Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Roof_s    10/09/2015    1 recensioni
“Quindi voi due vi conoscete abbastanza bene!”
Sia io sia Catherine la guardammo, nuovamente a corto di scuse.
“No, non ci conoscevamo davvero” fece Catherine. “Harry ha... solo...”
“Ho suonato a casa sua” dissi.
Catherine mi lanciò un'occhiatina scocciata.
“Sì, ma solo per...”
“Aspetta un secondo” intervenne mia sorella. "Lei è la ragazza che ha organizzato la festa dove avete suonato tu e gli altri?”
Questa volta Catherine non si sforzò nemmeno di nascondere la propria espressione allibita.
“Ehm... Già, è lei” ammisi.
“Già, sono io” ridacchiò Catherine, imbarazzata.
Gemma rise. “Ora mi ricordo! Ma mi avevi detto che tra di voi non scorreva buon sangue, Harry!”
Con la scusa di voler mostrare una finta affinità tra noi due, Catherine mi rifilò un colpo al braccio che le riuscì straordinariamente violento.
“Ma non è affatto vero!” esclamò, fingendosi divertita.
“Oh, forse avevo capito male quando mi avevi detto che ero un insignific...”
Mi sentii pestare il piede con forza sotto il tavolo e le parole mi morirono in bocca. Catherine scoppiò a ridere e riprese a parlare: “Sono molto grata a Harry per aver accettato di suonare a casa mia con i suoi amici”.
“Sì, molto grata...” borbottai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un piccolo diverbio


Harry


 
La mia vita non era mai stata tanto noiosa come allora. I giorni si fecero più ripetitivi e monotoni che mai, e io arrivai quasi a pensare di non tornare a scuola per evitare di sprecare altre giornate inconcludenti.
Mi ero illuso, per un attimo, di aver finalmente rivoluzionato la mia vita aiutando Catherine Alexandra Cavendish a salvarsi dalle proprie paure. Ero stato sicuro, il giorno seguente, che lei avrebbe nutrito una certa riconoscenza nei miei confronti e che forse mi avrebbe rispettato e accettato.
Invece mi ero sbagliato alla grande, perché non solo Catherine sembrava ancora meno intenzionata di prima ad attaccare bottone con me, ma avevo addirittura l'impressione che mi guardasse con sospetto e timore. Probabilmente temeva che io fossi così spietato da voler divulgare i suoi segreti a tutta la scuola... Non sapeva che, però, io non ero affatto quel tipo di persona.
Era passata una settimana esatta dal fatidico primo giorno di scuola, lo stesso in cui avevo appunto salvato la mia coetanea dal suo istinto suicida. Era un altro piovoso lunedì di settembre, e sebbene una prima settimana fosse trascorsa senza grossi intoppi, la voglia di alzarmi quella mattina era scesa bruscamente sotto lo zero.
Varcai la soglia della scuola accompagnato da Haydn, che parlava concitatamente delle prove del pomeriggio precedente.
“... Nick deve tornare sul pianeta Terra, Elisabeth lo distrae troppo dalle nostre priorità” lo sentii dire distrattamente.
Annuii senza troppa convinzione e risposi: “Lo sai che la adora”.
“Certo, e non ho assolutamente nulla contro quella ragazza, ma...”, sbuffò con evidente stizza, “andiamo, Harry! È della band che si sta parlando, il nostro unico mezzo di evasione e riscatto!”
Camminando affiancai un gruppo di ragazze che sapevo appartenere alla cerchia esclusiva di Catherine Alexandra e notai lo sguardo indagatore del mio amico che sorvolava sulle tre alla ricerca della sua amata.
“Vorrai dire il tuo mezzo di conquista del cuore di Catherine Alexandra Cavendish, piuttosto?” scherzai, facendo bene attenzione a non farmi udire dalle tre snob che avevamo appena oltrepassato.
Haydn sbuffò contrariato. “Ancora con questa storia?! Perché non mi lasciate in pace?”
“Perché, Haydn, dovresti dimenticare quella ragazza, e lo sai perfettamente”.
“Ma lei è... è...”
Sospirai, stanco. “Fidanzata” completai. “E pure con un pezzo grosso della squadra di rugby”.
“Da quando Michael Grennan è considerato un pezzo grosso?” replicò Haydn con una nota di disprezzo.
Raggiunsi la porta della mia aula e lo fronteggiai con aria determinata. “Da quando si è guadagnato il ruolo di capitano della squadra e l'ha portata a vincere i campionati regionali per la prima volta nella storia della nostra scuola”.
Haydn sembrò afflosciarsi come una pianta morente. Mi scocciava dover giocare il ruolo del guastafeste, ma ero convinto — così come Nick e Will — che prima si fosse tolto Catherine dalla testa, e meglio sarebbe stato per la sua salute mentale.
“Con tutte le ragazze carine di questa maledetta scuola, perché mi sono preso una cotta proprio per quell'oca?” sibilò Haydn, abbassando lo sguardo sui propri piedi con aria frustrata.
Alzai le spalle e sorrisi tristemente. “Anche le ragazze che apparentemente non hanno nulla di speciale sono capaci di farti stare male, fidati” biascicai amareggiato.
Haydn tornò a guardarmi negli occhi e abbandonò la sua aria contrita.
“Felicity?” mi chiese timoroso.
Annuii e spostai lo sguardo altrove: non mi piaceva parlare di lei così apertamente. Ero abituato a tenermi tutto dentro, a non pronunciare mai il suo nome e a non mostrare quanto quella ferita aperta facesse ancora male.
“Be', si può proprio dire che siamo sulla stessa barca, amico” sospirò Haydn con fare saggio.
“Ne usciremo” gli garantii a voce bassa. “Ne sono sicuro. In qualche modo ne usciremo”.
La campanella squillò proprio in quel momento, prendendoci alla sprovvista. Alcune mie compagne di classe si affrettarono a rientrare nell'aula alle mie spalle e Haydn si tirò più su lo zaino sulla spalla sinistra.
“Bene, è ora di salutarci. Buona mattinata, Harry” disse.
Gli diedi una pacca e sorrisi. “Ci vediamo più tardi”.
Seguii le mie sciocche compagne di classe camminando a passo lento, sempre meno intenzionato a passare altre cinque ore in quella scomoda aula in cui mi sentivo uno sconosciuto. Spiai l'ora sul quadrante dell'orologio appeso in alto sopra la lavagna ancora sporca dal giorno prima.
Cercai con ogni sforzo di allontanare Felicity Skinner dai miei pensieri, ma trovai l'impresa più difficile del previsto. Ogni volta che pensavo a lei, la mia giornata prendeva inevitabilmente la piega storta.
Sospirai sconsolato e tirai fuori i libri della lezione di Storia della prima ora.
Felicity non era affatto popolare come Catherine, eppure sembrava ignorarmi con la stessa intensità. Ero riuscito a nascondere i miei sentimenti per un anno intero, sicuro com'ero che se si fosse saputo della mia cotta per lei, tutti ne avrebbero riso con disprezzo. Ma dopo mesi e mesi di occhiate sfuggevoli e controlli quotidiani su Facebook, alcune mie compagne di classe avevano scoperto il mio segreto e la voce era arrivata alle orecchie di Felicity.
Chiusi gli occhi, colpito da una nuova ondata di pura vergogna al ricordo del nostro unico faccia a faccia, in cui io ero stato a dir poco ridicolizzato davanti a fin troppi spettatori.
Ehm... Ciao, senti... ho sentito alcune voci su di te...”
“Buon giorno, ragazzi” salutò la professoressa dai lunghi capelli biondi e il sorriso amichevole che ci insegnava la materia più noiosa del mondo.
Il saluto venne ricambiato con particolare enfasi da parte dell'ala maschile della classe. La professoressa Bennet faceva sempre quell'effetto.
Ti chiederei di evitare di parlare di me o di... sì, ecco, esprimere queste tue idee, perché... sto uscendo con un ragazzo e non vorrei essere... associata a te, ecco”.
Il ricordo di quel suo monologo umiliante e delle risate che ne erano seguite mi fece arrossire fino alla punta dei capelli. Come potevo essere così idiota da sbavare ancora dietro a una persona del genere? Una persona che considerava i miei sentimenti delle idee!
Scossi il capo con fare rancoroso. Dovevo seguire gli stessi consigli che dispensavo a Haydn e gettare Felicity fuori dal mio cuore a calci.



Se all'inizio della giornata avevo avuto pochissima voglia di alzarmi dal letto e abbandonarlo in favore della scomoda sedia sulla quale avrei dovuto passare cinque ore, presto mi sarei ricreduto sull'apparente inutilità di quella mattinata. Infatti, a mia insaputa, stavo per dare il via a una serie di eventi che avrebbe cambiato per sempre la mia vita.
Accadde così che nell'intervallo i miei migliori amici non si fecero vivi e io rimasi in disparte a sgranocchiare il mio solito pacchetto di patatine, osservando attentamente chiunque passasse davanti alla scrivania sulla quale sedevo svogliatamente.
Non mi accorsi nemmeno, in un primo momento, del cambiamento nell'atteggiamento di alcuni ragazzetti di poco più piccoli di me, che improvvisamente si erano messi a sbirciare verso il fondo del corridoio alzandosi in punta di piedi. Solo dopo un attimo vidi arrivare Catherine Alexandra, seguita a ruota dalle sue cinque inseparabili migliori amiche, di cui conoscevo a stento il nome. Ma ciò che colpì maggiormente la mia attenzione fu lo sguardo gelido che la capo-gruppo mi rivolse. Mi fissò apertamente e si fermò poco lontano da dove mi trovavo io.
Controllai alle mie spalle, eppure ero sicuro che non ci fosse nessuno vicino a me. Catherine stava chiaramente guardando me, mi degnava della sua attenzione!
All'improvviso la vidi fare uno strano gesto repentino con la mano. Aggrottai la fronte, confuso dal suo strano atteggiamento. Poi lei ripeté il gesto e si fece più severa in volto.
Mi alzai dalla scrivania in tutta fretta, allarmato. Che cosa diavolo stava succedendo? Perché Catherine mi faceva segno di avvicinarmi a lei?
Non appena fui a meno di due metri dalla ragazza, però, la vidi rivolgersi alle sue amichette dicendo di dover tornare indietro per prendere alcuni fogli da consegnare in segreteria.
“Torno subito” tagliò corto, allontanandosi da loro e da me.
Una delle sue tirapiedi — forse si chiamava Olivia? — annuì piano e proseguì tirandomi una spallata ben poco elegante. Quando tutte e cinque se ne furono andate, accelerai il passo e seguii Catherine. Sbucai in un corridoio deserto che terminava con una larga scalinata scolorita che portava ai piani superiori. Catherine era ferma lì, le braccia incrociate al petto e uno sguardo torvo stampato in viso.
“A che gioco stai giocando?” domandai, scocciato.
Lei sbuffò con aria superiore. “Senti, voglio chiarire un paio di cosette con te, prima che ti passi per la testa di fare il grandioso”.
“Che cosa vuoi dire?” chiesi bruscamente.
Catherine ridacchiò, sprezzante. “Tu hai detto di essere un povero sfigato, e non posso darti torto. Ma conosco quelli come te”, e il suo sguardo si fece più ostile, “e so esattamente come funziona la vostra testolina malata. Tu vuoi aspettare il momento migliore per approfittare della mia... debolezza e rovinarmi e...”
Questa volta toccò a me scoppiare a ridere. “Che cosa?! Sei seria, Catherine?”
Lei sembrò farsi più rossa in volto. “Non usare il mio nome, tu non mi conosci!”
Ero stufo di essere trattato come un deficiente da delle ragazze troppo arroganti.
“Io non ho intenzione di fare nulla” sbottai, arrabbiato. “Ti ho aiutato spontaneamente, non mi aspetto certo di riscattarmi con la notizia del tuo suic...”
“Ssst!” fece lei improvvisamente. “Chiudi quella boccaccia!”
“E tu smettila di darmi ordini!” ricambiai con altrettanto disprezzo.
Catherine sembrò sul punto di scoppiare. Poi, però, prese un profondo respiro e soffiò l'aria fuori dai polmoni con forza.
“D'accordo... Harry Styles. Te lo chiedo con le buone maniere: tieni la bocca chiusa su quanto hai visto e prosegui per la tua strada” disse con voce particolarmente autoritaria. “E se proverai a fare parola con qualcuno del mio gesto, ti scatenerò contro l'intera scuola”.
Ci fissammo negli occhi per qualche istante, e avevo l'impressione che Catherine volesse farmi a pezzi e sbarazzarsi di me per sempre. Possibile che mi odiasse così tanto? Eppure io ero stato scioccamente convinto che il mio salvataggio potesse significare un silenzioso rispetto...
“Non l'avrei fatto comunque” mugugnai alla fine, arrendendomi alle sue condizioni.
Catherine Alexandra sorrise con una certa soddisfazione e si sistemò meglio sulle spalle la giacchetta rosa pallido.
“Molto bene”.
Mi superò senza nemmeno guardarmi negli occhi, proprio come se fossi fatto d'aria. Mi voltai per tenerla d'occhio, finché non sparì oltre la porta che conduceva alle classi del primo piano.
Se possibile, il mio umore era sceso di qualche altra tacca.



Non feci parola dell'accaduto con nessuno, non avrei sopportato l'idea di ritrovarmi contro Michael Grennan e i suoi compagni di squadra. Ma quando alla quarta ora mi avviai verso il piccolo campo sportivo di fianco a quello da rugby, notai con orrore che una delle altre due classi che avrebbero diviso lo spazio con noi era nientemeno che quella di Catherine Alexandra. Poi scorsi Haydn e Will seduti su una panchina, intenti a legarsi le scarpe da ginnastica, e il peso che gravava sul mio cuore si affievolì un po'. Li raggiunsi, lasciando per un attimo la mia classe riunita attorno agli scatoloni contenenti le palle da basket.
“Guarda chi si rivede!” esclamò Will, alzandosi e correndo sul posto per riscaldarsi prima dell'inizio della lezione.
Catherine Alexandra era pericolosamente vicina a noi. L'ignorai, deciso a non darle l'opportunità di fulminarmi con le sue occhiate piene di veleno.
“Non sapevo avessimo lo stesso orario di ginnastica” dissi, rallegrato dalla cosa: non avrei dovuto trascorrere le ultime due ore del lunedì a guardare torvo i miei compagni che formavano le squadre di gioco senza nemmeno includermi.
“Quest'anno abbiamo proprio avuto fortuna, eh, Haydn?” sghignazzò Will, accennando alla classe stanziata vicino alla loro.
Proprio in quel momento due delle amiche di Catherine Alexandra si voltarono e lasciarono vagare i loro sguardi arroganti su di me e i miei amici. Infine mi fissarono con tutta l'aria di volermi eliminare dalla faccia della Terra e scoppiarono in risatine stupide, che mi diedero la nausea.
Mi voltai verso Haydn e Will, i quali non avevano potuto fare a meno di notare quella strana reazione.
“Che gli è preso?” borbottò Haydn, perplesso.
“Lasciale perdere” replicai, sospettando il motivo di quelle risate di scherno.
“Sarah, Jane... andiamo, credevo aveste gusti migliori in fatto di uomini!” cinguettò una voce falsamente dolce.
Non potei trattenermi dal voltarmi: Catherine Alexandra mi guardava con un misto di disgusto e di gioia selvaggia.
Le amiche di Catherine Alexandra risero più forte e lei staccò i suoi grandi occhi verdi dal mio volto.
“Lasciamo gli avanzi a chi fa la fame” disse ancora con voce ben udibile.
A ridere, questa volta, non furono soltanto le sue amiche del cuore. Mi sentii ribollire dalla rabbia, era come avere una bestia imprigionata nel petto e pronta a uscire e divorare tutti. Avevo promesso a Catherine Alexandra di tenere la bocca chiusa sull'accaduto, era passata una settimana nella quale io non avevo assolutamente fatto cenno del suo tentato suicidio: perché, allora, si ostinava a volermi mettere i bastoni fra le ruote?
“Sei ancora sicuro che quella sia la ragazza con cui vorresti procreare, Haydn?” domandò Will, infastidito quanto me dalla sfacciataggine di quelle sei oche.
Il nostro amico scosse il capo e produsse un grugnito difficile da interpretare. Intanto io cercavo di calmarmi e di pensare che nel giro di pochi giorni Catherine Alexandra si sarebbe scordata di me e del nostro piccolo diverbio.
“Chissà perché, dopo cinque anni di liceo in cui lei non sapeva manco della nostra esistenza, ora all'improvviso inizia a prendersi gioco di noi...” rifletté Haydn a voce alta, spiando nel frattempo il fondo schiena della sua musa ispiratrice.
Aprii bocca, tentato come non mai di rivelare la verità ai miei due amici. In fondo, loro erano come fratelli per me, perché non avrei potuto renderli partecipi del mio piccolo segreto? Avrei potuto far giurare loro di mantenere il silenzio e nessun altro sarebbe venuto a sapere dei problemi di Catherine Alexandra...
Ma alla fine il buonsenso tornò a bussare alle porte della mia mente, e io richiusi in fretta la bocca e cancellai ogni maligno proposito. Se quella ragazza parlava sul serio ed era quindi davvero capace di rendermi la vita un inferno, preferivo obbedire ai suoi ordini ed evitare di complicarmi l'ultimo fatidico anno scolastico ad Holmes Chapel.
Il resto delle due ore di lezione si svolse di conseguenza nell'atmosfera più strana e disagevole che avessi mai sperimentato: da una parte c'erano due dei miei migliori amici, che non sospettavano nulla del patto stretto con la ragazza più popolare della scuola; e dall'altra parte c'era proprio la ragazza più popolare della scuola, che ogni volta che ne aveva l'occasione mi punzecchiava con risatine crudeli o sguardi feroci.
Alla fine della lezione di ginnastica, lasciai il campetto in fretta e furia, deciso come non mai a non incrociare nessuno sul mio cammino verso gli spogliatoi.



Haydn suonò un lungo fa diesis imbracciando la sua chitarra con un sentimento di amore quasi paterno e alzò gli occhi su di me, sorridendo.
“Allora, che ne dite?” domandò, al settimo cielo.
Annuii con vigore e mi lasciai andare a un sorriso felice.
“A me è parso un pezzo straordinario, Haydn. Complimenti, davvero!” mi congratulai.
“Sì, è proprio quello che ci serviva, ragazzi!” esclamò Nick, seduto dietro la sua mastodontica batteria composta ormai da infiniti piatti e tamburi di ogni dimensione. “Dobbiamo lavorare sul basso per gli adattamenti, ma io ho già un'idea per il ritmo...”, e prese a battere il tempo canticchiando il motivo che poco prima Haydn aveva suonato con la chitarra.
“E le parole” aggiunsi io. “Dovremo scrivere un testo adatto”.
“Credevo che questo compito spettasse a te” fece Will, strizzando l'occhio in un'espressione di complicità.
“Abbiamo bisogno di un testo graffiante e provocatorio, proprio come la melodia del pezzo” decretò Haydn con passione. “Questa sarà la musica adatta a feste ed eventi pubblici, la gente ci adorerà”.
Stavo per rispondere a quelle fantasie idilliache quando sentimmo bussare alla porta dello scantinato dove quasi ogni pomeriggio ci esibivamo. Una voce femminile al di là della spessa porta di ferro disse: “Nick, tesoro, c'è Elisabeth alla porta”.
Tutti e tre ci voltammo immediatamente a guardare il nostro batterista, che con uno sbuffò d'impazienza annunciò: “Eppure l'avevo avvisata che oggi sarei stato impegnato tutto il pomeriggio!”
Si alzò dallo sgabello e affrettò il passo per raggiungere l'uscita. Non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, Haydn espresse il suo malcontento.
“Non è possibile, quella ragazza è ovunque! Quando capirà che Nick ha anche altro da fare oltre a pomiciare con lei?”
“Parli così perché sei invidioso, Haydn!”
“Ma stai zitto, Will! Non m'interessa se voi siete fidanzati o single, voglio solo fare un buon lavoro con la band. E non vedo come possiamo riuscirci, se ogni prova è interrotta dall'arrivo di...”
“Elisabeth!” esclamai io, interrompendo il mio amico e salutando la ragazza bassa e dal volto ovale che aveva appena fatto il suo ingresso nello scantinato in disordine.
Quest'ultima avanzò in mezzo a cavi e amplificatori, tenendo stretta la mano di Nick nella sua, e sorrise al mio indirizzo. Elisabeth non era quella che si definiva una bella ragazza: non raggiungeva il metro e sessanta, i suoi occhi erano troppo sporgenti sul viso dalla forma allungata e portava un paio di occhiali dalle lenti talmente spesse da farla sembrare una rana. Nonostante ciò era davvero simpatica e divertente, e anche se esagerava nell'imporre la propria presenza al suo fidanzato, era piacevole sentirla elogiare le nostre capacità artistiche. Probabilmente era la nostra unica fan al momento.
“Ciao, ragazzi! Come vanno le prove?” domandò, interessata.
Haydn le sorrise e notai quanto quel gesto fosse forzato e insincero; per lui ogni distrazione era da condannare, anche quando si trattava di una fidanzata.
“Abbiamo in serbo tante sorprese” le rivelò Will, facendo scorrere le dita sulle corde spesse del suo basso. “E quest'anno è molto probabile che ci sentirai finalmente suonare dal vivo”.
Elisabeth si voltò verso il fidanzato con sguardo estasiato.
“Non me l'avevi detto, Nick!” esclamò, raggiante.
Lui si limitò a un'alzata di spalle e un timido sorriso, incapace di dire se le parole di Will potessero essere reali o no. Certo, avevamo fatto notevoli progressi dall'inizio del nostro legame artistico, ma non avevamo mai suonato davanti a più di due persone alla volta. Che effetto ci avrebbe fatto un vero pubblico? Eravamo davvero pronti a un giudizio esterno?
Io, dal mio canto, fremevo d'impazienza all'idea di salire su un vero palco e dare sfogo alla musica che sentivo quasi scorrere nelle mie vene. Mi addormentavo la sera immaginando come sarebbe stato ricevere scroscii interminabili di applausi, e mi svegliavo la mattina con una voglia matta di arrivare al pomeriggio per chiudermi nello scantinato della casa di Nick insieme ai miei migliori amici.
La mia vita, sotto quella prospettiva, non era poi così male.
“Ragazzi, sono felicissima per voi, dico davvero” disse Elisabeth, guardandoci uno a uno. “Ma oggi pomeriggio non sono passata per parlare di band o di concerti. Vorrei parlare con te, Harry”.
Misi su un'espressione sconcertata e fissai Elisabeth per qualche istante prima di annuire e seguirla mentre si avviava fuori dallo scantinato.
Elisabeth non era male e andavamo d'accordo, ma da quando veniva a casa del suo adorato Nick per parlare con me?
Mi chiusi la porta alle spalle e la guardai dritto negli occhi, in attesa che parlasse. Lei sorrise e disse: “Tua madre ha parlato con mio padre di recente. Dice che stai cercando lavoro”.
Lei sta cercando un lavoro per me, è diverso” sbuffai, annoiato da quella storia.
Elisabeth scrollò le spalle e continuò a sorridere serena. “Volevo solo farti sapere che potresti davvero aver trovato un impiego”.
“Davvero? E dove?”
“Nella panetteria di mia madre. Mia sorella sarebbe disposta a insegnarti il lavoro e a seguirti nelle prime settimane”.
Guardai Elisabeth di sottecchi, non del tutto convinto da quell'atto di bontà così inatteso. Conoscevo a malapena Elisabeth, perché sua sorella e sua madre avrebbero dovuto assumermi così facilmente?
Elisabeth sembrò leggermi nella mente e scoppiò in una risatina divertita.
“D'accordo, è vero: mia sorella ha un debole per te e sono sicura che questa cosa l'abbia convinta a fare uno strappo alla regola...”
“Come sarebbe a dire 'uno strappo alla regola'?” domandai, perplesso.
“Be', vedi, mia mamma non sta cercando impiegati. Non hanno davvero bisogno di qualcuno in negozio, ma tua madre è una cara amica di mio padre e questa cotta che mia sorella ha per te...”
La interruppi con un gesto delle mani. “Elisabeth, sei stata molto gentile a parlarmene, ma non sono interessato. Come ti ho già detto, è mia mamma che cerca un lavoro per me, non io”.
La ragazza annuì comprensiva e rispose: “Tua madre voleva lasciare il tuo numero di telefono ai miei genitori, ma io li ho convinti a lasciarmi parlare prima con te. Ero sicura che avresti detto queste cose”.
Sorrisi, divertito. “Sono così prevedibile?” scherzai.
“Senti, Harry, so che voi volete suonare e guadagnarvi da vivere in questo modo, ma non c'è nulla di male nel mettere da parte un po' di soldi con un lavoretto part-time mentre aspettate la vostra grande occasione”.
Sospirai, messo alle strette da quella logica impeccabile.
“Io ti lascio il numero di mia sorella, e tu sarai libero di decidere che cosa farne. Io, però, ti suggerisco di riflettere prima di rifiutare quest'occasione, e non solo per fare un piacere a tua madre” concluse Elisabeth.
Mi porse un pezzetto di carta piegato accuratamente e sorrise. Lo presi e lo infilai nella tasca dei jeans. Mia madre era riuscita a mettermi nel sacco: questa volta aveva mandato un'amica a fare il lavoro sporco per lei. Elisabeth era una ragazza modesta e sapeva che cosa voleva dire guadagnarsi qualcosa: lavorava da anni in una pizzeria poco fuori città e con i suoi soldi si pagava praticamente di tutto, dai viaggi ai libri scolastici.
“Grazie mille, Elisabeth” dissi infine con un sospiro.




 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Roof_s