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Autore: kitsune999    08/02/2009    5 recensioni
-Ridimensionati.-
Fu tutto ció che disse Kojirō sibilando sprezzante, mentre oltrepassava il portiere urtandogli volontariamente e non troppo delicatamente una spalla.
Genzō non proferí parola, ne aveva giá dette fin troppe, e si limitó a rimanere immobile, impassibile, con lo sguardo adombrato dalla visiera del suo sempiterno cappello.
[...]
Nel caso in cui qualcuno se lo fosse mai chiesto, ecco cosa successe dopo l'amichevole Amburgo-Giappone, in cui i nostri subirono una bruciante sconfitta.
Fanfic senza impegno e ad alto tasso di scemenza scritta da una new-entry di EFP.
Poiché sono una pippa quando si tratta di scegliere i titoli adatti, questo é solo provvisorio. Probabilmente lo cambieró strada facendo, o magari no, chi vivrá vedrá. Trallallerotrallallá.
Genere: Commedia, Demenziale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I tiri di kaltz di certo non smerigliavano le mani ai portieri, ma erano ugualmente insidiosi

Ariecchime qua con l’ormai settima parte di questa storia senza capo né coda, perché io proprio non so cosa sia la vergogna xD

Stavolta é presente una piccola parte introspettiva sulle paturnie del Kaiser di Germania, che si riallaccia agli eventi della storia originale, piú un paio di altri paragrafetti forse un po’ pallosi, ma non temete, le cavolate riprenderanno in men che non si dica. E come potrebbe essere diversamente.

 

 

 

 

CAPITOLO 6 – Mine vaganti e suicidi verbali.

 

 

 

 

I tiri di Kaltz di certo non smerigliavano i guanti dei portieri, ma erano ugualmente insidiosi.

Neanche finito di constatarlo che per poco Genzō non se ne fece passare uno in mezzo alle mani; lo paró all’ultimo soltanto grazie alla sua prontezza di riflessi e perché no, grazie anche ad un pizzico di autentico Fattore C. Peró cosí non andava proprio. Stava peccando di superbia, non doveva sottovalutare l’amico solo perché non era in grado di tramutare i palloni in supernove infuocate come riusciva a fare Schneider. Stecchino in campo era imprevedibile e con certe giocate di fino persino potenzialmente pericoloso, ormai avrebbe dovuto saperlo.

-Uuuh, che pelo- ululó lui, squadrandolo con la sua tipica espressione sorniona e le mani sui fianchi –hai avuto culo stavolta, eh? C’ero vicino tanto cosí.-

-E va bene, ammetto che non mi aspettavo il pallonetto, contento? Fai poco lo sborone, intanto mica ci sei riuscito a segnarmi- sogghignó Genzō rinviandogli la palla, che Kaltz stoppó di petto esclamando -Fai poco lo sborone tu, vedremo se non ti bucheró almeno una volta!-

Era giá da un’oretta e mezza che i due consorti si stavano cimentando nei rigori imposti dal capitano, che nel frattempo si allenava con il resto della squadra nell’altra metá campo. Il sottile dubbio che il Kaiser si fosse voluto bellamente liberare di loro gli si era insinuato piú di una volta nel corso di quella mattina; benché lo nascondesse egregiamente, era probabile che anche  l’infaticabile Schneider fosse in realtà piuttosto ammosciato dalla serata appena trascorsa. Non aveva bevuto, ok, ma neanche lui a lungo andare avrebbe retto all’allenamento senza cali di prestazione, considerati gli strascichi dell’impegnativo pomeriggio dell’amichevole e le quattro ore scarse di sonno alle spalle. E poi, a pensarci bene, anche nella partita contro i suoi connazionali gli era sembrato in piú di un’occasione che avesse la testa da un’altra parte, nonostante la solita figura eccelsa che aveva fatto. Genzō conosceva bene i suoi scazzi silenti, e quello aveva tutta l’aria di esserlo.

 

La sua perspicacia come sempre non sbagliava, perché in effetti il capitano era impensierito da qualcosa, e lo stress fisico non era che uno soltanto dei motivi che lo avevano spinto a spedirli ai rigori per non essere costretto a doverseli sorbire.

Quella mattina si era sentito fiacco ancor prima di cominciare, benché l’avesse dissimulato benissimo e praticamente nessuno se ne fosse accorto. Al pensiero che avrebbe dovuto sopportare la logorrea di Kaltz e la boria di Genzō si era sentito mancare le forze; per quanto fossero amici, c’erano momenti in cui non li tollerava e quel giorno, per tutto un insieme di ragioni, era uno di quelli.

 

Quando qualcosa lo turbava non era certo avvezzo a confidarsi con qualcuno, anzi, in quei frangenti riduceva al minimo indispensabile i rapporti umani preferendo isolarsi a rimuginare in santa pace, soprattutto se aveva un tarlo fastidioso come quello che lo preoccupava da un po’: i suoi erano in rotta e lui, essendo un tantino in apprensione per la sua situazione familiare, non si sentiva di avere intorno nessun rompicoglioni.

La sera prima aveva accettato di uscire con loro giusto perché non voleva restare in casa con sua madre che, esattamente come il figlio, si crucciava in segreto per ció che stavano passando, cercando al contempo di non fargli pesare troppo quella situazione. Solo che lui non era un cretino e capiva bene quanto lei ne soffrisse, ma sapendo che non ci sarebbe stato modo di instaurare un qualsivoglia tipo di dialogo, aveva preferito cambiare aria e cercare di distrarsi un po’. E grazie a quel gruppo di squinternati c’era riuscito, per qualche ora si era svagato e non aveva pensato affatto alle proprie vicissitudini.

 

Era tassativo seguitare a comportarsi come il capitano di sempre perché solo cosí non gli avrebbero fatto domande indiscrete, e finora neanche quei due beoti si erano impicciati troppo, evidentemente se l’era costruita proprio bene la maschera che indossava. Peró, anche se aveva sempre potuto contare sulla sua recitazione impeccabile, quella mattina si sentiva forse un po’ piú vulnerabile del solito a causa della stanchezza fisica ed emotiva che cercava in tutti i modi di celare da giorni, e temeva che potesse trapelare qualcosa agli occhi di chi lo conosceva meglio degli altri.

Cosí, era stato ben felice di cogliere la palla al balzo quando li aveva sgamati a cazzeggiare senza ritegno, allontanandoli da sé quel tanto che bastava per non essere scrutato dagli occhi indagatori del portiere e non udire il chiacchiericcio inesauribile di Kaltz, capace di blaterare a vanvera anche mentre tirava, correva, dribblava, rimetteva, passava…insomma, sempre e comunque.

 

E difatti era  questo l’unico sottofondo che si udiva nella metá campo del gatto e la volpe. Genzō, non potendone piú, aveva deciso di spremerlo come un limone, cosí almeno se avesse esaurito il fiato se ne sarebbe stato zitto.

-Senti, ma non riesci proprio a concentrarti anche senza parlare in continuazione?- Gli disse per provocarlo, pochi istanti prima di tuffarsi per parare l’ennesimo tiro. Ad onor del vero piú che un’esclamazione si era udito solo un flebile rantolo, perché gli costava fatica parlare e doveva sforzare la voce per farsi sentire, ma mai e poi mai avrebbe rinunciato a mettere in atto la sua raffinata strategia di intimidazione verbale.

-Stai forse insinuando che ti fastidio?- Rispose Hermann che ci aveva sentito benissimo, preparandosi a scagliare un nuovo rigore.

-Macché, affatto. E’ un piacere ascoltare le tue facezie perché sono soavi componimenti che arrivano dritti al cervello, peggio del trapano del dentista.- Ghignó l’altro, sistemandosi la visiera del cappello col suo solito fare strafottente.

-Questa non me la dovevi dire, sfinge del cazzo. Occhio che ti segno per carica sul portiere, e chissefrega se è fallo- ribatté il centrocampista sputando lo stecchino con aria minacciosa.

-Sai che paura. Sarebbe proprio ora che mi mostrassi tutta la tua teutonica grinta, perché fino adesso non ne ho visto neanche l’ombra.- Era sicuro che avrebbe colpito nel segno con questa tagliente e mefistofelica uscita, perfettamente nel suo stile. Man mano che proseguiva negli allenamenti si stava caricando sempre piú, e solitamente piú era carico lui piú si spompavano gli avversari; ergo, un Hermann sfiancato se ne sarebbe stato buono e zitto ad usare il poco fiato rimasto solo per tirare e basta, senza sproloquiare inutilmente.

Peccato peró che alla sua stoccata l’amico rispose sganasciandosi con una bella risata.

-Dai, ma ti ascolti quando parli? Proprio non riesco a stare serio, con quel rantolo di voce che ti ritrovi sembri sul punto di tirare le cuoia, vuoi fare lo smargiasso ma non sei credibile neanche un po’!- E come dargli torto, pensó il portiere infastidito. Forse la sua comprovata tattica sovversiva questa volta non avrebbe sortito l’effetto sperato. Ma possibile che a lui non venisse mai un fottutissimo abbassamento di voce?

Leggermente infumanato per l’ineluttabile fallimento del suo piano, effettuó per vendicarsi una potente rimessa che sfrecció a pochi centimetri dal viso di Kaltz, il quale sobbalzó inorridito e gridó, portandosi le mani sulle guance: -Ohi! Hai rischiato di sfigurare il mio faccino perfetto, razza di idiota!-

-Ah, per quello non c’era pericolo, scimmia- ribatté il portiere, sorridendo sarcastico –semmai hai corso il rischio di diventare bello.-

-Ma senti questo con che coraggio…- borbottó Stecchino, metá serio e metá divertito, mentre si massaggiava il “bel faccino”, la cui scimmiesca perfezione era stata messa seriamente a repentaglio. Genzō doveva riconoscerlo, l’amico era capace di non prendersi mai troppo sul serio e se c’era un lato del suo carattere che apprezzava era proprio quella spiccata auto-ironia, cosa che non era certo da tutti.

-Oh, mi viene in mente- fece lui, senza smettere di carezzarsi la mascella squadrata –non ti ho ancora ringraziato per ieri sera, finocchio. Vuoi che ti esprima la mia gratitudine con un bacino?-

Genzō rabbrividì all’idea ed esclamó, cadendo dalle nuvole:- E per cosa dovresti ringraziarmi?-

Kaltz lo guardó lievemente perplesso e replicó, gingillandosi fra i denti il nuovo stecchino che aveva appena pescato dalle tasche: -Bé, hai pagato per tutti, no? Vabbé che ero piuttosto cotto, ma questo me lo ricordo.-

Il portiere si prese il mento fra le dita, pensieroso. Si spremette un po’ le meningi e finalmente gli venne in mente che , effettivamente le cose stavano come diceva lui.

-Non hai bisogno di ringraziare, fa niente- disse infine, alzando le spalle –non è stato un problema.- E non lo era veramente, in fondo per lui i soldi non avevano mai costituito una fonte di preoccupazione. Per meglio dire, in altre condizioni mentali si sarebbe limitato a pagare solo la sua parte o al massimo quella dei due imbecilli, ma l’essersi ricordato di aver pareggiato i conti anche agli altri non lo scosse piú di tanto. Ripensó un attimo al delirante festino e ad una delle parti che aveva preferito in assoluto, ovvero quando aveva sfogato le sue frustrazioni elaborando quello scherzo malefico ai danni del povero Ishizaki; al pensiero sghignazzó fra sé e sé, ma il riso gli morí in gola quando si ricordó anche di un altro piccolo, tragico particolare.

-Senti, Hermann…ho pagato proprio per tutti tutti?- Gli chiese con voce tremula, quasi temendo la risposta.

-Che domanda deficiente, ovvio che …anche per il tuo amico preferito, se è questo che ti stai chiedendo.-

Il suo cuore mancó un battito.

 

Nel frattempo, il neo-capitano in carica Matsuyama aveva proprio toccato il fondo. Del barattolo di Nutella che si stava compulsivamente sbafando, nel tentativo di arginare la crisi di nostalgia amorosa che non dava segni di miglioramento, nonostante ci avesse dormito su e ora fosse completamente sobrio.

Era seduto al tavolo della colazione con i compagni, che oramai erano scesi quasi tutti, e ascoltava vagamente tediato i loro discorsi. La depressione che gli era calata sul groppone la sera prima, circa da quando aveva salutato Yoshiko, pareva non volerne sapere di andarsene. Gli mancava indicibilmente, e in quel momento si sentiva quasi un alieno in mezzo agli amici, che sembravano distanti anni luce dal poter comprendere anche solo la metá di quello che provava.

D’accordo, non era l’unico ad avere la ragazza, ma non si poteva neanche fare un paragone con gli altri due elementi in questione.

 

Tsubasa e Sanae, l’eterna pseudo-coppia, si barcamenavano in una situazione quanto mai contorta e sconclusionata, benché risultasse lampante agli occhi di tutti che la ragazza nutrisse una bella scuffia per il capitano, mentre quest’ultimo…, di sicuro la manager non gli era indifferente, ma nessuno finora aveva capito esattamente entro quali termini. La vedeva solo come un’amica preziosa? O c’era dell’altro? Quando glielo si provava a chiedere, il diretto interessato era quanto mai elusivo, e dire che di solito non era un tipo particolarmente riservato. Eppure, su questo argomento, era davvero un osso duro e non si scuciva con nessuno, per cui fino a quel momento non c’era stato modo di venirne a capo.

Proprio questo suo comportamento, in netto contrasto col suo modo di essere, insospettiva chi lo conosceva bene: possibile che alla fine si trattasse solo di un problema di timidezza all’ennesima potenza?

Quando si toccava l’argomento, all’interno della squadra si poteva assistere ad un curioso fenomeno, definito “la divisione del Mar Rosso”: da una parte si schieravano tutti quelli convinti che Tsubasa “ci fosse”, dall’altra tutti quelli che pensavano che “ci facesse”, benché nessuno di loro in fondo lo ritenesse ottuso fino a quel punto. Che il capitano fosse un fanatico del calcio e che quando ci fosse di mezzo il pallone non vedesse nient’altro non era un mistero, ma di certo non era l’ultimo dei polli. Magari ingenuo, per certi versi, o beota, come avrebbe detto Genzō, ma Sanae trasudava talmente tanto amore da tutti i pori quando c’era lui in giro che se ne sarebbe accorto chiunque, e risultava difficile credere che fosse l’unico a non esserci ancora arrivato.

Su una cosa peró si trovavano tutti d’accordo: se quei due avessero continuato ad andare avanti su quel binario, Sanae sarebbe stata  beatificata a breve.

 

Invece, Jun e Yayoi erano di tutt’altra pasta, e come tipologia differivano parecchio dalle altre coppie. A dirla tutta sembravano sposati da anni, i loro sguardi di intesa erano leggendari cosí come i loro silenzi mai imbarazzanti ma pregni di significato, quelli tipici di due persone che sono talmente sulla stessa lunghezza d’onda da non aver bisogno di usare le parole per capirsi.

Si percepivano lontano mille miglia la totale fiducia e l’amore incondizionato che facevano da perno alla loro relazione, stabile ormai da parecchio tempo; per gli altri risultava impossibile pensare a Jun senza che gli venisse associato automaticamente anche il nome di Yayoi, agli occhi di tutti erano praticamente due corpi ed un’anima sola. Se mai un si fossero lasciati, la squadra era certa che in quello stesso giorno l’Apocalisse sarebbe giunta.

 

E poi c’era lui. Lui che s’illuminava d’immenso ogni volta che si nominava la SUA Yoshiko. Loro due formavano sicuramente la coppia piú melensa del gruppo, quella da due dita in gola per intenderci, anche se lo Sdolcinato per Vocazione era senza dubbio lui, il freddo uomo del Nord che si scioglieva come neve al sole quando si trattava della sua bella. Freddo poi mica tanto, Matsuyama aveva un temperamento piuttosto emotivo e sanguigno, e spesso la sua faccia era come un libro aperto.

 

In quel frangente, insomma, si sentiva un po’ isolato perché non c’era nessuno all’interno di quella comitiva di spostati che potesse capirlo fino in fondo. Vuoi perché uno alla fine non era ancora fidanzato a tutti gli effetti, vuoi perché l’altro sembrava avesse giá una relazione da trentenne maturo neanche confrontabile con quelle dei suoi coetanei.

Nemmeno il fatto di essere diventato il nuovo capitano riusciva a consolarlo piú di tanto, ma si ridestó dall’atarassia quando captó il proclama di Kojirō.

 

Era da quando si era unito agli altri, circa una ventina di minuti prima, che lui e Tsubasa continuavano a discutere abbastanza animatamente sulla questione del conto che un Genzō inciuccato aveva saldato per tutti. Era arrivato quando erano a metá della loro conversazione e perciò si era perso qualche dettaglio antecedente, che gli era peró stato raccontato da Takeshi, seduto vicino a lui.

Udendo l’attaccante che, sbuffando stizzito, asseriva di voler andare a fare due passi perché ne aveva le palle piene di quei discorsi, al buon Matsuyama si drizzarono le antenne e sentí suonare un campanellino d’allarme nella sua testa.

Non ci voleva un genio per capire che le sue intenzioni consistessero nell’andare a trovare il portiere prediletto per sistemare le cose a modo suo, prima che Tsubasa facesse danni parlando in sua vece e finendo col dire eresie che lui mai si sarebbe sognato di pronunciare.

-In qualitá di capitano, ho il dovere di seguire quella mina vagante per accertarmi che non combini dei casini.- Dichiaró allora al gruppo con fare risoluto, mentre si alzava e si apprestava a tallonarlo a distanza, perché non voleva certo farsi nasare mentre lo pedinava, avrebbe ottenuto solo di farlo innervosire di piú. Sarebbe intervenuto solo se lo avesse ritenuto opportuno.

-Vengo con te, Matsuyama- fece Tsubasa alzandosi a sua volta, ma l’amico lo freddó esclamando: -No, basto io. Non facciamo il trenino eh, che poi ci sgama tutti.-

 

Dopo aver metabolizzato la drammatica notizia ed essersi dilettato a picchiare un po’ Stecchino, accusandolo di non avergli impedito di compiere quel gesto sconsiderato, Genzō si disse pronto a riprendere gli allenamenti, ma la cosa gli rodeva ancora. Se c’era una persona a cui non voleva fare favori era proprio quello spiantato che peró, pensó, magari non voleva neanche riceverne. Da lui, poi. Era quasi certo che la cosa non sarebbe finita , Kojirō non avrebbe lasciato cadere la questione, poco ma sicuro. Ma perché cacchio aveva bevuto cosí tanto…

Si stropicció la faccia con una mano imponendosi di smetterla di pensarci e si preparó a parare il fetentissimo tiro di Hermann, che non si insaccó solo per un soffio.

-Ma che calo di forma, tesorino- constató lui –mi sa che se continua cosí riusciró ad andare in rete molto presto.-

-Tzé, ti piacerebbe- ribatté l’altro, sistemandosi i guanti –non ricordi piú chi sono io?-

L’amico alzó gli occhi al cielo sbuffando – senti, non farmi dire che significa secondo me l’acronimo del tuo ridicolo soprannome perché sarei capace di smontartelo in due secondi, e lo sai.-

 

Tsubasa, dopo la dichiarazione d’intenti di Hikaru che si era messo alle calcagna del numero nove, stava aggiornando gli ultimi arrivati, i gemelli Tachibana, sui recenti sviluppi dell’eterna diatriba Kojirō-Genzō; ad aiutarlo nella narrazione c’erano Misaki e Jun, che contribuivano ad arricchire il discorso con utili precisazioni circa quello che l’amico avrebbe voluto fare per appianare la questione.

-Cioè, secondo te bastava ringraziare Wakabayashi da parte di Hyūga per evitare contrasti?- Fece sconcertato Masao, poi come d’abitudine fu il fratello a terminare la frase, scuotendo la testa –Ma quando la finirai con questo buonismo? Quei due se si pigliano si scotennano, non c’è Santo che tenga. Fattene una ragione.-

-Non è buonismo, è buonsenso, ragazzi- replicó Tsubasa, punto sul vivo. –Dovrei lasciare che si sgozzino a vicenda, secondo voi?- Nella tavolata si susseguirono delle occhiatine abbastanza eloquenti.

-Forse se si scannassero un po’, ma soltanto un po’- precisó Takeshi, perforato dallo sguardo minaccioso del numero dieci –...credo che potrebbe fargli persino bene.-

 

La pallonata atomica del Kaiser schizzó inavvertitamente nella metá campo del gatto e la volpe, sibilando a pochi centimetri dalla nuca di Hermann.

-Eh , allora ditelo che ce l’avete con me oggi- Proruppe quello, indignato –è giá la seconda volta che tentate di farmi fuori, carogne.-

-Sei una pippa, dovevi mirare con piú precisione- Bofonchió Genzō rivolto al capitano, che era corso verso di loro per recuperare il pallone.

-Senti, ma non è il tuo “amico” quello che sta arrivando?- Esclamó lui indicando un punto all’orizzonte e sottolineando con particolare enfasi la parola “amico”.

-Lupus in fabula…- commentó Hermann, schermandosi gli occhi per riuscire a intravedere meglio la figura che si stava avvicinando.

-Eccapirai…- sibiló Genzō fra i denti, schioccando la lingua.

In un attimo si infiló il suo collaudato scafandro dell’imperturbabilitá e con espressione indecifrabile fissó Kojirō, che per raggiungerlo stava attraversando il campo a grandi falcate. Figurarsi se avrebbe perso tempo a rifarsi vivo. Non che la cosa lo sconvolgesse, non era certo la paura del confronto che lo stava innervosendo, dopotutto era abituato ai loro alterchi; peró aveva il vago sentore che il rivale stavolta non l’avrebbe preso troppo sul serio con quella vocetta da eunuco che si ritrovava, e lui non ci teneva proprio a diventare l’oggetto di scherno di quel morto di fame. Giá lo sfotteva quando si trovava in condizioni normali, ma cosí poi era come servirgli comodamente la sua testa su un piatto d’argento.

Poco male, pensó infine, se si fosse fatto beffe delle sue parole avrebbe preso sul serio almeno i suoi montanti.

A parte il mordicchiarsi di tanto in tanto il labbro inferiore, null’altro nel suo viso lasciava trasparire le sue reali emozioni, ma Kaltz, all’erta come un segugio, osservandolo attentamente di sottecchi si era accorto di quel piccolo gesto che tradiva la sua inquietudine, e gli disse per sdrammatizzare:

-Se vuoi ti doppio io.- Genzō si voltó a guardarlo con gli occhi a palla sinceramente sorpreso, esclamando:

-Ma che sei, telepatico? E comunque, peccato che tu non sappia il giapponese, altrimenti potrei anche prendere l’idea in seria considerazione.-

-Senti, noi ci eclissiamo. Cercate di non dare troppo spettacolo e, nel caso avessi bisogno, sai dove cercarci- disse Schneider, lanciandogli un’occhiata esausta mentre si allontanava verso l’altra metá campo. No, decisamente non doveva essere tanto in forma neanche lui, pensó il portiere per una frazione di secondo prima di essere distratto da Hermann, che gli ricordó di cacciare un urlo per chiamare aiuto, aggiungendo poi -…anche se prima che ti senta qualcuno avrá tutto il tempo di gonfiarti come una zampogna.- Coppino canonico da parte di Genzō e finalmente pure la scimmia evaporó.

 

Kojirō l’aveva ormai raggiunto, e gli si era parato davanti a gambe larghe con una faccia che non prometteva nulla di buono.

-Chi si vede, non ti sei ancora dato fuoco?- Lo accolse affabilmente il numero uno dell’Amburgo, maledicendosi l’attimo dopo aver parlato. Non riusciva proprio a dare un tono dignitoso a quella voce abominevole.

-Cosa stai farneticando?- Trilló Kojirō, giá con un sopracciglio alzato e un mezzo ghigno che iniziava ad increspargli le labbra.

Caló il silenzio per un istante. Il portiere non si azzardava ad aprire bocca, nonostante avesse le parole sulla punta della lingua, dal momento che farlo con quella voce equivaleva ad una specie di suicidio verbale.

L’attaccante, dal canto suo, aspettava incuriosito la sua prossima mossa, perché quello che aveva sentito l’aveva divertito non poco. I due si guardarono di traverso e Genzō, sospirando, decise di sacrificarsi e parlare, dopotutto quel silenzio era ancora piú snervante.

-Che sei venuto a fare? Se cerchi rogne sei nel posto giusto.-

Kojirō trattenne a stento una risata. Ringrazió mentalmente l’entitá celeste che quel giorno aveva dotato il suo acerrimo nemico di una parlantina tanto comica, perché probabilmente ci avrebbe messo piú  del previsto a farlo sclerare, consentendogli magari di mantenersi compassato addirittura fino alla fine. Chissà, quell’imprevisto poteva rivelarsi un aiuto provvidenziale  per controllare i nervi e reprimere le sue attitudini violente, permettendo alla sua parte “diplomatica”, se mai esistesse, di prendere il sopravvento.

-Para un po’ questi, surrogato di portiere, e dammi una ragione per cui non dovrei pestarti.- E cosí dicendo si infiló una mano in tasca afferrando alcune banconote, che gli gettó letteralmente addosso. Genzō non si mosse di un millimetro lasciando che il denaro frusciante gli atterrasse ai piedi, e replicó:

-Senti, voglio darti un consiglio. Fatti una vita, non stare sempre appresso a me e piantala di atteggiarti. Non me ne frega un cazzo dei tuoi soldi, se sei venuto fin qui solo per questo vedi di prendere il largo.-

Sotto il suo sguardo sprezzante e quell’aria da mitomane la vena sulla fronte di Kojirō inizió a pulsare pericolosamente. Voce cazzuta o no, iniziava giá ad irritarlo. Come non detto, alla fine non ci aveva messo molto. Altro che lato diplomatico. Mera illusione quella di trovarne uno in lui.

-Atteggiarmi, io? Senti da che pulpito…se non vuoi che ti smonti, raccoglili.- Gli disse in tono perentorio, scrutandolo con gli occhi a fessura. Ormai la sua collera stava scalando inesorabilmente i livelli di guardia.

-Sei ininfluente, Hyūga. Come i tuoi soldi. Riprenditeli e vattene.-

Benché avesse pronunciato quelle parole in un tono piuttosto ameno, in stile “esalazione dell’ultimo respiro”, a Kojirō non fecero ridere affatto e si sentí improvvisamente salire il sangue alla testa; prima che potesse rendersene conto, aveva giá caricato un gancio in direzione della sua intollerabile faccia da schiaffi.

Genzō peró fu piú veloce, e in quello stesso momento il pugno che aveva in cantiere da quando lo aveva visto arrivare si infranse sul suo zigomo, prima che l’altro facesse in tempo anche solo a vederlo.

 

 

 

 

 

Stavolta, stranamente, non ho note particolari da aggiungere, ma come di consueto ci tengo a ringraziare Zia Silen (adesso che mi hai autorizzato a chiamarti cosí non la finiró piú, lo sai, vero?), Berlinene e Pucchyko_Girl per le loro scoppiate recensioni a me graditissime^^

 

 

 

 

 

 

  
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