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Autore: olor a libros    13/09/2015    1 recensioni
"Hai mai desiderato baciare una ragazza?"
Per un po' non dissi niente. Ci stavo pensando. Non la sapevo nemmeno io, la risposta.
Lei continuò: "Rispondi sinceramente, ti prego."
Mentre lo diceva io le guardavo le labbra. E ad un tratto sapevo la risposta.
"Sì. Ora."
Sorrise, e mi baciò.
E io la baciai.
E provai la sensazione più bella di sempre, che andava al di là di tutto quanto avessi mai provato fino a quel momento. Fui pervasa da una felicità immediata ed inspiegabile, un calore che riempiva ogni singola parte di me, ed era tutto molto strano ma al tempo stesso dannatamente giusto.
Sentivo le sue labbra morbide, ed erano così diverse da quelle a cui ero abituata, erano... giuste.
Era giusto prendere quel viso fra le mie mani, era giusto lasciare che le sue mi scendessero lungo la schiena, era giusto stringermi a quel corpo senza più nessuna paura, nessuna remora, e tenere gli occhi chiusi mentre davo il mio primo vero bacio.
Aveva tutto un sapore nuovo, ma al tempo stesso già vissuto, come se il mio corpo avesse immediatamente riconosciuto quel che da tanto tempo aspettava.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In qualche modo il tempo andò avanti. Al tempo non importa: lui tira dritto, e non si cura di chi è rimasto indietro.
Arrivò maggio e per la prima volta il caldo e il risvegliarsi del mondo intorno a me non mi portarono sollievo - al contrario, il contrasto tra i colori accesi di quest'ultimo e il grigio  del mio stato d'animo rendeva il tutto insopportabile.
L'unica cosa che mi dava un po' di speranza era il mio compleanno, a cui mancava ormai poco. Non che mi importasse poi tanto del mio compleanno - se per qualsiasi altra cosa il mio interesse era pari a zero, in questo caso poteva raggiungere al massimo lo zero virgola uno.
C'era solo una cosa di cui mi importasse ancora, sebbene cercassi di negarlo a tutti e a me stessa. Quella cosa era una persona, e quella persona era, ovviamente, Anna.
Sapevo che mi stavo solo illudendo, ma non potevo fare a meno di pensare che il mio compleanno fosse il giorno ideale perché lei tornasse finalmente da me.
Ero un'illusa, me lo continuavo a ripetere, ma poi mi sorprendevo nuovamente a fantasticare su come sarebbe stato andare ad aprire la porta e trovarmela lì, con i suoi occhioni azzurri che mi imploravano di perdonarla...
Non poteva non presentarsi per il mio compleanno, vero? Almeno gli auguri, almeno un messaggio, qualcosa...

Finalmente arrivò il 15 maggio. La prima cosa che feci appena sveglia fu controllare il cellulare. C'erano già un paio di post su facebook che mi auguravano buon compleanno, ma nessuno arrivava da lei.
Sospirando, mi alzai dal letto. Risposi ai messaggi per pura cortesia, mentre nella mia testa mi chiedevo chi fossero quelle persone; poi mi vestii con movimenti svogliati.
Sebbene non fossi affatto dell'umore adatto, Cristina e Laura mi avevano convinta ad organizzare una festa a casa mia. La gente avrebbe iniziato ad arrivare nel pomeriggio. A dire il vero non sapevo proprio chi sarebbe potuto venire - c'erano buone possibilità che tutti si fossero dimenticati della mia esistenza, così che mi aspettavo di vedere arrivare solo  Laura e Cristina, le uniche amiche che mi rimanevano.
    Eppure qualcuno venne. Compagni di scuola, vecchie conoscenze, gente che evidentemente non si faceva scappare l'opportunità di divertirsi e possibilmente bere a prescindere da chi desse la festa. Molti di loro, infatti, si fiondarono sul tavolo che avevamo imbandito senza neppure salutarmi o farmi gli auguri.
A me però non importava. Ero sollevata, anzi: non avevo affatto voglia di fare conversazione, non avevo voglia di fingere sorrisi quando l'unica cosa che desideravo in quel momento era lasciarmi cadere in un angolo e piangere.
Laura e Cristina però non mi mollavano un attimo. Continuavano a seguirmi, come consapevoli di sarebbe successo se mi avessero lasciata sola. Io sapevo che volevano aiutarmi, ma iniziavano comunque a darmi sui nervi.
Le ore passavano mentre io scambiavo qualche parola prima con uno poi con l'altro e fingevo di divertirmi.
"Ti stai divertendo, Maya?"
"Oh sì, il compleanno più bello di sempre!"
"Già, è la festa più bella di sempre!"
"La festa più bella di sempre!"
E tutti giù ad urlare e battere sui bicchieri.
      I miei occhi si spostavano dalla porta all'orologio, dall'orologio alla porta. E man mano che il tempo passava anche il più piccolo barlume di speranza dentro di me si spegneva.

"La torta!"
"Arriva la torta!"
La torta è stata sempre la parte che più odiavo ai compleanni.
"Evvai, la torta", commentai anch'io con tono annoiato.
Mangiai la mia dannatissima fetta di torta. Aprii quegli stupidissimi e banalissimi regali. Risposi a tutti i miei doveri di festeggiata. E intanto mi chiedevo dove fosse Anna in quel momento. Se mi stesse pensando.
Sì, mi stava pensando. Ne ero certa. Sapeva che era il mio compleanno, lo sapeva.
La immaginai nella sua stanza a lasciarsi divorare dai sensi di colpa e mi si strinse il cuore. Non riuscivo ad odiarla, non riuscivo. Non avrei mai potuto desiderare che soffisse, non importa quanto dolore avesse inflitto lei a me.
      All'improvviso suonò il campanello. Feci un salto sulla poltrona dove ero seduta, anche se stavo segretamente aspettando quel suono da ore.
La maggior parte delle persone nella stanza neanche se ne accorsero, ma io scattai immediatamente verso la porta. Mi ci fermai davanti. Feci un respiro profondo. Allungai la mano verso la maniglia. Un altro respiro. Infine aprii, certa di trovarmi davanti i capelli biondi e gli occhi azzurri che mi avrebbero fatto tornare a respirare.
E invece non fu così. I capelli biondi c'erano, ma erano quelli sbagliati. E gli occhi non erano azzurri ma castani. Non era Anna. Era Alessia.
"Cosa... cosa ci fai qui?" Non riuscii ad impedire che la mia voce uscisse carica di delusione.
Alessia sembrava più piccola e fragile di quanto non lo fosse mai stata. Mi guardava titubante.
"Sono venuta a farti gli auguri. Ho portato questo." Mi porse un pacchetto con un sorriso non troppo convinto.
Non mi mossi. Alessia era l'ultima nella lista delle persone con cui avrei voluto parlare in quel momento, non potevo sopportare un altro confronto con lei, non quando avevo creduto di essere sul punto di riconciliarmi con la ragazza per essere per l'ennesima volta delusa.
"Posso entrare?", ritentò la mia ex-amica. Quando vide che non accennavo a farla passare sospirò e prese a guardarsi le scarpe. "Senti..."
"Cosa?", tagliai corto.
"Mi dispiace. Sono venuta a scusarmi."
Scossi la testa.
"Non ti credo. Ma non ho voglia di discutere con te. Quindi entra pure, fa' quel che ti pare. Laggiù c'è da mangiare." Indicai il tavolo affollato di gente. Nel farlo incrociai lo sguardo di Cristina e Laura dall'altra parte della stanza; erano in piedi una di fronte all'altra e ci fissavano, a metà fra l'incredulo e lo speranzoso.
Alessia indugiò un attimo, poi finalmente entrò.
E io potei correre a chiudermi in bagno e arrendermi alle lacrime.
Non era venuta. Non era venuta. Non era venuta. Non c'era proprio più speranza, allora.
Illusa. Povera illusa.
Mi lasciai sfuggire un grido.
Poco dopo qualcuno bussò alla porta. Probabilmente erano le mie amiche che volevano consolarmi. Ma io non avevo bisogno di loro. L'unica persona di cui avrei avuto bisogno non si era neanche degnata di farmi gli auguri il giorno del mio compleanno.
Come aveva potuto? In cuor mio sapevo che lei stava soffrendo quanto me, ma non per questo faceva meno male.
"Maya, apri. Sappiamo che sei lì dentro." La voce era quella di Cristina.
Non risposi. Dopo alcuni istanti di silenzio pensai se ne fossero andate.
Invece un'altra voce tornò a farsi sentire attraverso la porta. Questa volta era Alessia.
"Smettila di fare la bambina! La tua festa fa schifo e tu te ne stai rinchiusa in bagno a piangere, è la cosa più deprimente che si sia mai vista!"
L'unico risultato fu quello di farmi infuriare, ma forse era proprio questo il suo intento, perché non appena aprii la porta per scaraventarmi contro di lei le altre due ne approfittarono per intrufolarsi dentro il bagno.
Così mi ritrovai circondata da tutte e tre. Andai a sedermi sulla vasca e le implorai di lasciarmi in pace, ma loro non ne volevano sapere di andarsene.
"Sono venuta a portarti il mio regalo", disse Alessia. "Con quello che mi è costato non ti permetto di lasciarlo di là buttato su un divano."
Riluttante, presi il pacchetto che  teneva in mano.
"Grazie", borbottai.
"Aprilo."
"Okay, dammi il tempo!"
Cristina e Laura ridacchiarono sommessamente, così io rivolsi anche a loro un'occhiataccia.
Ma aprii il regalo.
"Una camicia. Grazie Alessia." Mi sforzai di essere cortese e riuscii a tirare fuori un mezzo sorriso. Questo però non cambia niente, pensai.
"Non è una camicia qualunque", mi corresse. "E' una camicia di flanella. Pare che vada molto fra voi..."
"Lesbiche." Finii la frase per lei. Subito però mi pentii di averle tolto quel peso scomodo. Non avrei dovuto aiutarla, non le dovevo niente.
"E tu come fai a saperlo?", le chiesi.
"Be', mi sono informata", disse con un sorriso. "E' il mio modo di chiedere perdono per quanto stupida sono stata."
La fissai per qualche secondo. Sembrava sincera.
Questo allora cambia tutto, pensai. Si stava impegnando. Stava provando.
Non riuscii a negarle un sorriso.
"D'accordo, Alessia. Ti perdono."
Lei si fiondò ad abbracciarmi, io mi irrigidii, ma non mi sottrassi all'abbraccio.
   Almeno avevo riavuto indietro un'amica. Non era esattamente quella la mia priorità, ma era già qualcosa.

Quella notte sognai Anna ancora una volta. Il sogno era simile a quello che avevo avuto a settembre, la primissima notte in cui lei si era presentata nel mio subconscio.
Ora però non ero più io a scappare e ad essere poi stretta fra le sue braccia: le parti si erano invertite. Correvo sempre, sì, ma correvo dietro di Anna. Ed era lei a scappare, questa volta. E io la seguivo, e lei correva sempre a diversi metri di distanza, là, lontana, irraggiungibile... quando mi svegliai non l'avevo ancora raggiunta.
La delusione tornò a pesare come un macigno sullo stomaco mentre mi sforzavo di alzarmi dal letto.
Appoggiai un piede vicino all'altro per terra. Mi misi in piedi. Rimasi a fissare il muro spoglio davanti a me. Il nulla. Fuori e dentro di me. Sentivo il nulla.
La vibrazione del telefono spezzò per un secondo il silenzio. Lo schermo inizialmente si illuminò, poi tornò nero mentre lo fissavo dall'altra parte della stanza.
Senza nessuna curiosità lo andai a prendere e aprii il messaggio.
Quando lessi il mittente il cuore mi salì in gola. Anna. Era Anna.
Il testo era brevissimo, tre parole:
     "Mi dispiace. Perdonami."
Restai immobile con il cellulare davanti agli occhi. Aspettavo le lacrime, ma queste non arrivarono. Sentivo soltanto l'aria uscire ed entrare dai miei polmoni a ritmo vertiginoso, ma non riuscivo a formulare un pensiero coerente, non riuscivo a capire come mi sentissi né a trovare una reazione adeguata. Cosa avrei dovuto fare?
Per cosa ti dovrei perdonare?, avrei voluto scriverle. Per non essere venuta al mio compleanno? Per esserti dimenticata completamente di me? Di tutto? Per avermi lasciata per metterti con il mio ex ragazzo?
No, non era questo quello che volevo davvero scriverle.
Mi sedetti sul letto e aprii il mio laptop. Sapevo che c'era una canzone che era proprio quello che cercavo, ma non riuscivo a farmela venire in mente.
Poi all'improvviso mi ricordai: 'Soil, Soil', di Tegan and Sara. Quella era la mia risposta per Anna, quello  era ciò che volevo dirle.
Copiai il link sul telefono e glielo mandai.

 

All you need to save me
Call
And I'll be curled on the floor hiding out from it all
And I won't take any other call

All you need to say to me
All you need to say to me
Is call


[https://www.youtube.com/watch?v=kcVcm3LDXAk]

   
 
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