CAPITOLO 4
{Prima regola di mamma Molly: perdonare, sempre (a
meno che non sia proprio impossibile)}
Aprile
1990
I
gemelli Weasley ricevettero per il loro compleanno quattro pacchetti di
Cioccorane a testa, due pacchetti di Gelatine tutti i gusti +1 da dividere e
una strilettera inviata dalla madre che aveva saputo – molto probabilmente Percy
aveva fatto la spia – delle numerose punizioni che avevano ricevuto dal custode
durante l’anno.
Fred
e George finsero indifferenza quando ricevettero la lettera, non volevano
mostrare di esserci rimasti male di fronte all’intera Sala Grande, ma una volta
soli nella camera che dividevano con altri due studenti del primo anno
Grifondoro, decisero che avrebbero trovato un modo per farla pagare a quel
ficcanaso perfettino di nome Percy Weasley.
Essere
sgridati dalla mamma non era mai una bella cosa, soprattutto quando ci si
ritrova di fronte a centinaia di altre persone, compresi professori e un
ghignante e soddisfatto signor Gazza.
«Dobbiamo
architettare un piano», disse George, sedendosi sul suo letto e battendo il
pugno con l’altra mano aperta: «Percy non la passerà liscia questa volta»,
promise, guardando il gemello, in attesa del sostegno che si aspettava di
ottenere.
George
aveva notato che Fred negli ultimi tempi sembrava avere sempre qualcosa in
mente, come se non riuscisse a liberarsi di un pensiero ricorrente. Aveva
provato a chiedergli spiegazioni, ma il gemello gli aveva semplicemente detto
di lasciar perdere, perché non era nulla; ovviamente George non gli aveva
creduto e ogni tanto continuava a tartassarlo per cercare di carpirgli le
informazioni minime indispensabili che gli avrebbero permesso di aiutarlo.
«Fred?»,
chiamò George, infastidito dall’apatia del fratello: «Ci sei?»
L’altro
non rispose, mentre fissava la pergamena misteriosa tra le sue mani.
Nella
stanza calò per pochi secondi un silenzio di tomba, prima che fosse proprio Fred
a spezzarlo: «Pensi che, come dice mamma, bisogna sempre perdonare le persone a
cui vogliamo bene?», chiese, guardando a lungo il gemello.
George,
che pensava si stesse riferendo al colpo basso di Percy, scosse la testa: «Oh,
no, fratellino! Non avremo nessuna pietà o perdono per lui! Ha fatto la spia
alla mamma, merita la nostra ira», disse, puntando un dito contro il fratello e
guardandolo con sguardo serio: «Non provarci nemmeno a farmi cambiare idea»,
aggiunse, certo che, se il gemello avesse detto qualcosa a proposito di tutte
le volte che Percy li aveva difesi a casa quando erano più piccoli e
combinavano numerosi guai, avrebbe ceduto.
«Siamo
poi sicuri che sia stato lui? E se fosse stato il signor Gazza?», chiese Fred,
rinunciando a ciò su cui stava rimuginando in precedenza, per dare corda al
fratello.
George
sbarrò gli occhi e socchiuse appena le labbra: «Dici che ne avrebbe il
coraggio?», domandò sconvolto, tamburellando con l’indice sul suo mento: «Dobbiamo
indagare», decise alla fine, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta
della stanza.
Quando
si rese conto di non esser stato seguito, si voltò verso il gemello che, ancora
seduto sul suo letto, scrutava la misteriosa pergamena con uno strano sguardo
perso: «Vieni con me?», gli chiese, facendo un paio di passi verso di lui.
Fred
alzò lo sguardo e sorrise debolmente: «Sì, volevo prima passare in biblioteca»,
disse, posando ciò che aveva in mano nelle tasche della divisa scolastica: «Poi
ti raggiungo», aggiunse.
«Non
ti sei ancora arreso con quella stupida pergamena? Dovremmo pensare ad uno
scherzo coi fiocchi oggi, per celebrare il nostro compleanno!», disse George,
sentendo chiaramente che il gemello gli stava nascondendo qualcosa.
«Tu
indaga, io intanto vado in biblioteca, ci vediamo poi di nuovo qui per pensare
ad uno scherzo», lo rassicurò Fred, alzandosi a sua volta e superando il
fratello, per correre giù dalle scale.
George
era perplesso, ma decise di fare come gli era stato detto e di andare a
chiedere chiaramente a Percy se era stato lui a fare la spia con la mamma e, se
così non fosse stato, avrebbe pensato ad una vendetta coi fiocchi per far
capire al custode con chi aveva a che fare.
Fred
si sentiva in colpa per aver mentito al fratello, ma non aveva avuto il
coraggio di dirgli la verità su ciò che era successo, o forse sarebbe meglio
dire non successo, con Mirtilla Malcontenta.
Erano
passate due settimane circa dall’accaduto e Fred non riusciva a togliersi dalla
mente le parole che il fantasma aveva detto per farlo soffrire. “Ma perché?”,
continuava a chiedersi, tormentando quella povera pergamena e se stesso, senza
trovare il coraggio di fare nulla in particolare.
Solo
il giorno del suo compleanno gli erano venute in mente le parole di sua madre: «Tesoro,
si devono sempre perdonare le persone a cui si vuole bene, perché noi vorremmo
che loro, quando noi sbagliamo, ci permettano di fare ammenda, per questo
motivo dobbiamo dare loro la stessa possibilità. Solo la morte può impedire il
perdono, Fred» e aveva deciso di dare una seconda possibilità a Mirtilla
Malcontenta.
Era
pronto ad entrare nel bagno femminile del secondo piano e dire chiaro e tondo a
quella ragazza che era stata cattiva
e crudele, ma che le avrebbe dato una seconda occasione per farsi perdonare e
ritirare tutte le cattiverie che aveva detto.
Durante
il tragitto però, si sa, l’animo umano è volubile, e Fred finì col non essere
poi più tanto sicuro di quello che avrebbe fatto o detto una volta che avesse
superato la soglia del regno di Mirtilla Malcontenta. Sperava quasi di non
incontrarla o di trovare il bagno occupato da qualche altra persona che gli
avrebbe impedito di discorrere in privato col fantasma.
Fermatosi
davanti alla porta del bagno si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si
decise ad entrare.
Come
sempre l’unica luce del bagno proveniva dalle bifore della stanza, che
permettevano al pallido e timido sole di inizio Aprile di illuminare il
pavimento in pietra e di creare giochi di colore con le gocce d’acqua che
perdevano da uno dei rubinetti.
L’unico
suono della stanza era il pianto che proveniva da uno dei cubicoli; era un
pianto disperato che faceva fremere il cuore di Fred perché, malgrado lei lo
avesse ferito, lui voleva ancora farla sorridere.
Mosse
pochi passi e poi aprì la porticina in legno, ritrovandosi di fronte una
Mirtilla Malcontenta accucciata accanto al gabinetto, le gambe strette al petto
e il viso nascosto dalle braccia.
Non
fu poi molto sorpreso di vederla piangere, in fondo era quello che aveva fatto
per anni, senza che nessuno avesse mai provato a confortarla, eppure qualcosa
dentro di lui gli diceva di essere parte, in qualche modo, del dolore provato
dalla ragazza e voleva a tutti i
costi rimediare.
Si
sedette accanto a lei, fissandola per alcuni secondi prima di sorridere appena:
«Ciao», disse semplicemente, ricevendo come risposta uno stridulo e brusco: «Vattene
via».
Fred
non si diede per vinto e prese dalla tasca la misteriosa pergamena,
rigirandosela tra le mani:
«Io
e mio fratello abbiamo rubato questa dall’ufficio di Gazza», disse, sbirciando
ogni tanto in direzione del fantasma accanto a sé: «Solo che non riusciamo a
capire a cosa serva», continuò, spiegando il foglio davanti a sé: «Sappiamo che
nasconde qualcosa, ma non riusciamo a capire cosa, abbiamo provato con
tantissimi incantesimi, abbiamo letto libri su libri ma niente, non riusciamo a
capire quale sia il suo segreto», spiegò, sospirando appena.
Mirtilla,
che avrebbe voluto mostrarsi scontrosa e antipatica come al solito, non poté
fare a meno di sorridere: «Io conosco questa pergamena», disse, mostrando a
Fred il suo viso rigato da trasparenti lacrime: «È opera di alcuni ragazzi...
saranno passati vent’ anni da quando l’ho vista per l’ultima volta in
circolazione», aggiunse.
Quando
Fred si voltò sorpreso verso di lei, Mirtilla cercò in tutti i modi di
nascondere il suo sorriso, ma ormai il ragazzo l’aveva visto: «Stai sorridendo»,
constatò lui, con gli occhi che gli luccicavano per la contentezza e
l’orgoglio.
«Non
montarti la testa», disse lei, brusca, voltando il capo dall’altra parte,
offesa.
«Sai
qual è il segreto della pergamena, quindi?», chiese Fred, guardando con
crescente speranza la figura perlacea accanto a sé, lei però continuava a
guardare da un’altra parte e nuove lacrime le rigavano le guance.
«Mirtilla,
stai bene?», chiese lui, allungando una mano, nel vano tentativo di appoggiarla
sulla spalla della ragazza per consolarla, ma si fermò a mezz’aria, conscio che
non sarebbe riuscito a toccarla neanche se avesse voluto.
Lei
rimase in silenzio per pochi istanti poi, voltando il viso verso di lui, disse:
«Mi dispiace per quello che ho detto, non volevo essere cattiva... anzi, non voglio esserlo, ma è più forte di me».
Fred
sospirò, poi sorrise: «Ti perdono», disse, togliendosi dal petto un peso che
era stanco di portare: «Amici?», propose, sporgendo la mano destra verso di
lei.
Mirtilla
appoggio le sue dita su quelle del ragazzo, facendo attenzione a non passarci
attraverso, e sorrise timidamente: «Amici».
Si
guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi Mirtilla allontanò la sua mano e
si asciugò con la manica della divisa le perenni lacrime che rigavano il suo
viso.
Rimasero
per un po’ in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri; Fred faticava
ancora a credere di esser riuscito finalmente a far sorridere Mirtilla Malcontenta
ed era fiero di se stesso e dei consigli di sua mamma dato che, senza di loro,
probabilmente a quel punto si sarebbe trovato ancora in camera sua a rimuginare
su cosa avesse sbagliato con la ragazza.
Mirtilla intanto cominciava a capire quanto le diverse emozioni piacevoli della
vita le erano mancate e che voleva continuare a chiacchierare con quel
ragazzino, magari non sempre, ma ogni tanto, per sentirsi di nuovo bene. Questo
non voleva dire che avrebbe smesso di tormentare chiunque l’avesse presa in
giro, o di ridere malignamente delle ragazzine col cuore spezzato che venivano
a frignare nel suo regno, o di piangere ogni volta che la nostalgia per la vita
fosse venuta a bussare alla porta della sua anima.
«Devi
dire: “Giuro di non avere buone intenzioni”», disse lei, guardando la pergamena
che il suo nuovo amico stringeva ancora tra le mani: «E poi, quando hai finito,
il contro incantesimo è: “Fatto il misfatto”».
Gli
occhi di Fred si illuminarono: «Mirtilla, sei una grande!», disse, tirando
subito fuori la bacchetta per provare.
«Ora
ti dispiacerebbe lasciarmi un po’ sola... non sono abituata a troppa
compagnia, rischio di diventare odiosa da un momento all’altro», spiegò lei,
stringendosi nelle spalle.
Il
ragazzo posò bacchetta e pergamena in una delle tasca della divisa e si sollevò
in piedi: «Ci vediamo, allora?», domandò, sorridendo appena.
«Vienimi
a trovare quando vuoi», disse lei facendo un veloce gesto con la mano.
Fred,
emozionato per aver scoperto l’incantesimo, il contro incantesimo e per esser
riuscito a far sorridere l’introversa Mirtilla malcontenta, corse verso la sala
comune e poi verso la sua stanza, ansioso di parlare con George e di provare
con lui la formula suggeritagli dal fantasma.
Nel
frattempo nei bagni, Mirtilla non piangeva, ma rimaneva comunque accucciata sul
pavimento su cui era morta anni prima, a guardare il muro vuoto di fronte a sé.
Aveva sempre pensato che il pianto fosse liberatorio; che fosse il modo
migliore per allontanare da sé il senso di vuoto ed inadeguatezza che si era
portata con sè da quando era una semplice e timida ragazza di tredici anni. In
pochi mesi invece aveva scoperto che sarebbero stati necessari un sorriso e
un’amicizia per sentirsi meglio. Promise a se stessa di non essere troppo
scontrosa in futuro, anche se temeva che non ci sarebbe riuscita.