Il
mio cuore nel palmo della tua mano
-
Ti sta d’incanto – esclamò la sarta mentre guardava soddisfatta il suo
capolavoro. Keira si guardò attraverso lo specchio girando su se stessa un paio
di volte.
-
Dici che a Sanji piacerà? – chiese alla donna. La sarta annuì aggiustandosi gli
occhiali sul naso. Poi le disse di stare ferma perché doveva sistemare l’orlo.
-
Sarebbe un pazzo se non gli piacesse – sospirò infilando l’ago nella bianca
stoffa. Gli occhi di Keira si specchiarono ancora nello specchio davanti a se,
mentre guardava il suo abito da sposa. Era bellissimo, semplice ed elegante
come amava essere lei. Dio, non vedeva l’ora di poterlo indossare davanti a
Sanji. Lui le avrebbe detto che era bellissima con quel suo sorriso così dolce,
e lei lo avrebbe baciato avvolgendogli le braccia al collo. Aveva sognato quel
giorno da così tanto tempo, che ora non credeva possibile che stesse per
arrivare.
-
Loren, secondo te... sarò una brava moglie? – chiese guardando la donna
inginocchiata che continuava a cucire. Loren alzò gli occhi facendo una piccola
smorfia.
-
Ti prego Keira, piantala una buona volta. Sarai una moglie fantastica, e anche
una madre fantastica – essere una madre... anche quello lo aveva sognato tanto.
Portare in grembo e poi cullare fra le braccia il frutto del loro amore... come
poteva essere così felice? La sua vita era perfetta, non avrebbe potuto
chiedere di meglio, ed era sicura che sarebbe stata sempre così. Sanji non
l’avrebbe mai fatta soffrire, perché lui l’amava più della sua vita. Anche se
non poteva fare a meno di pensare che in quei giorni era un po’ strano. Forse
era a causa del matrimonio, in fondo per quanto fosse un ragazzo sicuro di sé,
anche lui poteva provare ansia per quel giorno. Ma qualcosa nella sua testa le
stava dicendo che non era quello il motivo. Era assente, rimaneva sempre chiuso
nel suo ufficio sommerso da carte e vari documenti, e quando la sera tornava a
casa, non parlava mai se non fosse stata lei a chiedergli qualcosa. Non era mai
stato un tipo troppo loquace, ma a quei continui silenzi, non c’era abituata.
- Ehi a che pensi? – chiese Loren vedendo l’immagine persa nei suoi occhi.
Keira scosse la testa sorridendo.
-
A niente, solo non vedo l’ora che arrivi domenica – sospirò spostandosi una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non doveva farsi altre stupide
preoccupazioni, tutto sarebbe andato bene, non c’era nessuna ragione ad
impedire che fosse così, basta con i brutti pensieri, doveva solo farsi bella per
il suo ragazzo e organizzare un matrimonio da sogno. La sarta si alzò e le si
mise alle spalle.
-
Che ne dici se li alzi per la cerimonia? – sorrise mentre le sollevava i
capelli in una coda alta. Gli occhi di Keira si illuminarono.
-
Si, direi che così sono perfetti – si accorse di arrossire e iniziò a ridere
nervosamente come faceva ogni volta che era imbarazzata.
-
Sanji non sa quanto è fortunato – esclamò ancora la sarta accarezzandole le
spalle. La conosceva da quando era bambina, e mai l’aveva vista così felice come
da quando era entrato quel ragazzo nella sua vita. Non si era mai fidata
ciecamente di lui però, ma se Keira era contenta e serena, allora anche lei lo
era.
-
Bene, ora basta perdere tempo, togliti il vestito così finisco di cucirlo e domani
te lo riporto - C’erano ancora tanti preparativi da fare, e alla
cerimonia mancavano solo pochi giorni.
Sanji si tolse gli occhiali e si passò una mani
sugli occhi stanchi, avrebbe di certo dovuto fare una pausa, erano ore che
stava dietro quelle carte. Gettò le lenti sulla scrivania alzandosi dalla
poltrona. Quello che ci voleva era una boccata d’aria di mare. Adorava
passeggiare a piedi nudi sulla sabbia umida, lo riportava indietro nel tempo,
quando da bambino si divertiva a pescare i pesci con le mani. Mai che ne
beccasse uno poi...
Indossò la giaccia appesa all’attaccapanni, e uscì dallo
studio. Prima però dovette risolvere una piccola inerzia con un cliente.
Nonostante l’elevato status del locale, girava anche gente poco raccomandabile,
come in quel caso.
- Le chiedo di non alzare la voce – insistette il
biondo, ma l’uomo seduto al tavolo continuava
a fare di testa propria.
- Voi siete pazzi! Tutti questi Berry per una misera
porzione di sashimi? Siete dei ladri, ecco cosa siete! Ladri! – all’ennesimo
insulto, Sanji si avvicinò a muso duro al cliente.
- Stammi a sentire, ora ti siedi e mangi in
silenzio. Se solo provi a fiatare un’altra volta, ti prendo a calci in culo
finché non mi si spezza una gamba... ci siamo intesi – bisbigliò in modo da
essere udito solo dall’’uomo. Gli occhi del cliente si sgranarono mentre
piccole gocce di sudore andarono a ricoprire la sua fronte. Sembrava spaventato
da morire, ed erano bastate solo poche parole. Si sedette continuando a
guardare il direttore biondo che indietreggiò sorridendogli.
- Sono felice che abbia capito... le farò portare il
miglior sakè che abbiamo, per scusarci per il piccolo equivoco – l’uomo inghiottì
la sua agitazione mentre annuiva alle parole del biondo.
- Perfetto – e finalmente Sanji poté uscire da
quella piccola “prigione”.
Era grato al generale Edward, il padre di Keira, per
avergli concesso di lavorare per lui, non poteva chiedere di meglio di un posto
così prestigioso come quello, ma finire la sua vita dietro ad una scrivania non
era quello che aveva sognato. Ma ormai i suoi sogni li aveva dovuti abbandonare
da tempo. Li avevi lasciati sulla Sunny, insieme alla sua vita da pirata, e al
suo lavoro di cuoco.
L’aria calda della sera, gli concesse di poter
camminare senza indossare la giacca. Era bello sentire la brezza marina che
soffiava sul viso e attraverso la seta
della sua camicia celeste. Il mare era calmo, e aveva sulla sua superficie
piatta, le stesse sfumature del cielo al tramonto. Rossastro con pennellate di
viola e blu, che avrebbero finito con il coprire l’intero cielo quando sarebbe
giunta la notte. Scese per la scaletta di legno che portava alla spiaggia. Non
c’era nessuno a parte una coppia di anziani che stavano giocando a carte su uno
soglio. Nei suoi pensieri aveva sempre creduto che un giorno sarebbe finito
anche lui a giocare a carte sullo scoglio di qualche isola, magari con Usopp e
Nami, mentre una lo spennava e l’altro
litigava perché insinuava che lei imbrogliasse. Poi sarebbe intervenuto un
vecchio Franky a dire di fare meno casino, mentre Rufy se la rideva pescando
con Brook e Chopper. Robin avrebbe riso, con qualche ruga in più sul suo
splendido viso e Zoro... lui avrebbe scosso la testa pensando che nonostante
fossero invecchiati, erano rimasti gli stessi idioti di sempre. Un nodo gli
strinse la gola. Si tolse le scarpe e si arrotolò i pantaloni poco sopra le
caviglie. Lasciò sia le scarpe che la giacca sulla ringhiera della scaletta,
mentre si avviava verso il bagnasciuga. Qualche gabbiano sfiorare con le sue
bianche ali la superficie dell’acqua, libero di volare e andare via. Ciò che
invece non poteva fare lui. Prese a passeggiare con le mani nelle tasche per la
sabbia bagnata, mentre le piccole onde si infrangevano sulle sue sottili
caviglie. Una carezza, quasi una dolce carezza che pareva volerlo rassicurare.
Era inutile fingere che quello che era successo con
Zoro non fosse niente. Era stato invece tutto. Era bastata qualche ora per far
sgretolare la sua vita. Quella vita che aveva costruito con tanti sacrifici,
giorno dopo giorno, lacrima dopo lacrima, finché non era riuscito a trovare una
ragione diversa per vivere. Era Keira, era la vita che avrebbe diviso con lei.
Era qualcosa che ora sembrava così fragile, troppo fragile, e si era frantumata
con un solo sguardo. Con poche parole e pochi gesti, aveva capito che nel suo
cuore nulla era mutato. I suoi sentimenti, i suoi sogni, le sue speranze. Tutto
era rimasto solo fermo, fermo ad aspettare qualcuno che soffiasse via la
polvere per riportarli alla luce. E ora non sapeva cosa fare. Fra pochi giorni
si sarebbe sposato, avrebbe sigillato il legame con lei, e questo avrebbe
dovuto mettere la parola fine ad ogni altro pensiero, mettere la parola fine a
Zoro.
Sprofondò con le mani nelle tasche dei pantaloni
cercando una sigaretta. Si ricordava di averla portata con se. Sorrise quando
però si accorse di non aver preso neanche un fiammifero. La portò lo stesso
alle labbra, lasciandola spenta. Così come faceva parecchie volte, o meglio
aveva fatto.
- Buona sera direttore – alzò lo sguardo a quella
voce.
- Buona sera Giselle – la donna gli sorrise.
- Ti spiace se passeggio con te? – Sanji guardò per
qualche istante gli occhi incorniciati dal trucco pesante della donna e annuì
sorridendole. I due iniziarono a passeggiare in silenzio, lasciando che fosse
il mare a dar voce ai loro pensieri.
- Non sei più venuto a trovare il tuo amico – Sanji
non fermò i suoi passi stringendo forte fra i denti la sigaretta.
- Non avevamo altro da dirci – rispose. La donna
annuì mentre portava lo sguardo sull’acqua ora un po’ più scura.
- Non è più uscito dalla sua stanza, a parte per
mangiare... il ragazzo che gli porta la colazione dice che è sempre occupato a
fare esercizi – Sanji rise.
- Lui è fatto così... mi stupisce che non sia ancora
andato via – non voleva parlarne, o forse lo voleva, ma nessuno avrebbe potuto
capire ciò che aveva da dire, e forse nessuno avrebbe anche solo voluto
ascoltarlo. Ma Giselle era diversa, era stata la prima persona che l’aveva
accolto quando era arrivato in città. Gli aveva dato un tetto, da mangiare, e
anche un sostegno. In fondo era l’unica che forse sapesse chi era davvero.
- Il suo nome è Zoro vero? – Sanji annuì.
- E’ un ragazzo interessante – ghignò la donna
provocando un’altra risata del biondo direttore. Già Zoro era un tipo davvero
interessante. Anche se era sempre silenzioso e poco loquace, sapeva trasmettere
molto solo con la sua presenza. Era l’unica persona che conoscesse in grado di
farlo.
- Immagino che tu l’abbia invitato al matrimonio...
sbaglio? – i passi di Sanji si arrestarono mentre la sigaretta si tranciò fra i
denti. Giselle sapeva che era la cosa sbagliata da dire, ma era proprio per
questo che l’aveva fatto. Non erano fatti suoi in fondo, ma non riusciva a
capire perché quei due preferissero soffrire in quel modo, quando sarebbe bastato
davvero poco per essere un po’ più felici.
- Giselle...- la flebile voce di Sanji si perse
nella brezza della sera, mentre i capelli biondi della donna rimanevano
perfettamente immobili nonostante il vento.
- Non è poi così difficile figliolo... basterebbe
solo essere un po’ più sciocchi – sorrise la donna mentre gli occhi di Sanji la
guardavano silenti.
- Sciocchi dici? – lei annuì. Poi si voltò verso il
mare lasciando che le piccole onde bagnassero l’orlo della sua lunga gonna
rossa.
- Già sciocchi... non farsi troppe domande, troppi
problemi. Bisognerebbe vivere così, con la testa di uno sciocco, che sorride
sempre e che non ammette tristezza... non credi sarebbe più semplice la vita
così? – quelle parole disegnarono nella mente di Sanji il sorriso del suo
capitano. Rufy era sciocco, nel senso buono della parola. Era sciocco quando
mangiava, quando rideva, perfino quando parlava. Era uno sciocco che però non
aveva mai avuto paura di nulla , e mai si era tirato indietro davanti a qualche
ostacolo. Essere sciocchi significava anche essere più coraggiosi? Allora lui
non era mai stato così sciocco.
- Io amo Keira e voglio sposarla davvero... –
Giselle sorrise.
- Sanji ci sono tanti tipi di amore, ma solo uno è
quello che da senso ad ogni cosa... puoi amare mille persone in mille modi
diversi, ma solo una di queste riuscirà a stringere il tuo cuore nel palmo
della mano – Sanji rimase confuso da quell’ultima affermazione e Giselle
ridacchiò.
- E’ una vecchia leggenda... si dice che il cuore di
un uomo sia grande come il pugno della sua mano e quindi è impossibile
stringere un cuore senza romperlo – la bionda donna si avvicinò a Sanji e gli
prese la mano sinistra.
- Ma nel mondo c’è qualcuno che può farlo... l’unica
persona che puoi stringere il tuo cuore senza romperlo, ma facendolo battere
sempre più forte ... è quella la persona che dà senso alla tua vita, come tu
dai senso alla sua – lentamente Giselle piegò le dita di Sanji in un pugno e
poi gli sorrise.
- Forse sono solo dicerie di una vecchia, ma in
fondo ogni leggenda nasconde un po’ di verità, no – ridacchiando si allontanò
mentre Sanji continuava a fissare il suo pugno così debole.
Stringere il cuore di qualcuno nel palmo della
mano... era un qualcosa di assurdo, talmente assurdo che forse proprio per
questo pareva così dannatamente possibile. Pensò alla piccola mano di Keira,
forse davvero troppo piccola...
Qualcuno bussò alla porta e Zoro si alzò pigramente
dal pavimento sul quale era piegato per fare i suoi addominali, andando ad
aprire.
- Figliolo tutto bene? – chiese la bionda
locandiera. Zoro annuì.
- Sì mi sto allenando... non volevo fare troppo
rumore, mi scusi – mormorò. La donna scosse la testa mentre buttava un occhio
alla stanza. C’erano dei pesi a terra e qualche asciugamano buttata qui e lì sul
letto.
- Le serve altro? – Zoro si accorse degli occhi
curiosi della donna, e la cosa lo infastidiva. Odiava che qualcuno ficcasse il
naso nelle sue cose.
- No tranquillo, anzi ora devo anche andare a
cambiarmi che sono tutta fradicia – ridacchiando la donna mostrò al ragazzo
l’orlo zuppo di acqua della sua gonna e
Zoro alzò un sopracciglio. Cosa poteva importare a lui del fatto che si fosse
bagnata la sua gonna. Sorridendo la donna si allontanò dalla porta, ma mentre
il ragazzo stava per chiuderla lo chiamò.
- Sai che sulla spiaggia ho incontrato il tuo
amico – beh “il suo amico” era solo uno
in quel momento, e quella donna sapeva benissimo chi fosse.
- Bene – mormorò Zoro cercando di chiudere la porta
- Mi è sembrato triste – sospirò ancora la bionda.
Zoro ingoiò un grosso nodo che gli si era formato alla gola mentre chiudeva il
legno della porta. Triste... non era colpa sua se Sanji era triste. Era lui che
aveva deciso di andarsene, era lui che aveva mollato tutto per fare il damerino
ad un generale del cazzo e sposarsi sua figlia! Era stato lui che l’aveva
voluto, e non era colpa sua!
Continuò imperterrito a fare i suoi addominali
mentre sentiva il cuore battere sempre più forte, ma non era lo sforzo fisico,
non era nulla di tutto ciò. Era solo qualcosa che non gli era facile ammettere.
Era stato dannatamente bello averlo accanto quella notte. Era stato quasi un
sogno stringerlo fra le braccia e sentirlo respirare sul suo petto. In fondo
avrebbe potuto andarsene via da quell’isola in qualsiasi momento, eppure era
ancora lì...
Dio perché allora non l’aveva fermato? Era anche
riuscito a dirgli quello che provava e per qualche ora il tempo era tornato
indietro lasciandoli illudere che le cose potessero cambiare. Ma forse era
stato solo lui a illudersi. Sanji non ci aveva messo molto a sbattergli in
faccia la notizia del suo matrimonio. E ora che si aspettava da lui?
Si fermò con la nuca contro le assi del pavimento, a
fissare le travi del soffitto. Avrebbe preferito morire piuttosto che vederlo
sposarsi con quella lì. Ma che poteva fare lui? Lui che ci aveva impiegato tre
dannatissimi anni a dirgli che lo amava, lui che non era stato capace di dargli
altro che silenzi e frasi a metà, lui che quando Sanji aveva perso la
possibilità di cucinare, non aveva avuto neanche la capacità di dirgli che gli
dispiaceva, lui che quando era arrivato il momento di fermarlo, di non farlo
scendere dalla Sunny, aveva chiuso gli occhi incrociando le braccia sul petto e
l’aveva lasciato andare via... che poteva fare Zoro...
Si portò una mano sugli occhi quando li sentì
bruciare. La notte era giunta e nella piccola stanza illuminata dal bagliore
stanco di un lume, solo il rumore dei suoi singhiozzi, malamente celati.
To Be Continued...
Della serie “Tristezza a palate” XDDD... beh vi aveva avvisato che era una fic ad alto contenuto di lacrime ç__ç
Grazie per continuare ad apprezzare questa storia, che devo ammetterlo adoro
particolarmente ^^ e non temete però, io
adoro i lieto fine ^-*
Kiss Kiss Chiara