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Autore: Martyx1988    09/09/2015    2 recensioni
Secondo capitolo delle avventure di Ayame, reincarnazione di Afrodite, e delle sue Sacerdotesse. Sconfitto Efesto, la pace sembra tornata sulla Terra, finchè un nuovo nemico non si presenta, costringendo la dea ad una fuga al Grande Tempio. Sarà l'occasione per tre ragazze di conoscersi meglio e di conoscere nuovi amici e le loro storie...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Gemini Kanon, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Dea dell'Amore'
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Babylon

(seguito di A Divine Love)

19 -Incubi

L’ultimo raggio di sole andò ad illuminare fiocamente i resti di una vetrata colorata che adornava la navata della chiesa sconsacrata che avevano adibito a quartier generale.

L’immagine ritraeva l’Arcangelo Michele, il comandante delle schiere celesti, sopraffare quello che una volta era stato suo compagno d’armi ma che comunque rimaneva suo fratello, Lucifero il traditore.

Mikio non si stancava mai di contemplare quella raffigurazione, nonostante l’incuria e le intemperie l’avessero deturpata in numerosi punti, il tutto nella speranza di ritrovare un po’ di se stesso nella figura angelica del protagonista. Michele, l’Arcangelo senza macchia, ciecamente fedele al suo Signore, era tuttavia così diverso da lui, che probabilmente di angelico aveva solo la manifestazione della sua potenza, quelle ali lucenti che in quel momento erano serrate e spente.

Un bagliore fiammeggiante alle sue spalle diede ancora più vita ai colori della vetrata, seppur solo per qualche istante.

“Ebbene?” domandò Mikio alla sua sottoposta dalla chioma scarlatta.

“Come pensavamo. Sono impreparati e spauriti, la preda perfetta” rispose lei, soddisfatta.

“E la dea?” la interrogò ancora.

“Non si percepisce niente di divino in quel posto malcelato”

Mikio sospirò. Stava passando troppo tempo, presto sarebbero potuti sorgere i primi sospetti ed arrivare le prime domande sulla loro competenza. Gli ordini erano stati chiari, occuparsi di quel che era rimasto di Afrodite il prima possibile, non potevano tergiversare ancora a lungo.

“È tempo di dare una scrollata a quel Santuario sonnacchioso. Richiama Ari e Jez” ordinò Mikio, rivolgendosi direttamente alla donna, la quale però sembrava poco convinta.

“Sei sicuro che funzionerà?” gli domandò infatti.

Deve funzionare, altrimenti sarà la fine per tutti” rispose l’Angelo a denti stretti.

La rossa annuì, quindi domandò ancora “Coi soliti tempi?”

“Coi soliti tempi” confermò Mikio.

 

Quella lunga giornata era infine giunta al termine. Le tinte rosse del tramonto lasciavano via via spazio al blu della limpida notte ellenica, che avrebbe portato ancora una volta con sé un cielo punteggiato di innumerevoli stelle.

Insieme ad essa giunse anche il silenzio, rotto solo ogni tanto dal vociare delle guardie di ronda, in numero maggiore rispetto al solito data l’emergenza che si era presentata. Anche alla Casa dei Gemelli, da sempre rinomata per il silenzio che vi regnava all’interno quasi quanto quella della Vergine, qualcosa disturbava la quiete che la notte avrebbe dovuto portare con sé.

Era la prima notte che Ayame passava al Terzo tempio e scioccamente si era aspettata che sarebbe stata diversa dai sonni agitati cui era andata incontro quando dimorava dal Gran Sacerdote. Tuttavia gli incubi l’avevano seguita anche lì. Occhi grigi e spenti e fauci che la divoravano, sempre la solita inquietante giostra che comunque riusciva a turbarla come la prima volta. Si svegliò di soprassalto, esclamando qualcosa di insensato alla stanza di Saga, nel girarsi convulsamente perse l’appoggio sul materasso e cadde dal letto battendo la testa contro il comodino.

Ormai perfettamente sveglia, la ragazza trattenne a stento un’imprecazione per non rischiare di svegliare Kanon e si portò la mano alla fronte: perdeva sangue.

“Ci mancava anche questa, maledizione!”

Tenendosi una mano sulla ferita, cercò di raggiungere la cucina, per quanto col buio avventurarsi per i corridoi della Casa di Gemini si rivelò essere un’impresa più ardua del solito.

Giunta finalmente a destinazione, prese a setacciare ogni meandro della stanza nella speranza di trovare qualcosa che la aiutasse a tamponare la lieve emorragia, ma interruppe la sua ricerca quando un lamento più simile ad un ringhio giunse alle sue orecchie. Per quanto poco conoscesse la sua nuova dimora, capì che quel rumore proveniva dagli alloggi di Kanon.

Lasciò perdere la ferita e si avventurò per i corridoi della Casa, guidata unicamente da quei lamenti strazianti, finché non si trovò davanti a quella che intuì essere la porta della stanza di Kanon. Da vicino i lamenti risultarono essere delle vere e proprie grida che quasi convinsero Ayame a desistere dall’aiutare il suo ospite. Pensò che, qualsiasi incubo lo stesse tormentando, doveva essere di gran lunga peggiore del suo.

Prese allora un respiro profondo ed entrò nella stanza. Era semplice come la sua, forse ancora più austera: un letto e pochi altri mobili essenziali la riempivano. Il giaciglio si trovava di fronte a lei, sotto la finestra da cui i raggi della luna e delle stelle entravano senza ostacoli ad illuminare bene l’ambiente e il suo inquilino.

Nel suo agitarsi durante il sonno, Kanon aveva fatto cadere a terra il leggero lenzuolo e in quel momento, prono sul letto, si stava aggrappando con tutte le sue forze al coprimaterasso e stava addentando il cuscino, quasi nel tentativo di soffocare le sue grida.

Ayame non poté che provare pena per quell’uomo che sembrava tormentato da demoni peggiori dei suoi, ma per quanto poco lo conoscesse era facile intuire che non era tipo da accettare compassione da chicchessia, così si fece forza e si avvicinò a Kanon, allungando un braccio per svegliarlo.

Non l’ebbe neanche toccato che il guerriero si sollevò di colpo.

“IO NON LA UCCIDERÒ!” gridò agitando un braccio nel vuoto, come a scacciare qualcuno o qualcosa che probabilmente albergava solo nella sua mente. Quando la sua mano incontrò il braccio teso di Ayame, che nel mentre stava arretrando per lo spavendo, lo afferrò con tutte le sue forze e tirò la ragazza a sé.

“Kanon… Ah!” urlò lei, che nel vedere l’altra mano del Generale cercare il suo collo, parò d’istinto il colpo e gli bloccò il braccio sul letto.

“Kanon, svegliati!” gli intimò alla fine.

Il guerriero si ridestò e il suo sguardo vagò per qualche istante dal suo braccio tenuto fermo da Ayame sul materasso, alla sua mano che stringeva il polsi di lei, quindi al volto della ragazza, insanguinato.

In un attimo si divincolò dalla sua presa, il volto contratto in un’espressione sconvolta, arretrando finché non fu contro il muro dal lato opposto.

“No… io… che cosa ho fatto?” cominciò a balbettare, quindi si portò le mani tremanti davanti al volto.

Ayame rimase qualche istante a scrutarlo, nel tentativo di capire cosa agitasse a tal punto Kanon. Che non fosse ancora del tutto sveglio?

Poi accadde di nuovo come la prima notte al promontorio. La stanza lasciò spazio ad un universo costellato da astri in collisione, a cornice di ciò che imperversava nella mente turbata di Kanon.

In quel momento il Generale vedeva se stesso, vestito della sua armatura di scaglie d’oro, ai piedi della colonna dell’Atlantico del Nord. Le sue mani erano grondanti di sangue e due cadaveri giacevano ai suoi piedi: quelli di Atena e Poseidone. Subito dopo un terzo andò a completare la macabra visione. Era il corpo di Ayame.

Subito la ragazza arretrò terrorizzata, poi il suo sguardo si soffermò su un dettaglio che diede un senso a tutto. Anche nella visione di Kanon, infatti, un rivolo di sangue scendeva dalla fronte della bionda. Probabilmente l’averla vista in quelle condizioni nello stato di dormiveglia in cui si trovava aveva scatenato in Kanon quel sogno raccapricciante.

Recuperata la lucidità, Ayame provò a svegliare il Generale con richiami via via più insistenti, che però non sortirono alcun effetto. Sperando di non doversene pentire in futuro, la ragazza decise allora di ricorrere a maniere più drastiche e si scagliò contro Kanon per dargli un pugno.

Questi parò il colpo e la visione scomparve.

Lo sguardo di Kanon, prima perso nel vuoto, andò ad incontrare quello di Ayame.

“Ti sei svegliato, finalmente”

La bionda ritrasse il pugno. Kanon però sembrava ancora turbato.

“Il… il tuo volto…” sussurrò a malapena.

Ayame gli sorrise serena e gli rispose “Non sei stato l’unico ad avere gli incubi, stanotte. Solo che io sono stata riportata alla realtà dallo spigolo del comodino”

“… comodino?” ripetè l’uomo, ancora non del tutto convinto.

“Già! A quanto pare a tuo fratello piacciono i mobili con gli spigoli ben pronuncia… auch!”

Kanon, che sembrava essersi ripreso del tutto, interruppe gli sproloqui di Ayame afferrandola con poca grazia per il mento e girandole il viso per studiare meglio la ferita. L’emorragia sembrava essersi arrestata e il sangue sul volto si era in buona parte coagulato, incrostando una sottile ciocca di capelli.

“Vieni con me” disse poi, lapidario e monocorde come al solito.

Ayame trasse un sospiro di sollievo, prima di seguirlo verso la cucina. Era tornato il Kanon di sempre.

 

Da lontano era sempre sembrato un anfratto come ce n'erano tanti tra le colline rocciose intorno al Santuario, probabilmente per questo nessuno vi aveva mai fatto caso.

Con la minaccia degli Angeli incombente e la conseguente intensificazione dei controlli lungo i confini, la stranezza di quel recesso roccioso era stata subito notata. Quattro scalini perfettamente levigati portavano all'ingresso di quella che si intuiva essere una caverna scavata all'interno della collina. Due spesse porte metalliche sbarravano l'accesso a quei locali, niente che qualsiasi colpo di qualsiasi Cavaliere, anche solo lanciato a mezza potenza, non avrebbe sbalzato via in meno di un battito di ciglia. Non sapendo, però, con certezza, cosa vi fosse al di là di quelle porte, Shion aveva preferito essere prudente.

Era stato avvisato di quella scoperta da una delle guardie responsabili dello strano ritrovamento, la quale aveva avuto la fortuna di trovarlo ancora sveglio, in preda ai pensieri che l'intrusione dell'Angelo aveva portato con sé. Sebbene in principio avesse pensato che tale scoperta non valesse il suo disturbo, quando si era trovato davanti le due porte metalliche si era dovuto ricredere.

Non rammentando, poi, di aver ordinato lui la costruzione di quella caverna, era andato immediatamente a chiedere al suo 'successore' delucidazioni, per quanto fosse stato un gesto che gli era costato uno sforzo immane e per cui in altri frangenti non avrebbe sprecato un viaggio dall'altra parte del mondo, seppur facilitato enormemente dal teletrasporto.

Saga di Gemini studiò da vicino per qualche minuto il passaggio chiuso e ricoperto dai detriti, sorpreso che gli scontri di cui quelle colline erano stati testimoni l'avessero risparmiato. Ricordava, infatti, di aver commissionato la costruzione di quel luogo a qualcuno, ma erano comunque ricordi confusi e annebbiati, a causa di quella doppia personalità che tanti danni aveva arrecato e non solo alla sua mente.

Nel tentativo di riesumare più memorie possibili, Saga prese a percorrere il portone metallico con la mano, scrostando più sporco che poteva, finché non riuscì a riportare alla luce ciò che gli interessava.

Quello che di primo acchito poteva sembrare un semplice tastierino metallico a nove cifre in realtà era un schermo tattile incorporato nella porta, il quale pareva ancora funzionare a distanza di anni. Una barra orizzontale lampeggiava tenue sopra i tasti.

"Ricordi la combinazione?" gli domandò Shion, giunto alle sue spalle.

"Ricordo solo che qualcuno l'aveva comunicata ad Arles e temo che lui se la sia portata via con sè" rispose Saga, sorprendendo il Gran Sacerdote nel rivolgersi alla sua metà malvagia come se fosse qualcuno di estraneo.

"Possiamo però sperare che qualcun altro possa scoprire un modo per entrare qua dentro" riprese Gemini, riprendendo a togliere lo sporco poco al di sopra dello schermo, finché non comparve un logo inciso sul metallo.

"Qualcuno che, fortunatamente, non sarà difficile da scovare" commentò Shion, lasciando trapelare un minimo di sorpresa.

Il logo riportato alla luce da Saga era quello della Kobayashi Software.

 

Quando Camus entrò in cucina, trovò Galatea intenta ad imbandire la tavola per la colazione. Era già la seconda volta che si prodigava in quel modo, ma quando qualche giorno prima gli aveva preparato il pastitsio greco l’aveva rifiutato in malo modo. Perciò, per quanto quel suo indaffararsi lo mettesse a disagio, decise che non avrebbe fatto storie. Se ne convinse ancora di più quando la ragazza lo accolse con un sorriso raggiante, in grado di scaldarlo più del solito.

“Buongiorno! Ho sentito che sei rientrato tardi ieri sera, così ho pensato di farti trovare già tutto pronto”

In cuor suo Galatea sapeva che quello che aveva detto era vero solo in parte. Le faceva piacere dare una mano al suo ospite con le faccende, ma quella mattina aveva anche un altro obiettivo: scoprire cosa stavano tramando Camus e Milo. Non che fosse da lei immischiarsi nelle faccende altrui, specialmente se questo comportava dover affrontare lo sguardo glaciale e sfuggente di Aquarius. Tuttavia con Ayame avevano convenuto che i traffici dei due Cavalieri avevano a che fare con Psiche e, dati gli ultimi avvenimenti che l’avevano vista coinvolta, era giusto capire se il ‘progetto’ di cui avevano sentito parlare fosse dannoso per la Sacerdotessa.

Come suggeritole da Ayame, quindi, Galatea aveva sfoggiato il suo miglior sorriso non appena Camus era entrato in cucina, nella speranza che questo, insieme all’abbondante colazione che aveva preparato, servisse a scucire qualche dettaglio in più sulla faccenda all’algido guerriero.

“Grazie! Sei… sei stata molto gentile” rispose incerto il ragazzo, sedendosi a tavola e cominciando a versarsi del succo d’arancia.

“Non ho fatto nulla di speciale se non attingere dalla tua ricca dispensa” ribatté Galatea, mentre si sedeva accanto a lui “Dopo i bruciori di stomaco che ho causato a Shura col pastitsio, ho capito di non essere granché come cuoca e non volevo rischiare di avvelenarti”

“Capricorn non ha mai avuto uno stomaco di ferro” rise Camus, con una naturalezza che non ricordava di possedere, ma che per una volta gli aveva permesso di non rendersi ridicolo davanti a Galatea. Anch’ella stava ridendo, e la stanza sembrò d’un tratto più luminosa.

“Sì, in effetti è più Milo che mi dà l’impressione di poter digerire anche le pentole” azzardò la ragazza, sperando che l’altro abboccasse.

“Puoi dirlo forte! Una volta l’ho visto spazzolarsi una teglia intera di lasagne che sarebbe dovuta bastare per sei persone”

“A proposito, come sta? Quando ve ne siete andati, ieri, era parecchio giù di morale”

“Sinceramente, l’ho mai visto così a terra” rispose Camus dopo qualche istante di riflessione “Mi ricordo di Milo infuriato, dispiaciuto, triste, ma non credo abbia mai avuto il morale così a terra”

Aquarius prese a scrutare intensamente il fondo del suo bicchiere, mesto come se la situazione emotiva dell’amico permeasse anche il suo animo.

“Ho paura che si stia arrendendo, con Psiche” confessò poi, non provando nemmeno a nascondere quanto la cosa lo spaventasse.

“In che senso?” provò ad indagare la bionda.

“Immagino che Psiche vi abbia spiegato cosa è successo ieri e in passato, tra lei e Milo”

Galatea annuì.

“Milo ha sempre avuto un debole per le donne, non ha mai neanche provato a nasconderlo. Ma questa volta con Psiche era diverso! Voleva davvero che funzionasse, si era persino lanciato in un…”

Il Cavaliere si interruppe, si era accorto che stava andando oltre il consentito con le confessioni.

“… progetto?” Galatea finì la frase per lui. “Ve ne ho sentito parlare ieri mentre tornavate alle Dodici Case”

Camus annuì “Ci credeva davvero, in quel progetto, e ti posso assicurare che era perfetto, geniale”

“Di che cosa si trattava?” domandò cauta la ragazza.

“Mi spiace, Galatea, gli ho promesso che non l’avrei detto a nessuno…”

“Manterrò il segreto” disse la ragazza con una sicurezza che non credeva di avere, e nel farlo strinse istintivamente la mano a Camus. Questi non si accorse nemmeno di ricambiare il gesto altrettanto inconsciamente, dal momento che era perso nello sguardo limpido e determinato di Galatea.

Le raccontò tutto, con sempre maggior enfasi, senza risparmiarsi sui dettagli. Poteva fidarsi.

“È meraviglioso” commentò alla fine la ragazza, quasi con le lacrime agli occhi.

“Sì, lo è”

“Non può abbandonarlo!” scattò poi lei, alzandosi dallo sgabello che cadde dietro di lei. La cosa tuttavia le importò meno di niente, aveva lo sguardo infuocato e stringeva la mano di Camus con tutta la forza che aveva. “Dobbiamo convincerlo a non farlo”

Si avviò verso l’uscio della cucina che dava sulla sala dei combattimenti dell’Undicesima Casa, trascinandosi dietro il suo proprietario, il quale era completamente rapito dalla determinazione che la Sacerdotessa stava dimostrando e che la rendeva ai suoi occhi ancora più bella e desiderabile. Solo gli dei sapevano quanto avrebbe voluto baciarla, ma non era quello il momento giusto.

Tra loro due era sempre stato Milo il trascinatore. Col suo entusiasmo aveva sempre cercato di far uscire Camus dall’involucro ghiacciato che si era costruito attorno, specialmente dopo che era tornati in vita. Era solo merito di Milo se stava iniziando a lasciarsi andare con Galatea e vederlo arrendersi sull’unico fronte su cui Camus non aveva mai neanche provato a batterlo era per lui inconcepibile. Non era quello il Milo che conosceva e che l’aveva spronato solo qualche giorno prima a cogliere la seconda occasione che era stata loro concessa.

Si lasciò guidare da lei fino all’Ottava Casa, senza mai lasciare la sua mano. Una volta arrivati, fu lui a condurla all’interno fino alla stanza di Milo.

Bussarono alla porta e attesero. Scorpio venne ad aprire dopo attimi infiniti. Aveva il volto scavato di chi non aveva chiuso occhio a causa dei troppi pensieri. Squadrò i due ragazzi con apparente sufficienza, quindi parlò.

“Siete venuti a dirmi che avete deciso di sposarvi?” domandò con il tono monocorde che aveva assunto dalla sera prima e che avrebbe fatto invidia a Kanon.

Camus e Galatea subito non capirono, poi si accorsero di essere ancora mano nella mano. Sciolsero la stretta con notevole imbarazzo, cercando però di nascondere all’altro quanto avrebbero desiderato mantenere quel contatto.

“No, volevamo parlare con te a dire il vero” disse poi Camus.

“So già di cosa volete parlarmi e non ho niente da dirvi” sentenziò Milo. Fece quindi per richiudere la porta, ma una resistenza più strenua del previsto si oppose. Si sorprese quando vide che era stata Galatea a bloccarla.

“Non puoi abbandonare il progetto della bottega” gli disse risoluta la Sacerdotessa.

Milo volse lo sguardo alle spalle della ragazza dove stava Camus.

“Meno male che doveva essere un segreto” sbottò, quindi uscì dalla stanza diretto in soggiorno.

“Ha promesso che non lo rivelerà a nessuno” disse Camus, mentre lo seguiva.

“Sì, certo, come no! Quelle tre sono un’associazione a delinquere, si diranno persino quando hanno il ciclo”

“Milo!” lo rimproverò Aquarius, per voi voltarsi verso Galatea, la quale non sembrava però troppo turbata.

“È vero, in linea del tutto teorica l’idea di indagare su questa cosa è stata di Ayame e poi dovrei riferirle tutto” ammise la Sacerdotessa mentre, sulla soglia della cucina, osservava Milo prendere qualcosa dal frigo.

“Non avevo dubbi”

“Ma ora che so tutto e che ho il quadro completo della situazione, ti giuro sulla mia stessa dea che non le dirò nulla”

Il Cavaliere dell’Ottava passò oltre la ragazza non risparmiandole un’occhiata scettica e, una volta giunto in soggiorno, si stappò una birra e si lasciò cadere sulla poltrona.

“Ebbene, parlate”

“Lo so che sono sempre stato scettico riguardo il recupero di quella bottega” iniziò Camus, prendendo una sedia dal tavolo lì vicino per sedersi di fronte all’amico “Ma l’idea è davvero buona, geniale oserei dire! È qualcosa che Psiche non si aspetterebbe mai, specie dopo tutto quello che le è successo”

“Tu non l’hai vista oggi, alla spiaggia” lo interruppe Milo, in quel momento di gran lunga più scettico di quando l’amico fosse mai stato “Non hai visto con quanta rabbia e delusione mi ha guardato. E ha ragione a farlo, ha ragione ad avercela con questo maledetto posto! Qui non c’è spazio per i sentimenti né per i sentimentalismi, è quello che ci hanno insegnato”

“Vada a farsi fottere quello che ci hanno insegnato, Milo!” scattò Camus. Con una zampata fulminea tolse dalle mani dell’amico la bottiglia di birra, che cadde a terra poco distante, frantumandosi e macchiando il pavimento. Scorpio però neanche ci fece caso, gli occhi azzurri e fiammeggianti di Camus lo tenevano inchiodato al suo posto e gli impedivano di volgere lo sguardo altrove.

“Tu stesso mi hai detto che questa è una seconda occasione che non avevi intenzione di lasciarti sfuggire, e adesso alla prima difficoltà molli tutto così? Sei un vigliacco, un bugiardo o cosa, Milo? Dimmelo!”

Nell’inveire contro Scorpio, Camus l’aveva preso per il bavero portando il viso dell’amico ad un centimetro dal suo. In quel momento erano occhi negli occhi, oceano e ghiaccio che si fronteggiavano, e il ghiaccio non aveva intenzione di arrendersi.

Milo riuscì per un attimo a distogliere lo sguardo per puntarlo oltre Aquarius, dove Galatea osservava la scena. Sembrava un po’ scossa dalla piega che aveva preso la situazione, ma sul suo viso rifulgeva la stessa determinazione che Camus gli stava dimostrando in quel momento.

Tornò a guardare l’amico e gli sorrise, quindi si liberò gentilmente dalla sua presa.

“Non sono un vigliacco… e nemmeno un bugiardo. Sono solo un coglione” ammise alzandosi in piedi.

L’atmosfera, fino a poco prima tesa come una corda di violino, si alleggerì e anche Camus e Galatea si sciolsero in un sorriso.

“Avete ragione. Stavo mollando nel momento in cui non avrei mai dovuto mollare”

“Ha bisogno di tutto questo, ora più che mai” confermò Galatea.

“E noi ti daremo tutto l’aiuto che possiamo” aggiunse Camus.

Milo li guardò entrambi, scorgendo nel loro timido e strano rapporto uno sprone in più per andare avanti. Come gli aveva detto Camus, quella era la loro seconda chance. Se quel frigido del suo amico era in grado di approfittarne, seppur coi suoi tempi biblici, allora anche lui doveva farlo, esattamente come si era prefissato.

“Grazie, ragazzi” disse lo Scorpione, stringendo la spalla dell’amico. Perché quel ringraziamento era più che altro rivolto a Camus, che per la prima volta nella sua vita aveva sentito divampare il fuoco dentro di sé ed era riuscito a riaccendere quello di Milo.

Sentendosi di troppo, Galatea sfruttò la scusa dell’andare a cercare qualcosa per pulire la birra dal pavimento e uscì dal soggiorno, non prima di averci lanciato un’ultima sbirciata per vedere i due amici scambiarsi un abbraccio fraterno.

 

Tenere gli occhi aperti cominciava a diventare un’impresa titanica. La notte era passata praticamente insonne sia per Ayame che per Kanon, nessuno dei due era voluto tornare ad affrontare gli incubi che aspettavano nella profondità del loro subconscio. Tuttavia, nonostante i tentativi di Ayame, il Generale non aveva voluto parlare dell’accaduto e, dopo aver medicato scrupolosamente la ferita che la ragazza si era inferta cadendo dal letto, si era diretto all’arena per allenarsi in solitaria, lasciando Ayame con la sola compagnia degli echi della Terza Casa. Giunta l’alba, la bionda si era allora diretta al villaggio, accompagnata dalla prima guardia capitatale sotto mano e armata di uno dei boccioli di Aphrodite e di tutta la determinazione che possedeva per scoprire qualcosa di più sull’enigmatico guerriero e sul suo legame col piccolo Proteo.

Era ormai mattina inoltrata e la mancanza di riposo iniziava a dare segno di sé. Il fiorellino come al solito non voleva saperne di sbocciare né Ayame si stava prodigando perché la cosa cambiasse. Praticamente sdraiata sul bordo della fontana che adornava la piazza principale del villaggio, cullata dal vociare degli abitanti, stava lentamente scivolando nel mondo dei sogni quando uno spruzzo d’acqua fredda la riportò bruscamente nel mondo degli svegli.

Rimessasi subito a sedere, si asciugò il viso e prese a cercare il responsabile del suo risveglio, quando sentì una risata sommessa alle sue spalle.

“Ihihih! Stavi cominciando a russare” rise Proteo, mentre si dondolava sul bordo della fontana.

Ayame rise a sua volta e si mise a sedere. “Come mai da queste parti, Proteo? Non sarai di nuovo scappato” gli chiese.

Il ragazzino alzò le spalle “C’era lezione di matematica, ho chiesto di andare in bagno”

“E vieni sempre in bagno qui?”

“Dipende…” rispose lui vago.

“Ti dovrei riportare in classe per le orecchie, lo sai?” provò a minacciare Ayame, ma Proteo non si lasciò intimorire.

“Anche tu stavi dormendo invece di fare quello che devi fare con questo” rispose lui risoluto, facendo sventolare il bocciolo davanti al viso della ragazza.

“Ehi! Dove l’hai preso?” domandò lei, riprendendoselo, imbarazzata per essere stata colta in flagrante.

“Ti era caduto mentre dormivi. Che ci devi fare? Ce l’avevi in mano anche ieri”

“Sei troppo sveglio e curioso per avere otto anni” ribatté lei dopo qualche istante.

“Me lo dicono sempre anche le educatrici” Proteo gonfiò il petto, orgoglioso “Allora, cosa devi farci con quel fiore?”

Ayame sospirò, avendo inteso che il ragazzino non aveva intenzione di demordere. “Beh, che tu ci creda o no, devo farlo sbocciare”

“E come fai? Non hai mica un potere come il Cavaliere dei Pesci” constatò il bambino, andando involontariamente a toccare il nervo scoperto di Ayame, che ci mise qualche istante a formulare una risposta sensata.

“Teoricamente dovrei averne uno simile”

“Sei un Sacro Guerriero di Atena?” domandò il bambino, con la voce bassa da cospiratore ma il volto illuminato dall’ammirazione.

“No, non proprio, sempre a livello del tutto teorico io sarei… una dea”

A quella rivelazione Proteo rimase qualche istante a fissarla a bocca aperta, quindi scosse la testa “Nah, mi prendi in giro”

Fantastico, nemmeno un bambino di Rodorio mi crede pensò cupamente Ayame.

“Se sei davvero una dea, perché non riesci a far sbocciare il fiore?” domandò il bambino, convinto di averla colta in flagrante.

“Te l’hanno mai raccontata la fiaba della Bella Addormentata?” chiese a sua volta la ragazza, la quale stranamente ci teneva che Proteo le credesse.

“L’ho sentita qualche volta. La raccontano ogni tanto le educatrici alle bambine”

“Bene, allora, è come se io fossi la Bella Addormentata. Invece che pungermi con un fuso sono stata punta da uno spillo ed è stato una specie di stregone alato a farmi questo, non una strega. Come risultato, la dea che è in me si è addormentata e io non ho più il potere neanche di far sbocciare questo dannato fiore. Ti ho convinto adesso?”

“Neanche un po’”

“Grandioso. E comunque direi che sei stato in bagno a sufficienza”

Ayame si alzò dal bordo della fontana e invitò Proteo a fare altrettanto, ma il ragazzino non voleva saperne.

“Non ci torno là dentro”

“Proteo, neanche ventiquattr’ore fa stavi per finire sotto una macchina. Hai fatto preoccupare tutti quanti a sufficienza, non ti sembra sia il momento di rigare dritto, almeno per un po’?”

“Che succede qui?” domandò una voce alle loro spalle. Entrambi si ammutolirono quando videro Kanon procedere nella loro direzione. Ad un primo sguardo sembrava non fosse nemmeno passato a darsi una ripulita dopo l’allenamento, aveva ancora la fronte imperlata di sudore e la tenuta era sporca di terra.

Il Generale squadrò severo prima Ayame, poi il piccolo Proteo, e di nuovo quella sensazione pervase la ragazza, la quale diede una rapida sbirciata al bocciolo che aveva in mano: la corolla si stava lentamente aprendo.

Era un’occasione d’oro per provare a svelare una parte del mistero che aleggiava attorno a quell’uomo e non poteva lasciarsela scappare. Provò ad inventarsi qualcosa.

“Ero qui che provavo a fare quello che devo, se capisci cosa intendo, quando Proteo è venuto a trovarmi. Ha approfittato di una pausa dalla lezione di matematica per fare un giro al villaggio. Gli stavo giusto dicendo che però si era fatto tardi ed era meglio se rientrava. Sei d’accordo con me?”

“L’unica cosa su cui sono d’accordo è sul fatto che siete entrambi dove non dovreste essere” rispose duramente, rivolgendosi poi direttamente ad Ayame “Ti era stato detto che non potevi girare da sola”

“C’era una guardia con me, infatti” ribatté lei con un tocco di supponenza.

“Eccola, la tua guardia” Kanon indicò il limitare della piazza, dove il soldato da cui Ayame si era fatta accompagnare giaceva svenuto contro il muro di una casa. “Non è il loro compito vegliare su di te, ma il nostro. Con tutto il rispetto per il loro ruolo, girare insieme ad una delle guardie per te equivale ad essere sola, divinità da strapazzo”

“Quindi sei davvero una dea?” domandò Proteo, con un principio di meraviglia dipinto sul volto.

“Mettiamo in chiaro le cose” continuò il Generale, frappostosi tra lei e il bambino “Mi sono esposto a sufficienza con il Gran Sacerdote per te, cerca di non rendermi le cose difficili altrimenti ci metto un attimo a riportarti da lui in cima alla scalinata. Quanto a te, ragazzino” si rivolse poi a Proteo, con uno sguardo non meno severo “Vedi di alzare i tacchi e tornare all’orfanotrofio, perché non ho intenzione di rincorrerti di nuovo per tutta Atene”

“A-ah… io… s-signorsì” balbettò Proteo, il quale, invece che rifuggire lo sguardo fiammeggiante di Kanon, ne sembrava talmente calamitato da non riuscire nemmeno a voltarsi per correre via. Si avviò verso l’orfanotrofio camminando all’indietro, incurante del fatto che potesse scontrarsi con qualcuno, cosa che accadde inevitabilmente. Ayame e il Generale non ebbero il tempo di avvertirlo che il bambino andò a tagliare la strada ad un mercante che trasportava diverse cassette di pomodori. Caddero entrambi a terra insieme al carico che l’uomo trasportava. Il mercante cominciò ad inveire contro Proteo, completamente ricoperto di poltiglia rossa, ma quando l’uomo minacciò di rincorrerlo per tutto il villaggio puntandogli contro un pezzo di una delle cassette di legno, vide subito il suo braccio bloccato dalla presa ferma di Kanon.

“Mi dispiace. È stata colpa mia. Ho spaventato il ragazzo” disse il Generale con fermezza, mentre lasciava la presa sull’uomo.

“N-no, voglio dire… signor Kanon, la mia merce…” ribatté l’uomo a fatica, indicando il disastro ai suoi piedi e addosso al bambino.

“A quello penserò io” intervenne Ayame, che era accorsa per dare una ripulita a Proteo.

Il mercante la ringraziò con un leggero imbarazzo e proseguì per la sua strada.

La ragazza riprese a togliere quanto più pomodoro possibile dal volto del bambino, quando questi si divincolò dalla sua presa per recuperare il bocciolo che lei aveva lasciato momentaneamente a terra.

“Guarda! È completamente sbocciato!” commentò entusiasta “Come hai fatto? Allora sei davvero una dea!”

Ayame non riuscì a rispondere, talmente era presa dai suoi pensieri. Ci pensò Kanon a rispedire Proteo, ancora sporco, all’orfanotrofio.

La corolla di petali si era completamente schiusa e sembrava assumere un colore sempre più acceso. Lo strano formicolio aveva completamente pervaso la ragazza, che riusciva a percepirlo soprattutto sulla mano che teneva il fiore, come se la forza vitale che l’aveva fatto sbocciare provenisse proprio da lì.

Alzato lo sguardo, Ayame capì da dove invece la stava captando lei. Accanto a lei, in piedi, Kanon stava guardando Proteo correre verso l’orfanotrofio. Non lo perse d’occhio finché non ebbe svoltato l’angolo.

Non c’erano più dubbi.

“A quanto pare, sei uno dei pochi a cui dà ascolto, se non l’unico probabilmente” commentò Ayame, dopo essersi rimessa in piedi.

Sentendo la sua voce, il Generale parve ritornare alla realtà. Senza quasi degnare la ragazza di uno sguardo, prese la strada verso il Santuario.

“Gli faccio paura, tutto qui. Come alla maggior parte della gente al Santuario del resto” rispose cupo Kanon. Non ebbe bisogno di intimarle di seguirlo, sentiva la sua presenza alle calcagna, troppo vicina.

Sapeva di aver commesso un passo falso con Proteo e proprio davanti ad Ayame, che già aveva visto troppi dei suoi fantasmi senza che lui lo volesse. Tuttavia non ne sembrava turbata, anzi, pareva che questo l’avesse invogliata ad andare più a fondo. Era Kanon che non era disposto ad andare oltre, a lasciarsi travolgere dall’uragano che Ayame si stava dimostrando essere.

“Non gli fai paura, ti ammira” ribatté sicura lei, che cercava di stare al suo passo “E non fare finta che quel bambino ti sia indifferente, perché questo dice esattamente il contrario”

Gli sventolò davanti il fiore, ma Kanon fece finta di non vederlo, anche se sapeva che quella dannata rosa era la prova evidente di quanto Ayame probabilmente già sospettava. Ma non doveva sapere, non doveva scoprire che razza di persona era stata, e in fondo forse era ancora.

Per un attimo Atena l’aveva convinto che poteva essere un uomo migliore, ma il ritorno alla vita, lo scontro con la realtà del Grande Tempio, l’incontro con Ayame, un’altra divinità, avevano riportato bruscamente in superficie incubi che pensava di aver ormai sepolto nelle profondità del suo cuore e della sua mente e che in quel momento gli stavano annebbiando la ragione, come era successo in passato.

Cercò comunque di mantenere la calma.

“Quello dimostra solo che forse stai riuscendo a fare il tuo dovere e che a breve non dovrò più farti da balia”

La superò e accelerò il passo, ma Ayame sembrava non demordere.

“Perché ti ostini a negare l’evidenza? È per caso un crimine voler bene a qualcuno, sia esso un bambino come Proteo o qualsiasi altra persona?”

Ayame stava praticamente correndo per tenergli dietro. Per quanto fosse consapevole di aver quasi oltrepassato il limite con Kanon, nel profondo non era disposta ad accettare questo suo cinismo, forse perché implicava accettare il fatto che il Generale non provasse nemmeno un minimo di affetto nei suoi confronti e avesse accettato di prendersi cura di lei per mero senso del dovere.

“Ma certo” continuò la ragazza, sulla scia di quest’ultimo pensiero “È sicuramente più facile odiare tutto e tutti, incutere timore e trattare il prossimo a male parole. È sicuramente più facile stare da soli, ma ti dico una cosa: stare da soli è da vigliacchi. Quindi ti chiedo: lo sei, Kanon di Gemini? Sei un vigliacco?”

Non fece quasi in tempo a gridargli contro l’ultima domanda che si ritrovò contro la parete di roccia che delimitava la strada verso la Casa dell’Ariete Bianco, lo sguardo rabbioso di Kanon ad un palmo di naso dal suo, la mano del Generale stretta attorno al suo collo.

“Io non sono un vigliacco” le ringhiò contro “E tu non sai niente di me”

“So quello che ti rifiuti di ammettere a te stesso” rispose Ayame con la poca voce che riuscì ad usare e tutta la determinazione che quell’espressione iraconda le permise di esternare.

Bastarono quelle poche parole a far tornare al Generale quel poco di lucidità che gli permise di notare che Ayame non sembrava essere minimamente spaventata. Non aveva paura di guardarlo negli occhi né di ribattere con caparbietà nonostante il suo esile collo fosse completamente in balia della stretta di Kanon.

Fu lui il primo a distogliere lo sguardo per abbassarlo su quella mano che stava nuovamente minacciando un’altra vita. Ayame vide la sua espressione trasformarsi da furibonda a sgomenta.

Kanon lasciò la presa su di lei quasi la sua pelle bruciasse, anticipando l’ordine che giunse un istante dopo da Aldebaran, accorso sul posto insieme a Mu. La ragazza prese un respiro profondo e si portò istintivamente la mano alla gola, ma non smise mai di guardare il Generale, il quale fissava inorridito la sua mano, esattamente come era successo quella notte nell’incubo.

“Kanon!” lo richiamò all’attenzione Mu, risvegliandolo dallo stato di trance in cui pareva essere caduto il guerriero.

Questi si voltò prima verso i due Cavalieri, quindi verso Ayame, che nonostante tutto lo stava guardando con apprensione.

Corse via, senza badare alla direzione presa, sordo ai richiami di chi si era lasciato dietro, inorridito da se stesso ancora una volta.


Buonasera a tutti!
Aggiornamento un po' più rapido rispetto all'ultimo e capitolo un po' più succoso, come giustamente suggeritomi da marig :) andando a scavare nel profondo per quanto riguarda un personaggio in particolare, spero di non averlo snaturato, cosa che mi dispiacerebbe perchè è uno dei miei preferiti della saga. Sto parlando ovviamente di Kanon, questo capitolo è abbastanza importante per quanto riguarda soprattutto il suo rapporto con Ayame (e volendo anche con Proteo, ma secondariamente in questo caso). Va anche avanti il timido approccio tra Camus e Galatea, che, in quanto tale, procederà in modo un po' diverso rispetto, per esempio, a quello tra Psiche e Milo. Ho introdotto inoltre il punto di vista dei 'cattivi' e un nuovo dettaglio che svilupperò nei prossimi capitoli.
Non anticipo altro, ringrazio chi, nonostante le ere trascorse, ha continuato a seguire la storia e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.
Martyx

   
 
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