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Autore: 1984    13/09/2015    0 recensioni
Dal testo:
''Avvertì un orribile formicolio dietro la nuca, si voltò e si accorse con orrore che Andrea non era più accanto a lei. Il cielo era sempre più scuro e le onde che prima erano basse e calme si stavano pian piano alzando. Il vento soffiava, le onde crescevano e Edith tremava. Non riusciva ad alzarsi e gli scogli erano ormai diventati scivolosi a causa dell’infrangersi delle onde: urlò, ma non c’era nessuno disposta ad ascoltarla. Cielo e mare si unirono in un orribile colore blu notte, non c’erano stelle, non c’era luna. C’era solo lei che tremava avvolta nell’asciugamano. Le rocce vennero inghiottite dall’oscurità e, quando si accorse che quell’oscurità non era naturale e che la parte di scoglio inghiottito era scomparsa, era ormai troppo tardi''
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12.


 
«Signorina, i cani non sono ammessi!», tuonò una giovane infermiera correndo verso una ragazza girata di spalle con un grosso cane bruno al seguito.
«Sbaglio, o lei non si trova su un letto d'ospedale con la testa fasciata?», disse la ragazza voltandosi e fermandosi di scatto. Era alta, snella, bionda e assolutamente sensuale con quell'abito che la fasciava nei punti più strategici. L'infermiera storse il naso di fronte a tanta sfrontatezza. «Mi spiace, ma non posso permetterglielo. Siamo in ospedale, il che credo che sia più che sufficiente per farle portare via il cane».
La ragazza alzò un sopracciglio perfetto stringendo in modo possessivo la mano attorno alla maniglia della porta. La abbassò ed entrò nella stanza in cui riposava un giovane ormai del tutto sveglio che stringeva fra le mani un rettangolo, imperfettamente tagliato, di carta con su scritto qualcosa che smise di leggere nel momento in cui il grande pastore tedesco gli mise le zampe sulle spalle. La ragazza sorrise incurvando le labbra rosse vermiglio e mostrando i denti perfetti. L'infermiera rimase fuori dalla porta, schiumante di rabbia.
«Christian», scandì la ragazza.
«Lauren», disse il ragazzo di rimando. «Vedo che te la spassi meglio di me».
«Il sarcasmo non è mai stato il tuo forte, vedo. Belle bende», disse accennando con uno sguardo alle fasce del ragazzo.
«Non sono proprio in ottima forma. Sai, due giorni fa ho avuto un incidente».
«Che gran sfortuna», sospirò la ragazza avvicinandosi. «Perché proprio due giorni fa è andata in fumo la nostra unica possibilità di successo».
«Nostra?».
«Non illuderti, Chris, avevo grandi progetti per noi due», disse puntando gli occhi scuri e felini nei suoi. Si piegò fino a guardarlo dritto negli occhi e fece scorrere la mano affusolata lungo il mento del giovane. Poi si alzò di scatto.
«Probabilmente non potrai più guidare le moto che ti piacevano tanto», disse con disprezzo.
«E' una certezza», ribatté il ragazzo con decisione. «E a me non importa più di tutti quelli accordi, Lauren. Dovrai trovarti un altro trofeo da esibire agli sponsor. Con me hai chiuso».
«Mm, se la mettiamo così, sbagli di grosso. Gli accodi li chiuderò solo e se lo vorrò io. Tu mi sei debitore, sciocchino», disse. Poi fischiò per richiamare l'attenzione del cane e spalancò la porta. 
«La visita è durata solo qualche minuto. Il cane non ha distrutto, rovinato, o infettato nulla. Stupida infermiera», disse squadrandola dall’alto in basso. Quella non rispose, la giovane scomparve alla vista e Christian si ritrovò con il pugno chiuso attorno a quel pezzo di carta.
 
Due giorni dopo Christian venne dimesso. Con suo grande sollievo, venne a sapere che George si era rivolto a una specie di psicologo, ma era così stanco che aveva ascoltato ciò che gli aveva detto suo fratello soltanto per metà.
Chris in un certo senso invidiava la vita di suo fratello, Marcus, più grande di lui di sei anni, imprenditore edile, sposato e con due figliolette. In confronto, la sua era una specie di enorme nebulosa inconsistente. Frequentava il terzo anno alla facoltà d'ingegneria con ottimi risultati, ma per il resto la sua passione per la moto cross, le ragazze sbagliate, gli amici sbagliati, avevano finito per aggiungere soltanto altra polvere nella grande matassa che era la sua vita. Christian era rimasto orfano a nove anni e lui e suo fratello erano stati cresciuti dai nonni. Erano due persone dai caratteri opposti, dai destini opposti che non si erano mai riuscite veramente a capire, ma che in fondo si volevano bene e si rispettavano.
«La riabilitazione comincia domani, vedi di ricordartelo», gli disse suo fratello alzando le sopracciglia e raddrizzandosi gli occhiali.
«Giusto. Ora vattene, sarai stanco morto», rispose Christian tirandogli un cuscino addosso. «Salutami Chantal e Samantha».
«Samantha domani inizia l'asilo. Mi aspetta una mattinata che rimarrà nella storia!».
Appena chiuse la porta, Christian si alzò di scatto e si diresse in camera sua.
Il disordine che regnava in quella stanza era qualcosa di indescrivibile: una chitarra rossa era posata sopra una pila di dizionari impolverati, libri sparsi dappertutto, indumenti sporchi ammucchiati in un angolo della stanza e cuffiette, cuffie e penne erano gettate alla rinfusa sopra una scrivania di legno. Eppure, in mezzo a tutto quel caos Chris si sentiva al sicuro. Quell’appartamento era stato dei suoi nonni e quella era stata la stanza in cui si era ritrovato catapultato dopo la morte dei suoi genitori. Si sdraiò sul letto, chiuse gli occhi. Poi si ricordò di quel pezzo di carta stropicciato, della figura magra che gliel’aveva dato e di ciò che vi era scritto sopra. Lo trovò, sgualcito e macchiato nella tasca dei jeans, poi impugnò il telefono.                                                                                                                                                                                                       
 
*
Edith sorrise alla signora Rulph con fare deciso.
«Oh, beh tesoro, ci devo pensare, ma ti faremo sapere».
A quelle parole richiuse la cartellina gialla, la mise in borsa e, ringraziandola, uscì dal negozio.
“Non ce la farò mai, non sono adatta nemmeno come cassiera in un negozio di dolciumi”.
Il telefono le squillò non appena posò piede sulla metrò.
Non guardò il numero, rispose e basta. E poi si fermò non appena sentì il suono di una voce famigliare dall’altro capo del ricevitore esordire con un Edith!, allegro e acuto.
«Teresa?», rispose Edith, con molta meno enfasi.
«Disturbo?», la voce della donna sembrava preoccupata.
«Oh, no. Affatto. Cosa volevi dirmi? Spero non sia niente di brutto».
«Tua madre mi ha chiamato pochi giorni fa e mi ha informato circa la tua situazione… ecco, credo di aver trovato qualcosa che faccia a caso tuo, il solo problema è che si tratta di una cosa un po’ fuori città…».
I pensieri di Edith si arrestarono  per un momento.
Teresa era una cara amica di sua madre e viveva con il marito, solo che non si ricordava né dove vivesse né che lavoro potesse offrirne uno ad Edith.

«Di che si tratta?».
«Come ben sai io e Malcolm gestiamo questo studio di fotografia e ...., da quest’anno apriamo dei corsi per dilettanti. Tua madre si chiedeva se potessimo avvisarti, e quindi, eccoci qui! Allora, che te ne pare?».
Edith era insieme sbalordita e arrabbiata, ma anche confusa. Fotografia, certo, la fotografia le piaceva e aveva anche seguito un corso al liceo, perché non provare?

«Beh, la cosa mi coglie un po’ di sorpresa, ma… direi di sì, a me andrebbe benissimo. Il solo problema è che non ho esattamente idea di dove si svolgerebbe…
«Oh, ma cara, a New York, ovviamente!».
   
 
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