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Autore: SagaFrirry    09/09/2015    1 recensioni
Seguito de "La città degli Dei", scritto nell'ormai lontano 2009. Il tempo è trascorso, i bambini sono cresciuti e molte cose sono cambiate. Una lettera misteriosa viene consegnata alle divinità. Momoia, Madre Divina, convoca a sé gli Dei. Per quale scopo? Un nuovo nemico, un nuovo Mondo e l'intreccio continua..
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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LA CITTÁ DEGLI DÉI 2: LA LUCE DEI CELESTI

 

 

 

DOVE ERAVAMO RIMASTI?

PICCOLO RIASSUNTO PER CHI NON RICORDA GLI ACCADIMENTI DEL NUMERO UNO

 

 

Ci troviamo in un’epoca di conflitti interni fra divinità. In particolare, il Dio del Kaos e la Dea del Destino si scontrano per il controllo degli Universi da loro stessi creati.

Il neonato Equilibrio, figlio della Dea della Guerra e del Dio del Kaos, viene allontanato dalla Città degli Dèi dal padre. Rinasce nel Regno degli Angeli con il nome di Kasday, Serafino dagli occhi azzurri. Otterrà il titolo di Dio, fuggendo ed affrontando più volte il Kaos, dopo aver attraversato diverse vite: prima angelo, poi demone ed infine creatura senza magia. Grazie agli insegnamenti del morente ed anziano Dio dell’Equilibrio, riuscirà a prendere il suo posto e ridiventare una divinità, per metà uomo e per metà donna.

Lungo il suo cammino, incontrerà numerosi e fondamentali personaggi. I più importanti sicuramente saranno, lungo tutte le sue vite, Vereheveil e Luciherus. Vereheveil, futuro Arcangelo, suo amico e amante, lo conoscerà nel Regno degli Angeli e saranno bambini assieme. Il giovane non diverrà mai un vero e proprio Arcangelo. Abbandonerà il Mondo delle creature angeliche per ritrovare Kasday, caduto nel Regno dei Demoni e diverrà Dio delle Letterature. Si rincontreranno e si perderanno più volte, fino alla battaglia finale fra Kaos e Destino. Battaglia in cui sarà decisiva la presenza dell’Equilibrio per non portare alla distruzione i Mondi esistenti.

Altro personaggio che Kasday incontrerà più volte è Luciherus, suo cugino e più bello degli Arcangeli nel Regno angelico. I due cadranno assieme nel Regno dei Demoni. Luciherus verrà raccolto dal Kaos che, approfittando del fatto che il passato Arcangelo non aveva più ricordi, lo renderà immortale e Principe dei Demoni. Lui e Kasday si rincontreranno, in un complesso rapporto di odio/amore/amicizia e invidia. In particolare il Principe avrà modo di vederlo in forma femminile, una volta divenuto l’Equilibrio, e assieme avranno una figlia, futura Dea della Morte. Nello scontro finale, essendo al servizio del Kaos, Luciherus andrà vicino alla morte non potendo e non volendo obbedire al suo padrone. Kasday lo salverà e gli permetterà di mostrare una parte della sua natura d’Arcangelo, donandogli un paio d’ali dorate e piumate, oltre a quelle da Demone.

La guerra finisce con l’assimilazione da parte dell’Equilibrio delle essenze del Kaos e del Destino.

Kasday e Vereheveil, oltre a Kavahel, avranno due gemelli.

Il numero uno termina con la nascita di questi due gemelli: il Kaos e il Destino.

 

Ricordate?

 

 

I

 

IL TEMPO E LE ORE

 

“Ti vedo pensieroso, mio caro. C’è qualcosa che ti tormenta?”.

La Dea della Memoria si avvicinò al marito, il Dio del Tempo, che guardava fuori dalla finestra a braccia incrociate. Gli occhi di lui, color della sabbia, non si girarono verso la consorte ma continuarono ad osservare il panorama esterno. Pioveva forte e tirava vento.

“Marito mio…mi degneresti di una risposta?” incalzò la Dea, appoggiandosi alla schiena del Dio.

“Non ho nessun problema…è solo che…ricordi il piccolo Kasday?”.

“Certo. Che domanda stupida! Sono la Dea della Memoria, non dimentico niente! Perché me lo chiedi?”.

Il Tempo sospirò, chinando il capo e sciogliendo le braccia: “Niente…sono passati tanti di quei secoli che…”.

Si sentì bussare alla porta ed il Dio ne fu rincuorato: era stanco di sentire solo il ticchettio dei suoi molti orologi e le domande della moglie!

La Dea, che parlava sempre e solamente con dei sussurri, si avviò verso l’ingresso.

“Chi mai può essere a quest’ora e con questa pioggia?” si chiese, mentre lasciava la stanza dove stava il consorte e attraversava il corridoio che conduceva all’entrata principale.

Passò oltre i numerosi orologi a pendolo che si misero a suonare, ricordando a tutti l’ora tarda, ed aprì il pesante portone in legno massiccio e decorato. Sull’uscio stava una piccola figuretta avvolta in un mantello scuro con cappuccio.

“Desidera?” chiese la padrona di casa, sorridendo.

“Sono un Angelo Messaggero” rispose l’incappucciato “Gli Dèi Alti mi hanno incaricato di consegnare questa lettera a tutte le divinità, maggiori e minori, di tutti i regni e gli Universi. Questa comunicazione è perciò rivolta a Lei, Signora della Memoria, a Vostro marito il Dio del Tempo ed ai vostri figli”.

La Dea allungò il braccio e prese la busta, che le porgeva l’angelo, con la sua mano affusolata e sottile.

“Grazie. Vuole entrare, Messaggero? Sarà sicuramente infreddolito e bagnato con questo brutto temporale”.

“Non importa Signora. La ringrazio per il disturbo, ma ho ancora alcune case da visitare. Inoltre, ho una certa fretta di rientrare dal mio padrone”.

L’angelo, senza aspettare risposta, fece un rapido inchino con  il capo e si allontanò, lanciando solo un ultimo sguardo alla Dea. Lei non poté fare a meno di notare gli occhi color dello smeraldo della creatura angelica che se ne stava andando.

“Chi era, amore?” volle sapere il Tempo, non lasciando il salone in cui stava.

“Un Angelo degli Alti. Ha portato una lettera per noi e per i piccoli”rispose la consorte.

Il Dio si affacciò sul corridoio ed andò verso la moglie, protendendo la mano verso la busta che lei teneva in mano.

“Una lettera anche per i nostri figli?” domandò dubbioso.

Lei le porse il plico: “Così ha detto l’angelo…”.

Il Tempo rigirò fra le mani la piccola busta bianca con vari decori luminosi e lo stemma degli Alti come sigillo: “Aprila. Scopri che c’è scritto…” disse infine, porgendola di nuovo alla moglie.

Lei scosse il capo: “É indirizzata anche ai bambini…perciò devono essere presenti anche loro”.

Il Dio si mostrò molto perplesso: “Gli Alti sono degli psicopatici e dei folli. Chissà che cose e che richieste assurde stanno scritte lì dentro! È meglio che i nostri figli ne restino fuori, per ora”.

Il padrone di casa sedette sulla poltrona imbottita che stava davanti al camino acceso e buttò la busta sul tavolo di fronte. Questa scivolò sulla sua superficie liscia e quasi cadde in terra: si fermò sul numero Sette. Il mobile era, infatti, circolare ed al suo interno era rappresentato il quadrante di un gigantesco orologio con tutti i numeri e le lancette.

I capelli del Dio, arricciati come il simbolo dell’infinito, seguirono il movimento del braccio del proprietario e poi tornarono al loro posto. Il tavolino era così liscio e lucido da permettere al suo padrone di potersi specchiare e questi si soffermò sulla sua figura, in quella circostanza. Si ritrovò perso nei suoi pensieri e, ad un tratto, si immerse in varie riflessioni riguardanti svariate faccende del suo passato. Prima di tutto cercò di ricordare tutte le persone e divinità che aveva conosciuto e che ora non erano più risiedenti in quegli Universi. Guardò il suo viso riflesso e sorrise. Nulla era cambiato in lui: nulla cambiava in lui da Ere. Portava sempre lo stesso abito grigio e lungo, sfumato ed a righe come una colonna e portava i capelli sempre nello stesso modo. Non avevano nemmeno cambiato colore, nonostante la sua notevole età, ed erano rimasti di quello strano grigio-nero dalla nascita. Era uno degli Dèi più antichi, eppure non mostrava nemmeno una ruga o un capello bianco.

E non era neppure stanco del suo lavoro, come invece era accaduto ad altri che conosceva e che aveva conosciuto. Era felice. Tranquillo e felice.

Dopo la grande battaglia, fra il Dio del Kaos e la Dea del Destino, aveva quasi deciso di ritirarsi e lasciare il suo posto ad altri ma, poi, aveva conosciuto la Dea della Memoria e aveva capito che non era poi così male il lavoro che svolgeva.  Però ora, quella lettera..che potesse compromettere la felicità e la stabilità sua e dell’intera famiglia? Non era mai un buon segno quando le divinità Alte si facevano sentire. Significava, quasi sempre, che qualcosa di grave non funzionava.

Notò, tornando alla realtà, il riflesso della moglie accanto al suo. Aveva gli occhi come la superficie che guardava: di vetro, o cristallo, a specchio. Il suo viso, piccolo e arrotondato, era abbellito da una bocca sorridente e vermiglia. Quella notte era in uno di quei giorni in cui la si poteva vedere chiaramente. Essendo lei poco più che un’ombra, capitava a volte che fosse semitrasparente oppure del tutto invisibile. Come i ricordi, anche lei a volte era chiara e nitida ed a volte, invece, presentava contorni confusi e sfumati. Portava un abito a righe orizzontali bianche e verdi, cosa per lei insolita perché normalmente portava lo stesso grigio del marito.

“Aprila” ordinò la Memoria “Apri subito quella busta. Poi leggi e decidi se è il caso di condividerla con i piccoli o no”.

Il Tempo sospirò, rassegnato. Non voleva avere niente a che fare con gli Alti…ma, evidentemente, era destino! Tolse il sigillo con la massima cura, attento a non rovinare il foglio all’interno. Fece per estrarre il contenuto del plico quando si aprì la porta che portava alle camere. Entrò un bambino, con sulla pelle le stesse mille tonalità dell’alba, oscillando un pendolo color del rubino una volta al secondo. I capelli del piccolo prendevano la forma di un Sei e sfumavano anch’essi come il cielo al sorgere del Sole.

“Buongiorno, figlio mio. Come mai sei in piedi così presto?” lo salutò la Memoria.

“Presto? Sono le 6 e 45 del mattino, mamma! Sono anche tardi!” guardò verso il padre. “Cos’è quella lettera?” domandò, curioso.

“Chi è sveglio dei tuoi fratelli?” gli rispose il Tempo.

Il bambino sbadigliò assonnato: “Non molti. Le piccole hanno fatto casino fino a poco fa. Ma ora dormono”.

Il Dio fece un segno con il capo ad indicazione che aveva capito.

Il ragazzino guardò fuori dalla finestra, afflitto: “Piove anche oggi…”.

Un violento tuono fece tremare i vetri e le pareti. Tutti trasalirono e si udì un pianto sommesso provenire dalla stanza accanto.

“Queste sono le piccole…” esclamò la Memoria.

“Sta pure seduta” la rassicurò il Tempo “Vado io a tranquillizzarle”.

Il Dio si alzò e si avviò verso una delle camere. Le sue bambine più piccine piangevano, spaventate dal temporale. Il loro padre entrò nella stanza e le abbracciò per farle smettere e, subito, appena udirono la sua voce, nella cameretta entrarono altri bambini. Alcuni di loro erano realmente spaventati, altri invece erano solo in cerca di attenzioni e di coccole. Il Tempo aprì loro le braccia con orgoglio, mentre questi si erano messi in fila, attorno al letto.

Erano tutti coppie di gemelli. I loro capelli prendevano la forma di numeri e la loro pelle andava dal chiaro allo scuro: metà di loro presentava cromie tendenti al nero, l’altra metà al bianco. Una di loro, la più grande, era bianca del tutto, mentre il suo gemello era completamente nero. C’era chi sfoggiava i colori del tramonto e chi delle prime ore della sera. In totale, erano ventiquattro. Mai avrebbe pensato  il Tempo di divenire padre di una tale schiera.

L’orologio del corridoio iniziò a suonare e, a ruota, lo seguirono tutti gli altri, sparsi per casa.

Suonò per Sette volte. Il bambino con i colori dell’alba ed il Sei in testa passò il pendolo ad una bambina, leggermente più grande di lui, con la pettinatura che sfoggiava il numero Sette ed una carnagione  lievemente più chiara rispetto al fratello. Il movimento dell’oggetto passato non si fermò nemmeno per un secondo.

“Bravi” sorrise il Tempo “E state tranquilli. Sono sicuro che questo brutto tempaccio passerà presto, vedrete!”.

Le piccole, con i numeri Uno, Due e Tre, si calmarono un po’. I loro gemelli invece, con i numeri Tredici, Quattordici e Quindici, avevano fame ed iniziarono a protestare. Alla loro rivolta si unirono anche altri con numeri più alti fra i capelli e così i due gemelli più grandi si avviarono verso la cucina con passo sicuro, sfidando i fratelli e le sorelle minori a fare lo stesso. Il Dio del Tempo prese in braccio i più piccoli e seguì la mandria, fischiettando.

Fecero colazione tutti assieme, mentre la Memoria faceva segno al marito di ricordarsi della lettera, ma il Tempo non la menzionò e continuò tranquillamente a spalmare la marmellata sul pane per i suoi bambini. Alcuni di loro si alzarono, sazi, ed andarono a preparare lo zaino per andare a scuola. “I maestri si arrabbiano se facciamo tardi. Dicono: con un padre come il vostro dovreste essere puntualissimi! Peccato che, di solito, è papà che ci sveglia un quarto d’ora dopo!” affermò la numero Dieci.

“Noto una vena polemica nel tuo discorso…” la canzonò il padre “…vedrò di essere più puntuale!” concluse, con un sorriso.

La madre porse loro un pacchettino con  la merenda e li baciò, mentre questi si avviavano verso l’uscita. Quelli rimasti, perché ancora troppo piccoli per la scuola, si misero a giocare in casa fino a quando un raggio di Sole fra le nuvole annunciò loro che il brutto temporale era passato e che potevano andare all’aperto. Subito uscirono in cortile e le loro risate si udirono per tutta la Città degli Dèi. Iniziarono a fare girotondi e filastrocche, unendosi ad altri bambini.

Il Tempo e la Memoria, rimasti soli, ripresero fra le mani la lettera.

“Io non vado alla guerra!” affermò il Dio, con aria convinta e decisa.

“Chi ti dice che si tratta di guerra?” domandò la Dea, con aria perplessa.

“Che altro può essere?” rispose lui.

“Magari hanno delle semplici richieste formali da farci…” azzardò lei.

“No. Richiamano tutti gli Dèi. Non può essere altro che una guerra!”.

“Quanto sei pessimista…”.

“Ti sbagli. Ma è da troppo che vago per gli Universi, e certe cose le capisco al volo”.

“Cosa pensi di fare, amor mio? Io non gli lascerò i miei figli! Se è vero ciò che dici, io non ho proprio alcuna intenzione di portare le mie creature al cospetto di coloro che vogliono farli combattere!” dicendo questo, la Dea era divenuta rossa in viso e sembrava molto preoccupata.

“Dev’essere successo qualcosa alla Dea della Pace. È da tantissimo che non la si vede in giro. Parlerò con la Dea della Guerra, io e lei andiamo abbastanza d’accordo, e poi vedremo…”.

La voce del Tempo rimaneva comunque tranquilla e calma. Si sistemò l’orologio da polso, esageratamente grande, e si alzò da tavola.

“Credi di poter trovare la Dea della Pace? Dicono che si sia nascosta…”.

“É esatto, moglie mia, ma forse io so dove si nasconde!”.

Il Dio vagava per la stanza, guardandosi in giro, come in cerca di qualcosa.

“E credi che si farà trovare tanto in fretta, se si nasconde?” azzardò la Dea, incrociando le braccia e seguendo il marito con gli occhi.

“É su un’isola, dicono. In cui tutti gli Dèi vanno quando hanno bisogno di una vacanza. La troverò e la costringerò a tornare a lavorare. Una guerra fra Alti è un vero casino!”.

Il Tempo continuava a cercare, spostando perfino i cuscini del divano e girando il viso con aria interrogativa.

“Cosa cerchi?” gli domandò la moglie, divertita.

“Ricordi dove ho messo lo specchio delle comunicazioni?”.

“Quello che usi per parlare con gli altri Dèi? Ovvio! È in camera nostra, appoggiato al letto”. “Davvero?! E cosa ci fa lì?” si chiese il Dio, perplesso.

“Semplice! Ti chiamano sempre quando dormiamo o mangiamo. L’ultima volta stavi poltrendo alla grande…”.

Il Dio sbuffò, ricordando la scocciatura. Con un’andatura decisa si avviò verso la camera, circolare, con motivi riprendenti quadranti, clessidre e numeri. Sul soffitto campeggiava un enorme orologio funzionante che ticchettava sommessamente.

Il Tempo girò quasi tutte le clessidre, più per dispetto che per necessità, e sedette sul letto.

Afferrò il piccolo specchio ovale fra le mani ed iniziò a parlargli. Ridacchiò, tentato di chiedere chi fosse il più bello del reame, ma poi tornò subito serio e sulla superficie riflettente apparvero nomi e simboli. Schiacciò, con un dito, il simbolo del Sole ed il Dio che aveva chiamato apparve dall’altro lato dell’oggetto.

“Buongiorno, amico mio!” salutò allegramente il Tempo.

“Buongiorno?” rispose, stupito, il Dio del Sole “Mio caro, io sto lavorando già da ore! Buon pranzo fra poco…”.

“Non essere fiscale…” scherzò il Dio in grigio.

“Tu dovresti esserlo su certe cose!” lo derise il Dio solare.

I capelli fiammeggianti e pieni di colori caldi riempivano tutta la superficie dello specchio.

“Hai ricevuto anche tu la lettera degli Alti?” domandò il Tempo.

“Stavo per chiederti la stessa cosa…” fu la risposta.

Il Sole scomparve, per qualche istante, dall’inquadratura, e poi riapparve con la busta bianca e dorata con il sigillo degli Alti.

“Cos’hai intenzione di fare, Dio solare e delle fiamme?”.

 “Non so a te, ma a me la cosa puzza. Non mi piace per niente la faccenda. L’hai letta tutta?”.

“No, solo un accenno” mentì il Tempo.

“Parla di una riunione…” iniziò a spiegargli il Sole “…organizzata dagli Alti. Richiedono la partecipazione di tutti però a me, come già detto, la cosa puzza perché quelli non fanno mai niente per niente. Chissà che c’è sotto…”.

“Dicono che ci sia aria di guerra”.

“E in questo caso che faresti? Io, Sole, ho già combattuto altre volte…ma se chiedessero a una divinità come te di andar in battaglia…”.

“Io voglio andare a cercare la Dea della Pace” lo interruppe il Dio con il simbolo dell’infinito. “Carina come idea. Ma ti ricordo che, al momento, è introvabile. E poi…chi ti dice che sotto ci sia proprio una guerra?”.

“Ricordi convocazioni da parte degli Alti per un motivo diverso? E poi so dove trovare la Pace. È sull’Isola”.

Il Dio del Sole sospirò: “Quell’Isola? Ora capisco! Quel posto è una meraviglia! Secondo me, anche se la troviamo, non  la convinciamo a smuoversi!”.

“É un caso d’emergenza. Capirà”.

“Se lo dici tu…io mi fido. Comunque…vengo anch’io con  te! Non vedo l’ora di andare là a prendere un po’…”.

“Un po’ di cosa?” chiese il Tempo, poiché l’altro Dio non continuava.

“Di Sole! Ovvio!!”.

Il Dio solare scoppiò a ridere e l’altro scosse il capo.

“Peggio dei bambini…”.

Quando smise di ridere, il Tempo riprese a parlare: “Ci metteremo d’accordo in seguito. Mi fa piacere che venga anche tu. Ora, però, devo andare a lavorare”.

“Ma quale lavoro?! Salutami moglie e figli, mi raccomando, e a presto!”.

“Fai lo stesso anche tu. Buon proseguimento…”.

I due Dèi si salutarono ed il Tempo tornò a distendersi sul letto. Osservò per un po’ la lancetta dell’orologio gigante e poi afferrò la busta. Ne osservò il foglio all’interno ed i suoi caratteri. Come era solito nello stile degli Alti, la lettera era scritta in modo contorto, con disegni e segni grafici complessi ed arricciati. 

Soliti pomposi…guarda qua quanti riccioli superflui!!! Si disse, scocciato di dover far fatica per capirne il senso.

Si girò sulla pancia e si appoggiò a uno dei cuscini, iniziando a leggere:

 

Con la presente, si vuole porre invito ad ogni divinità ad un incontro conviviale e ad  una riunione straordinaria, a cui tutti sono portati a partecipare, alla prossima notte di Luna. L’evento si svolgerà nel palazzo del Dio Triplice, dove tutte le nostre schiere, divinità Minori, Maggiori, Messaggeri ed Alti, possono incontrarsi senza troppo disturbo. Raccomando la presenza e la collaborazione di tutti.

Momoia.

 

Momoia…la madre degli Alti…rifletté il Tempo, turbato nell’aver letto quella firma.

La Madre non entrava mai in contatto con loro, se non in caso di estrema emergenza. Doveva trattarsi sicuramente di qualcosa di importate, altro che incontro conviviale! Se non una guerra…qualcosa di peggio! Poi pensò al luogo in cui si sarebbe svolta: il palazzo del Dio Triplice.

Era il palazzo dell’Equilibrio…di Kasday…prima di quella sera…

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce della moglie.

“Va tutto bene?” domandò lei.

“Sì, tranquilla. Preparati. E prepara i bambini. Vi porto tutti quanti al mare” rispose lui, apparentemente calmo e rilassato.

“Portiamo i costumi?”.

“Assolutamente sì!” esclamò il Dio, con entusiasmo, trascinando la compagna nel letto.

   
 
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