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Autore: fairyofacid    13/09/2015    0 recensioni
“ Il tempo non può far dimenticare; può solo raccogliere e mettere da parte, in un piccolo angolino nel cuore. Il tempo non guarisce; può solo alleviare il dolore, anche se forse la fine dei tempi è più dolorosa del dolore iniziale. ”
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo due.

 
 
Quel giorno il bar sembrava faticosamente pieno, rispetto ai soliti giorni settimanale. Gente che entrava e usciva a velocità incredibile, camerieri che correvano da tutte le parti con i vassoio, fogli e penne, ordinazioni e gridavano da una parte all’altra per farsi sentire. I cuochi lavoravano più del solito e sudavano decisamente troppo, tanto che la cucina fu invasa –ben presto– da un forte odore di genovese andata a male. Amelia, che era la ragazza al bancone, preparava cocktail di ogni tipo ed ogni gusto. Svuotava il frigo da ogni tipo di bevanda; lavava ogni due minuti bicchieri sporchi per poi riutilizzarli. Quando si entrava da fuori, un odore di cornetti caldi faceva venir voglia al cliente di mangiarne circa una decina; o l’odore del caffè svegliava tutti. Maya anche lavorava lì e si muoveva da un tavolo all’altro come una cavalletta, prendendo ordinazioni e portandole poi o al bancone o alla cucina. Doveva combattere anche con i ragazzini dagli omoni agitati che, spudoratamente, ci provavano con lei, ricevendo una reazione di disgusto o una alzata di tacchi. Odiava quando le capitava, soprattutto perché essendo la cameriera più giovane, tutti ci tentavano con lei, solo per gioco, forse. Quel giorno, però, sembravano tutti troppo indaffarati a parlare tra di loro e leggere i giornali per provarci con lei, quindi si sentiva grata per il casino improvviso. Si avvicinò al bancone per dare un ordinazione e ne approfittò per prendersi un bicchiere d’acqua che Amelia subito le diede, ridendo leggermente.
«Sembrano una mandria di cavalli imbizzarriti, oh mio dio» aveva esclamato gridando leggermente, facendo quasi sputare l’acqua a Maya che mentre rideva stava anche bevendo. La guardò male una volta finito il bicchiere, per poi essere richiamata da un tavolo e subito sparì dal bancone per avvicinarsi al cliente. Ogni estate faceva quel lavoro, sempre nello stesso bar, ormai aveva fatto amicizia lì e si trovava bene, anche in quei giorni pieni. La pagavano decentemente, quindi non poteva lamentarsi. Almeno non doveva chiedere ogni volta i soldi ai genitori ma aveva un gruzzoletto tutto suo e poteva farne ciò che voleva. Vivendo ancora con i genitori non aveva neanche niente da pagare, essenziale, quindi li usava a piacere suo. Le piaceva come cosa. Amelia era più grande di lei di un anno, l’aveva conosciuta a scuola prima che finisse ed era stata lei a consigliarle di andare a lavorare nel bar, in estate, giusto per stare sistemata durante le vacanze. Lavoravano entrambe tre giorni a settimana, qualche volta quattro, quando ce n’era il bisogno. Il cliente fu veloce ad ordinare solo un caffè nero, niente di più, ed era il primo che ordinava qualcosa di semplice. Maya fu quasi tentata di ringraziarlo riguardo la sua ordinazione ma stava ancora appuntando l’ordinazione ed ancora non aveva guardato nemmeno il cliente. Se ne pentì subito dopo aver alzato gli occhi su di lui. Era Harry e lui neanche la guardava; osservava il suo cellulare con impazienza, facendo agitare la gamba velocemente e mordicchiandosi il labbro inferiore. Maya si sentì leggermente mancare, poi si riprese velocemente da quello stato di shock e avanzò velocemente verso il bancone, posando con foga il foglietto sul ripiano freddo e di legno.
«Ehi, principessa, vacci piano» ridacchiò lievemente Amelia, osservandola e notando che non era per la folla che era agitata. Maya si passò il dorso della mano contro la fronte imperlata di sudore e strinse meglio la coda di cavallo, sentendo un fastidioso calore pervaderle tutto il corpo. Istintivamente si portò una mano al petto, prendendo il ciondolo e maneggiandolo con nervosismo. Lo faceva sempre, ogni volta che era nervosa o in imbarazzo. Amelia si sentiva in bilico tra l’aiutare la sua amica e continuare a servire i clienti impazziti. Scelse la prima opzione, i clienti potevano benissimo aspettare.
«Va tutto bene?» le domandò, prendendo un bicchiere e riempiendolo velocemente di acqua fresca, porgendoglielo poi. La bionda lo prese velocemente e fece un unico sorso, veloce, posando poi il bicchiere sul bancone ed annuì. Certo che stava bene. Doveva sorvolarci e fare finta di niente. Ormai erano otto anni, il tempo che si erano conosciuti era poco; in fondo, non era niente e nessuno nella sua vita. Sì, doveva essere positiva.
«Pronto il caffè nero?» si informò, parlando velocemente e allungando la mano verso la macchinetta. Amelia, sbigottita, prese il caffè nero pronto e glielo diede nelle mani. Aspettò che la ragazza andò via per mormorare tra sé e sé ‘lunatica’  ridendo e poi riprendendo a dare le ordinazioni. Maya si era diretta  con passo spedito e autoritario verso il tavolo di Harry e, una volta arrivata, aveva poggiato il caffè e lo scontrino avanti al suo viso. Il ragazzo sussultò leggermente per quel movimento brusco della bionda ed alzò velocemente lo sguardo verso la figura alza e torreggiante davanti a lui, socchiudendo le labbra. Alzò le sopracciglia mente Maya fece per andarsene ma la chiamò.
«Tu lavori qui?» chiese, sorpreso, non sapendo che altro dirle ma sentendo il bisogno di aprire una conversazione con lei. La ragazza si fermò sospirando e voltandosi di nuovo verso di lui, cercando di tenere l’espressione più indifferente possibile. Non doveva dargli a vedere che le interessava parlare con lui o che si innervosiva al suo fianco. Portò le labbra in dentro, guardando il proprio grembiulino intorno al bacino e il taccuino che aveva tra le mani.
«Non lo so, dimmelo tu...» esclamò alzando le sopracciglia, facendogli notare che era una cosa ovvia e la domanda fosse un tantino inappropriata. Harry rise lievemente e scrollò il capo, portandosi vicino il caffè nero e guardando lo scontrino, per poi prendere il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans neri.
«Vedo che hai coltivato un bel caratterino. Ti facevo più innocente e tranquilla» mormorò poggiando i soldi sul tavolino, aggiungendo che poteva tenere il resto. Maya raccolse i soldi e ringraziò, non commentando il suo discorso sul suo carattere. Aveva dovuto per forza avere quel carattere così; se ti mostravi alla gente ingenua o troppo buona, se ne approfittava senza pensarci due volte. Prendendosi tutto il bene che vogliono, andandosene senza soffermarsi neanche a pensare o ringraziare. Maya era cambiata per non soffrire più, nonostante ogni tanto usciva la parte buona di lei, ma era difficile. Harry la guardava intensamente; ammirava come matura fosse diventata e si rendeva conto che, ciò che pensava di lei a tredici anni, si era solo alimentato e i dubbi non c’erano mai stati. Ammirava come si muoveva velocemente tra i tavoli, con una facilità che sembrava facesse quel mestiere dalla nascita. Da una parte, fu felice che la ragazza abbandonasse il tavolo senza dire una parola, ignorandolo, così che lui non sentisse l’esigenza di continuare a vederla. Più lei gli stava lontano, più lui non le girava a torno. Da l’altra, però, quel suo comportamento duro, dandogli testa, alimentava quella curiosità di conoscerla. Dopo averla osservata per qualche minuto scorrazzare tra i tavoli per prendere e portare le ordinazioni. Maya ogni tanto lanciava uno sguardo al suo tavolo, sentendosi osservata, e lo beccava appunto fissarla. Dopo qualche minuto, abbandonò il bar, lasciando finalmente la ragazza in pace.
 
Il turno di Maya finì dopo altre tre ore dall’incontro con Harry. La gente cominciava ad abbandonare il locale e nessuno più entrava, fino a diventare praticamente vuoto. Amelia si era buttata letteralmente contro la sedia, sospirando molte volte e asciugandosi ancora una volta la fronte piena di sudore. Finalmente quella giornata stressante e faticosa era giunta al termine. Purtroppo, in settimana, era sempre così. Chi lavorava, nonostante il periodo estivo; chi, invece, andava lì proprio per le vacanze, essendo anche un bar molto conosciuto per l’ottimo servizio. Nonostante le giornate piene, i camerieri riuscivano a completare tutte le ordinazioni perfettamente. In quei giorni così, venivano anche pagati di più, per lo sforzo maggiore che facevano i ragazzi. Maya si accomodò su uno sgabello dinanzi al bancone, insieme agli altri camerieri stanchi. Erano quattro, due femmine e due maschi. I maschi avevano entrambi ventitré anni ed uno di loro era gay mentre l’altra cameriera aveva ventisei anni, era fidanzata e mancava poco al suo matrimonio. Amelia, appena si riprese, portò l’attenzione ai suoi quattro amici avanti a lei.
«Allora, bei ragazzi. Andrete in vacanza?» aprì il discorso la ragazza, poggiando i gomiti sulla superficie di acciaio che era collegata al lavello. Era una ragazza davvero bella, sembrava venisse dall’India. I capelli erano lunghi e il castano scuro sembrava quasi nero, come anche gli occhi a forma di mandorla. Era alta e magra, un fisico davvero molto bello ed il colore della sua pelle assomigliava alla cioccolata al latte. Maya, la prima volta che la vide, si sentiva in suggestione nello starle accanto. Si sentiva un corvo, accanto a lei, nonostante Amelia le avesse fatto tantissimi complimenti, inventandone anche alcuni. Elisabeth, la più grande dei camerieri, si porse per prima a parlare.
«Beh, come sapete io ho i preparativi del matrimonio che si avvicinano, quindi non posso permettermi di spendere molti soldi per me» iniziò, agitando molto le mani –come era suo solito fare– e sorridendo felicissima, «ma David ha detto che vuole portarmi in qualche Resort qui nelle vicinanze, giusto qualcosa di tranquillo ed economico» finì la frase battendo le mani tra di loro, sembrando molto più piccola della sua età e facendo ridere i ragazzi. Maya non sarebbe andata da nessuna parte, lo sapeva già, perciò se ne stava in silenzio ad ascoltare come tutti avevano già programmato la loro vacanza. Edward, il ragazzo gay, annunciò che si vedeva con un ragazzo e che avrebbe passato due settimane nella casa sul lago dei suoi genitori, con il suo amico.
«Io me ne vado tutto il mese in Svizzera» commentò George. Restarono solo Amelia e Maya; la prima guardò la bionda con insistenza, aspettando che questa esponesse la sua vacanza con felicità ma trovò solo un’espressione disorientata e triste, capendo subito che non c’era niente in programma. Amelia le sorrise incoraggiante e le mimò ‘ti farò compagnia io’ seguito da un bel sorriso. L’unica amica che aveva Maya sarebbe andata in vacanza, così era stata fortunata a trovare Amelia, almeno lei l’avrebbe aiutata a non annoiarsi la maggior parte dei giorni. Tutti i ragazzi, dopo esser stati pagati, alzarono i tacchi ed andarono via ognuno per conto suo. La settimana era arrivata alla conclusione, riguardo il lavoro, quindi si sarebbero visti direttamente la settimana successiva. Maya salutò gli altri ragazzi velocemente; voleva tornare a casa e riposarsi dopo quella giornata lunga e faticosa, ma Amelia la chiamò.
«Ehy, blonde beauty» esclamò la ragazza, chiamandola con il soprannome che le aveva affibbiato dal primo giorno che si avevano visto. La trovava davvero una bella ragazza, soprattutto per i suoi capelli. Amava il suo colore. Maya subito si fermò e si voltò verso di lei, con un sorriso ampio sulle labbra, nonostante la stanchezza che la mangiava viva.
«Dimmi, Pocahontas» le rispose Maya, ridacchiando lievemente. Era inevitabile quel nomignolo, era identica e spiccicata a quella principessa. Amelia sorrise dolcemente e si avvicinò alla ragazza, stringendo la borsa tra le mani e stringendosi nelle spalle, portando le labbra in dentro.
«Qualsiasi cosa sia successo oggi, se hai bisogno di parlarne, io ci sono. Okay? Qualsiasi sia il motivo» le disse, esitando leggermente. Eppure Maya aveva sempre pensato che Amelia non fosse una ragazza timida o che esitava prima di parlare. Maya si era fatta tutta un’altra idea di lei, e si era sbagliata.
«Ti ringrazio, Amelia, ma non è niente di cui preoccuparsi. Passerà» cercò di rassicurarla, sorridendole dolcemente. Girò poi le spalle e andò via, non volendo prolungare quella conversazione. Non le andava di sperperare già tutto riguardo Harry. Non era niente di che e non sentiva l’esigenza di parlarne con qualcuno.
Il tragitto verso casa sua sembrava più lungo di quanto non lo fosse in realtà. Il bar si trovava molto vicino casa sua, di solito ci metteva solo cinque minuti per arrivare, mentre ora ci stava mettendo molto di più. Aveva la musica nelle orecchie e molti pensieri nella mente. Chissà per quanto tempo Harry viveva lì e perché non l’aveva cercata appena messo piede a San Francisco, dato che Maya gli aveva detto dove si trasferiva. Forse non gli interessava più di tanto a lei e si faceva troppi pensieri inesistenti. Doveva accettare il fatto che il ragazzo non era più lo stesso e che non sarebbe mai diventato suo amico per iniziare. Aveva un’altra vita. Era famoso, anche se lei non lo aveva mai visto o sentito in giro. Sentiva delle ragazze parlare sempre di un pilota ma non si concentrava mai a capire chi fosse, non interessandosi allo sport. Eppure se si fosse informata prima, forse, in quel momento già si conoscevano e chissà cosa sarebbero stati. Maya alzò lo sguardo sospirando lievemente e scavalcò un muro che le si presentava sempre davanti agli occhi, entrando nel suo quartiere. Le annoiava fare tutto il giro per entrare dal cancello principale, così aveva imparato a scavalcare con facilità, era molto agile. Mise le mani nelle tasche dei jeans e camminò a passo veloce lungo le strade del quartiere, per arrivare a casa sua, dove le aspettava un bel letto morbido e rilassante. Guardò l’orario: le sei e mezzo. Se solo avesse un briciolo di vita sociale, poteva uscire e spassarsela, andando da qualche parte, in qualche locale; come tutti i diciannovenni. Solo che lei non era una diciannovenne normale; preferiva stare a casa a far niente, invece che sudare e puzzare di alcool per tutta la serata. Osservò alcune persone che stavano fuori, nei loro giardini, o nelle piscine proprie o a fare qualche barbecue. Alcuni la salutavano, sorridendole gentilmente e Maya ricambiava cercando di non sembrare troppo stupida o troppo fredda. Nonostante tanta gente che c’era, nessuno aveva fatto amicizia con lei o lei aveva fatto amicizia con qualcuno. Non ci riusciva. Si soffermò sulla casa accanto alla propria; era vuota, in vendesi. Guardandosi intorno, cercò qualcuno che la guardasse e notando che nessuno lo faceva, entrò nel giardino della casa in vendita. Guardò il cartello, leggendo la descrizione e sospirando lo sorpassò, avvicinandosi verso la casa. La porta d’ingresso era aperta, così vi entrò senza problemi, senza antifurto o altro. Si guardò intorno. La casa era vuota; i mobili erano spariti, come anche chi ci viveva. Deglutì rumorosamente, avanzando verso le scale e salendo lentamente mentre guardava la ringhiera fatta di legno ruvido e gli scalini scricchiolavano sotto i suoi passi lenti ed esitanti. Tutte le camere avevano la porta aperta ma lei entrò solo in quella che le interessava. Si morse il labbro inferiore quando, entrando, trovò il vuoto totale. Era così brutta, così spoglia e così piena di ricordi. Deglutì faticosamente quando l’immagine di lei le si apparse davanti agli occhi. Ormai erano passati tre anni, perché continuava a pensarci? Perché continuava a sentire quel senso di colpa divorarla ogni giorno sempre di più? Finché qualcuno non avrebbe, forse, comprato quella maledetta casa lei non poteva fare altro che sentirsi sempre male. Andò verso la finestra, aprendola ed affacciandosi. Per colpa di lei aveva le vertigini, paura dell’altezza, paura di tutto. Odiava tutto questo. Abbassò lo sguardo, chiudendo gli occhi e cercando di tirare dentro le lacrime che minacciavano di uscire pericolosamente. Si allontanò velocemente dalla finestra ed uscì dalla stanza. Non doveva entrarci in quella casa, le riportava in mente troppi brutti ricordi, eppure era sempre lì dopo il lavoro, a contemplare cosa avrebbe potuto fare per evitare tutta quella agonia che ora provava. Che stronzata. Doveva smetterla di pensare a lei, smetterla di darsi le colpe, smetterla di entrare lì dentro. Smetterla di pensare tutto come un problema. Pensò ad una cosa, poi, quando ne fu sicura, uscì velocemente dalla casa e si diresse a passo svelto verso casa sua. Senza neanche salutare o dire qualcosa ai suoi genitori, si diresse in camera sua correndo quasi. Appena fu dentro la sua immacolata stanza, lanciò la sua borsa sul letto e prese il suo cellulare dai jeans. Cercava di non pensare; se si fosse soffermata a pensare a ciò che stava facendo, poteva ripensarci e evitare che accadesse. Appena il suo oggetto tecnologico fu tra le sue mani, selezionò il nome di Amelia e, solo dopo aver messo il cellulare accanto all’orecchio, attese una risposta che arrivò dopo due secondi.
«Maya, buonasera!» disse cordialmente con voce tranquilla. Non si sentiva nessun rumore strano, sembrava quasi che fosse nel vuoto e l’unico suono che si udiva era il respiro calmo e leggero di Amelia. Maya si mordicchiò le unghie, pensando affondo a come formulare la frase, senza che risultasse stupida o disperata. Amelia la richiamò, ridendo, mentre la bionda sussultò appena.
«Volevo...hm, volevo chiederti che se non avevi da fare stasera, potevamo andare a ballare. Ho voglia di svagarmi...» mormorò appena, sentendosi in imbarazzo per quella richiesta leggermente strana da parte sua. Sentì infatti la ragazza dall’altra parte del telefono sospirare sorpresa e poi ridacchiare lievemente.  Maya si sentì in un leggero imbarazzo nel sentire l’amica ridere e si pentì subito della telefonata, ripetendosi in mente che cavolo stava facendo.
«Va benissimo per me. Alle nove e mezza passo a prenderti» rispose Amelia, felice di uscire quella sera. Anche lei non aveva molto da fare e, a differenza di Maya, adorava uscire e andare a ballare; era una cosa che proprio l’appassionava e a volte ci andava anche da sola, senza pensarci. Si misero d’accordo e alla fine attaccarono per prepararsi. Maya si diresse spedita verso il suo armadio. C’era un piccolo problema: non essendo amante delle feste e del ballare, non aveva niente o di sexy o di appagante. Sbruffò, roteando gli occhi al cielo. Perché non posso essere come tutte le normali diciannovenni? Perché io sono Maya Stuart, e lei non è alla moda. Spostando tutti i vestiti sobri che aveva, scorse un vestitino nero in lontananza. Pensò a quando lo aveva preso, neanche lo ricordava. Lo prese tra le mani e lo analizzò attentamente. Ma neanche ci entro qui dentro. Pensò, alzando un sopracciglio e rendendosi conto che era un tubino, quindi era praticamente aderente e poteva quasi soffocarla. Lo aveva messo solo una volta, ai venticinque anni di matrimonio dei suoi genitori, ovvero un anno prima. Lo guardò ancora per poco, poi decise che lo avrebbe messo. Andò in bagno velocemente e, solo dopo essersi data una veloce sciacquata generale, indossò quel vestitino e sembrò andarle perfettamente. Non si concentrò molto a guardarsi allo specchio; non che non si sentisse bella, ma non si sentiva in quel vestito. Si sentiva spoglia, come se avesse solo una magliettina leggera a dosso. Sospirò, prendendo degli stivaletti di pelle neri, abbinati, e li indossò. Non le andava di mettere i tacchi; già il vestito era molto. Sugli stivaletti c’erano delle borchie. Erano carini. Da sopra al vestitino indossò una giacca di jeans che le stava leggermente grossa ma quello era il bello. Si osservò allo specchio, sistemandosi la chioma bionda indomabile. Era impossibile dare una forma a quei fili viventi biondi; non valeva la pena neanche provarci. Si diresse nuovamente in bagno per truccarsi. Quando si decise che era pronta, prese una borsetta a tracollo e mise dentro le chiavi, il cellulare e il portafogli. Doveva avvisare ai suoi genitori che sarebbe uscita; non si immaginava una ramanzina, non usciva mai. Sapeva che i suoi genitori sarebbero stati felici ma temevano comunque per lei. Era una ragazza che non usciva mai, quindi poteva fare di tutto per provare. Era prevedibile, vulnerabile. Temevano solo questo. E non era mancanza di fiducia verso la figlia, ma verso il mondo fuori.
Maya scese velocemente le scale, preparandosi mentalmente ad un interrogatorio. Almeno quello. Sua madre stava preparando la cena, mentre il padre stava fermo sul divano a leggere un libro. Sgranchì lievemente la voce, attirando l’attenzione. Sua madre sorrise meravigliata nel vedere la figlia vestita in modo così carino e capì che era arrivano il momento.
«Amore! Sei stupenda...» sfumò la parola finale, sentendo subito una brutta fitta allo stomaco. Stava uscendo, ovvero crescendo. Forse poteva sembrare una cosa banale, commuoversi, ma non essendo mai uscita la ragazza ed essendo stata sempre sotto l’ala della madre, vederla finalmente fare una vita normale le faceva capire che forse era il momento di farla diventare autonoma e mettersi da parte. Maya le sorrise salutandola e agitando la mano anche verso il padre che, a differenza della madre, non la lasciò andare prima di dettarle delle piccole regole.
«Non bere troppo e poi guidi. Non andartene con il primo che passa. Non accettare drink altrui. Non farti fregare. Prendi solo una coca-cola, se è possibile.» A quelle parole Maya roteò gli occhi al cielo, sbuffando rumorosamente e guardandolo male, portando le braccia incrociate sotto al petto. Era davvero esagerato, a volte. Sembrava quasi che stava andando in guerra. Abbandonò la casa e si mise in macchina dell’amica che l’aspettava già fuori casa. Stava iniziando una serata nuova, diversa. Maya si chiede mille volte come sarebbe finita. 
 
 
SPAZIO AUTRICE. 
Okay. E' passato un po' di tempo, ma sono riuscita a pubblicare il secondo capitolo della mia adorata FF, che sto continuando a scrivere.
Ho messo una manip, creata da me, di Harry e Maya ( sabrina ) che secondo mesono carinissimi. 
Domani inizia la scuola e avrò molto meno tmepo di scrivere e aggiornare. Spero che voi pochi che leggete la mia FF sarete sempre pronti a leggere, nonostante molto tempo in ritardo.
Purtroppo non riuscirò a fare il trailer, che dispiacere. Ma... spero che vi piacerà comunque, anche senza il video, hahaha.

Un bacio, fairyofacid.

 
   
 
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