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Autore: Rosye    10/03/2017    2 recensioni
In quel momento, nel sentire le sue parole, avrei solo voluto stringerla forte tra le mie braccia e rassicurarla, dirle di non preoccuparsi, di non piangere, perché stavo bene ed ero qui accanto a lei e avrei fatto di tutto per mantenere la mia promessa... ma anche questo mi era impossibile.
- Tratto dal Prologo.
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fugaku Uchiha, Jiraya, Mikoto Uchiha, Sakumo Hatake, Tsunade | Coppie: Minato/Kushina
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 2




 









- Minato -




 
«Ti va di fare due passi?»


La sua, poteva pure sembrare una frase di circostanza come tante altre, detta quasi a caso, eppure, la sottile nota d'urgenza presente nella sua voce, mi fece comprendere che questa volta non era come tutte le altre.
Voleva parlarmi e, molto probabilmente, voleva interrogarmi su quello che era successo nella foresta con quegli shinobi della Nuvola e sapere anche tutti i dettagli su com'ero riuscito a portare in salvo Kushina.
Lo guardai negli occhi per qualche secondo prima di puntare nuovamente il mio sguardo sulla porta della sala operatoria.
Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, ed ero anche consapevole di dovergli dare molte spiegazioni ma, sinceramente parlando, non m'importava.
Ci sarebbe stato tempo per quelle ed anche per i suoi rimproveri; adesso, l'unica cosa davvero importante per me, era sapere se Kushina si sarebbe ripresa del tutto o no. E poi, le avevo promesso che l'avrei aspettata e, sebbene ero consapevole che non mi avesse sentito a causa dell'anestesia, avevo comunque intenzione di mantenere la mia promessa ed attendere pazientemente che lei uscisse da lì.
Quindi, non ci impiegai molto a rifiutare la sua proposta: «No, vorrei restare qui.» risposi, scuotendo piano la testa.
Per qualche secondo sentii i suoi occhi scrutarmi con insistenza ma quando sollevai il mio sguardo verso di lui, Jiraiya, si era già voltato dall'altra parte.
«È inutile, alle volte, sei più testardo di un mulo.» commentò tra i denti, togliendo il braccio dalle mie spalle.
Più sorpreso dal tono che aveva usato che dalle parole in sé per sé, lo osservai allontanarsi da me e raggiungere con passo lento una delle due panche in pelle nera presenti ai lati del piccolo corridoio che fungeva pure da sala d'attesa, e sedersi su di essa con un sospiro esasperato. Per un po' non disse niente, chiudendosi in una sorta di strano mutismo.
La sua espressione era talmente seria che preferii lasciarlo riflettere in santa pace ed aspettare in silenzio il momento in cui avrebbe iniziato a parlare: che a giudicare dalla rigidità della sua mandibola, sarebbe successo di lì a un minuto circa. Ed infatti, neppure a dirlo: «Si può sapere perché non sei rimasto al villaggio come ti avevo espressamente ordinato di fare?» sbottò, visibilmente contrariato, incrociando le braccia al petto e rivolgendomi uno sguardo di fuoco. «Ti rendi almeno conto del pericolo che hai corso iniziando una missione in solitaria senza dire niente a nessuno?» continuò poi, imprecando tra i denti: «Accidenti a te! Vorrei davvero sapere cosa diavolo ti sia passato per la testa per fare una sciocchezza del genere, perché credimi, sto cercando di capirlo, ma proprio non ci riesco!»
Contrariamente a quanto mi aspettassi non stava urlando, anzi, le sue parole erano appena sussurrate, però, la profonda delusione che trapelava dai suoi occhi ebbe su di me l'effetto di un pugno nello stomaco.
Con tristezza, mi ritrovai a pensare che non l'avevo mai visto tanto deluso dalle mie scelte come in quel momento e questo, mi fece molto male; ma nonostante tutto, non riuscivo a pentirmi di essere corso in aiuto di Kushina.
Sospirando a mia volta, mi andai a sedere accanto a lui.
«Mi dispiace, sensei.» mormorai con lo sguardo basso, incapace di aggiungere altro.
In questi due anni trascorsi come allievo e maestro, questa, senza ombra di dubbio, era la prima volta che mi trovavo in difficoltà a parlare con lui. E in parte, il fatto era dovuto che guardando la faccenda dal suo punto di vista non potevo in nessun modo dargli torto.
Insomma, diciamocelo, mi ero comportato come un idiota e come tale avevo disubbidito all'ordine che mi era stato dato per intromettermi in una missione non mia, senza nessuna autorizzazione né qualifica; per di più, ero uscito dal villaggio da solo per andare ad affrontare dei nemici che neppure conoscevo, rischiando – in questo modo, tra l'altro – di farmi ammazzare inutilmente come uno stupido.
Il mio comportamento, visto da questa prospettiva, era stato davvero sconsiderato, anche se, in quel momento, guidato dalle mie emozioni credevo di stare facendo la cosa giusta; però, nonostante mi rendessi conto di aver sbagliato, non riuscivo in nessun modo a pentirmi di ciò che avevo fatto; al contrario, ero fermamente convinto che se una cosa del genere fosse riaccaduta, avrei fatto comunque e senza ripensamenti la stessa identica scelta di correre in suo aiuto.
Con questi pensieri per la testa, gli lanciai una breve occhiata, giusto in tempo per vederlo stirare le labbra nel suo classico sorrisetto ironico: « “Ma non sono pentito di aver disubbidito ai suoi ordini!”. È questo quello che volevi dire, no?» mi chiese, come se mi avesse letto nella mente.
Sapevo che le sue parole erano dettate dalla rabbia e forse, anche dalla preoccupazione che aveva provato nel vedermi nella foresta ma, nonostante ciò, non riuscii ugualmente ad impedirmi di restarne stupito; soprattutto, ciò che mi colse totalmente di sorpresa e mi lasciò del tutto basito, fu il tono quasi crudele con cui mi rivolse quella domanda retorica.
Rimasi in silenzio, senza essere in grado di replicare. E d'altronde, come avrei potuto farlo? Aveva semplicemente dato voce a tutto quello che avevo pensato fino a quel momento.
Colpevole, abbassai nuovamente lo sguardo a terra.
«Almeno mi spieghi perché l'hai fatto?» mi domandò ancora, mortalmente serio.
Era chiaro che non avrebbe lasciato correre: voleva una spiegazione e, a giudicare dall'espressione inflessibile del suo volto, doveva anche essere abbastanza soddisfacente da giustificare le mie azioni.
Mi passai una mano tra i capelli, sentendomi messo con le spalle al muro: non mi piaceva dover sbandierare i miei sentimenti ai quattro venti. Era un qualcosa che mi metteva enormemente a disagio, ma cos'altro potevo fare?
Serrai le labbra e mantenni lo sguardo fisso su i miei sandali nella vana speranza che, con quel semplice gesto, potessi evitare di rispondere ma lui, non si diede per vinto, anzi, spazientito dal mio continuo silenzio, insistette per avere una risposta: «Allora?» mi chiese, aggrottando, se possibile, ancora di più le sue folte sopracciglia.
Gli lanciai un'ultima occhiata prima di prendere un profondo respiro e decidermi finalmente a sussurrare quelle parole che per me, costavano un enorme fatica: «Sentivo che se non fossi corso in suo aiuto l'avrei persa per sempre. E questo, non potevo accettarlo.»
Dopo ciò che ero stato costretto a dire, non riuscii più a guardarlo in faccia; non ne avevo il coraggio per farlo. Mi limitai soltanto a spostare nuovamente lo sguardo sulla porta della sala operatoria nel vano tentativo di non fargli notare il mio crescente imbarazzo e ad osservarlo di sottecchi. Non che avessi problemi a confidarmi con Jiraiya – lui era il mio maestro e il mio mentore – ma quella era la prima volta che raccontavo a qualcuno dei miei sentimenti per Kushina o per meglio dire, della mia infatuazione per lei. E questo, anche se potrebbe sembrare stupido, mi metteva estremamente a disagio: era un po' come se mi stessi spogliando in mezzo alla piazza centrale del villaggio nell'orario di punta, sotto gli occhi di tutti.
A peggiorare ulteriormente le cose fu pure la reazione inaspettata di Jiraiya che invece di infuriarsi ed urlare come un matto per quella ragione che ai più, poteva sembrare poco significativa, oppure fare battutine stupide e maliziose sulle ragazze, come ci si aspetterebbe da un tipo del suo genere, rimase completamente immobile a fissarmi con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta, piegata in una smorfia di educato stupore.
Per mia fortuna comunque, il tutto durò soltanto pochi attimi che furono accompagnati da un profondo e, ripeto per la centesima volta, “imbarazzante” silenzio che mi fece arrossire fino alla radice dei capelli, prima che lui si decidesse a dire qualcosa di quantomeno comprensibile.
«Ah...» gracchiò, con voce strozzata, come se qualcosa di grosso ed estremante viscido gli fosse andato di traverso giù per la gola. «Ehm… cioè… tu...» balbettò, puntando il suo grosso indice contro di me per poi spostarlo su quella benedetta porta. «E lei? Cioè, voi dueuhm!» esclamò infine, chiudendo di scatto gli occhi e grattandosi nervosamente la fronte in maniera melodrammatica.
Arrossii fino alla radice dei capelli quando compresi a cosa stava pensando quella vecchia volpe pervertita, certo e sicuro che in quel momento le mie guance, a differenza delle sue leggermente impallidite, avessero preso un bel colorito rosso acceso, simile, e forse più brillante, della lunga chioma di Kushina – il ché, era tutto dire, eh!
«No!» esclamai paonazzo, ormai al limite della sopportazione e, desiderando intensamente conoscere qualche tecnica che mi permettesse di sparire all'istante dalla sua vista. «Non è come pensa!» ci tenni a precisare l'attimo seguente, per non fargli creare altre strane idee in testa. «Lei è bella, sì, ma la storia finisce qui. Io e Uzumaki, non abbiamo quel genere di rapporto.»
Alla mia affermazione, lui però, mi rivolse uno strano sguardo, era una sorta di miscuglio tra l'incredulità e la compassione. Era chiaro che da quel momento, qualsiasi cosa gli avrei detto per smentire le sue “strane idee” sul mio rapporto con Kushina, non ci avrebbe assolutamente creduto.
«Eppure sei corso in suo aiuto perché avevi paura di perderla.» disse con un sorrisetto malizioso, usando le mie stesse parole come prova indiscussa della sua teoria. «… e non pensi che tutto questo sia strano?» mi chiese con ovvietà, senza darmi neppure il tempo di replicare. «Non tutti sono disposti a rischiare la propria vita per salvare quella di una ragazza che considerano “soltanto bella”, ma tu l'hai fatto.»
Nel rendermi conto di essere stato messo davvero con le spalle al muro, mi scappò un piccolo sorrisetto: Jiraiya, alle volte, si dimostrava essere un pericoloso osservatore capace di metterti in difficoltà con una semplice considerazione; anche se, spesso, dimenticava che ormai, in un modo o nell'altro, ero diventato pure io bravo ad eludere le sue battutine spinose.
«Beh, non mi sembra tanto strano…» risposi, assumendo la mia migliore faccia da poker. «…anch'io conosco qualcuno tanto pazzo da morire volentieri per una bella ragazza.»
La mia allusione al suo debole per le donne, lo lasciò senza parole e, per un lunghissimo istante, restò ad osservarmi spiazzato ma poi, sorrise accondiscendente: «L'hai detto ragazzo mio, l'hai detto!» esclamò, totalmente divertito dalla piega della discussione e dimenticandosi del tutto della ramanzina che mi stava facendo.
Con sollievo, notai pure che nei suoi occhi era scomparsa pure ogni traccia di delusione. E ingenuamente, per un singolo istante, mi chiesi che tipo di scelta avrebbe compiuto lui se si fosse trovato al mio posto; conoscendolo però, non credevo proprio che si sarebbe fermato a pensare alle regole o alle conseguenze. Era troppo istintivo per farlo.
«Comunque...» aggiunse, tornando improvvisamente serio. «…nonostante comprenda il motivo per cui hai fatto una simile sciocchezza, questa ragione non è abbastanza per salvarti dal Consiglio. Sarai sicuramente sottoposto ad un'ammonizione disciplinare, lo sai, vero?»
Alle sue parole, non riuscii a trattenere un sospiro.
Ero consapevole che la vita di uno shinobi era costituita per la maggior parte da regole ferree che un ninja doveva onorare e rispettare fino alla sua morte, ma io ero del parere che non sempre quelle regole erano giuste. Per me infatti, c'era qualcosa di indubbiamente più importante e prezioso del rispettare alla lettera il regolamento e, quel qualcosa, era la vita dei miei compagni.
Quindi, non m'importava di dover affrontare il Consiglio: avrei accettato qualsiasi punizione mi avrebbero dato per la mia insubordinazione. Del resto, era giusto così.
«Lo so.» risposi laconico, annuendo appena.
«Non hai paura?» mi chiese, probabilmente preoccupato dalla mia scarsa reazione.
Lo osservai per qualche secondo meditando il senso della sua domanda.
Era ovvio che avessi paura, ma non potevo non prendermi la responsabilità del mio gesto. In un momento di allarme, avevo lasciato il villaggio per correre dietro a dei nemici, ignorando gli ordini di restare e proteggere la Foglia. Ed anche se ero riuscito a portare in salvo l'ostaggio, questo non cambiava che le mie azioni potevano causare dei seri problemi a tutti.
In pratica, avevo disertato, ed adesso, volente o no, ne dovevo pagare le conseguenze, punto.
«Sì, ho paura...» ammisi, senza nessuna vergogna. «… ma è giusto che mi prenda le mie responsabilità. Come dice lei sensei, le mie motivazioni non sono abbastanza importanti per giustificare il mio gesto di fronte al Consiglio e, anche se per me la priorità assoluta era quella di salvare Uzumaki, per il codice ninja ho commesso ugualmente una grave colpa e adesso, che mi piaccia o no, ne devo rendere conto.»
Alle mie parole, Jiraiya, si lasciò sfuggire un pesante sospiro. «Così non va bene...» mormorò tra sé e sé, leggermente afflitto.
Lo guardai incerto, senza comprendere di cosa stesse effettivamente parlando; e lui sembrò intuire la mia domanda silenziosa perché, scuotendo il capo, mi fece segno di lasciar perdere.
«Comunque, ho un'altra domanda da farti.» mi disse poi, cambiando completamente discorso ed assumendo un'espressione alquanto perplessa. «Come ci sei riuscito?»
«A fare cosa?» domandai, cadendo totalmente dalle nuvole.
«A trovarla» mi spiegò lui, sogghignando divertito. «O meglio, come sei riuscito a capire subito in che direzione era stata portata via?»
«Ah, quello.»
«Sì, quello. È da un po' che me lo sto chiedendo, ma non riesco proprio a capire come tu abbia fatto.»
Mi presi un momento per rispondere, pensando che anch'io avevo delle domande da porgli. Non avevo di certo dimenticato le strane occhiate che si era scambiato con Tsunade nella foresta e, non avevo nemmeno capito perché tra tutti i membri della Foglia, il Villaggio della Nuvola, avesse tentato di rapire proprio Kushina.
Mi passai una mano tra i capelli, sentendo all'improvviso piombarmi addosso tutta la stanchezza lasciata da quell'assurda missione di salvataggio. Con un movimento lento, misi una mano nella tasca della felpa, avvertendo subito al tatto la presenza dell'oggetto che stavo cercando.
«Risponderò ad una condizione.» dissi infine, deciso a scoprire qualcosa pure io.
Lui mi fissò leggermente confuso, ma alla fine annuì. «Di che si tratta?»
«Voglio delle risposte. E devono essere sincere.» precisai, puntando i miei occhi nei suoi.
Se rimase sorpreso, questa volta non lo diede a vedere. Si limitò soltanto a sostenere il mio sguardo senza battere ciglio, cercando forse, qualche traccia di tentennamento, ma non ne trovò nessuna.
«D'accordo.» acconsentì, dopo un tempo che per me sembrò infinito, cogliendomi, nonostante tutto, di sorpresa. «Cosa vuoi sapere?»
Non me lo feci ripetere due volte.
«Voglio sapere perché la Nuvola ha messo gli occhi su Kushina.» dissi di getto, dimenticando persino di usare il suo cognome, e iniziando proprio con ciò che più mi premeva sapere.
Infatti, ci avevo riflettuto parecchio durante il tragitto per ritornare al villaggio ed ero giunto all'unica conclusione che quei ninja non avevano rapito Kushina per puro caso. Cercavano qualcosa da lei e questo, poteva dimostrarsi un vero problema; perché se Kumo era venuto a conoscenza di qualche abilità che noi ignoravamo, probabilmente, anzi no, sicuramente sarebbero tornati a cercarla ancora.
«Cosa ti fa credere che abbiano messo gli occhi su di lei?» mi chiese invece Jiraiya a brucia pelo, con un finto tono canzonatorio. «Quei ninja potrebbero benissimo averla scambiata per qualcun altro, non credi?»
Gli rivolsi un'occhiata seria, incredulo che lui potesse realmente pensare di ingannarmi tanto facilmente.
«No, non credo.» risposi pacato, nascondendo l'irritazione sotto metri di calma apparente e prendendolo in contro piede. «Perché altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui abbiano rischiato tanto per averla, organizzando addirittura un rapimento in pieno giorno e per giunta all'interno di un villaggio nemico. E tra l'altro, non si spiegherebbe neppure il perché le abbiano bloccato il chakra con quel sigillo; a meno che...» mi presi deliberatamente un momento di pausa prima di concludere la mia frase, un momento in cui lo fissai attentamente per leggere la sua espressione ma quella, era diventata seria e impassibile proprio come la mia. «…a meno che, non ci sia sotto qualcosa di veramente grosso, giusto?»
Alla mia domanda, sospirò pesantemente e con un movimento repentino scattò in piedi, dirigendosi con passo strascicato verso le ampie e quadrate finestre presenti nel lato destro del corridoio, proprio di fronte alla panca in cui ero seduto. Non mi rispose, ma a questo punto avevo già ottenuto la conferma di cui avevo bisogno.
Era davvero lei l'obiettivo.
Ora dovevo capire il perché lo era diventata.
Osservai le spalle di Jiraiya, attendendo una qualche spiegazione ma lui, non disse niente. Ed era anche chiaro che difficilmente avrebbe detto qualcosa su questo argomento.
«Sensei.» lo chiamai paziente, ringraziando il cielo che il mio tanto decantato autocontrollo fosse tornato dalla sua momentanea vacanza e mi stesse impedendo di dare di matto. «Non mi aveva detto che avrebbe risposto alle mie domande?»
Lui sospirando nuovamente, si voltò verso di me, poggiò il bacino contro il piccolo davanzale della finestra e incrociò le braccia al petto.
«Per essere precisi, ti ho chiesto cosa volessi sapere, ma non mi sembra che ti abbia detto che avrei risposto a qualsiasi tua domanda.» precisò, sollevando leggermente gli angoli della bocca all'insù.
Era evidente che credeva di avermi messo nel sacco.
Scocciato da quel pessimo gioco di parole, gli rivolsi un'occhiata del tutto che benevola.
«Non mi prenda in giro, sensei.» sbuffai, spazientito.
Lui si lasciò scappare una piccola risata prima di tornare ad essere serio. «Hai ragione, scusa, non era divertente.»
«Cosa vogliono da Kushina?» chiesi ancora, ignorando i suoi tentativi di cambiare discorso.
Lui si lasciò scappare un'altra risata: «Hai notato che questa è la seconda volta in meno di mezz'ora che la chiami per nome?» mi domandò invece, con un ghigno allegro. «Stai attento, le persone, sentendoti chiamarla così, potrebbero fraintendere il vostro grado di relazione.»
«Sensei!» sbottai, ormai al limite della pazienza. «Per piacere, può tornare ad essere serio?»
«Perché lo vuoi sapere?» mi domandò, alla fine.
«Perché il mio istinto mi dice che presto loro torneranno a cercarla e non voglio correre il rischio di trovarmi impreparato quando questo accadrà.» lo dissi con una tale determinazione che sentire quelle parole uscire dalla mia bocca fece uno strano effetto pure a me; ma non ci badai troppo, perché la mia attenzione fu catturata dallo sguardo indecifrabile di Jiraiya.
«Hai deciso di proteggerla, non è vero?»
Annuii, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Anche se questo ti porterebbe a rischiare continuamente la tua vita?»
Nei suoi occhi neri come la pece, balenò una strana luce d'inquietudine che mi fece comprendere che la sua domanda non era stata detta così a caso.
Jiraiya sapeva davvero qualcosa, e quel qualcosa, in qualche modo, lo preoccupava seriamente.
«Mi dica la verità, sensei. Cosa si nasconde dietro questo rapimento?»
Lo vidi scuotere la testa, contrariato. «È complicato.» disse soltanto, distogliendo lo sguardo dal mio e facendolo vagare per la piccola saletta d'attesa senza però, guardare niente in particolare.
Dal suo comportamento evasivo, compresi che la storia doveva essere più seria di quanto pensassi. Alzai un sopracciglio, cercando di mostrarmi il più indifferente possibile alle sue parole mentre in realtà, dentro di me, mi sentivo una bomba a pressione pronto ad esplodere alla minima vibrazione.
«Mi faccia indovinare...» buttai lì, intuendo quale fosse in realtà il vero problema per cui Jiraiya non mi rispondeva. «...mi sono immischiato in una missione top-secret, vero?»
Lui tornò a puntare i suoi occhi penetranti su di me, arricciando gli angoli della bocca in un vispo sorrisetto. «Non proprio, ma ci sei andato molto vicino.»
«In che senso?» chiesi, preso totalmente alla sprovvista dalla schiettezza con cui questa volta mi rispose.
«Minato, ascoltami bene...» mi ordinò, lanciando un'altra breve e furtiva occhiata attorno a noi, prima di rivolgermi la sua totale attenzione. «...non posso dirti molto su questa storia perché neppure io conosco i dettagli. Non so perché abbiano rapito proprio quella ragazzina. E visto che non c'è nemmeno un sopravvissuto tra i rapitori a cui poter domandarlo, credo che il miglior modo per saperlo sia quello di chiedere alla diretta interessata, lei lo saprà certamente, o almeno, è quello che spero.»
Le parole di Jiraiya sembravano sincere ma, nonostante tutto, sentivo comunque la strana sensazione che non mi stesse dicendo tutta la verità.
C'era dell'altro, ne ero sicuro.
«Non mi inganni, sensei.» brontolai, irritato dalle sue continue risposte vaghe. «Anche se lei non è a conoscenza del motivo per cui Uzumaki è stata rapita, sono sicuro che non è completamente estraneo a questa faccenda. Ho notato l'occhiata che vi siete scambiato con Tsunade-sama nella foresta, non sono stupido: voi temevate la presenza di quel maledetto sigillo. E la domanda mi sorge spontanea: perché? Perché non eravate sorpreso quanto me dell'esistenza di quell'affare?» gli domandai tutto d'un fiato, consapevole già che non avrei ottenuto nessuna risposta.
Infatti, da qualche minuto, mi era venuto il forte sospetto che questo maledetto sigillo centrasse in qualche modo con la missione segreta di cui Jiraiya da qualche tempo si stava occupando con il suo vecchio team, e che spesso, lo costringeva a brevi e continue partenze.
«Lo avevate già visto da qualche altra parte, non è vero?» continuai a chiedere, ma come c'era d'aspettarsi, non mi rispose; si limitò soltanto ad osservarmi con le braccia incrociate al petto.
Sospirai stancamente.
Così non saremmo andati da nessuna parte: Jiraiya non avrebbe davvero detto una parola in più su quel sigillo, era evidente.
Per il momento, avrei fatto meglio ad arrendermi e sperare che Tsunade conoscesse quel sigillo molto più di quanto in realtà non mi avesse voluto far credere.
«Sensei.» chiamai alla fine, in un sussurro arrendevole. «Mi dica almeno se Tsunade-sama conosce davvero un modo per spezzare quel dannato sigillo. Non mi interessa sapere altro per il momento; solo che lei si riprenderà completamente.»
Alla mia supplica, lo sguardo di Jiraiya si ammorbidì leggermente e, con un piccolo sbuffo, lo vidi sedersi nuovamente vicino a me.
«Non preoccuparti Minato, Tsunade è la migliore nel suo campo. Sono certo che farà del suo meglio per aiutare quella ragazza.»
I suoi occhi di solito scuri come una notte senza stelle, ebbero un guizzo e brillarono di luce propria nel pronunciare il nome della sua vecchia compagna di squadra. E fu inevitabile per me, chiedermi se pure lui – come me, del resto – stesse nascondendo da molto tempo nel profondo del suo cuore dei sentimenti per una ragazza in particolare.
In fin dei conti, adesso che ci pensavo, non avevo mai visto Jiraiya mostrare serio interesse per nessuna ragazza. O per meglio dire, sì, lui giocava con tutte le belle donne che gli venivano a tiro e magari, con chi glielo permetteva si concedeva pure una notte di passione ma, il tutto, finiva lì. Nessuna era mai stata in grado di attirare la sua attenzione, almeno, era questo che credevo fino a pochi istanti prima, quando, i suoi occhi, involontariamente, l'avevano tradito.
Era proprio vero quel detto che diceva: “gli occhi sono lo specchio dell'anima”.
Perso per com'ero nei miei pensieri, non mi ero accorto neppure che Jiraiya aveva ripreso a parlare.
«...ma mi stai ascoltando?» mi chiese, rivolgendomi un'occhiata preoccupata. «Ragazzo mio, ti senti bene? Sei piuttosto pallido.»
Effettivamente, mi sentivo oltremodo esausto.
«Sono solo un po' stanco.» minimizzai, reclinando leggermente la testa all'indietro fino ad appoggiare la nuca nel muro alle mie spalle.
«Ed affamato, aggiungerei.» scherzò lui, al brontolio improvviso e prorompente del mio stomaco che si fece udire proprio in quel momento.
Sorrisi a mia volta, imbarazzato, accarezzandomi l'addome.
«Con quello che è successo non ho avuto tempo per cenare.»
«Già, neppure noi.» commentò, con tono fintamente afflitto. «Non pensavo che questo lavoro chiedesse così spesso gli straordinari! Accidenti a me e a quando ho scelto di seguire il mestiere di famiglia!» se ne uscì tutto ad un tratto, con fare melodrammatico, riuscendo perfino a strapparmi una risata.
La sua risata si unì presto alla mia e, per un brevissimo istante, mi sentii bene; ma poi, i miei occhi, si posarono su quell'odiatissima porta bianca e il sorriso mi morì sulle labbra.
Jiraiya dovette notarlo perché riprese subito a parlare: «Comunque, non mi hai ancora detto come sei riuscito a trovare la pista giusta. Che trucchetto hai usato?»
Sorrisi debolmente, sentendomi addosso tutta la stanchezza lasciata da quell'assurda missione di salvataggio. Lentamente, tirai fuori dalla tasca della felpa le lunghe ciocche cremisi che ancora conservavo e gliele mostrai.
Lui le osservò per qualche secondo prima di chiedere con un sopracciglio inarcato e un tono incredulo: «Capelli?»
Annuii impercettibilmente, osservando pure io quei bellissimi capelli ramati che sembravano risplendere come oro rosso sulla carnagione chiara della mia mano.
«Li aveva lasciati lungo la strada come segnale.» risposi in un sussurro, mentre con la mia mente rivivevo ogni singolo istante di quei tremendi momenti.
Ne ero certo, non li avrei mai dimenticati.
Non avrei mai potuto dimenticare la sensazione di gelo che mi aveva contratto lo stomaco alla vista di quella pozza di sangue, o l'orrenda, quanto soffocante, paura che avevo provato al pensiero di non riuscire ad arrivare in tempo.
Alzai lo sguardo, facendolo vagare per il corridoio senza meta, desiderando, dal profondo del mio cuore, essere accanto a lei in quel momento e non, dietro una stupida porta, ad aspettare impotente l'esito di quell'operazione.
«Non li avevo notati.» ammise, sorpreso.
«È questo il problema, sensei.» obiettai, malinconico. «Nessuno nota le cose veramente belle.»
Ripensai alle sue lacrime e mi maledissi per essere stato cieco come tutti gli altri. Neanch'io, avevo capito fino in fondo il suo dolore ed ero stato in disparte mentre lei soffriva in solitudine.
Strinsi i pugni, furioso con me stesso per essere stato tanto cieco da ignorare anche quello che avevo proprio sotto al mio naso; e spostai nuovamente lo sguardo su quella superficie bianco sporco della porta, sperando, con tutto me stesso, che Tsunade riuscisse a spezzare quel sigillo.
Non avevo infatti dimenticato le parole della ninja medico, d'altronde, era stata molto chiara su questo punto: se il sigillo non veniva spezzato, Kushina, non avrebbe più potuto essere una kunoichi.
Pregai con tutte le mie forze che ciò non accadesse davvero.
Altrimenti, che cosa ne sarebbe stato di lei?
Scossi la testa con un movimento deciso per allontanare quei pensieri molesti.
Non dovevo pensare al peggio.
E poi, quella ragazza non avrebbe mai accettato di rinunciare al suo sogno.
Ne ero sicuro, lei avrebbe lottato, perché era una vera guerriera e pur di realizzare i suoi sogni avrebbe combattuto fino al suo ultimo respiro; però nonostante sapessi questo, non potevo fare a meno di essere preoccupato per lei.
«Non temere, Minato.» disse all'improvviso Jiraiya, distraendomi dai miei cupi pensieri. «Andrà tutto bene, vedrai.»
questa volta non risposi, non annuii nemmeno.
Non volevo dirgli che nonostante ci sperassi, non potevo credere alle sue parole. Erano davvero troppi i punti oscuri di questa storia, per credere ciecamente a quelle parole.
Restammo per un po' in silenzio, troppo assorti nei nostri pensieri per cercare di intavolare una qualsiasi discussione. E, in quella piccola saletta, il silenzio diventò così intenso da poter persino sentire in lontananza le voci allegre di due infermiere – ferme davanti al distributore di bibite di quel reparto – mentre chiacchieravano dei loro progetti per il fine settimana.
Stanco di aspettare, mi piegai in avanti ed appoggiai i gomiti sulle ginocchia, intrecciando le dita delle mani a mo' di preghiera davanti a me.
Tutta quell'attesa si stava facendo davvero snervante.
Perché ci stavano mettendo tanto?




 
- Tsunade -





«Dammi il cambio, per favore!» disse uno dei medici dell'equipe, ormai a corto di chakra.
«Okay, ci sono.» rispose prontamente il sostituto, prendendo il posto del collega ed iniziando a sua volta ad immettere il proprio chakra all'interno del corpo di Kushina, ancora priva di sensi, al centro esatto della stanza.
Sollevai lo sguardo dal libro che stavo leggendo e mi morsi il labbro inferiore infastidita: quello, era l'ennesimo cambio che si richiedeva in meno di un'ora dall'inizio dell'operazione.
Non andava bene.
Non andava affatto bene.
Se il livello dei medici era talmente scadente da stancarsi in così poco tempo, non osavo neppure immaginare cosa sarebbe potuto succedere se malauguratamente avremmo dovuto affrontare un'emergenza su ampia scala.
Scossi la testa contrariata, ripromettendomi mentalmente che alla prossima riunione con il Consiglio, avrei esposto sicuramente questo problema, chiedendo di organizzare dei corsi speciali per i membri del team medico.
In tempi come i nostri, avere nelle proprie file dei ninja medici competenti poteva realmente fare la differenza tra la vita e la morte dei nostri compagni. E questo, era un dato di fatto che nessuno poteva negare, neppure quei vecchi spilorci degli Anziani.
Sbuffando sonoramente, tornai a concentrarmi sulla lettura del diario di mia nonna, nella speranza di trovare un modo per spezzare quel dannato sigillo ma purtroppo, come avevo avuto modo di vedere in questi mesi di interrotte ricerche, l'unico metodo disponibile, sembrava quello di rivolgersi direttamente al suo creatore, ovvero, ai membri del clan Uzumaki.
Più scocciata che altro da quell'inutile perdita di tempo, decisi di chiudere con un tonfo quel vecchio tomo polveroso e prestare tutta la mia attenzione su l'esito dell'intervento. In fin dei conti, forse, era pur sempre meglio dare una mano all'equipe medica e pensare al sigillo in un secondo momento.
Mi guardai attorno, alla ricerca del capo responsabile e quando lo trovai, mi ci avvicinai con passo felpato.
«Come andiamo, Akai-san?» gli sussurrai all'orecchio, per non distrarre gli altri.
«Abbiamo quasi finito.» mi rispose un po' affaticato, probabilmente, per compensare lo scarso chakra dei suoi colleghi, stava immettendo più chakra degli altri. «E tu? Sei riuscita a trovare un modo per spezzare il sigillo?»
Scossi la testa, avvilita: «No, purtroppo no.»
Lui mi osservò per qualche secondo da sopra la sua spalla prima di rivolgermi un sorriso bonario. «Non temere, sono certo che prima o poi qualcosa ti verrà in mente.»
Mi ritrovai ad annuire alle sue parole anche se poco convinta.
Akai aveva sempre avuto una smisurata fiducia nelle mie capacità e non era un caso se dopo la morte di mia nonna era divenuto il mio mentore, insegnandomi tutto ciò che lui, a suo tempo, aveva appreso dai miei nonni.
«Comunque, se vuoi, puoi andare.» mi propose gentilmente, prima di tornare a concentrarsi sul suo lavoro.
Ci impiegai soltanto un momento per decidere di declinare la sua proposta: ero stanca, sì, ma non volevo comunque lamentarmi; e poi, non volevo neppure lasciare la sala operatoria sino a quando l'intervento non si fosse concluso. Se qualcosa fosse andato storto, desideravo essere presente per poter dare una mano.
«Grazie Akai-san per il pensiero, però preferisco restare fino alla fine, potrei sempre rendermi utile in qualche modo.» mormorai; ma al mio rifiuto, Akai stirò le labbra in una sottile linea contrariata e mi rivolse un'occhiataccia per nulla benevola: evidentemente, non mi ero accorta che la sua non era una semplice gentilezza, bensì un ordine.
«Se vuoi davvero renderti utile...» proferì con tono acido, «...vai dall'Hokage a fare rapporto sulla missione e poi, tornatene a casa tua e riposati un po', che – senza offesa – hai un aspetto veramente orribile.»
Consapevole di non poter vincere in nessun modo contro di lui, anche se a malincuore, non mi restò altro da fare che acconsentire: «Ne sei sicuro?» chiesi, ignorando di proposito il suo commento poco galante.
«Certo.» confermò lui, mostrandomi un sorriso a trentadue denti e facendomi pure un occhialino scherzoso. «E poi, a dirla tutta, sono seriamente preoccupato che se continuo a tenerti qui, tu mi faccia fare anche gli straordinari per curare te. Quindi, forza, fila a riposarti!»
«Ma che carino!» borbottai sarcastica, non potendogli però dare alcun torto.
Erano tre notti che non vedevo l'ombra di un letto e proprio quando stavo già per pregustarmi il mio meritato riposo, Sarutobi-sensei ci aveva mandato nuovamente in missione all'inseguimento di quegli shinobi della Nuvola.
Era stata davvero una sorpresa per tutti noi sapere al nostro arrivo che qualcuno si era introdotto nel nostro villaggio ed aveva rapito quella ragazzina, ma non me ne ero meravigliata più di tanto. In fondo, Kushina era pur sempre l'ultima discendente diretta del clan Uzumaki e non era poi così tanto difficile immaginare che qualche Paese straniero volesse mettere le mani su i segreti del suo clan. Anche se ancora, non mi spiegavo il motivo per cui erano arrivati ad entrare in un villaggio nemico pur di averla.
Lanciai una veloce occhiata al viso pallido di Kushina, ripensando alla discussione avuta con Jiraiya durante l'inseguimento.
Pure lui, come me, non si spiegava molte cose e una fra le tante, era il comportamento agitato del Consiglio.
Era stato chiaro come il sole che quelle vecchie serpi stessero nascondendo qualcosa di grosso, ma alle domande di Jiraiya, il Terzo, aveva ordinato di non chiedere nulla su questa faccenda.
In parole povere: il tutto era top-secret.
Sospirai stancamente, scrutando con attenzione quel viso quasi esangue, temendo per la sua sorte.
Non sapevo fin dove si erano spinte le alte sfere di Konoha e cosa centrasse Kushina in tutta questa storia, ma speravo con tutto il cuore che le loro scelte non avrebbero segnato irrimediabilmente il suo giovane destino.
«Ti decidi ad andare, o no?» mi sgridò questa volta Akai, deciso a farmi andare a casa a tutti i costi e distogliendomi dai miei cupi pensieri.
«Vado, vado. E grazie mille, Akai-san.»
Lui non mi rispose neppure, limitandosi soltanto a muovere lievemente la testa e ad indicarmi di uscire alla svelta.
Non riuscendo a trattenere un piccolo sorriso di fronte al suo goffo tentativo di prendersi cura di me, mi affrettai ad uscire dalla sala operatoria per non rischiare di fargli saltare seriamente i nervi; però, nel chiudermi la porta alle spalle, lanciai un'ultima occhiata preoccupata a Kushina, anche se, il saperla sotto le abili cure di Akai mi rendeva in qualche modo più serena.
Tuttavia, non potevo di certo immaginare che la mia “tranquillità” , se così si poteva definire, sarebbe svanita l'attimo stesso in cui mi sarei voltata verso la sala d'attesa e mi sarei resa conto di cosa effettivamente stesse accadendo appena fuori dalla sala operatoria…




 
- Minato -





«A cosa stai pensando così intensamente?»
Fu la voce di Jiraiya ad interrompere ancora una volta il silenzio che era sceso su di noi.
Probabilmente, pure lui stava iniziando a spazientirsi di quella lunga attesa.
Lo guardai brevemente, notando solo in quel momento il suo aspetto trasandato e le evidenti occhiaie che facevano sfoggio sul suo viso dai lineamenti marcati.
Doveva essere davvero stanco.
«Stavo ancora provando a capire cosa diavolo potessero volere da lei. Che io sappia, Uzumaki, non possiede nessuna capacità innata che potrebbe giustificare il loro tentativo di rapirla.»
«Ne sei sicuro?»
«Certo. In Accademia siamo stati persino compagni di classe e, escludendo la sua straordinaria forza fisica e le sue sorprendenti abilità nel Taijutsu, non ho mai notato nessun talento particolare o capacità innata in lei. »
«Oppure...» fece lui, inarcando un sopracciglio, pensieroso. «...potrebbe essere stata soltanto molto brava a nasconderlo, non pensi?»
Mi presi qualche secondo per riflettere sulla sua domanda.
Effettivamente, anche questa, sarebbe potuta essere una probabilità.
Che il Villaggio della Nuvola avesse notato in lei qualcosa che a noi, della Foglia, era completamente sfuggito?
«Ma che cosa potrebbe possedere di così prezioso da spingerli fino a questo punto? Insomma, perché proprio lei? Qui, alla Foglia, ci sono così tanti talenti innati e potenti come ad esempio il Byakugan o lo Sharingan, che da generazioni sono stati invidiati e bramati dai tanti, perché, adesso, scegliere proprio lei tra tutti?»
Vidi Jiraiya aprire la bocca per rispondermi ma poi, i suoi occhi, saettarono come un fulmine verso l'entrata del corridoio: qualcosa, evidentemente, doveva avere attirato la sua attenzione e messo in allerta tutti i suoi sensi.
Mi concentrai a mia volta, avvertendo, con qualche difficoltà, la presenza di due shinobi nascosti; e, a giudicare dalla loro tecnica di mimetizzazione, era molto probabile che facessero parte della Squadra Speciale.
Leggermente infastidito dall'interruzione causata dalla loro presenza, trattenni a stento uno sbuffo e mi ritrovai a pensare che, se si erano dati il disturbo di venire a trovarci fin qui, doveva esserci una valida motivazione.
Che l'Hokage, dopo avere ricevuto il rapporto di Orochimaru, avesse deciso di mettere delle guardie attorno a Kushina? Oppure, erano qui per altro?
Comunque sia, qualunque motivazione avevano per trovarsi qui, feci ugualmente finta di niente. Di certo, non avevo nessuna intenzione di discutere con loro.
Osservai il maestro con la coda dell'occhio e, anche se non lo dava a vedere, pure lui sembrava infastidito dalla loro presenza; ciononostante, passò qualche minuto di calma apparente prima che Jiraiya perdesse la pazienza.
«Ragazzi, perché non ci date un taglio è uscite allo scoperto?» chiese con falsa cordialità, nascondendo molto bene la sua irritazione. «Dopotutto, siamo pur sempre tra amici, no?»
Alle sue parole, davanti ai nostri occhi si materializzarono due ninja con indosso la divisa degli ANBU e in volto, come da regolamento, una maschera che celava la loro identità.
«Jiraiya-san.» salutò freddamente uno dei due shinobi.
E nonostante la maschera avesse alterato di molto la sua voce, riuscii comunque a riconoscerlo: si trattava di Takeshi Morino.
Restai molto sorpreso di ritrovarmi di fronte quell'uomo; non che lo conoscessi particolarmente bene, anzi, l'avevo incontrato solo due volte in tutta la mia vita, ma da quello che sapevo sul suo conto, di solito, le sue doti erano impiegate soltanto per interrogare le spie nemiche.
«Chi ti ha mandato, Morino?» chiese Jiraiya, tagliente.
Dal tono usato dal maestro, potevo capire benissimo che tra i due non corresse buon sangue, e non me ne meravigliai più di tanto.
Takeshi Morino, era conosciuto da tutti per le sue incredibili abilità nell'interrogare e torturare i prigionieri di guerra facendo uso, anche dei mezzi più spietati pur di estorcere loro le informazioni che desiderava. In pochi erano sopravvissuti dopo essere stati torturati da lui e nessuno di loro era rimasto abbastanza lucido per raccontare in cosa consistevano le sue tecniche.
Il ninja, ignorando bellamente la domanda di Jiraiya, fece un passo verso di me.
«Namikaze Minato, dovresti venire con noi.» mi ordinò, impassibile.
Non avevo neanche avuto il tempo di sbattere le palpebre alla sua affermazione che mi ritrovai il possente corpo del maestro a pararsi tra me e Morino per farmi da scudo.
«Non così in fretta, Morino!» ringhiò, sfidandolo con lo sguardo.
Il suo, era un chiaro segnale d'avvertimento che fu, ancora una volta, ignorato.
«Levati dai piedi, Jiraiya.» ordinò infatti quest'ultimo glaciale, senza usare nemmeno più gli onorifici di facciata.
Era evidente che se il maestro faceva sul serio, quel tizio non era da meno.
Mi alzai a mia volta, pronto ad ogni evenienza, mentre Jiraiya, per niente intimorito dal suo avversario, inarcò un sopracciglio, provocatorio: «Potrai parlare con il mio allievo solo quando, e se, lo dico io.»
«Ho un ordine da parte del Consiglio di portargli urgentemente il ragazzo; e di certo, non sarai tu ad impedirmelo.» decretò atono, facendo un altro passo minaccioso verso di me.
A quel movimento, Jiraiya, rilasciò una piccola quantità di chakra come ultimo segnale di avvertimento.
«Se farai un altro passo, giuro che ti spezzo una gamba.» lo minacciò, mortalmente serio.
Guardai la scena teso come la corda di un violino, preoccupato ed allo stesso tempo eccitato di vedere il maestro all'opera.
Non riuscivo ancora a credere che Jiraiya, fosse arrivato al punto di sfidare Morino in un corridoio d'ospedale per impedirgli di portarmi con sé. Non era da lui essere così impulsivo, qualcosa doveva seriamente inquietarlo per costringerlo a comportarsi in quel modo.
L'osservai mettersi in posizione di difesa, pronto a scattare alla prima mossa dell'avversario; e fu inevitabile per me, chiedermi quale oscuro segreto si celasse dietro tutta questa storia.
Non avevo avuto il tempo di chiedermi altro perché, un piccolo movimento del secondo ninja, che fino a quel momento era rimasto in disparte a guardare, aveva attirato la mia attenzione. E senza dargli il tempo di agire, portai subito la mano destra all'altezza della coscia dove tenevo la borsa con i kunai, pronto ad estrarne uno se necessario.
Sapevo che non sarei riuscito a reggere a lungo uno scontro con uno shinobi della squadra speciale, ma non m'importava. Avrei aiutato ugualmente Jiraiya.
Ad essere sinceri, non capivo ancora cosa stava succedendo però, il mio istinto, mi urlava a squarciagola di stare in allerta e così avrei fatto.
Strinsi i denti, pronto allo scontro, sentendo l'adrenalina salire ai massimi livelli.
La tensione presente in quella saletta d'attesa, adesso, era così palpabile da poter essere quasi tagliata con un coltello: ognuno aspettava una mossa falsa dell'avversario per partire al contrattacco. E fu proprio nell'istante stesso in cui il ginocchio sinistro di Morino si piegò leggermente in avanti, pronto al balzo iniziale, che la porta della sala operatoria finalmente si aprì con uno scatto, facendone uscire una stanca e pallida Tsunade.
Lei, alla vista della scena che gli si parò davanti, sbatté più volte le palpebre, incredula e confusa, prima di gettare un urlo – a mio dire – “disumano”: «Che diavolo state facendo voi quattro?» tuonò furiosa, cogliendo tutti di sorpresa e interrompendo lo scontro sul nascere.
Il maestro, vedendo l'arrivo della sua compagna di squadra si ricompose e sorrise amabilmente senza però, distogliere lo sguardo da Morino.
«Tsunade, dolcezza, direi che sei arrivata giusto in tempo.» chiocciò, fintamente allegro.
«Sei sempre ad attaccare briga tu, eh?» rispose lei, lanciandogli un'occhiata malevola. «In quanto a te...» disse poi, rivolgendosi a Morino, piegato ancora in posizione d'attacco. «… non so chi tu sia o cosa ti abbia spinto a venire fino a qui ma, all'interno del mio ospedale comando io; ed io, non ammetto nessun genere di scontro qui dentro, chiaro?» ringhiò, con una voce bassa e tremendamente minacciosa, mentre, con passo lento ma deciso, si posizionava al fianco di Jiraiya.
Era bassina e piuttosto minuta in confronto al maestro però, stranamente, tra i due, era proprio lei quella che riusciva ad incutere più timore.
Era senz'altro la degna erede del Primo Hokage, non c'era che dire.
«Tsunade-san.» la chiamò il secondo ninja, prendendo parola per la prima volta ed attirando l'attenzione di tutti i presenti su di sé.
La sua voce, nonostante fosse soffocata dalla maschera, era calda e profonda, quasi melodiosa.
La donna sobbalzò visibilmente al suo richiamo e si voltò a guardarlo, scrutandolo intensamente, come se volesse attraversare con la sola forza dello sguardo l'involucro duro della maschera. Era evidente che avesse capito chi vi si nascondeva dietro. E non soltanto lei, a giudicare dallo sguardo cupo con cui Jiraiya aveva iniziato a fissarlo, arrivando, persino, ad ignorare del tutto Morino.
«Abbiamo ricevuto l'ordine di portare il ragazzo con noi, quindi, per favore, consegnatecelo.»
«Scordatelo.» sbottò Jiraiya, velenoso. «Penserò io a portare il mio allievo dal Terzo, per cui, adesso, potete anche farmi la gentilezza di andarvene e togliervi dai piedi!»
«Jiraiya!» lo rimproverò Tsunade, senza però, staccare gli occhi dal tizio numero due.
Cosa che fece irritare oltremodo il maestro, ma Tsunade non vi badò minimamente: la sua attenzione era completamente rapita da quell'uomo.
«Che cosa avete intenzione di fargli?» chiese alla fine, senza giri di parole.
«Dobbiamo seguire la procedura.» rispose l'uomo.
A quelle parole, Jiraiya, scattò come una molla, nascondendomi maggiormente dietro la sua schiena: «Andate al diavolo!» ringhiò, furente. «Dovrete prima passare sul mio cadavere!»
«Sarà un piacere accontentarti.» disse Morino, facendo un altro passo avanti, ignorando la precedente minaccia di Jiraiya.
Grosso errore.
Anzi no, grossissimo errore.
«Ti avevo avvertito.» mormorò infatti il maestro, prima di scagliarsi contro il suo avversario con una velocità fulminea. E ci sarebbe anche riuscito se non fosse stato per Tsunade che, prontamente, lo aveva afferrato con forza per il braccio, fermandolo giusto in tempo.
Il volto della donna, era diventato una maschera di granito, freddo ed impassibile ma, i suoi occhi, dardeggiavano come lava incandescente.
La vidi scambiarsi una lunga occhiata con Jiraiya; uno scambio di sguardi che era più simile ad una lotta silenziosa, dove, nessuno dei due voleva cedere, anche se, all'ultimo, fu proprio lei a spostare il suo sguardo e puntarlo sul compagno di Morino.
«Mi spiace, ma non posso darvi il ragazzo.» disse con un tono di voce stranamente calmo, eppure irremovibile. «Devo portarlo con me dall'Hokage per concludere il nostro rapporto sulla missione. Al momento, infatti, il ragazzo è sotto la nostra custodia.»
La osservai senza comprendere appieno il significato delle sue parole, ma dal sorriso soddisfatto che comparì sulle labbra di Jiraiya, capii, che per il momento, almeno, non dovevo seguire quegli shinobi.
«L'avete sentita, no?» chiese il maestro ai due, sorridendo sornione.
E non saprei dire se la sua improvvisa allegria fosse dovuta al fatto che Tsunade gli avesse dato manforte davanti ai due shinobi o, se fosse, perché la donna lo stesse ancora tenendo per il braccio sotto gli occhi del ninja sconosciuto.
«A questo punto...» continuò ancora lui, come se nulla fosse. «...sarà l'Hokage stesso a porre le domande, quindi, mi sa che qui, la vostra presenza non sia più richiesta.»
Questa volta, fu Morino a perdere la pazienza: «Davvero pensate che vi lasci il ragazzo?» tuonò, furioso.
«Basta così.» disse invece il suo compagno, mettendogli una mano sulla spalla per cercare di calmarlo. «Andiamo.»
«Ma...»
«Non preoccuparti...» lo interruppe l'amico, per poi indicare il maestro e Tsunade con un cenno della testa. «...lascia che siano loro ad occuparsi di questa faccenda.»
Anche se visibilmente contrariato, alla fine, Morino acconsentì. «E va bene.» sbottò riluttante verso il collega, rivolgendosi successivamente a noi. «...ma questa storia non finisce qui, sappiatelo.»
«Certo!» lo schernì il maestro, guadagnandosi una gomitata di Tsunade tra le coste come avvertimento di darci un taglio.
Quando gli ANBU se ne andarono, la donna esplose in mille insulti: «Jiraiya, sei un'idiota!» urlò, arrabbiata. «Come diavolo ti salta in mente di provocarlo a quel modo, eh? Volevi forse scatenare un duello, qui? Davanti ad una sala operatoria? Sei un emerito cretino! Stupido eremita dei rospi! Imbecille che non sei altro!»
Avevo la certezza che i suoi improperi verso di lui sarebbero anche potuti continuare all'infinito se il maestro, forse perché seriamente preoccupato che la donna iniziasse a colpirlo con ferocia, non cambiò abilmente discorso, ponendogli la domanda che in quel momento, gli avrei voluto chiedere io: «Come sta quella ragazza?».
Tsunade si ammutolì per un attimo prima di sospirare pesantemente. «Se ne sta occupando Akai-san.»
Jiraiya aggrottò le folte sopracciglia, perplesso. «Non è ancora finita?»
Lei scosse la testa. «Akai stava quasi terminando prima che mi sbattesse fuori, comunque, sembra che abbia tutto sotto controllo.»
«E il sigillo?» chiesi, intromettendomi mio malgrado nella loro discussione.
Non riuscivo più ad aspettare, volevo sapere se Kushina si sarebbe ripresa completamente o no.
Lei mi lanciò un'occhiata desolata che valse più di mille parole. E fu inevitabile per me, sentirmi sprofondare sotto la terribile consapevolezza che Kushina non sarebbe più potuta essere una kunoichi.
Ripensai al giorno in cui la incontrai per la prima volta e alle sue parole urlate di fronte a tutta la classe con orgoglio e determinazione: “Io diventerò la prima Hokage donna del Villaggio della Foglia!” . Ed ora, il suo sogno era stato interrotto per mano di alcuni farabutti.
Abbassai lo sguardo e strinsi forte i pugni, imponendomi di mantenere il controllo.
Non riuscivo nemmeno ad immaginare come Kushina avrebbe preso una simile notizia ma, nonostante tutto, ripromisi a me stesso che le sarei stato vicino.
Questa volta, lei non sarebbe più stata sola.
«Jiraiya-sensei?» chiamai, senza alzare lo sguardo.
«Hm?»
«Possiamo aspettare un altro pochino?» chiesi, in un sussurro.
Adesso più che mai, prima di andarmene, volevo aspettare di vederla uscire da li.
Jiraiya, forse intuendo il mio stato d'animo, posò una mano sulla mia spalla ed annuì: «D'accordo.» mormorò, tornando a sedersi sulla panca. «Tsunade, dolcezza, siediti pure tu.»
«Smettila immediatamente di chiamarmi così!» sbottò la donna, fulminandolo con lo sguardo. «E poi, non abbiamo tempo da perdere, il Terzo ci sta aspettando.»
«Che vuoi farci?» rispose lui, con un sorrisetto sghembo. «...sono così stanco che non penso riuscirò ad alzarmi da qui.»
Tsunade sbuffò, passandosi spazientita una mano sulla faccia. «Jiraiya, finiscila di fare il cretino. Sono stanca e voglio concludere in fretta questa storia.»
«Non preoccuparti, andremo via presto. Concedimi solo un altro po' di tempo, okay?»
Lei lo guardò allibita, non capendo se il maestro stesse facendo sul serio o no. «Sei serio?» chiese infatti.
«Tu stessa hai detto che Akai-san aveva quasi terminato. Ormai, mentre ci siamo, aspettiamo l'esito dell'intervento e portiamo al vecchio notizie complete.» propose con ovvietà, ma sapevo bene che questa era soltanto una scusa.
Jiraiya stava cercando di guadagnare tempo per permettermi di vedere Kushina. E gliene ero immensamente grato.
Tsunade, trovandosi con le spalle al muro e non avendo nulla con cui obiettare, si ritrovò costretta ad accettare.
Dopo qualche secondo di silenzio, Jiraiya riprese a parlare: «Che ne pensi di tutto questo?» domandò alla sua compagna.
«Non lo so. Non mi piace.»
«Già, neanche a me.»
«Comunque, non credo che fossero stati mandati da Sarutobi-sensei.» precisò lei, massaggiandosi le tempie per attenuare, probabilmente, una poderosa emicrania.
«Credi che ci sia qualcun altro dietro a tutto questo?»
Tsunade gli rivolse un'occhiata più che eloquente e Jiraiya si lasciò scappare un'imprecazione tra i denti.
«Si sta complicando tutto.»
«Per adesso tutto quello che possiamo fare e parlarne con il Terzo.» suggerì la donna, rivolgendo poi la sua attenzione su di me. «Tu invece, stai attento e non ti fidare mai di nessuno.»
La osservai serio, annuendo l'attimo seguente.
Con tutto quello che era accaduto in queste poche ore, non avevo proprio nessuna intenzione di abbassare la guardia. Soprattutto, il mio timore era rivolto verso Kushina. Avevo la sensazione che i ninja della Nuvola non si sarebbero arresi così facilmente e, adesso che Kushina non poteva difendersi, purtroppo, era diventata un preda troppo facile da catturare.
«Bisogna proteggerla.» dissi in un sussurro che soltanto Jiraiya udì.
Mi fece un cenno con il capo per tranquillizzarmi e stava per dire qualcosa quando la porta della sala operatoria si aprì nuovamente, facendone uscire questa volta l'intera equipe medica. E poi, finalmente, spinta da due infermieri, uscì pure la barella con sopra Kushina.
Con passo incerto, mi avvicinai alla barella e la guardai, sentendo lo stomaco chiudersi per l'ansia. Volevo accettarmi il prima possibile che stesse bene, ma restai scioccato da ciò che vidi.
Il suo viso era rilassato ma tremendamente pallido, quasi cadaverico; e i suoi lunghi capelli rossi, disseminati sul candito cuscino, le donavano un aspetto persino più esangue; le palpebre ancora chiuse da un profondo sonno, avevano assunto un colore simile alla lavanda chiara e sotto i suoi occhi, facevano sfoggio due pesanti e violacee occhiaie; anche le labbra avevano perso molto del loro colore naturale e sembravano stranamente secche e gonfie.
Con esitazione, avvicinai pian piano una mano al suo viso, avvertendo, al tatto, la sua pelle fredda come un pezzo di ghiaccio.
Mi voltai a guardare Tsunade in cerca di rassicurazione, spaventato che qualcosa fosse andato storto.
Lei invece, mi fece un cenno sicuro con la testa: «Non preoccuparti, si riprenderà presto.» mi disse, tornando a discutere con un medico sulla cinquantina che appena uscito dalla sala operatoria si era diretto verso di lei.
Non riuscendo a pronunciare nulla di quantomeno sensato, e completamente sotto shock, mi ritrovai ad annuire e a tornare ad accarezzarle dolcemente il viso, fino a quando, uno degli infermieri, mi chiese di spostarmi per portare Kushina nella sua stanza.
«In che stanza verrà messa?» domandò Tsunade, salutando il ninja medico ed avvicinandosi anche lei con Jiraiya alla barella.
«Nella 202, Tsunade-sama.»
La donna ringraziando i due infermieri gli fece cenno di poter andare.
«Minato, stai bene?» mi chiese Jiraiya.
«Non li perdonerò mai.» gli mormorai, senza rispondere alla sua domanda.
La verità era che non stavo bene, non stavo bene per niente.
«A chi?» chiese lui, sorpreso.
«A tutti coloro che proveranno a farle ancora del male.» risposi, sentendo formasi all'altezza del petto un peso immenso. «Giuro che non li perdonerò mai.»
Il maestro mi guardò come se fossi impazzito del tutto, ma non mi importò.
Non avrei più permesso a nessuno di fargli del male, l'avrei protetta anche al costo della mia stessa vita se fosse stato necessario.
«Jiraiya?» lo chiamò Tsunade, distraendolo dalla nostra discussione. «Ho preso tutti i dati che ci servivano, possiamo andare.»
«Sì, arrivo.» rispose. «Minato? Dovresti venire anche tu con noi.»
Sentii il mio corpo irrigidirsi a quelle parole e, psicologicamente, mi preparai ad affrontare le conseguenze della mia insubordinazione.
Avrei davvero voluto stare al fianco di Kushina e, magari – perché, no? –, farmi anche una bella doccia calda per togliermi la stanchezza e il sudore di dosso, ma non potevo ignorare una convocazione da parte dell'Hokage, quindi, anche se a malincuore, annuii e mi preparai a seguirlo.




 
- Jiraiya -





Quando bussai alla pesante porta in mogano scuro, ad accoglierci, fu la voce pacata di Sarutobi che ci invitò ad entrare.
Lanciai un'occhiata di sottecchi a Minato per accertarmi che stesse bene.
Da quando infatti eravamo usciti dall'ospedale, non aveva detto più neanche una parola; anche se, non riuscivo a capire se il suo mutismo era dovuto all'ansia d'incontrare l'Hokage oppure se era dovuto alle condizioni non tanto favorevoli di quella ragazza.
Avrei tanto voluto distrarlo, ma sapevo che qualsiasi cosa avrei fatto, non sarebbe servito a niente. Minato era un ragazzo fin troppo scrupoloso per permettersi di prendere alla leggera i fatti accaduti quella notte.
A volte, mi chiedevo se il suo comportamento era riconducibile solo ad un fattore caratteriale o se, centrasse in qualche modo il suo passato in tutto questo.
«Se non sei interpellato personalmente, non aprire bocca.» gli sussurrai, rivolgendogli, un'occhiata più che eloquente.
Non volevo che fosse coinvolto in questa storia più di quanto già non fosse.
Lui si limitò solamente a donarmi un muto cenno d'assenso per dirmi che aveva capito.
Distolsi lo sguardo da lui e trattenendo a stento un sospiro, aprii la porta, facendo entrare tutti nell'ufficio del maestro, ormai pronto e rassegnato al lungo colloquio che ne sarebbe venuto fuori.
Non era un caso semplice e, l'Hokage, oltre a darci i nuovi ordini, doveva anche prendere provvedimenti sul comportamento inaspettato di Minato.
Gli lanciai un'altra occhiatina, chiedendomi ancora una volta cosa gli fosse passato per la testa per agire in quella maniera.
Lui, in ospedale, mi aveva detto che avrebbe protetto quella ragazza, ma lo conoscevo bene e sapevo che non era il genere di ragazzo che interferiva nella vita delle persone. Era troppo furbo per farlo.
Eppure adesso, sorprendentemente, si era buttato a capofitto in una storia più grande di lui.
Repressi un altro sospiro, pregando che il maestro non ci andasse troppo pesante con lui.
Puntai i miei occhi su Sarutobi e notai soltanto in quel momento che mi stava fissando a sua volta con i suoi penetranti occhi neri.
Feci un inchino in forma di saluto e mi preparai a fare rapporto sulla missione appena conclusasi.
«Hokage, siamo tornati.» dissi, a nome di tutti.
Lui ci scrutò attentamente uno alla volta. «C'è qualche ferito tra di voi?»
«No, nessuno.» rispose Tsunade prendendo parola.
«Come sta quella ragazzina?» chiese allora, rivolgendosi questa volta a Tsunade. «Orochimaru mi ha detto a grandi linee cosa è successo, ma non mi ha saputo dire niente sulle condizioni di Uzumaki-kun.» spiegò poi, osservando la sua ex-allieva.
Vidi con la coda dell'occhio Minato abbassare lo sguardo e stringere i pugni con rabbia.
Era evidente che stesse cercando di trattenersi con tutte le sue forze, e mi domandai mentalmente per l'ennesima volta in che tipo di rapporto fosse con quella ragazzina per reagire in quella maniera.
Mi aveva chiaramente detto che tra loro non vi era nessun tipo di relazione, e allora, perché reagiva a quel modo?
Che fosse innamorato di lei? No, lo escludevo.
«La ragazza sta bene.» rispose Tsunade, distraendomi dai miei pensieri. «L'intervento è andato bene e presto potrà essere dimessa, ma purtroppo le hanno imposto un sigillo che non riesco a rompere.»
Negli occhi di Sarutobi passò un lampo indecifrabile ma, fu così veloce che, non riuscii a comprendere di cosa si trattasse. «Un sigillo?»
«Sì, un sigillo enneastico*.» precisò lei, non rendendosi conto della reazione del maestro.
Sarutobi corrugò le fini sopracciglia castane in un'espressione quasi rammaricata, tuttavia lo conoscevo fin da quando ero un bambino e sapevo bene che dietro quella particolare piega si nascondesse qualcosa di ben diverso del solo dispiacere per quella ragazzina. Poteva essere agitazione la sua? O forse era preoccupazione?
«Oh.» fece lui, ignaro dei miei pensieri. «Non ci voleva, povera ragazza.»
«Ma è strano...» continuò Tsunade, attirando l'attenzione di tutti i presenti su di sé. «Nonostante il suo chakra sia bloccato, Akai-san, dopo l'intervento, mi ha riferito che al suo interno scorre ugualmente una forte fonte di chakra. Sembra come se il sigillo abbia solo bloccato in parte i poteri della ragazza, neppure lui sa spiegarsi come questo sia possibile.»
A quelle parole, il maestro, strinse le palpebre in due piccole fessure e si sporse sulla scrivania completamente concentrato sul resoconto della donna.
«Davvero?» domandò, vigile.
Tsunade annuì per poi riprendere a parlare. «Quando Akai-san me l'ha detto, non riuscivo a crederci neanch'io.» fece una piccola pausa, rivolgendo prima un'occhiata a Minato per poi, rivolgerne un'altra significativa al Terzo.
La sua, anche se silenziosa, fu una chiara domanda se poteva continuare a parlare della nostra missione segreta nonostante la presenza di Minato nella stanza.
Al cenno d'assenso dell'uomo, riprese a parlare con calma. «Come lei sa, negli altri casi, una cosa del genere non era mai successa. Sono mesi che sto studiando quest'affare e dalle informazioni in mio possesso, sono certa che una volta imposto questo marchio non c'è nessuna possibilità per la vittima, se sempre riuscirà a rimanere in vita, di tornare ad utilizzare il suo chakra. Ecco perché sto pensando seriamente che ci sia un modo per spezzarlo.»
Ascoltai attentamente il suo rapporto, consapevole che da quel momento, Minato, nonostante tutti i miei sforzi per tenerlo fuori da questa storia, era stato definitivamente immischiato dentro la sua prima missione di livello S”.
Era assurdo adesso per me credere di riuscire a proteggerlo da tutto questo schifo e, inconsciamente, mi chiesi se Sarutobi non avesse pianificato tutto fin da quando aveva appreso della sua intromissione nella nostra missione per mettermi con le spalle al muro.
Vidi con la coda dell'occhio Minato ascoltare attentamente ogni singola parola di Tsunade e un brivido mi salì su per la colonna vertebrale.
Ogni minuto che passava si stava complicando tutto sempre di più.
Rassegnato da come gli eventi si stavano evolvendo, mi ritrovai a chiedere in tono incolore: «Ce n'è veramente uno?»
Tsunade mi rivolse un breve sguardo prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione al maestro. «Non ne sono sicura, ma possiamo sempre provare.» disse infine, facendo spallucce. «Nel diario di mia nonna, c'è una nota che dice chiaramente di rivolgersi al clan Uzumaki in caso di bisogno.»
Sarutobi ricambiò il suo sguardo. «Quindi, in parole povere, che cosa stai cercando di proporre?»
Lei prese un profondo respiro prima di sganciare la bomba, anche se avevo già un'idea di ciò che avesse in mente quella pazza di una kunoichi. «Voglio portare quella ragazzina nel suo paese d'origine e chiedere l'aiuto dei suoi genitori.»
Sarutobi, alle parole della sua ex allieva, si lasciò cadere con un sospiro sulla sua poltrona e chiuse gli occhi.
Nel suo ufficio, calò un pesante silenzio, rotto soltanto dai nostri respiri, e non me ne meravigliai più di tanto.
Era ovvio che la proposta di Tsunade avesse scatenato una simile reazione, ma dovevo ammettere che forse, era davvero la nostra sola possibilità per aiutare quella ragazzina.
Se i genitori della ragazza conoscevano veramente un modo per aiutare la figlia, ero certo che non avrebbero esitato ad intervenire per il suo bene.
Il vero problema, purtroppo, era un altro.
Dovevamo ammettere davanti ai nostri antichi alleati che non eravamo stati in grado di proteggere un loro compaesano; per di più, Kushina Uzumaki, non era un membro qualsiasi di quel villaggio, ma, a quanto ne sapevo, era l'unica e sola figlia del capo Villaggio del Vortice.
La storia, se non trattata con attenzione, poteva diventare davvero spinosa e rischiava di causare una seria rottura nell'alleanza fra la Foglia e il Vortice.
«Si sta complicando davvero tutto.» esclamai, grattandomi con una mano la testa.
Sarutobi annuì a sua volta, iniziando a ticchettare con le lunghe dita della mano sul bracciolo della poltrona mentre, con l'altra mano, afferrò la sua vecchia pipa. «D'accordo.» acconsentì alla fine, aspirando una boccata di fumo.
«Ne è sicuro, sensei?» chiesi, preoccupato che la situazione peggiorasse ulteriormente.
«Se non facciamo qualcosa, dopo questo, non potrò più guardare Daisuke-san in faccia.» rispose, stavolta sinceramente rammaricato. «Tsunade...» disse poi, rivolgendosi nuovamente a lei. «...organizza tutto per il viaggio e partite per il Villaggio del Vortice non appena la ragazza si rimetterà in forze. Mettiti pure in contatto con il Vortice e spiegagli la situazione. Sarai tu, la responsabile di questa missione ed il medico ninja della squadra.»
«Agli ordini.» disse lei con un piccolo inchino della testa.
Detto ciò, come a mettere fine a questa discussione, lo sguardo del maestro si puntò su Minato: «Mi è stato raccontato che sei stato tu a trovare la ragazza per primo, è vero?»
Vidi Minato ricambiare lo sguardo del Terzo ed annuire. «Sì.»
«E come ci sei riuscito?»
«Uzumaki-kun aveva lasciato alcune ciocche dei suoi capelli lungo la strada per segnare il loro passaggio.» rispose completamente calmo, come se in quel momento stesse parlando delle condizioni meteorologiche e non di una sua insubordinazione.
Ecco che ricompariva il suo lato pacato e controllato, anche se, le sue spalle erano un po' troppo rigide per farmi credere che fosse realmente rilassato.
Storsi le labbra in una smorfia per non scoppiare a ridere: Minato era sempre il solito, non avrebbe mai ammesso davanti a nessuno il suo vero stato d'animo o i suoi pensieri.
L'interrogatorio del maestro andò avanti per circa un'ora, fino a quando, non gli fece tutte le domande possibili e Minato, non rispose e raccontò nei minimi dettagli ogni suo più piccolo spostamento.
Rimasi sorpreso nell'apprendere come quel ragazzo avesse messo facilmente in trappola una squadra di Jonin solo con un piano pensato al momento e l'aiuto della notte. Era riuscito a sfruttare a suo vantaggio tutto ciò che lo circondava e ad agire con estrema precisione e furbizia. Riuscendo in questo modo, a completare da solo una missione di livello “A”.
«Se quegli shinobi sarebbero riusciti ad oltrepassare il confine cosa avresti fatto?» domandò alla fine, il maestro, attento ad ogni risposta di Minato.
Minato, osservò il Terzo con uno sguardo estremamente serio e strinse le labbra in una linea severa.
La sua espressione era così gelida da mettere i brividi e, per un secondo, mi chiesi se stesse guardando il sensei in quel modo oppure, stesse ripensando a qualche momento particolare di quell'assurda caccia all'uomo.
Pregai in cuor mio che la sua risposta fosse come da protocollo, ovvero, che si sarebbe fermato al confine, ma sapevo che non potevo sperare tanto. E infatti: «Li avrei seguiti.» disse, con una voce mortalmente seria.
«Anche se questo avrebbe scatenato una guerra tra i due Paesi?»
Restai sorpreso. Dove voleva andare a parare con quella domanda?
Il nostro regolamento era chiaro: la missione e gli ordini prima di tutto, anche dei compagni di squadra. Per quanto fosse duro e crudele, un vero shinobi, doveva attenersi a rispettarlo.
Tornai a guardare Minato, temendo per la sua risposta, ma ciò che successe l'attimo seguente mi stupii ancora di più.
«Non l'avrei mai abbandonata alla mercé di quei farabutti!» ringhiò gelido, scandendo quasi le sue parole una per una.
Il suo tono, anche se era appena sussurrato, fu così veemente che fece sobbalzare me e Tsunade, e persino il maestro né rimase colpito.
Il suo volto si piegò in un'espressione che non gli avevo mai visto da quando lo conoscevo: il suo viso, in quel momento, sembrava quello di un dio vendicatore.
Che diavolo stava succedendo a Minato? In quel momento, era così diverso dal ragazzino gentile e timido che avevo preso sotto le mie cure.
Sarutobi, lo osservò pensieroso per qualche secondo, prima di riprendere a parlare: «Posso farti un'ultima domanda?»
Minato annuì, impercettibilmente.
Il maestro, appoggiò con accurata nonchalance la sua preziosa pipa alle labbra. «Perché l'hai salvata?»
Il volto di Minato si addolcì notevolmente e i suoi occhi, del colore del cielo terso, iniziarono a risplendere come il sole a mezzogiorno, trasmettendo un calore che sarebbe riuscito a sciogliere anche il cuore più freddo. «Lei aveva bisogno del mio aiuto.» rispose soltanto, omettendo quella parte di verità che mi aveva confessato davanti alla sala operatoria.
Mi scappò un lieve sorriso.
No, Minato, in fondo, nonostante i suoi improvvisi colpi di testa, sarebbe sempre stato lo stesso riservato e timido ragazzino che avevo imparato a stimare e voler bene, in questi anni.
Sarutobi stirò le sottili labbra in un sorrisetto compiaciuto e sporgendosi nuovamente sulla scrivania, intrecciò le dita delle mani, poggiandovi sopra il mento. «Non sempre avremo la fortuna di salvare i nostri compagni, essere un ninja, a volte, significa anche fare dei sacrifici molto dolorosi.» gli disse, con tono pacato.
Ed io, purtroppo, memore delle mille e più battaglie a cui avevo partecipato non potevo negare questa indiscussa verità.
Un piccolo singulto di Tsunade attirò la mia attenzione e inconsciamente, fui certo che il suo pensiero, in quel momento, era rivoltò a Nawaki.
Scossi la testa per scacciare via quei tristi pensieri e tornai a concentrarmi sulla discussione.
Minato, invece, a quelle parole, assottigliò gli occhi fino a ridurli a piccole feritoie e, aggrottando le bionde sopracciglia, sostenne il suo sguardo, incurante di stare parlando con l'Hokage in persona. «Mi perdoni, Sandaime-sama, ma non condivido il suo pensiero; essere un ninja per me significa lottare per proteggere ad ogni costo tutte le persone a me care e non importa quanto possa essere disperata la situazione, non sacrificherò mai i miei amici: questo fa parte del mio credo ninja.»
Il maestro restò visibilmente meravigliato da quelle parole e con la coda dell'occhio, riuscì a vedere anche l'espressione allibita sul viso di Tsunade.
Sorrisi, orgoglioso di quel ragazzino.
«Già, forse hai ragione...» mormorò Sarutobi in un sussurro appena udibile. «Comunque, purtroppo, questo non cambia che il tuo modo d'agire sia stato sbagliato.»
Lanciai un'occhiataccia al maestro, temendo per il verdetto che da lì a breve sarebbe stato annunciato.
«Il Consiglio è venuto a conoscenza della tua insubordinazione e reputa il tuo comportamento “inammissibile”, almeno, sono state queste le loro parole. In pratica, temono che se un'azione di questa non venga punita severamente, possa ripetersi.» disse, facendo una pausa ed aspirando un'altra buona boccata di fumo.
Stavo giusto per protestare quando lui interruppe sul nascere la mia lamentela. «Tuttavia, il tuo intervento ha aiutato notevolmente sulla missione di salvataggio, cosa del quale ne sono veramente grati. Per cui, sono riuscito a ridurre la tua pena a due settimane di sospensione dal servizio attivo e ad un taglio del tuo salario per tre mesi. Hai qualche obiezione?» chiese, inarcando un sopracciglio.
Minato gli rivolse un'occhiata fiera. «No, nessuna.»
«Ovviamente, hai anche l'obbligo di non parlare con nessuno di tutto ciò che hai sentito e visto durante questa missione, chiaro?»
«Sì, Sandaime-sama.»
Non riuscii più a trattenermi. «Aspetti, Sarutobi-sensei.» intervenni, arrabbiato. «Non mi sembra giusto.»
Lui mi fece segno di tacere e continuò: «Tsunade? Pensi che riuscirai ad organizzare il tutto entro le due settimane?»
Lei lo guardò allibita, non capendo le sue parole. «Se mi impegno potrei riuscire ad organizzare il tutto entro la prossima settimana.»
Lui sorrise, rivolgendole un'occhiata birichina. «Facciamo che per essere sicuri delle condizioni di salute della ragazza, non potrete partire per il Villaggio del Vortice prima di due settimane, va bene?»
Solo allora compresi dove in realtà voleva andare a parare quella vecchia volpe del maestro.
«E inoltre...» aggiunse, «voglio che la tua squadra abbia due membri in più di supporto. Ti aggiornerò in seguito di chi si tratterà.»
«Certo, Hokage.» acconsentì Tsunade, ancora ignara dei suoi piani.
Guardai di sbieco Minato, e come Tsunade, anche lui, non aveva ancora capito che cosa stava progettando quell'uomo diabolico.
«Bene, adesso potete andare.» disse infine, congedandoci.
Con un piccolo inchino di saluto, ci voltammo per uscire dal suo ufficio ma, all'ultimo la sua voce mi fermò. «Aspetta, Jiraiya, avrei bisogno di parlare con te. In privato.» specificò poi, notando che Tsunade e Minato si erano fermati a guardarci.
Lanciai un'occhiata sconfortata a Tsunade che mi fece una linguaccia, dispettosa.
«Bye bye, noi intanto andiamo!» disse, agitando una mano e portandosi via con sé anche il mio allievo.
«Brutta strega.» bofonchiai a denti stretti, ben attento a non farmi udire. Non avevo nessuna intenzione di rischiare le penne con quella pazza di una kunoichi.
Sbuffai irritato, chiudendo la porta alle mie spalle e tornando di fronte alla grande scrivania in mogano.
«Non preoccuparti.» mi rassicurò lui con un sorriso divertito. «Ci vorranno solo cinque minuti.»
E nella mia mente, non potei fare a meno di pensare che sarebbero stati i cinque minuti più lunghi della storia.




 
- Kushina -





Non sapevo se a svegliarmi era stata l'improvvisa quanto piacevole brezza autunnale entrata all'improvviso nella stanza, oppure il leggero fruscio di passi che si erano fermati proprio accanto a me.
Istintivamente, e con le poche forze che mi ritrovavo, cercai di aprire le palpebre per vedere il volto del mio visitatore e – nonostante il dolore lancinante all'addome che continuava a torturarmi senza sosta – quando nel mio campo visivo entrò una sagoma alta e slanciata dalla folta capigliatura argentea, sulle mie labbra nacque immediatamente un piccolo sorriso di pura gioia: infatti, era impossibile per me, non riconoscere quella particolare chioma simile all'argento liquido.
“È tornato.” pensai tra me e me. “Finalmente, dopo tanto tempo, lui è ritornato al villaggio.”
Come a dare conferma al mio pensiero, lo vidi sorridere dolcemente e, l'attimo seguente, avvertii la sua grande e calda mano accarezzarmi delicatamente i capelli.
Ampliai il mio sorriso, beandomi di quel semplice gesto d'affetto, dimenticando totalmente il dolore all'addome e ogni traccia di paura che avevo provato la sera precedente. Chiusi gli occhi e rimasi semplicemente così, ferma.
Avvertendo il mio corpo rilassarsi pian piano ad ogni carezza. E prima di cedere nuovamente al torpore dell'incoscienza, sospirai soddisfatta.
Adesso che lui era tornato, avevo la certezza che tutto, alla fine, sarebbe andato per il verso giusto.
















NdA:
Non ho parole per ringraziare i lettori che hanno letto la mia storia e a chi - nonostante la lunga attesa - non ha mai smesso di seguire questa storia.
Vorrei in particolar modo dedicare questo capitolo proprio a loro (
 Animabella96crazyfrog95Kushina NamikazeSiria_Ilias e _Kurama_), perché il sapere che voi stavate aspettando in qualche modo mi ha spronato a tornare a scrivere.
Grazie di cuore e grazie ancora per non aver tolto la mia storia dalla vostra lista.
Un grande abbraccio,
Rosye. 
   
 
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