. Sembrava che nevicasse, pensò lui.
«Sai, Merlin, mi sono sempre chiesta quale sia la tua più grande paura.» Il sorriso di Morgana era un sorriso d’inverno, freddo e velenoso, proprio come le sue labbra.  «Ma sarò felice di leggertela negli occhi, adesso!»
No, non darle retta, Merlin. Non pensarla.
Emrys non voleva cedere alle torture della strega. Chiuse gli occhi con violenza, si ripeté di non aprirli per nessuna ragione al mondo.
La voce penetrante di lei gli annebbiava il cervello, lo mandava fuori di testa.
Quando le sue palpebre si sollevarono, lo stregone rabbrividì nel vedere, fiera ed eterea, la figura aitante di Arthur Pendragon dinanzi a sé.
«A- Arthur…» soffiò sconcertato, con voce tremante.
La strega sorrise trionfante, comprendendo di aver giocato bene con la psiche del mago. «Ma tu guarda…», cominciò. «A quanto pare, abbiamo qualcos’altro in comune».
Merlin era scosso, incredulo. Era vero? Temeva Arthur?
Si lasciò ricadere di schiena strisciando con i talloni all’indietro, allontanandosi dalla donna il più possibile; si allarmò una volta aver compreso che, alle sue spalle, c’era solo un muro.
Morgana si era avvicinata a Merlin con passo felpato, sguardo intenso, proprio come una donna che sapeva ciò che desiderava e andava a conquistarselo.
Il cuore, nel petto del giovane stregone, sembrava essere sul punto di esplodere, fuoriuscendo dalla gabbia toracica. Tremava come una foglia mossa dal vento insistente, gli occhi terrorizzati.
La Sacerdotessa si abbassò alla sua altezza, sedendosi a cavalcioni sulle sue gambe.
Il respiro di Merlin si fece affannoso mentre, dinanzi al suo volto, le labbra peccaminose della Pendragon si fiondarono sulla sua bocca.
Sentiva il seno di Morgana contro il proprio petto e la sua lingua esigere accesso nel suo palato. Morgana lo stava baciando a cavalcioni su di lui.
Teneva gli occhi spalancati, Emrys, non capacitandosi di quel che stesse succedendo.
Era peccato: abbandonarsi lì, a lei, donarsi senza alcun contegno. Ma lui l’aveva desiderata tanto, per molti anni.
Schiuse volontariamente le labbra, ricambiando quel gesto intimo, violento e inatteso.
Una forza, sconosciuta e potente, parve nascere dall’unione di quelle bocche, colorando gli occhi dei due stregoni di un giallo intenso.
Merlin sentì la magia fremergli all’interno, pullulare su ogni centimetro della pelle, rompendo le manette stregate che lo tenevano legato.
Era peccato essere lì, prenderle il viso tra le mani e assaggiarla con più foga. Era peccato lasciarsi sfilare la blusa madida e sporca, permettendo alla strega di carezzargli il petto candido e caldo.
Era peccato anche sollevarle la veste, baciarle il ventre, mordendole la pelle. Era peccato, ma lui l’amava e nel suo crimine si sentiva innocente.
 



 

 

Angolo di Relie:
- L'immagine non mi appartiene, ma l'ho modificata.
- Merlin è stato soggiogato, non si concede solo per puro piacere.
 
   
 
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