Come ogni giorno Gambrath si destò alle prime luci
dell'alba, quando questa gli carezzò il viso attraverso
la pesante finestra di legno massiccio, ottone e vetri
colorati. Istintivamente si grattò la barba: non ve n'era
alcuna necessità poiché il giorno precedente una fanciulla
l'aveva regolata con cura usando con dita abili ed esperte
rasoio e forbici affilati a dovere. Ogni sgradevole prurito
era sparito. La stessa sorte era toccata ai suoi capelli,
che erano stati lavati, profumati e accorciati a dovere. Lerea,
la fronte corrugata dalla gelosia, aveva ammesso che era
molto migliorato. Era da così tanto tempo che non incontrava
un barbiere così abile e preciso che il mercante aveva
potuto mettere con gioia la mano alla borsa. Ma con sua
grande sorpresa la giovane rossa in viso aveva rifiutato
il denaro e se n'era andata via di corsa senza una parola
di spiegazione. Aveva così intuito che il loro ospite,
Leandro Magen, l'aveva già pagata. Gettò ai piedi del morbido
letto le calde coperte e le lenzuola, affrettandosi subito
dopo a coprire il corpo di Lerea. Non si era nemmeno mossa:
il suo ultimo capriccio, prendere lezioni di danza dalle
ballerine dello spettacolo allestito da Magen, evidentemente
la stava stancando e non volle disturbarla. Poi il letto
era così grande che potevano dormirci comodamente entrambi
senza stare per forza addossati l'uno all'altra.
La servitù aveva già preparato il necessario per il bagno e
Gambrath ne approfittò: lavarsi il viso e il torace con l'acqua
calda, insaponarsi e poi asciugarsi con morbidi panni candidi
e profumati era una gioia che aveva provato raramente. Non
faceva affatto freddo nella stanza che era stata messa a loro
disposizione dal mercante più ricco di Leradan all'interno della
sua grande casa così simile a un castello. Fu tentato di aprire
la finestra per dare uno sguardo fuori: il chiarore dell'alba
era destinato a durare molto poco. Pesanti nuvole viola e blu
incombevano come un tetto troppo basso: nuvole gravide di
pioggia. Un soffio dell'aria umida e fredda che le sospingeva
entrò dalla finestra e lo fece rabbrividire ma lui non si ritirò,
memore di tutte le notti passate all'addiaccio riparato solo
dai teli della tenda e da pesanti coperte da viaggio. Due mani
tiepide scivolarono lungo i suoi fianchi. Morbide braccia
avvolte in un fresco tessuto azzurro solleticarono la sua
pelle sospingendo in alto quelle mani dalle dita pallide che
affondarono nei peli crespi del suo petto. La pelle della
schiena accolse il morbido, caldo tocco del corpo di Lerea
attraverso il tessuto della camicia da notte e sulla spalla
sinistra sentì posarsi il viso di lei.
- Senti che freddo, chiudi.
Gambrath sentì le labbra caldissime di lei posarsi sulla sua pelle
sensibile. Chiuse la finestra e Lerea lo strinse di più a sé.
- Temo che stasera avremo problemi: sta per piovere.
- E quindi? - Lerea non accennava a sciogliere il suo abbraccio
e la sua voce era un sospiro, morbida e calda come le coperte
che lui aveva appena abbandonato.
- Non verrà nessuno. Non potremo ripagare il debito con Magen.
- Pensi sempre al denaro... - ora lei gli stava stuzzicando
il torace nudo. Lui cercò di fermare quelle due furbe mani
dispettose sotto le proprie, ma lei non lo permise.
- Io credo che dovremmo... - iniziò Gambrath sorridente, ma
non ebbe modo di terminare la frase.
Lerea si separò repentinamente da lui e afferratolo per le
spalle con insospettabile energia lo costrinse a voltarsi verso
di lei. A Gambrath mancò il fiato per un lungo istante. Lerea
gli parve bella più che mai: aveva completamente sciolto i
lunghissimi capelli proprio come piaceva a lui e li lasciava
liberi di ondeggiare sulle spalle e intorno al corpo. Avevano già
cominciato a schiarirsi. Lei stessa gli aveva detto che da sempre
i suoi capelli d'inverno erano di un bel color castano ma d'estate
potevano diventare tanto chiari da sembrare rossicci, come certe
varietà del mogano. A Gambrath piacevano molto tutto l'anno ma li
preferiva d'estate poiché a suo giudizio la carnagione pallida di
Lerea ne risultava maggiormente esaltata.
Ora la giovane lo guardava con occhi grandi e brillanti, un'espressione
sbarazzina ma intelligente e le labbra rosee piegate nell'accenno
di un malizioso sorriso. Sembrava più giovane di quel che era
davvero. Era consapevole d'aver mozzato il fiato dell'uomo e
se ne compiaceva.
- Io credo che dovremmo per una buona volta pensare a noi stessi,
a trarre il maggior beneficio possibile da questo incontro.
- Hai ragione. Appena possibile parlerò con Magen e gli chiederò
una percentuale maggiore per i...
Una mano di Lerea si posò morbida ma decisa sulle
labbra di Gambrath, impedendogli di parlare.
- Stupido... - sussurrò. Con la mano libera tirò i
lacci che le tenevano la lunga veste chiusa sul petto. L'unico,
debole nodo si sciolse subito e la scollatura dell'azzurra
veste da notte si aprì. Leggerissima, rimase aggrappata
per le spalle al corpo di Lerea. Lei con noncuranza la
tirò e quella scivolò scoprendo il candore di una
morbida spalla.
Gambrath reagì afferrando saldamente il polso di lei e
liberandosi la bocca. Tenendola per un polso e afferratala
per la spalla nuda la avvicinò a sé dolcemente ma con fermezza
e la baciò sulle labbra, a lungo. Quando si separarono per
riprendere fiato la lasciò andare e la veste da notte scivolò
ai piedi della giovane con sericea leggerezza. Gambrath la
abbracciò stringendola forte a sé, baciandola sul collo candido
e profumato. Senza preavviso la sollevò da terra: era il
suo turno di restare senza fiato. La sentì esclamare per
la sorpresa, le braccia di lei gli si avvinghiarono intorno
al collo e alle spalle, il suo morbido, pesante seno gli
trasmetteva i furiosi battiti del cuore, sentiva il torace
di lei dilatarsi contro il suo in cerca di aria. In pochi
passi Gambrath raggiunse il letto e ve la adagiò. Immediatamente
le carnose gambe di lei si allacciarono intorno ai suoi fianchi
impedendogli di alzarsi. Allora lui si abbandonò su di lei,
stringendola ancor di più a sé e coprendola di baci.
Come era stato facile prevedere, quel giorno aveva
rovesciato su Leradan pioggia in grande quantità. Dalle
prime, timide gocce cadute a metà mattina al violento
rovescio abbattutosi all'ora del pranzo e fino al costante
assedio umido durato fino al tramonto, non v'era stata
sosta. Fortunatamente la maggioranza delle strade di Leradan
erano lastricate e i suoi architetti avevano previsto un
sistema per far scolare via l'acqua piovana. La leggera
pendenza del terreno aveva agevolato il loro lavoro. Le
ville dei più ricchi avevano addirittura dei sistemi di tubi
che impedivano lo scrosciare della pioggia dal tetto giù
in strada. In questo modo e grazie anche alla presenza di
molti portici, il mercato poteva avere luogo ugualmente,
anche se con minor agio, e il commercio non era
paralizzato. Gambrath aveva poi visto con piacere come
il coraggio dei mercanti veniva ugualmente premiato. Non
avendo a disposizione uno spazio al riparo di un portico
sostenuto da snelle colonne di mattoni decorate con
indicazioni del commercio che vi si svolgeva nei pressi,
riparati come meglio potevano esponevano ugualmente la loro
merce. Molte donne e uomini con mantelli e cappucci sfidavano
il maltempo e ottenevano prezzi vantaggiosi rivolgendosi
ai poveri mercanti intirizziti e comprando la loro
merce. Gambrath sarebbe stato lì con loro, in piedi sul
suo carro a due ruote aggiogato al suo bue grigio Oslob,
fradicio dalla testa ai piedi. Invece aveva osservato
la piazza del mercato, il cielo che si apriva in cascate
d'acqua o che sgocciolava imperterrito a lungo stando
comodo e asciutto sulla veranda panoramica della favolosa
casa del suo ospite, Leandro Magen. Non che avesse
tenuto le mani in mano tutto il tempo, anzi. Dalla
collaborazione con Magen Gambrath stava ricavando molte
monete in modo relativamente facile. Kem: ecco il nome
che la buona fortuna aveva scelto per abbracciarlo,
finalmente. Stentava ancora a crederlo ma era proprio
così: dalle sassate alla fama. In soli sette giorni
era diventato ricco, o quasi: Magen gli dava una
percentuale sulle monete che chiedeva ai suoi concittadini
per permettere loro di sentir cantare Kem e veder
danzare qualche ballerina mezza nuda. La combinazione
si era rivelata vincente: da un lato le danzatrici di
Magen erano uno spettacolo sempre gradito ma ormai
ben noto agli abitanti di Leradan. Secondo quanto
lo stesso Magen gli aveva detto, col tempo questi
s'erano assuefatti al punto che le se danzatrici
si fossero esibite coperte dalle sole collane colorate
se ne sarebbero accorti appena. Dall'altro la
presenza di Kem era la vera attrazione. Sebbene
Gambrath sentisse il sangue bollirgli nelle vene
quando udiva la gente chiamarla ancora “il demone
che canta”, il peso della borsa che ogni sera Magen
gli metteva in mano soffocava ogni impulso di
rabbia. Durante lo spettacolo nella piazza principale
del paese, quella davanti alla villa di Magen,
veniva venduto molto vino e birra per bagnare le
gole arse dal cibo speziato appositamente per
indurre la sete e venduto a metà prezzo.
Gambrath si alzò dalla comoda poltrona di legno e
tela dove aveva riposato a lungo quel pomeriggio,
conversando con Magen e parlando di affari confortato
dal calore di un vicino braciere. La mattina trascorsa
con Lerea era stata davvero molto impegnativa e si
sentiva ancora stanco. Andò ad appoggiarsi al parapetto
di legno lavorato e lasciò vagare lo sguardo sulle figure
incappucciate che si attardavano intorno ai pochi venditori
rimasti nella piazza. Cadeva una pioggerella debole ma
insistente e faceva un po' freddo. La luce era stata
livida e poca per tutto il giorno; in quel momento le tenebre
si stavano impadronendo della città prima che il cielo
avesse perduto del tutto la sua grigia luce. Leradan di notte
era gradevolmente illuminata ma solo al centro: la veranda
di Magen era alta abbastanza da permettere al mercante di
vedere le file di torce sfrigolanti che venivano accese
al tramonto interrompersi molto prima di raggiungere i
quartieri più poveri. Laggiù regnava il buio, punteggiato
qua e là dalla luce malata delle lampade a olio che
venivano accese e spente secondo la necessità all'interno
delle abitazioni più misere. Non tutti potevano
permettersi il combustibile.
Magen si era assentato subito dopo la cena, adducendo questioni
che richiedevano la sua presenza di persona. Gambrath si chiese
quanto stesse guadagnando in realtà il furbo mercante di Leradan:
tutti i suoi averi non si erano certo accumulati da soli e,
ripensando al lungo mercanteggiare per stabilire come ripartire
i guadagni ottenuti grazie alle capacità di Kem, si chiese se
davvero avesse ceduto con tanta difficoltà quel denaro. S'era
lamentato continuamente delle spese, ma Gambrath aveva constatato
di persona che birra e vino erano allungati con molta acqua e
che il cibo era fortemente speziato non solo per indurre la
sete e aumentare le vendite di bevande. Non era riuscito a
scoprire quanto pagasse musici e danzatrici. Se dava loro
del denaro, beninteso.
Osservò dall'alto la piazza lucida di pioggia animarsi
nonostante tutti i venditori l'avessero ormai abbandonata. Le
pietre umide che lastricavano la piazza riflettevano la luce
delle torce e delle finestre degli edifici che vi si
affacciavano. Troppa luce, pensò Gambrath. Si accorse poi che
i servi di Magen brulicavano tutto intorno come ogni sera,
ma invece di allestire il palco per lo spettacolo accendevano
ancora torce. Li osservò e in breve fu chiaro cosa stavano
facendo: due file di torce, sfrigolanti per la leggera pioggia
che insisteva a cadere dal soffitto di nubi ormai invisibili
nel buio, tracciavano un sentiero luminoso fino all'ingresso
della villa di Magen.
Drizzò la schiena ancora dolorante lasciando le mani appoggiate
al legno leggermente umido. Il vento era giunto a portare la
pioggia fin dentro la veranda quel pomeriggio, ma la solerte
servitù aveva predisposto dei teli che avevano tenuto gli
ospiti all'asciutto e dei bracieri per combattere l'aria fredda
e umida. Cessata l'emergenza i teli bagnati e odorosi erano
stati subito portati via ma i bracieri erano rimasti, con
soddisfazione del mercante che si stava rapidamente abituando
agli agi offerti dal padrone di casa. Da quando era calato il
sole però la servitù era sparita. Gambrath abbandonò la veranda
e attraversò stanze e corridoi fino a discendere nel cortile
interno della villa, grande poco meno della piazza antistante
la villa stessa.
Ecco perché i servi erano scomparsi tutti. Gambrath contemplò
il gran lavoro da essi compiuto meravigliandosi di non essersi
accorto di nulla. Due alti pali erano stati issati a buona
distanza uno dall'altro e trattenuti da grosse funi legate
ad anelli infissi nelle pareti, nelle terrazze interne dell'edificio,
alle finestre. Allo stesso modo erano fissati gli enormi teli
cuciti in modo speciale che erano sostenuti dai due pali. I
teli erano doppi: quello superiore poteva inzupparsi di
pioggia che veniva fatta cadere ai margini grazie a delle
corde apposite che toccavano terra. L'acqua scorreva lungo
quella via preferenziale e difficilmente avrebbe infradiciato
qualcuno mentre cercava riparo sotto la grande tenda. Il
telo inferiore, un poco più piccolo, variopinto e vivace ma
non per questo meno resistente o cucito approssimativamente,
era illuminato da lampade a olio e da candele la cui fiamma
era astutamente prigioniera di tubi di vetro. Un ingegnoso
sistema fatto di corde e anelli che scendeva lungo i pali,
ricavati da tronchi d'alberi lunghi e dritti, permetteva di
sospendere lampade e candelabri sopra la testa della gente
che si accomodava a terra, su piccoli sgabelli portati da casa,
su cuscini colorati. Non c'era molta gente ma Gambrath vide
che tutti si erano accomodati nei pressi del palco e che molti
stavano già mangiando e bevendo. Attese Magen per complimentarsi
con lui e poté constatare che alla spicciolata la gente giungeva
e tolti i mantelli umidi svelava il vestito degno della serata
di festa. Forse non avrebbero accolto tutta la gente che ogni
sera per sette sere aveva affollato la piazza, ma certo il
guadagno ci sarebbe stato, eccome.
Il padrone di casa tardava a farsi vedere e Gambrath cercò
un posto da dove potesse seguire lo spettacolo. Kem era
impareggiabile e i musici erano davvero bravi per quanto
ne poteva capire il suo orecchio. Ma erano le danzatrici
a incontrare i suoi gusti. Doveva solo stare attento a
non manifestare in alcun modo il suo gradimento: la gelosia
di Lerea era cresciuta molto e poteva essere paragonata
alla furia di un guerriero.
Lo spazio protetto dalle due tende affiancate era ormai
quasi esaurito quando finalmente vide del movimento dietro
il palco. Dei paravento erano stati posti per creare le quinte
dietro le quali le danzatrici preparavano la loro entrata in
scena. Gambrath sperò che quella sera fosse il turno di una
graziosa, leggiadra fanciulla dai capelli neri e dalla pelle
pallida come la luna, capace di muoversi come priva di peso
e di contorcersi come un serpente. Aguzzò la vista, ma gli
parve di distinguere le vesti di Magen. Sospirando per la
delusione si alzò da terra e scavalcando con molte scuse le
persone sedute intorno a lui si diresse deciso dietro il
palco. Il muscoloso servitore, messo lì per proteggere le
danzatrici da eventuali entusiasti dello spettacolo
eccessivamente ebbri per comportarsi bene, si scostò con
un inchino. Lo aveva riconosciuto e Gambrath lo superò
certo che nessuno del pubblico avrebbe osato tentare di
seguirlo dietro le quinte. Magen sembrava agitato,
preoccupato.
- Amico mio! - esclamò quando lo vide. Gambrath non ricordava
d'aver stretto patti d'amicizia con quell'uomo ma egli se ne
vantava da quando avevano entrambi portato la pelle sana e
salva all'interno delle mura di Leradan.
- Che accade, nobile Magen? Sembri preoccupato...
- La cattiva sorte, mio caro! Era destino... quante monete sprecate!
- Non credo: il cortile della tua casa è gremito. Hai
il tuo guadagno nonostante la pioggia – gli fece notare
Gambrath.
- Tu non sai! La danzatrice di stasera non può
esibirsi poiché è malata.
- Chiama le altre – rispose il mercante barbuto con tono ovvio.
- Non è possibile... una ha danzato ieri e l'altra dovrà
farlo domani. Porta male danzare due giorni di seguito!
- Porta male? - si meravigliò Gambrath.
- Io non lo credo, non sono superstizioso, ma le danzatrici
sì. Non si esibiranno.
- Dunque fai esibire stasera quella che deve danzare
domani e domani quella che ha danzato ieri – disse Gambrath,
temendo la collera del suo interlocutore. Il ragionamento era
così banale e ovvio che rasentava l'insulto.
- Credi forse che io sia un despota o un re tra queste mura? Non
lo sono... devo rispettare le regole della Gilda delle Arti. Due
giorni di riposo spettano a ciascuna danzatrice. Quella di
ieri riposa oggi e domani e via dicendo! Capisci ora?
- Beh, non si può chiamare un'altra danzatrice? Sono
solo tre in tutta Leradan?
Le spalle di Leandro Magen si abbassarono come oppresse da
qualche peso invisibile.
- Ahimé, i miei rapporti con la Gilda delle Arti non
sono dei migliori...
- Per quale motivo?
Magen sospirò e si guardò i piedi.
- Perché pago solo le danzatrici più giovani e carine disposte
a esibirsi... beh, tu hai visto come. Esse sono solo tre. Le
altre si sono indispettite e per questo non verranno se le
chiamo.
- Danzerò io.
I due sobbalzarono nello stesso modo, nello stesso
istante. Da dietro un paravento era sbucata Lerea, avvolta
nel suo solito abito da viaggio e col cappuccio sulla
testa. Macchie umide sulla spalla testimoniavano il suo recente
passaggio allo scoperto: probabilmente a causa della folla
aveva dovuto girare intorno alle due grandi tende per raggiungere
le quinte dietro il palco.
- Ho sentito tutto – aggiunse, vedendo entrambi perplessi.
- Ma tu non sai ballare – esclamò Gambrath.
- Tu non mi hai mai vista ballare – lo corresse Lerea.
- Non sei allenata – ribatté quello.
- È da sette giorni che mi esercito a danzare.
Era vero: dal suo primo giorno tra le mura di Leradan
la giovane si era incapricciata di voler danzare dopo
aver visto un'esibizione per strada. Magen non aveva
perso tempo e, agevolato dal fatto d'essere lui a
organizzare alcuni spettacoli, l'aveva presentata
alle tre danzatrici che si esibivano di sera in
piazza. Tutti i giorni Lerea trascorreva molto
tempo con le tre ragazze, ballando.
- Non basterebbero sette mesi di apprendistato... le
nostre danzatrici iniziano l'addestramento da
bambine! - esclamò Magen.
- Sebbene mio padre non mi ritenesse degna di nulla,
ho imparato ugualmente a danzare fin da giovanissima.
Gambrath si rese conto all'improvviso che in fondo
di Lerea sapeva ben poco. L'aveva comprata al mercato
degli schiavi con l'intenzione di barattarla con Rama,
la schiava dell'oste Cambler, ma non ci era riuscito. Venduta
dal padre candriano a un mercante per via dell'abbondanza
della sua carne, ritenuta una deformità imperdonabile da
tutti i candriani, Lerea si era rivelata più volte una
sorpresa. Era ricca di talenti nascosti. Credendola un po'
bigotta era rimasto allibito vedendo con quale naturalezza
e sensualità era sgusciata fuori dagli abiti in una fredda
notte per attirare allo scoperto una guardia e favorire la
fuga dall'accampamento militare dov'era stato imprigionato. L'aveva
vista trasformarsi in una nobile e spregiudicata dama
per dare la caccia alla chiave del bracciale da schiavo
che gli era stato ingiustamente inflitto. Talvolta anticipava
i fatti coi suoi sogni! La sapeva intelligente e furba,
decisa e determinata quanto bisognosa di affetto e
vicinanza. L'aveva avuta molte volte tra le braccia,
calda e morbida come una gatta; aveva sperimentato in
prima persona anche le sue unghie. Non si era mai pentito
di averle donato la chiave del suo bracciale. Se diceva
di saper ballare, era davvero così. Oppure aveva le sue
valide ragioni per dirlo.
Senza sapere esattamente perché Gambrath cercò di opporsi,
ma senza risultato. Non trovò in Magen un alleato poiché il
capriccio di Lerea risolveva alla perfezione un problema
abbastanza grave. Era sempre pericoloso scontentare la folla
e quella si trovava proprio nel cortile di casa del facoltoso
mercante.
Magen fece portare il costume che più si adeguava al fisico
di Lerea, un po' abbondante rispetto alla media delle danzatrici
del luogo. Quando lo ebbe indossato non senza sforzo, i lacci
le sprofondavano nella carne evidenziando il ventre sporgente
e i fianchi morbidi. Gambrath trasalì quando la vide: tutta
quella pallida pelle esposta, il seno compresso che sembrava
dovesse saltare fuori dalla succinta fascia che lo tratteneva,
adorna di tintinnanti pendagli di ottone e rame, lucidissimi. Si
era truccata in fretta e furia in modo un po' troppo pesante
e il velo che le copriva il viso non era sufficiente a nascondere
gli sgargianti colori usati. Rosso fuoco per le labbra, viola
e porpora per occhi e gote. Centinaia di decorazioni d'ottone
pendevano ovunque, sonanti: catenelle e medaglie di diverse
dimensioni non facevano che sottolineare ogni minimo movimento,
tintinnando e rimandando barbugli di luce raccolti da lampade
e candele. Gambrath tentò di fermarla ma il pubblico mormorava
già e Lerea salì decisa e veloce i pochi gradini che la portarono
sul palco. Non c'era un Maestro di Cerimonie quindi lei stessa,
ancora al riparo di un paravento, fece un cenno al Maestro dei
musici e la danza ebbe inizio.
Quasi come se fosse stato stordito il mercante barbuto fece
il giro del palco e si portò dalla parte del pubblico per
assistere. Questo borbottava ed esclamava, chiaramente
insoddisfatto. Ostruiva la visuale e fu strattonato per le
vesti e costretto a sedere in mezzo agli altri: chi mangiava,
chi beveva, chi chiacchierava col vicino.
Lerea sul palco stava danzando come Gambrath non avrebbe mai
sospettato fosse in grado di fare. Certo, c'era una grande
differenza tra lei e le danzatrici provette che aveva visto esibirsi
fino al giorno prima. Di qui l'insoddisfazione che serpeggiava
tra gli spettatori che come lui si aspettavano di poter ammirare
la sinuosa brunetta attesa per quella sera. Fu però sorpreso
dalla passione che la giovane stava mettendo nella sua esibizione,
un canone tra i più facili eseguito con maestria dai musici
di Leandro Magen. Col tempo se ne accorsero anche gli spettatori:
il brusio sotto la tenda non aumentò e si potevano distintamente
udire i calici di terracotta che contenevano le bevande sbattere
contro le brocche ogni volta che una moneta passava di mano.
I lunghi capelli sciolti sotto il velo, il viso celato, le
sfuggenti trasparenze del costume, la pelle bianca che splendeva
alla luce delle molte lampade a olio accese dai servi intorno
al palco: Gambrath sentiva montare sempre più dentro di sé la
grande onda calda della gelosia. La donna che danzava sul
palco, un po' appesantita dal suo fisico non proprio snello
e muscoloso, sembrava sempre più colei la quale si era a lungo
dimenata nel letto quella mattina, quando lo chiamava per nome
mentre la stringeva tra le braccia, che si donava interamente
a lui mentre la copriva di baci e intime carezze. Il corpo
morbido, le rotondità sode sussultanti a ogni movimento, la
pelle brillante per il sudore: non poteva continuare. Là su
quel palco si stava esibendo ciò che lui credeva solo i suoi
occhi potessero vedere. Lerea stava mettendo in scena l'intimità
della loro camera da letto semplicemente danzando. Si portò
il dorso della mano destra alla bocca e la trovò umida di
sudore. Tutto questo deve finire, pensò tormentandosi. Ma
la fine giunse solo quando accompagnata dall'ultimo decrescente
rullo di tamburo Lerea si afflosciò su se stessa con una
certa grazia. La danza era terminata. Lerea ansimava
vistosamente; Gambrath vide chiaramente alcune gocce di
sudore scivolare dalle braccia candide ornate da monili che
le affondavano nei muscoli. Il tamburello di uscita suonò
freneticamente e Lerea, non senza sforzo, si rianimò e
corse via salutando con un grazioso inchino prima di
scomparire dietro i paravento. Anche i musici si alzarono
dai molti tappeti stesi per loro sul palco e se ne
andarono. La prossima a esibirsi era Kem, non c'era bisogno
di loro. Il pubblico lo sapeva e ora rumoreggiava poiché
non voleva più attendere. Gambrath si recò nuovamente
dietro le quinte, quasi tremante, un nodo dolente nel
petto. Non sapeva che fare: abbracciare Lerea o
rimproverarla aspramente? La trovò seduta a terra così
come aveva danzato, il costume ora bagnato dal sudore,
i veli che le si appiccicavano addosso, i piedi scalzi. Kem
era china su di lei e le stava offrendo un boccale di
coccio. Non aveva nemmeno alzato il velo dal viso: era
intenta solo a respirare. Il mercante barbuto le fu
subito vicino e si inginocchiò vicino a lei. Lerea alzò
il viso lucido e gli sorrise.
- Come ho danzato? - chiese respirando affannosamente.
- Sei stata bravissima – intervenne Kem col suo strano
accento. Gambrath la guardò: Leandro Magen l'aveva voluta
vestita di bianco e l'aveva coperta di ornamenti di ottone
lucidissimo, dicendo che sarebbe sembrata una regina. Aveva
ragione: quella pelle nera come la pece fermava il fiato per
la paura, i capelli come serpenti, incoronati da uno spesso
cerchio di rame lucido e lavorato, risaltavano sull'abito
candido privo di maniche. Ma le braccia e le gambe nude, le
impronte dei seni e dei capezzoli erti contro la fine stoffa
la tramutavano di nuovo da demone in donna.
- È merito tuo, sai? - disse la giovane candriana a Gambrath.
- Sì, ho visto.
Si tolse il mantello e avvolse bene Lerea per non farle
prendere freddo. Qualsiasi cosa gli si fosse annodata dentro
il petto si sciolse e scomparve mentre l'abbracciava.