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Autore: Calliope49    12/09/2015    1 recensioni
[Seguito di “By any other name”]
La regina di Inghilterra sta per giungere a Parigi da suo fratello, re Luigi. Un sicario straniero viene mandato a ucciderla, un agente al soldo del duca di Buckingham viene mandato per salvarla.
Nel mezzo, i moschettieri, Diane alle prese con il suo nuovo incarico e, ancora una volta, il confine tra “buoni” e “cattivi” che non è così preciso come si vorrebbe…
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Milady De Winter, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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V
Il piano del cardinale (parte prima)
 
«Cosa vi è venuto in mente, Diane?». Il re si alzò dal trono con tanta foga che quasi lo ribaltò.
La giovane non rispose ma sostenne l’occhiata furente del sovrano con aria mortificata - non per coraggio, solo perché si sentiva in dovere di far capire a Luigi quanto si sentisse in colpa.
Gli sguardi della corte assiepata nella sala delle udienze erano rostri di vetro. Diane aveva la sensazione che, se si fosse mossa, avrebbe finito per tagliarsi.
La ferita al braccio era poca cosa, una virgola color porpora dove il sangue aveva già smesso di scorrere, inzuppando la manica della giubba attorno a un foro di stoffa bruciacchiata. Ma sembrava uno spiraglio aperto dal quale entrava il dolore bruciante della sconfitta e dell’umiliazione.
Era successo che il criminale scappato dalla chiesa aveva sparato alla cieca, dal centro della piazza.
Era successo che Diane aveva visto la canna della pistola puntata esattamente nella sua direzione, e quindi verso la regina.
Era successo che di istinto si era voltata per proteggere Anna.
Era successo che entrambe erano cadute a terra, il proiettile aveva fischiato sopra il naso di Diane e si era conficcato nel muro alle sue spalle, sfiorandole appena il braccio.
Nella caduta, sua maestà si era fatta male, era svenuta e adesso i medici di corte temevano per la salute del bambino.
Il re, spaventato per sua moglie, furioso per l’attentato e preoccupato per sua sorella aveva decisamente bisogno di qualcuno da tormentare. Parlava come se Diane avesse fatto del male alla regina di proposito, come se quella caduta non fosse servita a salvarla da un proiettile vagante, come se la sorte del figlio che Anna portava in grembo dipendesse da lei e dalla sua scelleratezza. E a Diane tutte quelle recriminazioni apparivano vere, epitaffi da incidere sulla sua lapide.
«Credevo che il proiettile avrebbe colpito la regina, maestà» tentò di giustificarsi. Era la verità, ma le sembrava ben poca cosa dinnanzi alla gravità della situazione.
Cosa sarebbe successo se fosse rimasta immobile? Forse il colpo di pistola l’avrebbe centrata in pieno e lei sarebbe morta, ma con onore.
Un pensiero stupido, senz’altro, eppure le occhiate velenose dei presenti le fecero provare la sensazione di un cappio alla gola. Sarebbe stata una ben misera fine, quella su un patibolo.
«Siete forse un soldato da riuscire a prevedere la traiettoria di un proiettile?» esclamò il re al colmo dell’esasperazione.
«Vostra maestà». Il capitano Treville emerse dalla muraglia di sguardi ostili e si fermò accanto alla ragazza, un passo più avanti come a volersi parare tra lei e il sovrano. «Avevo detto a mia nipote di badare alla regina, mi assumo la completa responsabilità di quello che è successo»
«Ah, ma voi eravate nella cattedrale a fare il vostro dovere, capitano» sibilò Luigi. «Tuttavia, se con questo intendete che dovrò far saltare anche la vostra di testa, nel caso succeda qualcosa al bambino, non tentatemi: potrei accontentarvi».
Diane alzò il capo di scatto. Non sapeva cosa la terrorizzasse di più in quel momento, se l’idea che la regina perdesse il bambino, quella di finire condannata a morte o la prospettiva che suo zio finisse impiccato insieme a lei.
Qualcosa di freddo e invisibile le solleticò la nuca, facendole drizzare i capelli.
Il re si voltò senza aggiungere altro e lasciò la sala con passo pesante. Sembrava trascinarsi dietro una nube densa di pioggia.
Il cardinale si affrettò a seguirlo non prima di voltarsi a lanciare verso Diane uno sguardo che la ragazza non seppe come interpretare. La folla di cortigiani rimase ancora lì, senza decidersi ad abbandonare lo spettacolo della ragazza umiliata che finalmente potevano criticare a voce alta.
Diane pensò che non gliela avrebbe data vinta, che non meritavano di vederla ancora più turbata di quanto già non fosse, che poteva accettare la collera del re ma non il loro disprezzo. Si guardò attorno e le parve che quel cerchio di dame e signori si fondesse in un unico ghigno di sadica soddisfazione come un gigantesco affresco sulle pareti della stanza.
Inspirò e si voltò per lasciare la sala. Provò a mantenere un’andatura composta ma il suo passo nervoso accelerava man mano che si avvicinava alla porta laterale. Sulla soglia cominciò quasi a correre e travolse i quattro moschettieri come se non li vedesse.
Corse via, senza nemmeno sapere in quale dei mille corridoi si era andata a infilare. La sua fuga terminò quando inciampò con la punta dello stivale nell’orlo di un tappeto e urtò con le mani contro il davanzale di una finestra.
Non era pianto, quello che le stringeva il petto, era qualcosa di più pesante e fastidioso, più difficile da scacciare.
Restò a boccheggiare contro il vetro della finestra che si appannava per il suo respiro, fino a quando udì dei passi alle sue spalle. Si voltò appena per scorgere Treville dietro di sé.
Il capitano dei moschettieri tese un braccio e l’afferrò, stringendola con forza, con la convinzione di poterle offrire riparo dal cielo che la ragazza sentiva crollarle addosso.
Con la guancia premuta contro il suo petto, Diane sentì il peso sul cuore che si alleggeriva appena.
«Quello che è successo non è colpa tua, non devi pensarlo neppure per un attimo» le disse suo zio, perentorio. «Il re è sconvolto e arrabbiato con se stesso per aver sottovalutato la minaccia, ovviamente non lo ammetterebbe mai e ha bisogno di sfogarsi, è solo un caso che tu sia stata il bersaglio della sua frustrazione»
«Non è un caso. Se ci fosse stato un moschettiere al mio posto con la regina…»
«Un moschettiere non avrebbe fatto niente di diverso da quello che hai fatto tu». Treville continuò a stringerla. «Se non avessi avuto i riflessi pronti da spingere via la regina, quel proiettile ti avrebbe colpita, oppure ti sarebbe passato sopra o attraverso e avrebbe colpito sua maestà»
«Sì, ma… se sua maestà perdesse il bambino…»
il re mi odierà, lei mi odierà, Aramis mi odierà, tutti mi odieranno! E mi odierò anch’io…
«Non devi pensare una cosa del genere. La regina si è spaventata ed è svenuta, una donna nelle sue condizioni è fragile, ma lei è comunque molto più forte di quanto sembra» ribatté Treville, poi scostò la ragazza dal suo petto e la guardò negli occhi. «E ora smettila di agitarti e comportati come la nipote di cui sono orgoglioso. Dobbiamo andare a interrogare l’uomo che abbiamo arrestato oggi pomeriggio».
 
Quando Treville e Diane lasciarono il Louvre era già sera.
Alla guarnigione gli uomini si stavano riunendo per la cena e il cortile risuonava di chiacchiere e schiamazzi, dei nitriti dei cavalli stanchi che venivano sistemati nelle stalle.
La ragazza chiese a Serge un catino di acqua pulita e si chiuse nell’ufficio di suo zio mentre lui andava a dare disposizioni per la visita alla prigione dello Chatelet, dove era stato condotto quello sconosciuto acciuffato fuori Notre Dame.
Diane si sfilò la giubba e guardò la macchia di sangue orami rappreso sulla manica della camicia. Avrebbe avuto un bel da fare per pulire e rammendare quei vestiti.
Sfilò il braccio e lavò con cura la leggera ferita, di quella non sarebbe rimasta la cicatrice. Medicò lo sfregio con un fazzoletto pulito e mosse il braccio cercando di liberarlo dal senso di indolenzimento.
Quando la porta dell’ufficio si aprì, Diane non ebbe bisogno di voltarsi per indovinare chi fosse.
«Stai bene?» chiese Athos.
«Sì» mentì la ragazza. Lui finse di crederci e le si avvicinò, osservando con quella sua aria indecifrabile la medicazione che spuntava dal foro sulla manica.
Le accarezzò la schiena e Diane sentì la tensione che si allentava appena sotto quel tocco leggero.
Quanto avrebbe voluto essere di più per quell’uomo!
Seguì Athos fuori dall’ufficio, senza dire niente. Nel cortile, Porthos e d’Artagnan aspettavano insieme a Treville accanto ai cavalli già sellati e pronti.
«Dov’è Aramis?» domandò la ragazza.
«Ha detto che andava… uhm, a pregare» rispose Porthos con una scrollata di spalle.
Certo che è andato a pregare.
Diane sospirò impercettibilmente e tentò di soffocare la smorfia di malinconia che sentiva irrigidirle il viso.
Montò in sella senza aggiungere altro. Andare a cavallo le dava ancora una certa sensazione di vertigine e di instabilità, ma si era decisa ad affrontare la cosa molto tempo prima. Serrò le ginocchia contro i fianchi dell’animale e lo spronò al galoppo dietro ai moschettieri.
L’aria fresca della sera che le scompigliava i capelli sciolti sembrò afferrare un po’ di brutti pensieri e portarli via. Arrivarono ai cancelli della prigione prima che se ne accorgesse.
Il portone di ingresso dello Chatelet era un semicerchio di buio. Nel cortile di pietra brillavano poche fiaccole e un fuoco attorno al quale erano radunati alcuni degli uomini di guardia.
Dalle piccole finestre sbarrate da grate spesse come le braccia di un bambino arrivavano di tanto in tanto strilli e suoni poco piacevoli.
Non era mai stata in una prigione, ma lo scenario le ricordò in qualche modo il convento romano dove era cresciuta. Sentì la pelle d’oca salirle sotto la stoffa dei vestiti e scacciò quel ricordo con una scrollata della testa.
La stagione dei fantasmi era finita e lei non avrebbe permesso che tornassero a turbare i suoi sogni.
Dentro la prigione era un labirinto di corridoi polverosi, sul pavimento irregolare si rischiava di inciampare ad ogni passo. Si affiancò ad Athos ed ebbe la tentazione di aggrapparsi al suo braccio.
Il carceriere fece loro strada reggendo una fiaccola. La macchia di luce sembrava strisciare come uno spettro sulle pareti per poi perdersi dietro un altro angolo di corridoio privo di aperture o finestre. Li condusse fino a una squallida cella incastrata in un’arcata che sembrava una grotta.
Nella scarsa illuminazione, Diane scorse le sagome ingobbite di alcuni topi che zampettavano contro il muro.
L’uomo era seduto su un ammasso di stracci che doveva fungere da letto.
«Si chiama Balise Briac, o così ha detto» disse il carceriere, assicurando la fiaccola a un gancio arrugginito nella parete.
Treville si fece consegnare le chiavi e congedò il loro inquietante anfitrione.
Porthos fu il primo a entrare nella cella. Senza troppi preamboli, afferrò l’uomo per il bavero della sua giacca consunta e lo sollevò in piedi.
«E così, ecco il nostro sicario» esclamò mellifluo.
Blaise Briac, o qualunque era il suo nome, scoppiò in una risata acuta, gettando all’indietro il capo.
I moschettieri e la ragazza si scambiarono un’occhiata perplessa. Porthos non mutò di una virgola la sua espressione minacciosa.
«Vorrei esserlo. Vorrei esserlo» disse l’uomo, la voce resa stridula dall’isteria.
«Ti sei nascosto nella cattedrale, hai sparato contro il re e la sua famiglia» ricordò Athos, senza scomporsi.
«E hai quasi ucciso me e la regina» aggiunse Diane facendo un passo avanti. «Non sei proprio nella posizione di farci perdere la pazienza».
L’uomo si afflosciò nella presa di Porthos. «No…» disse. «Ma immagino che la mia testa sia già persa, che mi serve parlare con voi?»
«Se non vuoi parlare con noi, parlerai col cardinale, e il suo modo di dialogare non è sempre gentile» minacciò Treville.
L’intimidazione sembrò sortire il suo effetto. Tutti conoscevano i mezzi di persuasione di cui si serviva sua Eminenza, come degno rappresentante della Chiesa, e occorreva una grande dose di coraggio per resistere al solo pensiero di un trattamento simile. Blaise Briac di sicuro non ne possedeva abbastanza.
«Una domanda alla volta, d’accordo?» intervenne d’Artagnan, ostentando un’aria più amichevole. «Se non sei tu il sicario mandato a uccidere la sorella del re, che ci facevi armato in una chiesa piena di religiosi morti?».
Briac impastò la bocca e si umettò le labbra screpolate. «È a lui che state dando la caccia?»
«Mi sembra evidente» ringhiò Porthos, spazientito.
«Allora vi auguro buona fortuna: quell’uomo è il Diavolo»
«Quindi lo conosci?» incalzò Treville.
«Per così dire. Mi hanno messo al suo servizio, ha pagato un sacco di soldi. In fede mia, vorrei non averlo mai incontrato… l’ho visto uccidere i frati e l’arcivescovo, credetemi quando vi dico che quello lì non ha un’anima, il demonio dev’essersela mangiata anni fa»
«Chi è? Come si chiama?» domandò Athos.
«Non lo so, non mi ha detto il suo nome, non parla nemmeno troppo è straniero e non conosce bene il francese»
«Spagnolo?»
«Non lo so, non ne sono sicuro».
Diane cominciava a sentire il disagio serpeggiarle nello stomaco. Credevano di aver trovato l’uomo mandato a uccidere Enrichetta Maria, ma ora cominciavano a capire di essere lontani miglia e miglia dalla soluzione del problema.
«Hai detto che ti hanno messo al suo servizio. Da chi prendi ordini?» intervenne ancora d’Artagnan.
«Non è che è qualcuno» sbottò Briac, come se la domanda lo avesse irritato. «Se nasci povero a Parigi puoi fare o il soldato o il criminale. A fare il soldato non mi hanno preso».
Porthos allentò la presa e si scostò appena dal prigioniero. Era una verità scomoda quella, e doveva aver smosso i suoi, di fantasmi.
«D’accordo, d’accordo, se non è qualcuno allora cos’è?» insistette Treville, ostentando una calma che doveva averlo abbandonato da un pezzo.
«È come la corporazione degli artigiani».
Oh, Signore…
«Esiste la gilda dei criminali tagliagole, adesso?» sbottò d’Artagnan, allontanandosi con un gesto infastidito un ciuffo di capelli corvini dalla fronte.
L’aria in quella cella cominciava a farsi appiccicosa e torrida.
«Se uno ha bisogno di fare un po’ di soldi, c’è sempre qualcuno che ti trova un lavoretto, se sai a chi chiedere» spiegò Briac.
«D’accordo, e a chi dovremmo chiedere, per esempio?»
«Non capite, non è che c’è un indirizzo o un registro… ci si conosce, ma mica si sanno i nomi e quelle cose lì». Il prigioniero scrollò le spalle. «Prima che quel signore venisse arrestato, c’era un bel giro. Adesso c’è ancora, ma è meno in superficie»
«Quale signore?» chiese Diane nervosa, intuendo una verità che forse preferiva non ascoltare.
«Quello, il nobile, il conte. Com’è che si chiamava?»
«Legrand?»
«Eh, lui».
La ragazza inspirò lentamente. Si disse che doveva mantenere la calma, ma qualcosa le esplose nel cervello come un barile di polvere da sparo rotolato per sbaglio in mezzo a un falò.
Scattò prima che gli altri avessero anche solo il tempo di preoccuparsi. Afferrò Briac con un mano mentre con l’altra sguainava la spada. Spinse l’uomo contro il muro, la lama appoggiata contro la sua gola.
Da qualche parte dentro di sé sentì i fantasmi ridere al di là  della prigione in cui li aveva confinati. Vide le loro mani bianche e fetide allungarsi oltre le sbarre.
«Che stai dicendo?» esclamò. «Che la rete di Legrand è sopravvissuta alla sua morte? Che sta aiutando il sicario straniero mandato a uccidere la regina di Inghilterra?»
«Che importa da dove vengono i criminali, per voi siamo tutti topi di fogna, no?» la rimbeccò Briac, spaventato.
Diane sentì il furore formicolarle nel polso della mano destra che reggeva la spada. La lama sfiorò la gola del prigioniero, grattando appena contro la barba sfatta.
Due braccia la circondarono e la strapparono dall’uomo. La giovane si ritrovò a ribollire di rabbia nella stretta di Athos.
«Calmati, Diane, basta» disse lui, parlando piano ma in tono di comando al suo orecchio. «Legrand è morto, non può più fare male a nessuno».
Lei boccheggiò, serrando le dita attorno al polso dell’uomo.
Va’ a dirlo ai miei fantasmi…
Alzò lo sguardo furente su Briac che si accasciò strisciando con le spalle contro il muro.
«Lo sapevo che una donna che si veste da uomo dev’essere pazza» ansimò.
Diane si irrigidì, ma Athos non la lasciò andare. Alla fine la ragazza si arrese e riprese con calma a respirare regolarmente.
Il moschettiere allentò la presa con cautela.
«Dicci solo qual era il piano» concluse Treville con un sospiro che vibrava di stanchezza.
«Lui sarebbe salito sulla balconata per sparare ai cavalli. Io non dovevo fare niente, solo fare da palo nella chiesa. Lui sarebbe sceso mentre voi portavate dentro la regina di Inghilterra e l’avrebbe uccisa. Io non ci dovevo neppure finire in mezzo» dichiarò Briac.
D’Artagnan spalancò gli occhi. «E avresti lasciato morire la sorella del re?»
«Che ha mai fatto la regina di Inghilterra o qualsiasi regina per me? Voi siete moschettieri e vedete nella corona qualcosa di interessante, io non ci vedo niente, sono solo persone fin troppo fortunate».
Treville sospirò e guardò l’uomo con un misto di pena e disapprovazione, poi fece tutti loro cenno di uscire.
Briac si aggrappò alle sbarre quando richiusero la porta della cella, tese le braccia verso di loro e riuscì ad afferrare Porthos per la manica.
«Il cardinale» disse con la voce che gli vibrava di terrore. «Il cardinale verrà a parlarmi lo stesso, vero? Mi farà torturare…».
Porthos sospirò e batté la mano sul braccio teso dell’uomo. «Vedremo se possiamo fare qualcosa per impedirlo» assicurò.
Arrivati alla fine del corridoio, Diane aprì la porta con una forte spinta e balzò fuori, prendendo una grande boccata di aria.
Athos le si avvicinò. La ragazza non si voltò a guardarlo.
«Non farlo mai più» disse lui asciutto. «Perdere la calma in quel modo»
«Non gli avrei fatto del male, ero solo arrabbiata. Sono arrabbiata»
«Lo so che non gli avresti fatto del male, ma certi scatti possono costarti molto cari in situazioni meno sicure di quella di stasera».
Diane sospirò. «Ti prego, c’è già troppa gente che non si fida di me in questo momento, compresa me stessa» concluse triste, prima di avviarsi verso i cavalli.
Tornarono alla guarnigione senza dire una parola, ma i loro pensieri andavano tutti nella stessa direzione.
Il sicario era ancora a piede libero, poteva contare su una rete criminale troppo radicata e per giunta invisibile. Maria Enrichetta non era al sicuro e nemmeno il re e la regina, fino a quando lei fosse rimasta a Parigi. D’altro canto, non si poteva nemmeno rispedirla a Londra, perché durante il viaggio sarebbe stata ancora di più in vulnerabile.
«Vado a palazzo» disse Treville, fermandosi accanto all’ingresso della guarnigione. «Il cardinale deve essere informato di quest’altro disastro»
«Magari è la volta buona che gli viene un colpo come si deve» bisbigliò Porthos.
Diane smontò e pilotò il cavallo verso le stalle.
«Dove vai?» le chiese Athos, intercettandola mentre raggiungeva l’uscita.
«A vedere se riesco a combinare ancora qualcosa di buono» mormorò lei. «Non ti preoccupare, ho finito con i gesti sconsiderati, per oggi» aggiunse senza riuscire a nascondere una certa amarezza.
Per fortuna Athos era il genere di persona che sapeva quando smettere di insistere.
Mentre camminava per le strade ancora mezze deserte nelle prime ore della sera, la giovane sentì pesarle sulle spalle un senso opprimente di solitudine e sconfitta.
La piccola chiesa spuntava al lato di un piazzale spoglio come una pianta selvatica cresciuta per caso. Dentro la luce dorata delle candele era quasi accogliente.
Dei fiori di campo appassivano in vasi sbeccati sull’altare. Il grande crocifisso di legno appeso sopra al tabernacolo era tarlato, con la vernice scrostata sulle sporgenze.
I banchi erano vuoti, ad eccezione di un’unica persona inginocchiata tra le due panche centrali.
Diane intinse la punta delle dita nell’acquasantiera e fece il segno della croce. Si accostò ad Aramis e si chinò in silenzio accanto a lui. Vide il rosario di pietre incastonate brillare tra le sue mani giunte.
«Posso pregare con te?» gli chiese.
Lui sollevò appena il capo, per un attimo la ragazza pensò che le avrebbe detto di no, invece il moschettiere le sorrise.
«Non pensavo pregassi»
«Solo perché non mi hai mai visto farlo».
Pregava, sempre. La fede era un’attitudine e un bisogno che neppure gli anni bui del collegio erano riusciti a scalfire. Diane pensava che Dio fosse al di sopra della severità talvolta ipocrita dei religiosi che l’avevano educata, al di sopra dei riti, delle ostentazioni vuote della gente che si definiva devota e poi negava un gesto caritatevole a chi ne aveva bisogno.
Pregò anche quella sera, pregò per la regina Anna e per il suo bambino, pregò per suo zio, per Athos, per i suoi amici, che uscissero tutti sani e salvi da quella nuova minaccia, e pregò anche per se stessa.
Non seppe quanto tempo era passato quando Aramis le posò una mano sulla spalla.
«Sarà meglio tornare alla guarnigione» le mormorò. «Voglio sapere cosa ha detto il prigioniero che avete interrogato, e magari è il caso di andare a palazzo a… cercare notizie»
«Sulla regina, intendi?»
«In generale» si affrettò a precisare lui.
Diane sorrise. Si segnò un’ultima volta e si alzò.
Lei e Aramis sfilarono in silenzio fuori dal banco, il moschettiere depositò un paio di monete nel piattino delle offerte e accese una candela sotto a una piccola statua della Vergine che teneva in braccio un paffuto Bambin Gesù.
La porta della chiesa si aprì e videro d’Artagnan strisciare dentro.
«Ho delle notizie» disse il guascone. «Una buona e un paio meno buone, quali volete per prima?»
«Quella che preferisci» rispose Aramis.
«Be’, quella buona è che la regina si è risvegliata e pare che non abbia subito danni».
Aramis baciò la croce del suo rosario, trattenendo un sospiro di sollievo.
«Quella cattiva è che Briac si è impiccato nella sua cella e che il cardinale vuole vederci, tutti quanti»
«Con tutti quanti intendi anche me?» chiese Diane. D’Artagnan annuì.
«Santo cielo, mi sembra di essere diventato uno sgherro del cardinale» sbuffò Aramis.
Il giovane guascone uscì dalla chiesa, facendo cenno ai due amici di far presto.
Diane si voltò verso Aramis e lo abbracciò con slancio, stringendolo forte.
«E stavolta per che cos’era?» chiese lui, ricambiando la stretta.
«Perché sono contenta che la regina e suo figlio stiano bene» rispose lei, premendo una guancia contro il cuoio rigido dello spallaccio, prima di staccarsi.
Aramis l’afferrò delicatamente per il braccio quando era già quasi sull’uscio.
«Diane» sussurrò titubante. Aveva capito. «Te lo ha detto Athos?».
La ragazza sorrise quasi con tristezza. «Non lo farebbe mai. L’ho scoperto da sola, a Bourbon-les-eaux».
Il moschettiere fece una faccia stupita. «Lo hai sempre saputo…»
«Sì. Andiamo, adesso».
 
***
 
«Ho un piano» annunciò il cardinale, appena Treville e i suoi uomini - e sua nipote - varcarono la soglia di quel suo immenso ufficio. Era stato informato della loro visita alla prigione e doveva aver passato la sera a cercare una soluzione al problema.
«Sono molto contento di sentirvelo dire» disse il capitano con un tono smorto che contraddiceva le sue parole.
«Rassegnatevi, Treville, tra me e voi sono io la mente»
«Il vostro buon umore illumina questa sera sciagurata, Eminenza».
Richelieu camminò su e giù per la stanza, come se stesse ripercorrendo nella sua testa i passaggi che lo avevano portato a elaborare quel piano che si preannunciava geniale, a giudicare dal suo sguardo compiaciuto.
Athos pensò che a breve uno qualsiasi di loro si sarebbe messo a urlare.
«Farò spostare la regina di Inghilterra in un posto segreto, noto solo a me. Ovviamente, il tutto nel più assoluto riserbo» disse il cardinale dopo lunghi minuti di silenzio.
«E terrete la regina di Inghilterra sepolta viva per sempre?» chiese Porthos, scettico.
«Non sappiamo quando e se troveremo il sicario» osservò Athos.
«È qui che entrate in scena voi» replicò il ministro con voce melliflua.
«Illuminateci» lo esortò Treville.
«Faremo circolare la voce che Enrichetta Maria verrà spostata, per la sua sicurezza, al castello di Blois. La mia speranza è che il sicario la venga a cercare lì, dove troverà invece voi ad aspettarlo».
Richelieu guardò tutti loro con aria speranzosa. Sembrava quasi che si aspettasse di ricevere un applauso.
Naturalmente il suo piano lo metteva alla prova da ogni rischio: se avessero preso il sicario, avrebbe rivendicato la paternità dell’idea, in caso contrario sarebbe stato un fallimento da imputare unicamente ai moschettieri di Treville.
Ma, al di là, della subdola accortezza, Richelieu non poteva non essersi reso conto che il suo piano difettava in efficacia.
«È una sciocchezza» sbuffò d’Artagnan forse persino troppo compiaciuto di poter dare torto a sua Eminenza.
«Se il sicario ci raggiungesse lungo la strada, si renderebbe subito conto che Enrichetta Maria non è con noi e tornerebbe subito indietro senza che noi riuscissimo a intercettarlo» osservò Aramis.
«Ah, pensavo ci sareste arrivati da soli» borbottò il cardinale con aria di sufficienza. «Naturalmente, ci sarà qualcuno che prenderà il posto della regina per inscenare il trasferimento a Blois come si conviene».
I suoi occhi da rapace rivolsero a Diane uno sguardo eloquente.
Il volto di Treville si trasformò in una maschera di sdegno. «Assolutamente…»
«… no!» sbottò Athos.
«Ci sto!»  esclamò Diane, che fino a quel momento era rimasta in silenzio in mezzo ai moschettieri.
E così il piano di Richelieu non prevedeva solo la possibilità di assicurarsi il successo, ma anche l’occasione di mettere a repentaglio la vita di una fedelissima della regina che, se non fosse tornata indietro viva, sarebbe stata considerata semplicemente una perdita necessaria al raggiungimento dello scopo. E Richelieu aveva intuito la posizione che la giovane occupava al seguito di Anna d’Austria, se il sicario l’avesse uccisa al posto di Enrichetta Maria lui non ne avrebbe tratto che vantaggio: come madre del futuro re di Francia, sua maestà avrebbe acquisito ancora più prestigio e ancora più influenza su Luigi, privarla di un’alleata era un modo come un altro per ridimensionare il potere che stava guadagnando.
Di tutto questa montagna di calcoli machiavellici, la ragazza non aveva scorto neppure la cima. Con il suo piano il cardinale le aveva offerto esattamente quello che lei chiedeva: l’occasione di scendere in campo e fare l’eroe, giocando sul senso di colpa e la voglia di riscatto che provava per quello che era successo a Notre Dame.
Era così ovvio e lei glielo stava rendendo così facile…
«Ci sto» ripeté Diane.  
«Ci sta» trillò il cardinale.
«È fuori discussione che io acconsenta a usare mia nipote come esca per un assassino». Treville si avvicinò a Richelieu e per un attimo i moschettieri furono sicuri che lo avrebbe colpito.
«Infatti non stai acconsentendo tu, lo sto facendo io» disse Diane.
Athos la guardò, furioso. Avrebbe voluto afferrarla e trascinarla via da lì e urlarle quanto era ingenua e cocciuta e… coraggiosa. E a che serviva amarla tanto se non poteva proteggerla, a che serviva farlo sentire così amato se lei non si lasciava proteggere?!
«Sono sicuro che si possa trovare un’altra soluzione» intervenne Aramis. Athos sentì la voce del compagno echeggiare da lontano, da dietro la coltre di collera e agitazione che gli velava i pensieri.
«Ci sono molte possibili soluzioni» ammise Richelieu con finta accondiscendenza. «Purtroppo nessuna di queste è attuabile in tempi brevi e non possiamo rischiare di rimandare il ritorno di Enrichetta Maria in Inghilterra. La voce dell’attentato a Notre Dame avrà già raggiunto Londra. Voi preoccupatevi pure dell’onore e della cavalleria, io devo salvare la faccia alla Francia di fronte all’intera Europa».
«Il re? Il re sa del vostro piano? Ha accettato?» domandò d’Artagnan confuso, come gli altri, dal rendersi conto che il cardinale, per quanto sleale, aveva ragione.
«Per quanto reticente, sua maestà non commette due volte di seguito l’errore di non starmi a sentire».
Treville alzò le braccia in un moto di protesta, poi le lasciò cadere lungo i fianchi.
«Allora è deciso? Fatevi tutti una buona dormita, due notti insonni di seguito non sono salutari. Domattina disporrò tutto per la partenza per Blois» concluse Richelieu.
Il capitano mosse ancora un passo verso di lui e stavolta quasi lo travolse. «Esigo comunque che mi diciate dove intendete nascondere Enrichetta Maria» ringhiò.
«Se i vostri uomini vogliono farci la cortesia di lasciarci soli».
Treville strinse le labbra e fece ai moschettieri un cenno perché lasciassero l’ufficio.
Athos si voltò e si affrettò a imboccare la porta. Non voleva rimanere lì dentro un minuto di più, non voleva ascoltare neanche una sola parola, non voleva avere Diane davanti agli occhi.

 
 
 
 
Alla vostra destra potete ammirare l’autrice che tenta di scrivere cose plausibili *ciao*
Blois si trova a poco meno di 200 km da Parigi. Storicamente, tra gli anni ’20 e gli anni ’60 del Seicento, il castello fu la residenza del fratello di Luigi XIII, nella mia storia l’ho pensato semplicemente come una sorta di “casa di villeggiatura” reale.
Non sono esperta ma ho letto che 200 chilometri è all’incirca la distanza che può percorrere un cavallo in un giorno (chiedo scusa se l’informazione non dovesse essere corretta, ma ci ho provato).
 
Ah, il sicario: non vedo l’ora che lo conosciate, ho grandi, grandissimi progetti per lui! *v*
 
Giacché ho infranto la mia regola di non ammorbare la gente con le note a fine capitolo, approfitto per ringraziare tutti voi che state leggendo :)
A sabato prossimo
C.
  
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