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Autore: Ilary_tommo    12/09/2015    1 recensioni
Louis Tomlinson è un ragazzo un po' strano che tutti considerano sfigato e inutile alla società. Viene sempre preso in giro a scuola ma, un giorno, fa una scoperta incredibile.
Louis dovrà cercare di tenere nascosta questa sua scoperta perché, se qualcuno ne venisse a conoscenza, potrebbe esserne privato.
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"Pensavo che fossi una leggenda".
"E invece eccomi qui, in carne ed ossa".
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Copyright a @Ilary_tommo
Genere: Fantasy, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~#4 anni prima

Entrai in classe aggiustandomi gli occhiali che mi stavano scendendo sul naso.

"Sei in ritardo, Tomlinson".

La voce fastidiosa da vecchia megera della professoressa mi fece sbuffare.

"Mi scusi, non accadrà più" dissi piano.

Mi andai a sedere vicino a Harry, il mio migliore (e anche unico) amico.
Era un ragazzo timido come me, per questo andavamo d'accordo insieme.

"Sei sempre depresso" disse il riccio una volta che mi fui seduto.

Non risposi e tirai fuori il libro di scienze. Non vedevo l'ora di iniziare la lezione e di imparare cose nuove. Mi piaceva un sacco ascoltare le cose interessanti che i professori avevano da dire sui diversi argomenti.

Harry non la pensava allo stesso modo.

"Quanto manca alla fine dell'ora?" sussurrò aprendo il libro sulla pagina sbagliata.

"Quarantacinque minuti" ridacchiai mordicchiando la matita. Così diversi, eppure, così amici.

"Bene, svegliami tra quarantacinque minuti".

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Due ore dopo, uscimmo dalla classe insieme durante l'intervallo.

"Vado in bagno, tu vai pure a mangiare" gli dissi.

"Ti aspetto nel cortile alla solita panchina".

Mi diressi verso il bagno e, una volta entrato, mi avvicinai a uno dei lavandini per sciacquarmi la faccia.

"Oh, guardate c'è Tomillison".

Mi voltai guardando i tre ragazzi davanti a me con ribrezzo.

"É T-Tomlinson" balbettai chiudendo il rubinetto dell'acqua.

Neanche il tempo di reagire che Ed (quello con i capelli rossi) e Liam mi avevano bloccato le braccia dietro la schiena mentre Niall, il più cattivo tra tutti, si era avvicinato a me e mi aveva guardato negli occhi.

"Volevo solo prenderti in giro, ma a quanto pare vuoi le botte".

Non provai a sfuggire dalla presa dei due. Ormai ero abituato ai pugni e ai calci del biondo.

Mi arrivò un suo destro sulla mascella e sentii il sangue colare sul mio collo.
Non sapevo dove fossi ferito perché la mia vista era annebbiata.
Il pugno aveva fatto cadere i miei occhiali e io ero praticamente cieco senza.

Tossii sputando del sangue dopo un calcio nello stomaco.

"B-basta".

"Sei una feccia inutile".

Detto questo, il biondo diede il permesso a Ed e a Liam di lasciarmi e io caddi a terra stremato. Tutti i giorni era la stessa storia.

Niall mi picchiava riducendomi a una polpetta e poi mi lasciava da solo finché non mi trovava qualcuno che mi aiutava ad andare in infermeria.

Di solito questo 'qualcuno' era Harry perché gli altri studenti mi ignoravano.

Tutti pensavano che fossi strano. Forse era perché mi piaceva studiare? Probabile.
La gente reputa strano colui che è diverso. La diversità rende emarginati.

Tastai con la mano il pavimento freddo trovando qualcosa di rigido su di esso.
Esaminai l'oggetto con entrambe le mani e, capendo che si trattava dei miei occhiali, me li rimisi sul naso abbassando lo sguardo sulla pancia.

Alzai la maglia a righe blu che indossavo e vidi un livido viola piuttosto grande.

Lo sfiorai piano con le dita.

Sentii la porta aprirsi e alzai lo sguardo vedendo il mio migliore amico riccio immobile.

"N-non di nuovo".

Corse verso di me e mi aiutò ad alzarmi.

"Guarda come ti hanno ridotto".

Mi guardai allo specchio e quasi mi spaventai.
Il mio labbro era spaccato e il sangue colava sulla mascella fino al collo.

Harry sospirò e mi accompagnò in infermeria come al solito.

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Entrai in casa con lo sguardo basso.
La mamma non sapeva che a scuola venivo picchiato, per questo cercavo sempre di tenere nascoste le ferite.

"Com'è andata a scuola, tesoro?" mi chiese urlando dalla cucina.

"Bene" urlai di rimando mentendo.

Corsi in camera mia chiudendo la porta e appoggiando la schiena contro di essa.
Mi lasciai andare facendo strisciare la schiena contro il legno fino a toccare il pavimento con il sedere.

Qualche lacrima scese dalle mie guance senza che neanche me ne accorgessi.

Sei una feccia inutile.

Le sue parole rimbombavano nella mia testa. Che fossi davvero inutile come diceva?

Sentii bussare alla porta e mi alzai veloce dal pavimento asciugandomi le lacrime.

"Avanti".

Entrò l'ultima persona che avrei voluto vedere in quel momento: mio padre.

"Che hai fatto oggi a scuola?".

Sorrisi appena iniziando a raccontargli delle cose che la professoressa di scienze ci aveva spiegato e del mio dieci di matematica.

"Umh, bene".

Pensavo che sarebbe stato ... Felice. Di solito i genitori lo sono dopo che il proprio figlio porta a casa un bel voto.

"Sei entrato nella squadra di calcio?" mi chiese poi.

"No, papà. Non sono bravo negli sport" dissi abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.

A lui interessavano soltanto gli sport. Mi sentivo sbagliato, perché papà aveva sempre desiderato un figlio maschio che fosse popolare e bravo a giocare a calcio.

"Okay ... Sono orgoglioso di te ... Comunque".

Sapevo che quelle parole erano solo bugie. Bugie, bugie, BUGIE, solo bugie.
Non potevo essere come tutti i ragazzi della mia età? Non potevo avere dei genitori orgogliosi di me per davvero o una vita normale?

Uscì dalla stanza e tornò di sotto. Probabilmente era andato a sedersi sulla poltrona in salotto per leggere il giornale.

Lottie, mia sorella, passò davanti alla porta della mia camera e mi diede un'occhiataccia di disprezzo.

"Sei proprio un disonore per la nostra famiglia. Stai sempre chiuso in camera e l'unico amico che hai è uno sfigato. Sei inutile. Sai, penso che se non fossi mai nato la nostra famiglia starebbe molto meglio. Non servi a nulla".

Lottie ridacchió guardando i miei occhi umidi. Era veramente troppo.

"E adesso che fai? Piangi? Rammollito".

Le chiusi la porta della camera in faccia. Avevo deciso: quella notte me ne sarei andato, per sempre.

Mi sedetti sul letto pensando a come uccidermi. Volevo una morte dolce, che non mi facesse soffrire.
Mi asciugai una lacrima salata dalla guancia. Rammollito.

Sbattei le palpebre qualche volta per scacciare le lacrime e sorrisi.
Avevo deciso come uccidermi.

***

Verso le tre di notte, aprii la finestra di camera mia e uscii camminando con attenzione sul tetto.

Misi un piede sul ramo di un albero cautamente e mandai un sospiro di sollievo una volta tornato con i piedi per terra. Avevo sempre avuto paura delle altezze.

Non che in quel momento fosse importante, visto che volevo suicidarmi.

Le mie gambe si mossero veloci nella notte e corsi verso al molo di una delle spiagge meno frequentate della città.
Era piena di alghe, per questo la gente non veniva mai a farsi il bagno lì.

Il legno del molo era ben fisso sugli scogli. Il mare scuro faceva paura di notte.

Sorrisi al pensiero di poter lasciare quel mondo per sempre. L'acqua salata si sarebbe insinuata nei miei polmoni e io non avrei potuto più respirare. Non avrei sofferto molto: l'ossigeno non sarebbe più arrivato al cuore e ai polmoni e puff. Morto sul fondo del mare.Nessuno mi avrebbe più detto di essere inutile, nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.

Mi avvicinai al bordo e presi un bel respiro.

"Mi sono persa, sai mica come arrivare al Mare del Nord?".

Sussultai sentendo una voce femminile provenire dalla mia sinistra.

"Tutta la mia famiglia è lì e mi manca" singhiozzó:"O forse sono morti tutti".

Voltai la testa nella direzione della voce e spalancai la bocca.

La luce della luna sul mare mi permetteva di vedere una coda da pesce piena di squame lunga più o meno un metro che era come incollata a un corpo di donna.

La ragazza non indossava alcun tipo di reggiseno. Solo i capelli lunghi e neri le coprivano il seno. Il viso aveva i lineamenti dolci e le sue labbra erano rosse e carnose.
Gli occhi erano azzurri e le sue lacrime li rendevano ancora più brillanti.

Le sue mani avevano una presa ben salda sugli scogli, mentre la punta della coda toccava l'acqua.
Il suo sguardo era puntato su di me.

"I-io ... B-be' ... Mare del Nord?".

"Sì, ti prego dimmi che lo sai".

Forse perché era la verità o forse per egoismo, le dissi di non saperlo.

I suoi singhiozzi aumentarono e si portò una mano ad asciugarsi le lacrime.
Scesi lentamente sugli scogli avvicinandomi alla sirena.

Lei, d'istinto, tese le braccia sulle pietre pronta a fuggire.

"Non voglio farti nulla. Lo giuro".

Avvicinai piano la mano a lei aspettando che la prendesse.
La sirena mi guardò titubante, mentre le sue lacrime si asciugavano rendendo le sue guance appiccicose.

"Avanti, prendila" le dissi dolcemente.

Lei alzò la mano destra appoggiandosi sul gomito sinistro e la appoggiò piano sulla mia.

Sorrisi intrecciando le dita con le sue piene di salsedine.

"La tua mano è calda" sussurrò.

"Già" sussurrai a mia volta.

"Pensavo fossi soltanto una leggenda" continuai accarezzandole il dorso della mano con la mia libera.

"E invece sono qui, in carne ed ossa".

  
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