10880 Malibù Point, 90265.
Malibù Colony Road.
2013
Tony aveva gridato.
E lo aveva fatto a lungo.
Aveva continuato ad urlare fino a
quando la voce non si era estraniata dal corpo, divenendo un suono lontano dal
tempo, dalla realtà stessa. Aveva assunto una nuova forma, rovinosa e folle al
pari dei resti mastodontici della casa che crollavano tra la spuma ringhiante
del mare. Da qualche parte, nel cielo colorato di ruggine, gli elicotteri
ronzavano ancora: mosche nere, lucide, che sputavano veleno fiammante. Le pale
mulinavano nell’aria satura di salino, facendo spumare polvere e macerie, acqua
e vento.
“Dobbiamo andare.”
La voce di Colin si aggiunse alle
urla, pur non sovrastandole del tutto. Le mani ancora livide si chiusero
attorno all’avambraccio di Stark, lo trascinarono via di peso –Quasi lo
buttarono a terra, contro l’asfalto ruvido, contro la strada attraversata da
bubboni di catrame affilato, ridente sotto il sole malevolo.
“Stark. dobbiamo andare!”
Tony non seppe esattamente cosa mosse
il torso, né la schiena. Nemmeno le braccia o le dita che si chiusero a pugno,
cozzando poi contro la mandibola irsuta dell’Agente. Al primo colpo ne seguì un
secondo e Colin, ripresosi dalla sorpresa, scattò. Gli occhi azzurri erano
ferro, ardevano come fuoco: si mosse più veloce del pensiero, i suoi gesti
riflessi di mille gesti sempre uguali, impressi nella memoria e destinati a
durare oltre lo scorrere stesso degli anni.
Artigliò il polso del magnate –Che,
da parte propria, ebbe appena la percezione del proprio corpo sbalzato sopra le
reni, quindi la schiena, infine le spalle dell’Agente, per poi rovinare sulla
spina dorsale. Il dolore morse i nervi, strappò lamenti ai muscoli contratti.
Invece di arrendersi, o anche solo
capire che sprecare minuti preziosi a darsi battaglia equivaleva a stendere un
tappeto rosso di benvenuto agli aguzzini in elicottero, Tony tese il braccio
destro sull’asfalto e vi puntellò sopra il palmo sinistro, dando un calcio alla
caviglia di Colin perché perdesse l’equilibrio.
Dalla bocca di questi eruttò un verso
sorpreso, seguito da un grugnito rabbioso –Avvisaglia dell’assalto che vide
Stark schiacciato contro la strada, una mano alla gola dell’Agente, l’altra a
spingergli via il volto, a tenerlo lontano così come il pugno che Hendrick, a
gomito piegato, stava per sferrargli allo zigomo.
“Avresti dovuto salvare lui!” abbaiò il magnate, ruggendo saliva e fiato
bollente “Lui era un uomo mille volte migliore di me!”
“Lui non era la mia missione!”
l’altro.
Cristallizzato ancora nell’istante di
incrinargli ogni singolo osso della faccia, Colin parve riflettere su ciò che
aveva appena detto. Un guizzo azzurro attraversò le iridi confuse, cedendo poi
il posto ad un’espressione più sicura. Davanti agli occhi di un esterrefatto Iron
Man, l’uomo deglutì, abbassò il capò e si rialzò.
E Tony, spinto da un rinnovato
fervore religioso, ringraziò ogni divinità ultraterrena esistente.
Tralasciando, per ovvi motivi, la cricca asgardiana.
“Devo tenerti al sicuro.” Colin gli
porse la mano, aiutandolo a rimettersi in piedi “E’ questa il mio compito.”
Il
magnate si limitò a contrarre la mandibola e girare la testa verso la
frana di roccia che lentamente compiva l’ultimo canto del cigno, in un tripudio
di marosi.
“Allora direi che è il momento giusto
per trovare la soluzione al problema, Hendrick. E prendere una bella A.”
Località Sconosciuta.
Cella Di Sicurezza.
2011
“Pater
noster, qui es in cælis: sanctificétur Nomen Tuum: advéniat Regnum Tuum: fiat
volúntas Tua,sicut in cælo, et in terra. Panem nostrum cotidiánum da nobis
hódie, et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus
nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem; sed líbera nos a Malo.”
La preghiera si sciolse e divenne silenzio. Non un
suono, oltre il respiro. Non un movimento, oltre il pulviscolo che gli roteava
piano davanti agli occhi.
Un attesa in piena sospensione. Un respiro
trattenuto.
Lo stallo sulla scacchiera. La prossima mossa
avrebbe deciso l’esito della partita: mangiare od essere mangiati, la giungla
di marmo e tasselli. Bianco e Nero. Giusto e sbagliato.
Qualcosa –Molto- era cambiato. Il mondo non aveva la
seconda delle sue facce: l’aveva mutata, semplicemente. La bocca maligna, ecco,
ora era un sorriso rassicurante. La mano chiusa a pugno teneva nascosta nel
palmo una pillola di violenza indorata. Il nemico era l’amico che ti appoggiava
la mano sulla schiena, conficcando il pugnale negli interstizi delle vertebre.
L’orrore si ammantava di buoni propositi e fetida
ferocia. Penetrato a fondo nella realtà dell’oggi, aveva cancellato dalla mente
le atrocità di ieri: servizievole, aveva chinato la testa, si era offerto di
aiutare e aveva versato del veleno nel calice del mondo.
Serpe infida dalle mille teste, due alla volta
avevano fatto capolino nella folla, avevano bisbigliato parole di caos al loro
orecchio, avevano prestato ai popoli la loro lingua perché diffondessero
unicamente Verbo di inimicizia.
Negli occhi di Gail aveva visto la comprensione. La
speranza. Si era aggrappato ad essa, per essa avrebbe combattuto.
Avrebbe resistito. Si sarebbe ribellato.
Serrò le palpebre, abbassò la fronte sulle dita
incrociate.
“Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla…”
Da qualche parte sulle autostrade americane.
Notte Fonda –Forse prima della mezzanotte.
2013
O meglio, recuperare un rotolo di documenti e
banconote da uno scomparto nascosto del cruscotto, poi buttare la macchina in mare.
La reazione di Tony, inutile dirlo, non era stata
delle più contenute. Se non fosse stato per l’immagine ancora nitida del pugno
di Hendrick ad un passo dal proprio setto nasale, lo avrebbe preso volentieri a
botte. La calma disperata –Il vuoto divorante, meglio dire- che lo aveva
agguanto quando anche l’ultimo rimasuglio della Stark House era crollato in
acqua erano evaporati come fumo. Il tonfo della lamiera contro gli scogli e poi
lo sbuffo metallico della spuma erano stati lo spillo che aveva fatto esplodere
il palloncino della traballante calma interiore.
Se si concentrava, Stark poteva vederne i brandelli
per la strada.
“Perché lo hai fatto?” aveva sibilato, inviperito
come non mai, tremando da capo a piedi.
“Perché lo S.H.I.E.LD. ci rintraccerebbe.”
Tony aveva annusato il lezzo del tradimento già
dall’omicidio di Fury, tuttavia la conferma di quei sospetti da parte di Colin
–O quanto meno la conferma che non era il solo a pensare che lo S.H.I.E.L.D.
fosse stato compromesso- lo fece sentire meno solo. O comunque meno affetto da
gravi manie di persecuzione. Gli attacchi di panico, è vero, non erano ancora
risolti, ma, ehi, un passo alla volta.
La situazione, comunque, rimaneva desolante.
Se non era più possibile fidarsi –Anzi, affidarsi alle forze numeriche e armate
dello S.H.I.E.L.D., ora che la casa era distrutta e le armature chiuse a chiave
a Manhattan, le possibilità di scamparla senza finire in un loculo
dell’obitorio si riducevano drasticamente.
Thor era ad Asgard, e Tony era piuttosto sicuro che
WhatsApp non fosse tra le applicazioni preferite delle divinità iperuraniche.
Natasha era chissà dove, con chissà chi e Dio solo
sapeva a fare cosa. A pensarci meglio, forse nemmeno Dio era a conoscenza
dell’ubicazione della compagna Mastico-Latino-E-Trangugio-Vodka-Da-Vera-Signora-Da.
Agente era diventato uno spiedino e la lama che lo
aveva trafitto al cuore aveva scavato un bel buco nella testa di Becco Di
Falco.
Pepper era all’ospedale.
Happy e Rhodes…
Alla fine dei conti, rimanevano soltanto lui ed un
Agente di Livello Sei presumibilmente braccato quanto lo era lui stesso. Una
grama prospettiva che migliorò di qualche punto quando il buon Colin –Il
buonissimo, rettissimo Colin Hendrick che andava alla messa tutte le domeniche
ed era in grado di recitare a memoria ogni preghiera in latino mai scritta od
anche solo vergata da qualche amanuense mezzo cieco- aveva rubato una macchina.
Una utilitaria come tante se ne vedevano in giro e
la cui unica prerogativa speciale era di avere un pacchetto di mentine sotto il
sedile del passeggero. Tramite un dispositivo di occultazione Colin cambiò la
numerazione della targa ed il colore
della carrozzeria, di modo che non fosse più riconoscibile, né fosse possibile
trovarla.
Dove hai imparato a rubare macchine, Pastore?”
“Germania.” Aveva risposto Colin, con un sorriso
divertito –Diverso da qualsiasi altro l’Agente gli avesse mai rifilato durante
la sua permanenza “Era questione di vita o di morte, naturalmente.”
“Naturalmente.”
Al mezzo di trasporto erano seguiti i vestiti
–Questa volta comprati regolarmente, da uno sfolgorante Bryce Jensen, come si
era presentato alla commessa.
Niente di troppo chiassoso, né paccottiglia di
turisti. Due felpe dal primo negozio, poi quattro paia di pantaloni in un negozietto
pakistano, magliette in numero di sei da una signorina dalla minigonna tanto
corta da sembrare una cintura e chewingum rosa fragola che dondolava dai denti
alle guance, dalle guance ai denti, dai denti alle guance.
Previdente come una nonnina, Colin aveva comprato
anche intimo e maglioncini di lana.
Adesso erano in macchina ed il paesaggio scorreva
oltre i finestrini come un nastro di colori sempre diversi. Anse e pieghe,
ritorcimenti, nodi, ognuno di essi era un particolare totalmente mutevole e
mutato rispetto a quello che lo aveva preceduto.
L’aria calda che usciva dai bocchettoni fischiava
loro in faccia, facendo ardere le guance di Tony, facendolo cadere in singulti
di torpore e veglia. Dapprima distanziati l’uno dall’altro il breve tempo di un
respiro, presto divennero sempre più lunghi, fino a quando Stark non chiuse gli
occhi col sole del primo pomeriggio tra le ciglia e li riaprì che già il
tramonto stava piangendo la sua dipartita in lacrime rosse e oro.
E Tony si accorse di non provare nulla.
Non aveva più rabbia, in corpo, e nemmeno dolore.
Richiuse gli occhi, cercando nel vuoto più assoluto della propria anima qualche
bisbiglio di emozione, un qualsivoglia sussulto di sentimento: gli rispose
unicamente l’eco del silenzio, nulla più di una squallida e piatta bonaccia
spirituale.
Era convinto di svegliarsi in preda al panico,
incapace di respirare, incapace di muoversi, pur dibattendosi e lottando contro
i polmoni chiusi e la gola divelta. Se non il panico, certo il furore l’avrebbe
sconvolto e si sarebbe trovato con le mani alla gola dell’Agente ancor prima
che questi potesse fare, o agire, o contrastare la sua ira –Una disperazione
tanto profonda da farli esplodere contro il guardrail, tanto distruttiva da
fagocitare ogni cosa in un tumulto di lamiere per poi rilasciarlo in un boato
di fiamme e carne dilaniata.
Aveva finanche messo in conto la possibilità di
sciogliersi in lacrime come un bambino piagnucoloso e distruggersi la spina
dorsale a causa degli sconquassi provocati dai singhiozzi.
Invece, l’unica sensazione che gli arrivava al
cervello era il peso dello stesso dentro il cranio, una spinta continua e
fastidiosa contro la fronte. A stento gli arrivava addosso il rollio ronzante
delle ruote sull’asfalto ed il sibilo delle auto che li superavano dall’una e
dall’altra parte.
“Sei semplicemente saturo di dolore e lutto.” La
voce di Colin attraversò l’anestesia cerebrale simile ad una mano che si posi
sulla spalla, in gesto di conforto “Devi solo elaborare il tutto.”
Stark non rispose, non girò nemmeno gli occhi, non
lo rimbeccò, non cercò alcun contatto. Gli pareva di essere estraniato dalle
proprie membra: un burattino a cui avessero appena tagliato i fili e che
giaceva, scomposto e abbandonato, in una cassa polverosa, dimenticata da tutti.
Tic. Tic. Tic.
Il battito della freccia. Una stazione di servizio,
con bar, bagni e docce, alla loro destra.
“Dobbiamo darci una sistemata.” Continuò “Qualcosa
da mettere sotto i denti. Via questa polvere di dosso, poi saremo pronti per
decidere un piano di azione.”
L’asciugamano di spugna dozzinale gli capitombolò in
faccia che ancora era fermo, immobile a guardare lo scivolare delle macchine
oltre il parcheggio, nella notte crescente.
Fu quello, un grugnito borbottante e piccato, il
primo segno di vita che Tony riuscì a far nel buio della coscienza
addormentata.
“Ti prenderai un malanno.” Spiegò Colin, sedendosi
sul marciapiede accanto a lui “Asciugati i capelli.”
Hendrick doveva aver usato i phon da quattro soldi
conficcati nelle pareti sbeccate e il cui getto non avrebbe nemmeno scalfito la
casetta di paglia dei tre porcellini: i capelli biondi erano scarmigliati, con
una buffa onda che si arcuava sopra la fronte per solleticargli la tempia;
aveva indossato una delle t-shirt prese al secondo spaccio e sopra una camicia
a quadrettoni rossi e bianchi, con le maniche sopra il gomito. Un abbigliamento
che lo faceva rassomigliare ad uno zotico bovaro del Texas,
“Fa lo stesso.” Sussurrò Tony e le parole uscirono a
pezzi dalla bocca, roche e gracchianti per essere rimaste troppo ore impigliate
nelle corde vocali “Non importa.”
“Certo che importa.” Lo contraddisse l’Agente,
piegando le ginocchia fasciate nei jeans lisi e raccogliendo l’asciugamano che
Stark si era appallottola sulle ginocchia “Se non lo fai tu, lo farò io.”
“Come ti pare.”
Sospirando, Colin gli appoggiò la spugna sulla
sommità della testa e cominciò a frizionare con vigore, attento a non sfiorare
neanche per sbaglio i capelli dell’altro con le dita.
“Ti arrendi?”
“Non sono affari tuoi, Hendrick.”
“Ti stai arrendendo. Stai gettando la spugna. Stai
facendo vincere i tuoi avversari senza nemmeno combattere. Questo non è l'Iron
Man che conosco. Che mi ha ridato speranza quando il cielo stava crollando su
tutti noi.”
“Hai ragione.” Stark lo allontanò con violenza, si
strappò l’asciugamano dalla testa e lo
gettò in strada “Iron Man è rimasto bloccato nel cratere sopra New York. E’
morto sei mesi fa. E’ morto.” Ripetè “E non tornerà indietro.”
Colin non si fece impressionare. Pacato
–Fastidiosamente pacato, così pacato che riuscì a stento a controllare
l’istinto di spaccargli la faccis-, si rimise in piedi e lo guardò con il mento
appena alzato, le spalle larghe, il petto in fuori –Autoritario come non era
mai stato fino a quel momento.
“Allora resuscita.”
Cypress Avenue, Queens NY,
Cascada Bar.
2013
Il locale era affollato.
Tacchi sospiri frusciare di gonne stridere di
cinture mani respiri fiato voci alta bassa baritono soprano tintinnio del
bracciale contro il polso cavigliera tesa al limite una curva di pancia che
crolla sulla vita scarpe basse scarpe comode scarpe scomode gemito trattenuto
bicchiere contro bicchiere liquore contro bicchiere liquore contro ghiaccio
paletta contro ghiaccio Ecco a voi singhiozzare balbettante di scontrini tap
tap sulla cassa battere di tasti drin clash crash frash frush scopettone bagno
acqua che scorre Capisci che indecenza Mi ha lasciata lei Pensi che dovrei
richiamarlo Il conto No io avevo chiesto la brioche con la crema denti che
scavano nella marmellata farcitura intensa odore di gomma da masticare
formaggio andato a male mele profumate frutta scaduta marcio e buono lordura e
pulito polvere disinfettante detersivo per i---
“Buongiorno. Posso aiutarla?”
Il tono era piuttosto titubante. Insicuro –Chiedo o
non chiedo? Lo disturberò? Come mai sta in silenzio? Non si sente bene? E’ solo
pazzo? Profumo gentile, delicato –Un regalo. È troppo costoso perché lo si possa comprare con
le poche mance da cameriera. Un anello d’oro contro la pelle –Ah, regalo di
anniversario. Ecco cos’è il profumo. La matita dietro l’orecchio, grattare del
tappo contro la tempia. Denti a mordere il labbro inferiore. Il primo stralcio
di sudore, pizzicorio di angoscia e disagio.
“Un cappuccino e una fetta della vostra torta alla
cannella. Me ne ha parlato un mio amico che vive a pochi passi da qui. La
migliore del Queens.”
Non c’è. Non c’è odore di cannella. Molte torte, ma
nessuna con la cannella.
Il televisore ronza e sputa e vomita suoni
graffianti esplosioni fragore di distruzione mentre riporta la notizia dell’attacco
a casa Stark –Battiti diversi, diverse emozioni. Una persona sconvolta, una
grata. Disinteresse. Terrore. Macabro senso di giustizia.
Non è morto. Non ci pensare. Non ci pensare. Non
ora.
Che il Diavolo se lo
porti.
Concentrati. La cannella. La torta alla cannella di
Cypress Avenue. La torta alla cannella di Cypress Avenue, inflessione quasi
impercettibile di Brooklyn mescolata ad una cadenza che ancora non è in grado
di sistemare in un complesso puzzle di assonanze e concordanze. Non americano.
Non del tutto. In parte. E quella oh così infinitesimale parte, da dove viene?
“Ahm.”
Esitazione. Il battito cardiaco aumenta, un topolino
in trappola, stretto in un angolo “La
torta alla cannella, dice? Mi dispiace. E’…Era” Passato? Tristezza e lutto? “Della
madre del proprietario. La faceva tanti anni fa, noi non la teniamo più.”
Da qualche in America, lontano da L.A.
Stazione di Servizio.
2013
“Felice di vedere che ti unirai alla conversazione.”
Tony si chiese quanto fosse professionale spaccare
il naso di un proprio dipendente con un pugno. Si chiese anche come fosse
possibile che un proprio dipendente riuscisse a farlo uscire dai gangheri in
maniera così magistrale: probabilmente aveva seguito un corso apposito,
altrimenti non era in grado di capacitarsi della sua precisione al limite del
puntiglioso per azzeccare giusto tono e parole giuste per fargli salire il
sangue al cervello e schizzare di rosso tutte le pareti, nessuna esclusa.
Già il discorso di prima, fuori dai bagni, era stata
una carognata. Tony odiava i giochetti psicologici: Pepper li usava per
convincerlo a smettere di bere o per non comprare società che, a suo dire,
erano del tutto inutili ai fini economici dell’azienda. Non che funzionassero,
beninteso, e c’era sempre una bottiglia nuova nascosta nella scrivania, nella
credenza, in qualche cassetto, ovunque in casa, in posti strategici in cui non
sarebbe mai andata a guardare.
In quanto alle società, Stark aveva notato con una
buona dose di soddisfazione che ne aveva comprato più o meno una per ogni
lettera dell’alfabeto.
Il giochino di Hendrick, però, era stato odioso. Le
sue parole si erano conficcate nel costato e avevano trapassato i polmoni.
Camminando inebetito tra le macchine lucide di brina e nevischio sciolto, Tony
era stato colto dal panico e le ossa avevano cominciato a gemere,
scricchiolare, il cuore raffreddarsi nelle vene. Respirare? Nemmeno ricordava
come si facesse. La bocca spalancata non traeva ossigeno e sputava rantoli,
vomitava fiato purulento. Le gambe cedevano ad ogni passo, le ginocchia si
slegavano dalle articolazioni, crollavano in avanti, dotate di vita propria, e
i piedi scivolavano, inciampavano nei nodi di una realtà disciolta, liquefatta,
che gli si impigliava alle caviglie e gli faceva perdere l’equilibrio.
Allora sì che la morte di Happy gli aveva sbranato
lo sterno e divelto il bacino. Non vi aveva assistito, aveva unicamente visto
la ricostruzione in digitale del Chinese Theatre, eppure ebbe comunque
l’impressione di essere sbalzato all’indietro, di essere investito dalla
deflagrazione, dalle fiamme e dalla cenere.
Vide Happy e la pelle staccarsi dalle ossa, i
muscoli lacerarsi, gli arti strappati e squarciati dalla bomba –Quand’è che una bomba non è una bomba? Quand’è
che una bomba è una bomba? Quand’è che una non bomba non è una bomba? Quand’è
che sono divenuto così cieco, così indifeso, così inutile, così debole, quand’è
che sono diventato meno di niente, quand’è che sono diventato meno di me
stesso? Quand’è che una bomba che non è una bomba è scoppiata dentro la mia
anima e l’ha uccisa e l’ha fatta a brandelli? Quand’è che sono morto ben oltre
il mio corpo fisico?
C’era stato un tempo in cui la paura era solo
qualcosa da annegare con l’alcool e dimenticare con una donna diversa ogni
notte. Un tempo in cui la paura era un lusso che non poteva permettersi,
un’espressione che non poteva mostrare al mondo: un tempo in cui era marionetta
e maschera, col sorriso scanzonato e i gesti irridenti. Un tempo in cui Happy
lo tirava fuori dai guai. Un tempo in cui Rhodes era il suo migliore amico e
compagno di bevute, un tempo in cui Rhodes non era svenuto, un tempo in cui
Rhodes non cadeva con la polvere, un tempo in cui il suo corpo non veniva
inghiottito dallo scroscio ruggente delle onde.
Stark ingoiò un sorso d’aria, prima che il terrore
tornasse ad avvampargli la carne di brividi gelidi. Deambulare come un idiota
per un imprecisato lasso di tempo gli era bastato, non intendeva replicare. Se
era tornato in sé era stato unicamente in virtù del ben di Dio che Colin aveva
appoggiato sul tavolo unto della stazione di servizio, una piramide unti di
intrugli al sapor di plastica che aveva visto attraverso il vetro opaco della
zona ristorazione, mentre deambulava alla stregua di un morto vivente tra le
strisce bianche dei parcheggi.
“Ti pago per portarlo il caffè. Non per berlo.”
Colin drizzò gli occhi azzurri su di lui, sardonico
e con l’aria di un padre che si trovi sul punto di fare una ramanzina degna di
nota al moccioso sbavante che costituisce la sua prole.
“In realtà quelli sono per te.” Fece l’Agente,
indicando i panini e i condimenti e persino un muffin con scaglie di cioccolato
“Sono senza glutine. Potremmo essere crivellati di pallottole, ma almeno non morirai
per shock anafilattico.”
“Oh.” Fu l’unica cosa che Tony riuscì a mettere
insieme, diviso tra l’essere stupito dal gesto e l’essere disgustato dalla
battuta per nulla umoristica che il campione di pilates aveva sputato dalla
mascella volitiva.
Si sedette ancor prima che Hendrick gli facesse
cenno di accomodarsi ed artigliò il primo hamburger, facendo scrocchiare la
carta nel toglierlo dall’involucro impregnato di olio.
“Abbiamo bisogno di un piano.” Esordì Colin, addentando
il panino con affettato.
“Aspetto suggerimenti.”
“In realtà, considerando i dati che hai raccolto
sull’esplosione che ha…Coinvolto
anche il signor Hogan, credevo che un piano lo avessi almeno abbozzato.”
Stark rimase immobile, la bocca ancora aperta e sul
punto di tranciare a metà la carne sugosa.
“Come sapevi che stavo facendo delle ricerche a
riguardo?”
Colin mostrò un certo disagio –Non era un tipo cui
piaceva mentire, questo Tony lo aveva capito. Era un tipo schifosamente retto e
corretto. Corretto non come un buon caffè, bensì di quel buonismo zuccheroso e
da ecologista che tanto lo mandava in bestia.
“Ho studiato il tuo profilo psicologico.” Rispose poi
“So che non ti saresti fermato –Lo speravo. Inoltre, ho tracciato una parte dei
tuoi file system. Poi J.A.R.V.I.S. mi ha bloccato e ha distrutto qualsiasi cosa
nel mio terminale.” Prese un sospiro “Non sono un tuo nemico, Tony. Puoi
fidarti di me.”
Il magnate contrasse la mandibola e strinse le dita
attorno all’hamburger: le nocche sbiancarono, la pelle si fece livida.
“Andiamo a Rosehill. E se hai studiato il mio
profilo psicologico, Hendrick, dovresti sapere che l’unica persona di cui mi
fido è stata dichiarata dispersa in azione ormai settant’anni fa.”
Località Sconosciuta –Molto probabilmente New Jersey.
Sotterraneo.
2011
“No, Zola. È riuscito a contrastare il
condizionamento di Faustus e non risponde più alla terapia. Il suo sangue è
inutile, non riusciamo ad estrapolare un solo elemento valido. Droghe e
anestetici…Il suo organismo vanifica troppo in fretta, non importa la dose. Il
progetto di creare un esercito deve considerarsi fallito. Concluso ancora prima
di cominciare.”
“Forse non ti servirà un esercito.” Nel tono dello
svizzero si udì una risata metallica “Forse vi servirà un uomo solo.”
“Un uomo solo?”
“Lui,”
“Ti ho appena detto---“
“Non servivano le droghe. Bensì qualcosa di più raffinato.”
“Ossia?”
“Un vecchio progetto. Una vecchia idea che, ahimè,
complice la debolezza della mia cavia non sono mai riuscito a concretizzare.
Per tua e nostra fortuna, esso non è andato perso con il mio corpo ed è ancora
intatto nella mia mente. A disposizione, pronto per essere attuato affinchè il
nuovo ordine di HYDRA possa finalmente sorgere.”
“Quale progetto, Zola?”
“Il progetto Soldato
D’Inverno.”