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Autore: Rosye    14/09/2015    1 recensioni
In quel momento, nel sentire le sue parole, avrei solo voluto stringerla forte tra le mie braccia e rassicurarla, dirle di non preoccuparsi, di non piangere, perché stavo bene ed ero qui accanto a lei e avrei fatto di tutto per mantenere la mia promessa... ma anche questo mi era impossibile.
- Tratto dal Prologo.
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fugaku Uchiha, Jiraya, Mikoto Uchiha, Sakumo Hatake, Tsunade | Coppie: Minato/Kushina
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 1




 



 

Molto tempo prima...










Tutto aveva avuto inizio una sera d'ottobre in cui, nel cielo di Konoha, aveva spiccato in volo un falco per richiamare nella sala delle riunioni tutti gli shinobi esperti del Villaggio della Foglia.
Nell'osservare quell'animale librarsi in volo, completamente incurante delle raffiche di vento gelido che al tramonto incominciavano a sentirsi, non riuscii più a far tacere lo strano senso d'inquietudine che da quella mattina mi aveva attanagliato il cuore in una morsa.
In un primo momento, pensai a un possibile attacco da parte di qualche villaggio nemico, ma scartai subito quell'idea perché, se così fosse stato, sarebbe scattato l'allarme d'emergenza e ciò, grazie al cielo, non era ancora avvenuto.
Tuttavia, questo non cambiava che doveva essere capitato qualcosa di veramente grave per spingere il Consiglio degli Anziani a convocare una riunione straordinaria.
Con un gesto nervoso, lanciai in uno dei cestini del parco la lattina di succo che avevo appena comprato dal distributore di bibite e, fregandomene di avere un appuntamento con Shikaku di lì a cinque minuti, mi diressi verso l'uscita dei giardini pubblici.
Volevo capire cos'era successo e avrei dato qualsiasi cosa per saperlo però, purtroppo, non mi era ancora permesso assistere a quel genere di riunioni perché ero un semplice Genin e, anche se mi faceva rabbia accettarlo, dovevo attendere che qualcuno ''dei piani alti'' si decidesse a rivelare qualche dettaglio o, quantomeno, desse degli ordini da eseguire.
Almeno, era questo che cercavo di ripetermi fino alla nausea ma, nonostante ciò, avevo la brutta sensazione che di qualunque cosa si trattasse non avrebbe fatto piacere a nessuno - o per meglio dire, non avrebbe fatto piacere a me.
Compresi di non essermi sbagliato quando vidi, solo pochi minuti dopo, il maestro Jiraiya e il suo vecchio team correre di gran carriera sulla strada per uscire dal portone principale del villaggio.
Se il Terzo Hokage era stato costretto a mobilitare anche i suoi ex allievi, dopo che questi erano appena tornati da una lunga missione nel Paese dell'Erba, doveva reputare la faccenda di livello S e della massima importanza.
Per mia fortuna comunque, incappai proprio nel maestro perché nonostante fosse un tipo piuttosto eccentrico, su di lui si poteva essere certi di una cosa: non importava se avesse tempo o no, se ne avevi bisogno, avrebbe sempre trovato un momento per parlarti o comunque per tranquillizzarti in qualche modo.
Quindi, non ci pensai due volte a chiamarlo: «Jiraiya-sensei!»
Al suono della mia voce lui arrestò di colpo la sua corsa, restando indietro di qualche passo rispetto ai suoi compagni di squadra che lo aspettavano poco più avanti; si voltò lentamente verso di me e mi guardò per qualche secondo negli occhi prima di distogliere lo sguardo, non abbastanza in fretta però da impedirmi di notare quella vena di compassione; la stessa, che leggevo quando doveva annunciarmi la morte di qualcuno. E sebbene negli ultimi tempi avevo visto quello sguardo sul suo volto molte volte, il dolore e la rabbia che provavo di fronte ad esso erano sempre così intensi da lasciarmi boccheggiare senza parole e, inutilmente, mi ritrovavo a maledire con tutte le mie forze queste guerre tra villaggi che ogni giorno mietevano vittime solo per degli stramaledettissimi giochi di potere.
Strinsi forte i pugni per cercare di controllare come meglio potevo la rabbia che sentivo ribollire nelle vene e nella mia mente ripetei come un mantra la regola numero 25: un ninja non deve mai mostrare quello che prova dentro, non deve farlo per nessun motivo...*
Però, ora più che mai, questa regola mi sembrava del tutto insensata.
Come si poteva minimamente pensare di mettere a tacere il cuore di fronte a una simile disgrazia?
Perdere un amico, un compagno o un fratello era qualcosa di straziante. Era un taglio che penetrava fin dentro l'anima e non vi era alcun modo per rimarginare una tale ferita; neanche il tempo era utile, al massimo, poteva soltanto riuscire ad anestetizzare il dolore.
Il maestro, intuendo forse quali pensieri mi stessero logorando l'anima, posò una mano sulla mia spalla per cercare di consolarmi, ma quel gesto non fece altro che scuotermi maggiormente e persino io mi meravigliai del tono tagliente con il quale pronunciai quella fatidica domanda: «Chi?» 
Già, chi? A chi altro era toccato sacrificarsi?
Distrattamente, sentii lo sbuffo spazientito di Orochimaru e avvertii quasi a pelle l'impazienza di Tsunade, ma a questo punto non mi importava più di nulla: volevo sapere tutto, e Jiraiya mi conosceva abbastanza bene d'averlo capito da sé.
Sospirò pesantemente, quasi volesse farsi coraggio prima di parlare e nonostante fossi convinto di poter reggere qualunque notizia, niente, e dico niente, mi avrebbe potuto preparare a quelle parole: «Quest'oggi, nel tardo pomeriggio, hanno rapito Uzumaki Kushina. Purtroppo, i ninja inseguitori* hanno perso le sue tracce appena fuori dal villaggio e dal sangue ritrovato in casa sua... si pensa che sia già morta.»
Schiette e dirette come un fulmine a ciel sereno; quelle parole erano state in grado di travolgermi con la forza di un uragano, distruggendomi senza alcuna pietà.
Eppure, stimavo Jiraiya anche per questo: lui non cercava mai d'indorare la pillola per renderla meno amara o non girava intorno a una questione in eterno, se aveva un problema, l'affrontava, punto.
Ciò che nessuno - compreso me - però si aspettava, fu proprio la mia reazione: «No, non può essere!» gridai fuori di me per un secondo, mentre nella mia mente si formava l'immagine di una ragazzina dai lunghi capelli rossi e due grandi occhi blu, così scuri e profondi da sembrare quasi dei pozzi neri.
Il maestro mi fissò allibito ed io, rendendomi conto della gaffe appena commessa, arrossii fino alla radice dei capelli.
No, non era da me reagire a quel modo, fin da quando avevo iniziato a frequentare l'Accademia per diventare un ninja avevo imparato a mantenere sotto controllo le mie emozioni e a ragionare con lucidità in qualsiasi circostanza, ma questa volta qualcosa era diverso.
Il pensiero del corpo di Kushina martoriato e senza vita mi sconvolgeva del tutto, mandando al diavolo il mio autocontrollo.
E poi, quasi a farsi beffa di me, la sua voce affiorò da un ricordo molto lontano: "È vero, sono forestiera, però potresti aiutarmi a non esserlo!"*
Serrai gli occhi e scossi la testa per allontanare quelle parole intrise d'amarezza dalla mia mente fino a quando, Jiraiya, non mi richiamò al presente: «Ehi, stai bene?» chiese, leggermente preoccupato. «...Sei diventato bianco come un cencio.»
«Lei...» provai a dire, ma con scarso successo; la voce mi aveva abbandonato, ma lui sembrò capire ugualmente.
«La conoscevi?»
Annuii, incapace di fare altro.
«Mi dispiace tanto.» mormorò rammaricato, stringendo lievemente la presa sulla mia spalla.
Tuttavia, quel gesto d'affetto anziché rincuorarmi, ebbe l'effetto contrario e, fece nuovamente ribollire la rabbia che per un momento era stata accantonata dallo sgomento. E sentii anche nascere per la prima volta un nuovo sentimento, qualcosa di profondo e terribile allo stesso tempo: la paura.
Sì, avevo paura di non rivedere più quella ragazzina dal temperamento forte e lo sguardo perennemente malinconico.
Pregai in cuor mio di stare facendo solo un bruttissimo incubo o d'essere vittima dell'arte illusoria di qualche nemico, tutto, purché lei fosse sana e salva al villaggio.
Ciò nonostante, la realtà era ben lontana dal mio desiderio e Kushina era stata rapita davvero.
L'unica cosa che mi rimaneva da fare, era aiutare nelle ricerche perché non potevo rassegnarmi nel crederla morta, qualcosa mi spingeva ad esserne certo: lei era viva ed aveva bisogno d'aiuto.
Questo pensiero riuscì a darmi la forza per tornare a ragionare lucidamente.
«Sensei...» dissi con fermezza, afferrando la sua mano dalla mia spalla. «...mi faccia venire con lei, voglio aiutare anch'io nelle ricerche.»
Lui sembrò soppesare le mie parole, indeciso, ma alla fine scosse la testa in segno di diniego. «No, ho un altro compito per te.» rispose, pacato. «Con questa faccenda è scattato l'allarme d'allerta, quindi, tutti i Chūnin e i Genin sono tenuti a controllare il villaggio e a proteggere i civili senza dare troppo nell'occhio, mentre alcune squadre di Jōnin andran-» 
«Non voglio restare al villaggio!» esclamai con veemenza, interrompendolo. «Mi faccia venire con lei, per favore.»
Lui scosse nuovamente la testa, questa volta senza nessuna esitazione. «No, devi restare al villaggio e proteggere i civili.» ordinò, liberandosi la mano dalla mia presa con un gesto secco.
Frustrato e arrabbiato, agguantai di nuovo con forza il suo polso e lo guardai negli occhi; in cerca, delle parole adatte per spiegargli ciò che neppure io capivo appieno.
Sapevo che la cosa più logica da fare era rimanere al villaggio come mi era stato ordinato e lasciare fare al maestro e al suo team ma, contrariamente alla ragione, il mio cuore mi urlava di andare perché altrimenti me ne sarei pentito amaramente.
«Jiraiya, ne hai ancora per molto?» chiese ad un tratto Orochimaru, sprezzante, attirando la nostra attenzione. E anche se era ben nascosta, potevo vedere nei suoi occhi una luce di perverso divertimento; sembrava quasi che godesse nel vedermi turbato in quel modo: quell'uomo faceva venire i brividi.
Repressi come meglio potevo i miei sentimenti per non dargli altre soddisfazioni e, serrando le mascelle, abbassai lo sguardo, apparentemente sconfitto; quando in realtà, sentivo crescere e scorrere dentro le vene il bruciante ed insaziabile desiderio di vendetta verso coloro che avevano osato farle del male.
Questa storia non sarebbe finita qui.
In qualche modo, sarei riuscito a trovarla e a riportarla al villaggio sana e salva.
Jiraiya, approfittando della mia momentanea arresa, liberò con delicatezza il polso. «Devo andare.» mormorò, voltandosi e bloccandosi subito dopo, come se gli fosse passato uno strano pensiero per la testa. «Minato?» mi richiamò serio, dandomi le spalle.
«Sì sensei?»
«So cos'hai in mente di fare e te lo vieto nel modo più categorico, lascia a me questo compito. Cercherò di riportarla indietro, te lo prometto.»
Strinsi forte i pugni, fino a far sbiancare le nocche.
No, lui non capiva.
Io non avevo bisogno di promesse o finte speranze; io volevo soltanto correre in suo aiuto come non avevo mai fatto in passato.
Senza aspettare una risposta, il maestro, riprese a correre verso il portone principale seguito dai suoi compagni e io restai lì, immobile, a guardarli allontanarsi, chiedendomi cosa accidenti fare; non potevo né seguirli, perché se ne sarebbero accorti, né restare al villaggio a rigirarmi i pollici mentre lei era in pericolo.
Nella mia mente ricomparve nuovamente l'immagine del suo volto e il mio cuore perse un battito, consapevole di non avere molto tempo a mia disposizione.
Se volevo davvero fare qualcosa per lei, dovevo sbrigarmi ad agire oppure sarebbe stato veramente troppo tardi.
Ma che cosa potevo fare? Non avevo nemmeno un punto di partenza da dove iniziare le ricerche e, ammettendo che sarei riuscito a trovarla, non sapevo neanche chi diavolo sarebbe stato il mio avversario.
Poi, ad un tratto, come un'illuminazione ripensai alle parole di Jiraiya-sensei: "...e dal sangue ritrovato in casa sua..."
Ma certo! Come avevo fatto a non pensarci prima?
Secondo le parole del maestro il rapimento era avvenuto a casa di Kushina e quello era il punto migliore da cui iniziare le ricerche. Era l'unico posto dove ci poteva essere qualche dettaglio che avrebbe ricondotto ai rapitori o a lei.
Però, il maestro, aveva anche detto che i ninja inseguitori avevano perso le loro tracce appena fuori dal villaggio e questo, non rendeva le cose semplici: se persino i migliori shinobi esperti nell'inseguimento erano stati ingannati e giocati da quei ninja, rintracciarli sarebbe divenuto davvero un compito arduo.
L'unica speranza a cui potevo aggrapparmi era quella di trovare qualche particolare sfuggito agli altri con la fretta; mi sarebbe bastato la qualunque cosa purché indicasse il loro passaggio.
Sapevo che la mia era solo una labile speranza, ma dovevo tentare ugualmente.
Con il cuore gonfio d'angoscia e paura, mi precipitai a casa di Kushina, maledicendo il fatto che la sua abitazione si trovasse a sud, nella zona più periferica del villaggio, subito dopo il boschetto dei ciliegi; anche correndo, ci avrei impiegato dieci minuti abbondanti per arrivare a destinazione.
Fu un sollievo per me quando vidi finalmente in lontananza la piccola collinetta nascosta dagli alberi in fiore, dove era stata costruita la sua casa.
Sollievo, che ben presto venne sostituito dall'orrore nell'osservare lo scempio compiuto all'interno di essa.
Sconvolto, restai per qualche secondo a fissare con sguardo assente i resti di quella che una volta era una bella e grande villa in stile giapponese.
Il pesante portone di legno era stato fatto letteralmente saltare in aria e il bel giardino, fino a qualche giorno fa così ben curato, era stato ridotto a un campo di battaglia pieno di buche e tronchi d'alberi abbattuti; i pannelli shoji dell'engawa, che davano su quello che un tempo era il laghetto, erano andati distrutti in mille pezzi come se qualcuno gli fosse stato scagliato contro con forza e mostravano le stanze più esterne della casa; anche i tatami e le pareti interne erano ridotti in pessime condizioni, ma quello che attirò maggiormente la mia attenzione e mi fece contorcere lo stomaco in modo doloroso fu l'enorme pozza di sangue fresco che faceva bella mostra di sé proprio sotto i miei occhi, all'entrata, sul piccolo vialetto acciottolato.
Sotto shock, mi piegai sulle ginocchia e toccai con la punta delle dita quel liquido vischioso, risentendo - dopo tantissimo tempo - il bisogno impellente di piangere e vomitare anche l'anima.
"...e dal sangue ritrovato in casa sua... si pensa che sia già morta."
Le parole di Jiraiya balenarono di nuovo nella mia mente insieme all'immagine del volto pallido di Kushina e il mio cuore accelerò la sua folle corsa.
Che cosa diavolo avevano osato farle?
Guardai la mia mano, sporca del suo sangue e digrignai i denti come un animale feroce, desiderando - con ogni fibra del mio essere - ammazzare quei fottuti bastardi; e stringendo il pugno, giurai a me stesso che l'avrei ritrovata anche al costo della mia stessa vita.
Non mi importava come, ma sarei riuscito a salvarla da quei farabutti.
Respirai profondamente, consapevole che da questo momento in poi non dovevo più permettere a nessun sentimento di distrarmi e iniziai a guardarmi attorno, in cerca d'indizi utili.
Però, più osservavo quel campo di battaglia e maggiore era il peso sul mio cuore; perché in quel luogo, oltre alle macerie e alla desolazione, non vi era nient'altro.
«Dannazione!» esclamai, esasperato.
In fondo, che cosa mi aspettavo?
Quei ninja erano stati così attenti nel far perdere le loro tracce da mandare nel pallone un'intera sezione investigativa; chiunque fossero, dovevano essere shinobi eccezionali che avevano dedicato molto tempo all'elaborazione di questo piano calcolando ogni possibile evenienza. Non sarebbero caduti facilmente in falli grossolani e questo era un problema.
Tuttavia, per quanto un ninja potesse essere abile, commetteva sempre degli errori: bisognava solo accorgersi di quali fossero e usarli a proprio vantaggio.
E fu mentre ero ancora intento a ragionare che uno strano luccichio accanto alla pozza di sangue attirò la mia attenzione, quasi mi stesse chiamando a gran voce.
Mi avvicinai all'entrata del portone restando meravigliato da ciò che vidi.
Lì, a poca distanza da me, sporchi di terra e sangue - e illuminati dai raggi del sole morente - risplendevano alcuni fili di fiamma. E mi ritrovai a pensare che fin troppe volte, all'Accademia o per le strade di Konoha, ero rimasto ammaliato da quella particolare sfumatura di rosso per non riconoscerne la chioma a cui appartenessero.
Quelli, senza ombra di dubbio, erano i capelli di Kushina.
Raccolsi da terra quella piccola ciocca di capelli vermigli e la studiai attentamente come se da essa potessi scoprirne un segreto importantissimo.
E così fu.
Quei capelli, erano tutti spezzati in vari punti ma sempre all'altezza delle spalle e, almeno che qualcuno non avesse afferrato e strattonato Kushina per essi durante il combattimento, l'unica ipotesi possibile era che lei stessa se li era strappati di sua volontà.
Ma perché aveva fatto una cosa simile?
Guardai davanti a me con sguardo vacuo, perso nelle mie riflessioni, finché non mi sembrò di risentire la voce di Yūhi-sensei*, quando all'Accademia Ninja ci fece quella lezione sui messaggi in codice: "...dovete sempre essere in contatto con i vostri compagni di squadra. Questo è di vitale importanza! Se durante la missione siete costretti a separarvi, dovete trovare subito il modo per comunicare tra di voi e indicare il luogo in cui vi trovate, ma attenzione, il codice che voi lascerete dovrà essere criptato soltanto dai vostri compagni, altrimenti, rischierete di metterete in serio pericolo anche loro! E ovviamente, dovete stare attenti a non farvi scoprire da eventuali nemici. Molte volte, il successo di una missione..."
Possibile che...?
Lanciai un'altra occhiata ai suoi capelli, sentendo la speranza nascere dentro di me.
Probabilmente, sopraffatta dai rapitori, aveva pensato di lasciare qualche traccia come muto segnale d'aiuto, nella speranza di poter essere ritrovata da qualcuno. E questo indicava solo una cosa: lei era ancora viva ed era pure abbastanza vigile da poter indicare il loro percorso.
Sorrisi beffando, erano stati davvero abili a nascondere le loro tracce ma, nella loro premura di portare via l'ostaggio, avevano commesso il grosso errore di sottovalutare l'intelligenza di quella ragazzina.
Che stupidi che erano stati!
Comunque, stupidi o no, non avevo tempo da perdere, lei era ancora alla loro mercé.
Correndo come un forsennato, seguii il percorso da lei tracciato, ringraziando tutti i Kami per l'idea geniale che aveva avuto quella ragazza.
I suoi capelli, anche se con qualche piccola deviazione, portavano a nord-est in direzione del Paese del Fulmine.
Quindi, quasi certamente, dietro al suo rapimento si nascondeva il Villaggio della Nuvola.
Non me ne meravigliai più di tanto, in fondo, Konoha e Kumo erano in una specie di guerra fredda da molto tempo, però non comprendevo perché avevano scelto di catturare proprio Kushina, spingendosi ad entrare persino dentro le mura del nostro villaggio per averla.
Sì, il Villaggio della Nuvola, era conosciuto in tutte le Cinque Grandi Terre Ninja per la sua brama nella ricerca del potere, ma nonostante lei fosse una kunoichi davvero abile nel combattimento, non era dotata di qualche preziosa abilità innata come il Byakugan o lo Sharingan.
Quindi, la domanda mi sorgeva più che spontanea. Che cosa diavolo poteva possedere di tanto prezioso per attirare l'attenzione dei paesi nemici fino ad arrivare a questo punto?
Scossi la testa per allontanare questi pensieri, avrei avuto tempo per riflettere su i reali motivi del suo rapimento una volta ritornato al villaggio con lei, intanto, dovevo concentrarmi sulle sue tracce e riuscire a salvarla prima che quei ninja arrivassero ad oltrepassare il confine tra le due Terre.
Muovendomi con agilità, saltai da un albero all'altro, balzando a terra ogniqualvolta avvistavo una ciocca di capelli per afferrarla e poi proseguire nella mia folle corsa, nella speranza di raggiungerli il prima possibile.
Alla vista dell'ennesimo segnale, mi chiesi come quei dannati potessero essere così sicuri di sé da ignorare totalmente il loro ostaggio; senza rendersene conto stavano commettendo un altro errore, forse il più grave di tutti; ovvero, sottovalutare l'avversario.
Ricordavo molto bene come il maestro Jiraiya, nei giorni seguenti al mio diploma all'Accademia, si premurò di inculcarmi fino alla nausea questa regola basilare: "Mai sottovalutare il tuo nemico, anche se lui è più debole di te, può sempre riservarti molte sorprese che possono condurti facilmente alla morte."
E Kushina, a loro insaputa, era un avversario davvero difficile da battere.
A ben vedere, quella ragazza era una fonte di sorprese sotto molti punti di vista, ma non era questo il momento adatto per pensare a ciò.
Lanciai un'occhiata attorno a me, rendendomi conto che ero quasi arrivato al confine tra i due territori e per di più, il sole era tramontato ormai da un pezzo, lasciando il posto ad una splendida luna piena e a un cielo leggermente coperto da alcune nubi passeggere.
Ma quanta strada erano riusciti a fare quei maledetti? Era da ore che gli stavo dietro, ma non ero ancora riuscito a raggiungerli e il pensiero d'essere quasi giunto al confine non mi tranquillizzava per niente.
Se avevano già raggiunto il loro territorio, sarebbe stato un vero problema.
Non potevo entrare a cuor leggero in un territorio nemico come quello del Paese del Fulmine; avrei dovuto chiamare dei rinforzi, ma a quel punto sarebbe stato troppo tardi per salvarla; per non parlare poi, della possibile guerra che sarebbe potuta scoppiare tra i due villaggi.
L'Hokage, sarebbe stato disposto a pagare un prezzo così alto per la vita di una ragazzina data già per morta e tra l'altro anche forestiera?
Sinceramente parlando, ne dubitavo.
Il Terzo era un uomo buono e un grande leader, amava Konoha e i suoi cittadini con tutto se stesso e avrebbe dato la sua vita senza battere ciglio per proteggere il villaggio; ma non avrebbe mai rischiato di mettere tutti in pericolo per salvare soltanto una vita.
Mancavano solo pochi chilometri alla linea di confine e stavo iniziando a temere il peggio quando, finalmente, li vidi in lontananza.
Erano in tre e come avevo supposto, i suoi rapitori, erano shinobi della Nuvola; Kushina, invece, si trovava in mezzo a loro con le mani legate dietro la schiena, camminava con passo dimesso e apparentemente non sembrava riportare ferite gravi.
Stavo per tirare un sospiro di sollievo quando, ad un tratto, la vidi inciampare nei propri piedi e cadere a terra senza forze, sbattendo il volto sul duro terreno. E anche se quello non era il momento adatto, non potei fare a meno di restare colpito da quella scena; perché in quell'istante, Kushina mi sembrò essere l'essere più piccolo e indifeso di tutto il pianeta, completamente differente dalla ragazzina forte e con la battuta sempre pronta che i ragazzi dell'Accademia avevano imparato a temere.
«Forza, alzati, stupida ragazzina!» grugnì uno dei tre ninja, tirando barbaramente la corda con cui la teneva legata e, ignorando i suoi gemiti di dolore, continuò a sollevarla in quel modo fino a rimetterla in piedi.
Serrai le mascelle con forza, sentendo dentro di me montare un miscuglio di famelica vendetta e d'odio profondo verso di loro; non avrei avuto nessuna pietà, li avrei annientati uno alla volta per ciò che le stavano facendo passare, ma per il momento mi costrinsi a mantenere il controllo.
Dovevo elaborare una strategia, e anche alla svelta, e per farlo dovevo mantenere i nervi saldi.
Ragionai velocemente: loro erano in tre, mentre io ero da solo; e molto probabilmente erano tutti e tre dei Jōnin.
Li osservai con attenzione per cercare un loro possibile punto debole; dalla loro postura rilassata, non dovevano essersi accorti della mia presenza e non sospettavano nemmeno di poter essere raggiunti da qualcuno; questo giocava senz'altro a mio favore. Inoltre, la foresta era un ottimo campo di battaglia per me e potevo anche contare sull'aiuto del buio per nascondermi alla loro vista.
Se giocavo bene le mie carte potevo batterli, dovevo solo essere molto svelto e silenzioso.
Tre, due, uno... via!
Con un rapito scatto mi portai alle spalle del terzo ninja, quello che chiudeva il gruppo e teneva la corda con cui era legata Kushina, e lo colpii con una gomitata rompendogli di netto l'osso del collo poi, mi nascosi velocemente alla vista dei suoi compagni ancora ignari di cosa stava succedendo. Senza perdere tempo, colpii con una capriola anche il secondo shinobi, troppo distratto a guardare il corpo del suo compare senza vita per accorgersi di me.
Meno due, pensai sarcasticamente, andando a nascondermi nella fitta vegetazione del bosco.
Ora ne mancava solo uno.
Lo guardai fissare con sgomento i corpi morti dei suoi compagni di squadra e scappare nel fitto della foresta, abbandonando la sua postazione al lato di Kushina.
La sua, poteva anche essere stata una buona idea per guadagnare del tempo, peccato però, che aveva scelto di rifugiarsi proprio di fronte a me.
Appena si voltò per controllare alle sue spalle, restò atterrito nel vedermi balzare su di lui dal tronco in cui mi reggevo grazie al chakra nei piedi, provò ad estrarre un kunai per difendersi, ma fu troppo lento: per lui non c'era più via di scampo.
Con un preciso ed agile movimento del polso gli tagliai la gola e lo vidi precipitare giù dall'albero come un burattino a cui erano stati recisi tragicamente i fili.
Spostai lo sguardo sulla mia mano insanguinata e storsi le labbra in una smorfia disgustata.
Non mi piaceva uccidere, anzi, odiavo porre fine ad un'altra vita; ma questa volta, in gioco c'era qualcosa di estremamente prezioso e non potevo rischiare di perderla per nessuna ragione al mondo.
Mi voltai automaticamente verso di lei, osservandola attentamente dal ramo in cui mi trovavo.
Sembrava non essersi accorta di nulla e continuava a camminare mettendo davanti a sé un passo traballante dietro l'altro, come un automa.
Sorrisi nel guardarla, non riuscendo più a reprimere il sollievo e la gioia nel vederla, grazie al cielo, viva.
Mi concentrai maggiormente sul suo aspetto e, nonostante avesse i lunghi capelli scompigliati e sporchi di terra, le guance pallide e gli occhi gonfi e cerchiati da evidenti occhiaie per la stanchezza, la trovai semplicemente stupenda nella sua bellezza ancora un po' acerba, da ragazzina.
Ma, in fondo, avevo sempre pensato che lei fosse bellissima; quindi, non ero proprio sicuro di quanto potesse contare il mio parere in quel momento.
Dandomi mentalmente dell'idiota per i miei pensieri poco appropriati, gettai via il kunai insanguinato e mi pulii alla ben'e meglio la mano per non spaventarla; era stata già abbastanza traumatizzata dall'aggressione dei ninja della Nuvola per sopportare altro.
Saltai giù dall'albero e mi parai di fronte a lei, ma misi volutamente una certa distanza tra noi per darle il tempo di accorgersi della mia presenza e di comprendere d'essere ormai al sicuro.
«Sei ferita?» chiesi, per richiamare la sua attenzione.
Lei non sembrò aver udito le mie parole e fece altri due passi nella mia direzione con lo sguardo assente, perduto chissà dove; e in volto, aveva un'espressione così indifesa ed esausta che mi si strinse il cuore nel petto dalla tenerezza.
Perché le avevano fatto questo? Lei non meritava di passare una simile esperienza.
Poi, come se qualcosa l'avesse riscossa dal suo stato, alzò gli occhi e li puntò su di me. In quel preciso istante, la luce della luna rischiarò il suo viso rendendola ai miei occhi, se possibile, ancora più bella.
Il mio cuore perse un battito e poi due. E sperai intensamente di non arrossire come un allocco.
«Sono venuto ad aiutarti, Kushina-chan.» dissi con dolcezza, per tranquillizzarla.
Lei impiegò qualche secondo prima di riconoscere il mio volto e capire le mie parole, ma quando lo fece, si aprì in un meraviglioso sorriso di pura gioia prima di crollare a terra completamente sfinita.
Preoccupato, la raggiunsi con uno scatto veloce delle gambe e la afferrai tra le mie braccia, impedendole di finire nuovamente contro il duro terreno.
Lei, al quel contatto, sobbalzò e aprì gli occhi, meravigliata.
«Andrà tutto bene, vedrai.» le mormorai, sorridendole per rassicurarla.
Però, nel toccarla, notai immediatamente che qualcosa non andava: aveva certamente bisogno di cure urgenti e anche di riposare; ma eravamo troppo vicini al confine per poter perdere altro tempo.
Se quelli della Nuvola, avessero mandato una squadra per controllare o comunque per dar man forte ai ninja appena sconfitti, mi sarei trovato in grossi guai.
Dovevamo andarcene da lì, e anche alla svelta. Più avanti, avrei trovato un posto sicuro dove farla riposare e magari, prestarle i primi soccorsi per quello che potevo fare.
Con un gesto repentino, la sollevai tra le braccia senza alcuno sforzo.
«No, aspetta!» provò a protestare, ma ovviamente, non la ascoltai.
Le sciolsi i polsi dalla corda con una mano e balzai in aria con un lungo salto, senza darle il tempo di protestare ulteriormente.
Restai talmente sorpreso nel sentire il suo corpo così leggero e minuto tra le mie braccia che temevo stupidamente di poterla spezzare se non avessi fatto attenzione.
Lei però, ignara completamente dei miei pensieri, continuò a fissarmi con la bocca lievemente dischiusa. Sembrava quasi che non mi avesse mai visto in vita sua e forse, pensai tristemente, era davvero così.
Scacciai dalla testa quegli strani pensieri e mi concentrai sulla strada davanti a me.
Eravamo ancora troppo vicini al confine per permettermi di distrarmi però, un piccolo sussulto di Kushina attirò la mia attenzione.
Le lanciai un'occhiata con la coda del occhio per controllare che stesse bene e la scoprii intenta ad osservare la mia mano sinistra. Imbarazzato, mi ricordai soltanto allora di non aver nascosto nella tasca della felpa tutte le ciocche di capelli che avevo raccolto durante l'inseguimento.
Tornai a guardare di fronte a me, stringendo le labbra in una linea sottile.
In tutti questi anni, avevo sempre desiderato parlarle e magari, diventare un suo amico per starle accanto, ma la mia timidezza mi aveva costretto ad osservarla soltanto da lontano ogni volta che ne avevo la possibilità senza riuscire ad avvicinarla in qualche modo. E invece ora, come uno strano scherzo del destino, lei era qui tra le mie braccia.
Strinsi impercettibilmente le dita attorno alle sue ginocchia, sperando con tutto me stesso di riuscire, almeno stavolta, a dirle tutto ciò che pensavo. E quando sentii i suoi occhi scrutarmi con insistenza, non riuscii più a trattenermi.
«Hai dei capelli stupendi, li ho notati subito.» mormorai, ringraziando il mio autocontrollo per non essere arrossito dall'imbarazzo.
Lei, invece, colta di sorpresa distolse lo sguardo, impacciata. «Ma se non mi hai mai degnata di uno sguardo né aiutata.» borbottò, scettica.
Sorrisi, non potevo darle torto.
Eppure, come facevo a spiegarle che se avevo mantenuto le distante era perché lei era una delle poche persone capaci di mettermi completamente in soggezione? E poi, anche volendo, lei non era il genere di ragazza che accettava facilmente d'essere aiutata da chiunque: era troppo orgogliosa per farlo.
«Sì, perché so che in genere non ti serve aiuto, sei una ragazza molto forte... non soltanto nel fisico, ma anche nello spirito.» risposi, atterrando sulla cima di un albero. Se proprio dovevo dirle tutta la verità, volevo guardarla negli occhi. «...ma qui c'è di mezzo una pericolosa disputa tra due villaggi, non è una scaramuccia tra ragazzini, perciò io...» mi bloccai di colpo, sentendo le parole fermarsi in gola e non voler più uscire. Perché doveva essere così complicato dirle quanta paura avevo provato al pensiero di perderla per sempre?
No, probabilmente, anche se glielo avessi confessato lei non ci avrebbe creduto.
«Perciò tu...?» domandò esitante, incrociando il mio sguardo e incatenando i nostri occhi. E allora sorrisi, sapendo che non sarei mai riuscito a nascondere niente a quei grandi e profondi occhi blu.
«Beh, non volevo rischiare di perderti.» rivelai, sorridendole.
Lei restò visibilmente sorpresa dalle mie parole, quasi timorosa di crederci. Si morse per un attimo il labbro inferiore con forza e aggrottò le fini sopracciglia.
Per un istante mi sembrò una bambina completamente indifesa, spaventata dal mondo e da tutto ciò che la circondava.
«Anche se sono una forestiera?» sussurrò con un filo di voce.
Cosa? Era questo il problema?
Scrutai con attenzione il suo sguardo timoroso e compresi che sì, era proprio questo il problema: lei temeva di essere ancora una volta respinta e abbandonata da tutti.
Ripensai al modo orribile in cui era stata disprezzata ed emarginata dai ragazzi dell'Accademia solo perché proveniente da un altro villaggio e provai anche ad immaginare la tristezza che doveva avere provato appena giunta a Konoha, un luogo molto distante dalla sua casa e dalla sua famiglia.
La solitudine e il dolore che era stata costretta a passare le avevano lasciato una profonda ferita, anche se lei riusciva a nasconderlo molto bene dietro quell'atteggiamento burbero ed orgoglioso.
Se veramente la volevo aiutare, toccava a me farla uscire dal suo guscio e medicare il suo cuore ferito; e per riuscirci, dovevo prima guadagnarmi la sua fiducia.
«In che senso?» chiesi, facendo finta di non comprendere il vero significato delle sue parole. «...Adesso anche tu abiti al villaggio, quindi per me è più che ovvio che sei una di noi.»
Ed era vero, per me Kushina era sempre stata un membro del nostro villaggio, fin dal primo giorno.
Però, purtroppo, erano in molti coloro che diffidavano dei forestieri a causa delle continue guerre e, nonostante Kushina provenisse da un nostro antico ed importante alleato come il Villaggio del Vortice, nessuno osava avvicinarsi a lei per paura.
Paura, che tra l'altro era alimentata anche dalle poche informazioni che si tenevano sul suo conto; infatti, nessuno sapeva praticamente nulla su di lei ad eccezione del paese da cui proveniva, ma suppongo che quello sarebbe stato difficile nasconderlo.
Comunque sia, dalle voci che giravano a Konoha, ero venuto a sapere solo che lei era l'ultima discendente diretta del clan Uzumaki: uno dei più potenti clan del Villaggio del Vortice, specializzato nell'arte dei sigilli.
Pure Mito-sama, l'ormai defunta moglie del Primo Hokage, era stato un membro di quel prestigioso clan e i più superstiziosi, sospettavano che dietro l'improvvisa morte dell'anziana donna, avvenuta pochi giorni dopo l'arrivo della ragazza al villaggio, si celasse un oscuro segreto che coinvolgesse Kushina in prima persona.
Inutile dire che per me, quelle, erano delle assurde cavolate.
Quando Kushina si era trasferita al villaggio, circa tre anni fa, aveva poco più di otto anni. Come facevano a non capire che una bambina non sarebbe mai riuscita a far del male ad una persona del calibro di Mito? E poi, a dirla tutta, lei non aveva mai fatto nulla per meritarsi il trattamento crudele dei ragazzi dell'Accademia. Aveva sempre vissuto con noi, si era impegnata giorno dopo giorno negli allenamenti e anche se non era molto portata per le lezioni teoriche, aveva dato il massimo riuscendo a diplomarsi all'Accademia Ninja nell'arco di un anno insieme a me e pochi altri.
Improvvisamente, sentendo il suo corpo irrigidirsi e tremare come una foglia, ritornai al presente e sbattendo le palpebre, abbassai lo sguardo su di lei, preoccupato; feci giusto in tempo a vedere un piccola lacrima attraversarle la morbida e pallida guancia che, senza capire come avesse fatto a muoversi così velocemente, mi ritrovai le sue esili braccia attorno al collo e il suo viso premuto contro il mio petto.
Quando sentii le sue piccole spalle scosse violentemente dai singhiozzi, credetti seriamente che mi si spezzasse il cuore. E mi chiesi come accidenti avesse fatto a sopportare da sola un simile dolore.
Per tutti al villaggio lei era, l'Akai Chishio no Habanero*, una ragazzina dal temperamento violento e irascibile, ma nessuno si era mai soffermato a vedere quanto dolore in realtà era nascosto dietro al suo sguardo combattivo.
No, non sarebbe stato per niente facile curare le ferite della sua anima.
La strinsi dolcemente a me per confortarla come meglio potevo, sapevo che non ci sarebbero state parole adeguate da dire, quindi preferii rimanere in silenzio.
Non seppi per quanto tempo restammo abbracciati sulla cima di quell'albero, illuminati dalla tenue luce della luna piena, ma ad un certo punto, decisi di riprendere la mia corsa verso Konoha.
Ci trovavamo ancora troppo vicini al territorio nemico per essere completamente fuori pericolo e, cosa non meno importante, lei aveva bisogno di cure.
Quindi, con i sensi in allerta, ripresi a correre silenziosamente verso il villaggio nella speranza di non imbattermi in nessun ninja nemico o in qualche bandito. Purtroppo, non ci trovavamo di certo in un periodo adatto per camminare da soli nella foresta e per giunta di notte; da qualche tempo, infatti, viaggiare poteva dimostrarsi pericoloso anche per i migliori shinobi; c'era già chi parlava persino dell'imminente scoppio di una Terza Guerra Ninja.
Dopo un tempo che per me sembrò interminabile, Kushina, sembrò finalmente calmarsi.
Certo, potevo ancora vederla versare delle lacrime silenziose e, ogni tanto, la sentivo tirare sù con il naso, ma sembrava che il peggio per fortuna fosse passato.
Quando pochi minuti dopo, sentii il suo corpo farsi più pesante tra le mie braccia e la sua testa ciondolare sulla mia spalla, mi fermai di colpo, lanciandole un'occhiata ansiosa. E sospirai di sollievo nel notare che aveva solo ceduto alla stanchezza ed era crollata in un sonno profondo.
Povera ragazza, doveva essere proprio stremata per addormentarsi così all'improvviso; ma, in fondo, chi poteva biasimarla? Chiunque al suo posto sarebbe rimasto spossato da una simile esperienza.
La osservai mentre nel sonno attanagliava con una mano la mia felpa e si stringeva volutamente di più al mio petto, forse, in cerca di quel calore venutole a mancare così prematuramente e per molto tempo; il suo bel viso dai lineamenti a cuore, ancora bagnato e segnato dai solchi delle lacrime appena versate, era distorto da una smorfia sofferente e i lunghissimi capelli rossi si sparpagliavano nell'aria come tante lingue di fuoco danzanti a causa del lieve vento che si era alzato con il calare della sera. E senza accorgermene, mi ritrovai a stringerla maggiormente per trasmetterle tutto il calore di cui ero capace, giurando a me stesso che non avrei permesso più a nessuno di farle del male. Da quel momento in poi, avrei mandato al diavolo pure la mia timidezza per restarle vicino.
«Ti rimarrò sempre vicino, te lo prometto.» le sussurrai, nascondendo il viso tra i suoi capelli e annusandone l'odore. Facevano davvero un buon profumo; chissà quale shampoo usava per lavarli.
Riprendendo nuovamente la mia corsa verso Konoha, cercai di associare tutte le fragranze che conoscevo all'odore inebriante dei suoi capelli, ma la sensazione d'essere seguito mi riportò alla realtà.
Mi concentrai sugli spazi attorno a me e con orrore mi accorsi d'essere circondato; che i ninja della Nuvola avessero già trovato i corpi dei loro compagni?
Non era una probabilità d'escludere.
Preoccupato, feci un rapido calcolo della distanza del villaggio, e anche se avrei corso senza riposo non sarei arrivato prima dell'alba. Troppo tempo, mi avrebbero di certo raggiunto.
Nervoso, aggrottai le sopracciglia. Che cosa potevo fare?
Sì, c'era una remota possibilità che i miei inseguitori potevano essere dei ninja della Foglia impegnati a perlustrare questa zona, ma quanto potevo credere in questa speranza? Per non correre rischi, era meglio trovare un nascondiglio e fare perdere le nostre tracce, almeno, fino a che Kushina non si sarebbe ripresa un po'.
Stavo giusto per cercare un rifugio quando un'imponente stazza si parò all'improvviso di fronte a me, sbarrandomi la strada. Con un poderoso scatto delle gambe, feci un salto indietro, per mettere quanta più distanza tra noi e quel energumeno.
Fu soltanto dopo un secondo sguardo che notai una spaventosa somiglianza tra quel tizio e il maestro Jiraiya: l'unica differenza tra i due però, era il volto più grottesco del primo; infatti, quell'uomo aveva il viso disegnato attorno agli occhi e alle guance da grosse linee rosse, il naso era tumefatto e ripieno di pustole, mentre al mento aveva un corto strato di barba bianca*. Il suo aspetto nel complesso era molto inquietante, ma a mettere in allarme tutti i miei sensi non fu esso, ma l'incredibile chakra che sentivo provenire da lui; non sarei mai riuscito a batterlo.
Sudando freddo, mi piegai sulle ginocchia, indeciso sul da farsi.
Chi diavolo era quel ninja? E cosa voleva da noi?
Lui con un'espressione furente, incrociò le braccia al petto e prendendo un lungo respiro, tuonò: «Mi devi delle spiegazioni, ragazzino!»
Merda! Quello non era una copia mal riuscita di Jiraiya, ma era lui!
Che cosa accidenti gli era successo alla faccia?
«S-sensei?» balbettai, allibito.
Da quando lo conoscevo, non l'avevo mai visto così incavolato: ero veramente nei guai.
Lui per tutta risposta inarcò un sopracciglio, spazientito; rendendo, se possibile, la sua espressione ancor più mostruosa.
«E-ecco...» mormorai, tentando di trovare una scusa valida per spiegare la mia presenza fuori dal villaggio, ma non ne trovai. E poi, ad essere sinceri, tenere Kushina abbracciata a me sotto il suo sguardo indagatore di certo non mi aiutava per niente.
Questa volta, non riuscii ad impedire alle mie guance di imporporarsi.
Perché avevo la brutta sensazione d'essere stato colto in flagrante, come un bambino, con le mani nella marmellata?
Sorprendentemente, a salvarmi da questa situazione fu Kushina, svegliata dall'urlo poco rassicurante del maestro.
«Che succede?» chiese ingenuamente con sguardo assonnato, guardando prima me e poi, Jiraiya. E riuscii chiaramente a sentire il brivido di paura che le attraversò la schiena alla vista del Jōnin.
Lui ricambiò il suo sguardo, curioso.
Evidentemente, aveva notato la paura di Kushina perché, sorridendo bonario, si rilassò e in un battito di ciglia il suo volto tornò normale. «Stai bene, piccola?» chiese, premuroso.
Era davvero incredibile come il suo debole per il gentil sesso, l'avesse intenerito quel tanto che bastava per togliermi dai guai, almeno per il momento, s'intende.
«Sì, credo di si.» rispose, timorosa.
Non l'avevo mai vista così remissiva; istintivamente, la strinsi leggermente a me per farle capire che io, ero accanto a lei.
«Passala a me Minato, la porto io.» si offrì, gentilmente.
A quella proposta però, il corpo di Kushina s'irrigidì e non avevo avuto bisogno di guardarla per capire che fosse contraria; e poi a dirla tutta, nemmeno io volevo separarmi da lei.
«Non si preoccupi Jiraiya-sensei, non è pesante.» risposi di getto, pentendomene l'attimo dopo.
Infatti, lui mi rivolse un'occhiata maliziosa come per dire "Eh eh, birbante!" ed io, distogliendo lo sguardo, sentii le gote andare a fuoco per l'imbarazzo; ma che diavolo di pensieri gli passavano a quel pervertito per la mente? Io non ero come lui!
Grazie al cielo, la nostra discussione fu interrotta pochi secondi dopo dall'arrivo degli altri due componenti del team.
«Jiraiya!» chiamò Tsunade, atterrando accanto al maestro in un turbine di liscissimi capelli biondi. «Mi spieghi perché sei corso via a quel modo, idiota?» gli chiese scontrosa, prima di notare anche la nostra presenza. «Kushina!» esclamò, sbigottita.
«Tsunade-san.» salutò lei, con un sorriso stanco ma felice.
Restai sorpreso dal modo informale con cui si salutarono; possibile che già si conoscessero?
Mi diedi mentalmente dello scemo. In fondo, Kushina, era pur sempre una lontana parente di Mito e Tsunade, invece, era la prima nipote della donna; quindi, non era poi così strano che le due si fossero incontrate prima d'ora.
«Stai bene?» le chiese, scrutandola con un'occhiata indecifrabile. Forse, pure lei aveva notato qualcosa di strano nell'aspetto di Kushina; ma non me ne meravigliai, quella donna, nonostante la sua giovane età, era considerata un vero genio nei ninjutsu medici.
«Io credo che stia divinamente!» borbottò a mezza voce Jiraiya, alludendo al nostro pseudo-abbraccio.
Sospirai esasperato, preferendo ignorarlo; questa volta, non mi sarei liberato tanto presto dalle sue stupide battutine.
Tsunade, non degnandolo neanche di uno sguardo, continuò nella sua attenta analisi. «Minato-kun, la potresti posare a terra? La vorrei visitare.»
Annuii, saltando giù dal ramo in cui mi trovavo e, posandola delicatamente ai piedi dell'albero in modo che la schiena poggiasse al tronco, mi spostai per dare spazio alla donna.
Notai lo sguardo di Kushina, seguirmi in ogni mio più piccolo spostamento quasi non volesse perdermi di vista, ma poi lo distolse, concentrandosi sulla ninja quando si chinò su di lei.
Dopo qualche secondo, Tsunade si voltò verso di me con sguardo assassino.  «Vuoi lasciarci sole?»
Più imbarazzato che spaventato, annuii e andai ad aspettare accanto al maestro impegnato in una fitta discussione con Orochimaru.
«Credi sia stato un caso?» sibilò quest'ultimo, ironico.
«Cosa stai cercando d'insinuare?» rispose l'altro, serio. «Sai qualcosa?»
« Chi io? Assolutamente niente.» disse, facendo spallucce e indicando al compagno la mia presenza. «...Comunque, devo ammettere che il tuo ragazzo ha delle doti molto spiccate; in fondo, non è da tutti lottare alla sua età con dei Jōnin e uscirne illeso. Perché sei stato tu a far fuori quei ninja, no?» mi chiese all'improvviso, con una perversa luce nei suoi occhi serpenteschi.
«Sì.» risposi solamente, troppo impegnato ad osservare Tsunade prestare i primi soccorsi a Kushina per badare a lui.
C'era qualcosa nello sguardo inquieto della donna, che mi metteva in agitazione. E se quei ninja le avessero fatto qualcosa di ben peggiore del solo rapimento? Kushina aveva un'aria così sofferente e poi, anche il maestro sembrava essere preoccupato. E quest'ultimo, non era un buon segno.
Tsunade, le tastò ripetutamente l'addome con un tocco delicato ma deciso, fino a quando, dalle labbra di Kushina non sfuggì un gemito di dolore. Scattai come una molla, avvicinandomi il più possibile, stando attendo però a non intralciare Tsunade.
Nella mia testa, vorticava solo una domanda: Che cosa le avevano fatto quei maledetti?
Con il cuore in gola, osservai Tsunade piegare le labbra in una smorfia arrabbiata e mormorare qualcosa d'indecifrabile tra i denti, prima di richiamare il chakra nelle mani per eseguire quella che io conoscevo come la tecnica del Palmo Mistico*.
Avrei tanto voluto chiederle come stava, ma temevo di distrarla.
Fu lei, a prendere parola dopo un tempo per me interminabile: «È messa male.» disse, gelandomi il sangue nelle vene. «Quei bastardi le hanno causato una grave emorragia interna... per il momento sono riuscita a fermarla, ma bisogna portare Kushina subito al villaggio; non c'è un minuto da perdere.»
Nel pronunciare l'ultima frase, si scambiò un lungo sguardo eloquente con il maestro e compresi che stesse nascondendo qualcosa d'importante sulla salute di Kushina; e come a confermare i miei sospetti, Jiraiya, posò una mano sulla mia spalla e fece un segno affermativo in risposta a una tacita domanda della compagna. Che cosa stavano nascondendo quei due?
Tsunade, voltandosi nuovamente verso Kushina, le toccò la fronte con due dita e, usando la tecnica anestetizzante*, la fece cadere in un sonno profondo.
«Perché l'ha fatto?» chiesi, stanco d'essere all'oscuro di tutto.
«Ha bisogno di riposo.» rispose, laconica; ma era chiaro come il sole che stesse nascondendo qualcosa.
Strinsi i pugni fino a far sbiancare le nocche, pronto a protestare quando, Tsunade, riprese di nuovo la parola. «Jiraiya, trasportala tu. » ordinò con un cipiglio severo, indicando il corpo addormentato della ragazza.
Il maestro annuendo, fece per chinarsi e prenderla tra le braccia, ma io glielo impedii, afferrandola per primo.
Non avrei più permesso a nessuno di toccarla, neppure a lui.
Lui, per tutta risposta, rimase interdetto dal mio gesto per qualche istante però, alla fine, chinò il capo in un muto consenso.
Questa volta, nei suoi occhi neri come la pece, non c'era nessuna ironia e questo mi fece seriamente temere sulle condizioni di salute di Kushina. Che cosa stava nascondendo Tsunade?
Con il cuore in gola per l'ansia, la strinsi al mio petto.
Avevo una così fottuta paura di perderla da sentire il sangue andare alla testa, ma questo non era il secondo adatto per permettersi di perdere il controllo; mordendomi con forza il labbro, ricacciai indietro tutte le mie paure.
«Beh? Che cosa ti prende, ragazzino?» chiese la bionda, scocciata.
«Lascia stare, Tsunade.» mi difese, il maestro. «L'importante è portare la ragazza al villaggio, non chi la trasporta.»
Lei storse il naso, ma non protestò ulteriormente; mentre, Jiraiya, prima di riprendere la corsa mi lanciò un ultimo sguardo indecifrabile.
Riprendemmo la corsa verso Konoha in schieramento: Orochimaru correva davanti a tutti noi in avanguardia, io che trasportavo Kushina ero al centro ed infine, il maestro e Tsunade chiudevano le file in retroguardia.
Il viaggio per più di un'ora, proseguì in assoluto silenzio.
Silenzio, che fu spezzato ad un tratto dalla voce di Jiraiya: «Orochimaru!» chiamò, attirando l'attenzione del suo compagno che si voltò leggermente verso di lui. «Quando giungeremo a Konoha, corri direttamente da Sarutobi-sensei e avvisalo che abbiamo dovuto portare d'urgenza la ragazza all'ospedale.»
«E per il rapporto?»
«Lo faremo dopo.»
Orochimaru, sembrò essere riluttante, ma tornò a guardare davanti a sé senza dire più una parola. Evidentemente, non gli piaceva molto dover prendere ordini dal maestro.
Osservai Jiraiya con la coda dell'occhio, stava correndo pensieroso alla destra di Tsunade, e questo mi rendeva estremamente sospettoso; lui, non mostrava mai la sua preoccupazione, preferiva affrontare le cose con ironia e se questa volta era diversa dalle altre, la cosa doveva essere davvero grave.
Rallentando, mi misi quasi al passo con lui.
«Sensei?» chiamai, accigliato.
«Cosa succede?» domandò lui, distraendosi dai suoi pensieri.
«Mi dica la verità.» dissi tutto d'un fiato, senza mezzi termini. «...Cos'altro le hanno fatto quei bastardi?»
La mia domanda lo fece sorridere. «Non ti si può nascondere niente, eh?»
Non risposi, continuando a correre.
Lui, sbuffando, si voltò verso Tsunade che prese parola. «Ne sei sicuro?» chiese all'amico, incerta.
«Sì, farebbe di tutto per proteggerla. E poi, a ben pensarci, ormai è abbastanza immischiato in questa storia.» disse un po' canzonatorio, forse per spezzare la tensione.
«Bene, ma sarà una tua responsabilità.» borbottò contraria, per poi rivolgersi a me. «Le hanno bloccato il sistema circolatorio del chakra con un sigillo.» mormorò, assumendo un cipiglio furente.
Che cosa? Un sigillo in grado di bloccare il chakra?
Esisteva davvero qualcosa del genere?
«Di che si tratta?» domandai preoccupato, sentendo il mio cuore martellare impazzito nel petto.
«Non posso dirti di più, anche perché non ne so molto neppure io, ma una volta credo di avere letto qualcosa del genere nei libri di mia nonna; comunque, se non spezziamo quel sigillo, dubito che lei possa riprendersi completamente.»
«In che senso?»
«Beh, in poche parole, non potrà più essere una kunoichi.» spiegò, rammaricata.
«Capisco.» sospirò Jiraiya, rassegnato; era come se sospettasse già quest'eventualità.
Possibile che lui sapesse qualcos'altro che non mi voleva dire? Che altro mi stavano nascondendo quei due?
Serrai le mascelle, furibondo.
Non avevo tempo da perdere con gli indovinelli, perché non mi dicevano come stavano esattamente le cose? E poi, come avevano osato i ninja della Nuvola farle una cosa così atroce? E perché proprio a lei?
Stavo rimuginando su questi pensieri quando un'altra orribile domanda mi passò per la testa: e se i danni riportati al suo sistema circolatorio le avessero lasciato qualche handicap duraturo?
«Tsunade-sama.» chiamai, cercando di non far trapelare la mia paura dalla voce. «Se quel sigillo non si spezzasse, Kushina riporterà qualche danno fisico o qualcosa del genere?»
Lei mi lanciò un'occhiata indagatrice, quasi volesse capire cosa mi stesse frullando per la testa, ma poi rispose. «No, non dovrebbe riportare nessun altro danno persistente.»
«Bene.» ribadì, segretamente sollevato.
Certo, non riuscivo ad immaginare la sua reazione ad una simile notizia ma, almeno, la sua vita non era in pericolo.
Osservai il suo viso pallido e sudato che non riusciva a trovare pace neanche nel sonno imposto dall'anestesia, e giurai a me stesso che d'ora in poi, l'avrei sempre protetta.
Non m'importava se la sua carriera da kunoichi fosse finita quella sera per mano degli shinobi della Nuvola, sarei rimasto comunque al suo fianco per aiutarla in ogni suo bisogno. Non l'avrei più lasciata sola per nessun motivo.
Con questa decisione nel cuore, tornai  a guardare davanti a me, sperando ardentemente d'arrivare al villaggio il prima possibile. E quando, finalmente, giungemmo alle mura di Konoha era quasi l'alba.
Per non perdere tempo, saltammo direttamente dalle mura laterali del villaggio e iniziammo a correre di tetto in tetto.
Orochimaru, si separò ben presto dal nostro gruppo per andare ad avvisare l'Hokage, mentre noi, continuammo la nostra corsa fino all'ospedale, che si trovava quasi al centro del villaggio.
Quando vidi l'enorme edificio bianco con il tetto azzurro, ero quasi senza fiato.
Correre con il corpo addormentato di Kushina per tutte quelle ore, mi aveva letteralmente stremato; ed ora sentivo ogni singolo muscolo tremare e tirare in modo doloroso, ma, nonostante tutto, non mi pentivo di nulla.
Con le ultime forze rimaste, la posai delicatamente su una barella che gli infermieri si erano precipitati a portare sotto le direttive di Tsunade e, mentre sentivo i medici correre a destra e a manca per preparare la sala operatoria, afferrai una ciocca dei suoi morbidi e lisci capelli con le dita tremanti per lo sforzo precedentemente compiuto.
«Sii forte, vedrai, andrà tutto per il meglio.» le bisbigliai ad un orecchio, anche se sapevo benissimo che lei non poteva sentirmi a causa dell'anestesia. «Io starò qui ad aspettarti, non ti preoccupare.»
Quando gli infermieri iniziarono a spingere la barella verso la sala operatoria, lasciai scorrere i suoi lunghissimi capelli tra le mie dita e la osservai sparire dietro quella porta bianca; pregando in cuor mio con tutte le mie forze che tutto andasse bene, perché ora che ero riuscito finalmente a trovarla, non l'avrei voluta perdere per nessuna ragione al mondo.
«Minato?» mi chiamò Jiraiya, posando un braccio sulle mie spalle.
«Sì, sensei?» chiesi, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla porta della sala operatoria, sentendo la mia testa svuotarsi da ogni pensiero.
«Ti va di fare due passi?»

























Note dell'Autore:
Beh, che dire? Ecco a voi il primo capitolo che per chi avrà letto "Contro il Nostro Destino" lo troverà molto simile al precedente lavoro. Questo perché, come ho già spiegato nel prologo, la storia è stata soltanto riveduta e leggermente modificata.
Vorrei ringraziare:
Siria_Ilias e _Kurama_  per aver inserito la storia tra le seguite; crazyfrog95 per averla inserita tra le ricordate ed infine, ma non meno importante, mora79 e nuovamente _Kurama_ per aver recensito lo scorso capitolo.
Ci terrei anche a ringraziare tutti i lettori silenziosi.
Grazie, per aver speso il vostro tempo nel leggere la mia storia! Grazie di cuore ragazzi/e.
Rosye.





Ulteriori Note:
*La regola numero 25, viene menzionata da Sakura nell'episodio 18 di Naruto "Un'arma ninja".
*Ninja inseguitori, non hanno niente a che vedere con i ninja del Villaggio della Pioggia.
*Le parole di Kushina sono tratte dall'episodio 246 di Naruto "Bagliore Arancione".
*Yūhi-sensei è un personaggio di mia invenzione, ma il cognome è stato ispirato da Kurenai. Infatti, non si sa molto sulla sua famiglia quindi, ho pensato: "perché no? Magari, aveva uno zio insegnante all'Accademia Ninja".
*Taijutsu, per chi non lo sapesse sono le Arti Marziali.
*Lo scambio di parole tra Minato e Kushina scritto in grassetto è stato tratto dall'episodio 246 di Naruto "Bagliore Arancione".
*l'Akai Chishio no Habanero, significa letteralmente "Peperoncino Rosso Piccante" è il soprannome con cui viene chiamata Kushina a causa delle sue continue rappresaglie con i ragazzi del villaggio.
*Jiraiya ha utilizzato la modalità Eremitica che per il momento era sconosciuta a Minato, nel corso del prossimo capitolo spiegherò perché lui ha ricorso a questa tecnica.
*Palmo Mistico, ninjutsu medico che consente di accelerare il processo di guarigione naturale del corpo tramite la diffusione di chakra dalle mani del ninja curatore al ferito.
*Tecnica anestetizzante, lo vista usare a Neji Hyūga nel film "Naruto Shippuden: L'esercito Fantasma". E anche se so che i film non sono collegati direttamente all'anime o al manga, ho pensato di usarla lo stesso.
   
 
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