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Autore: LazySoul    14/09/2015    2 recensioni
Vi siete mai chiesti com'è avvenuto il furto della Mappa dei Malandrini? O cosa combinavano il primo anno Fred e George? O come hanno fatto a scoprire l'incantesimo e il contro incantesimo per utilizzare la Mappa?
Io me lo sono chiesto e questo è quello che la mia mente malata ha prodotto.
Buona lettura!
Dal Capitolo 1:
Dal fondo di uno dei cassetti della scrivania di Gazza era venuto fuori un foglio di pergamena piegato più volte su se stesso che aveva un aspetto antico e rovinato; era classificato come “altamente pericoloso”.
«Bravo», disse George, dando una pacca sulla spalla al fratello: «Questo è il genere di cose inutilizzabili che speravo proprio di non trovare».
[Storia partecipante al concorso indetto da Lalani: "Gli opposti si attraggono... o forse no?!"]
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Argus Gazza, Fred Weasley, George Weasley, Mirtilla Malcontenta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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cap_4

CAPITOLO 4

{Prima regola di mamma Molly: perdonare, sempre (a meno che non sia proprio impossibile)}

 

Aprile 1990

 

I gemelli Weasley ricevettero per il loro compleanno quattro pacchetti di Cioccorane a testa, due pacchetti di Gelatine tutti i gusti +1 da dividere e una strilettera inviata dalla madre che aveva saputo – molto probabilmente Percy aveva fatto la spia – delle numerose punizioni che avevano ricevuto dal custode durante l’anno.

Fred e George finsero indifferenza quando ricevettero la lettera, non volevano mostrare di esserci rimasti male di fronte all’intera Sala Grande, ma una volta soli nella camera che dividevano con altri due studenti del primo anno Grifondoro, decisero che avrebbero trovato un modo per farla pagare a quel ficcanaso perfettino di nome Percy Weasley.

Essere sgridati dalla mamma non era mai una bella cosa, soprattutto quando ci si ritrova di fronte a centinaia di altre persone, compresi professori e un ghignante e soddisfatto signor Gazza.

«Dobbiamo architettare un piano», disse George, sedendosi sul suo letto e battendo il pugno con l’altra mano aperta: «Percy non la passerà liscia questa volta», promise, guardando il gemello, in attesa del sostegno che si aspettava di ottenere.

George aveva notato che Fred negli ultimi tempi sembrava avere sempre qualcosa in mente, come se non riuscisse a liberarsi di un pensiero ricorrente. Aveva provato a chiedergli spiegazioni, ma il gemello gli aveva semplicemente detto di lasciar perdere, perché non era nulla; ovviamente George non gli aveva creduto e ogni tanto continuava a tartassarlo per cercare di carpirgli le informazioni minime indispensabili che gli avrebbero permesso di aiutarlo.

«Fred?», chiamò George, infastidito dall’apatia del fratello: «Ci sei?»

L’altro non rispose, mentre fissava la pergamena misteriosa tra le sue mani.

Nella stanza calò per pochi secondi un silenzio di tomba, prima che fosse proprio Fred a spezzarlo: «Pensi che, come dice mamma, bisogna sempre perdonare le persone a cui vogliamo bene?», chiese, guardando a lungo il gemello.

George, che pensava si stesse riferendo al colpo basso di Percy, scosse la testa: «Oh, no, fratellino! Non avremo nessuna pietà o perdono per lui! Ha fatto la spia alla mamma, merita la nostra ira», disse, puntando un dito contro il fratello e guardandolo con sguardo serio: «Non provarci nemmeno a farmi cambiare idea», aggiunse, certo che, se il gemello avesse detto qualcosa a proposito di tutte le volte che Percy li aveva difesi a casa quando erano più piccoli e combinavano numerosi guai, avrebbe ceduto.

«Siamo poi sicuri che sia stato lui? E se fosse stato il signor Gazza?», chiese Fred, rinunciando a ciò su cui stava rimuginando in precedenza, per dare corda al fratello.

George sbarrò gli occhi e socchiuse appena le labbra: «Dici che ne avrebbe il coraggio?», domandò sconvolto, tamburellando con l’indice sul suo mento: «Dobbiamo indagare», decise alla fine, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta della stanza.

Quando si rese conto di non esser stato seguito, si voltò verso il gemello che, ancora seduto sul suo letto, scrutava la misteriosa pergamena con uno strano sguardo perso: «Vieni con me?», gli chiese, facendo un paio di passi verso di lui.

Fred alzò lo sguardo e sorrise debolmente: «Sì, volevo prima passare in biblioteca», disse, posando ciò che aveva in mano nelle tasche della divisa scolastica: «Poi ti raggiungo», aggiunse.

«Non ti sei ancora arreso con quella stupida pergamena? Dovremmo pensare ad uno scherzo coi fiocchi oggi, per celebrare il nostro compleanno!», disse George, sentendo chiaramente che il gemello gli stava nascondendo qualcosa.

«Tu indaga, io intanto vado in biblioteca, ci vediamo poi di nuovo qui per pensare ad uno scherzo», lo rassicurò Fred, alzandosi a sua volta e superando il fratello, per correre giù dalle scale.

George era perplesso, ma decise di fare come gli era stato detto e di andare a chiedere chiaramente a Percy se era stato lui a fare la spia con la mamma e, se così non fosse stato, avrebbe pensato ad una vendetta coi fiocchi per far capire al custode con chi aveva a che fare.

Fred si sentiva in colpa per aver mentito al fratello, ma non aveva avuto il coraggio di dirgli la verità su ciò che era successo, o forse sarebbe meglio dire non successo, con Mirtilla Malcontenta.

Erano passate due settimane circa dall’accaduto e Fred non riusciva a togliersi dalla mente le parole che il fantasma aveva detto per farlo soffrire. “Ma perché?”, continuava a chiedersi, tormentando quella povera pergamena e se stesso, senza trovare il coraggio di fare nulla in particolare.

Solo il giorno del suo compleanno gli erano venute in mente le parole di sua madre: «Tesoro, si devono sempre perdonare le persone a cui si vuole bene, perché noi vorremmo che loro, quando noi sbagliamo, ci permettano di fare ammenda, per questo motivo dobbiamo dare loro la stessa possibilità. Solo la morte può impedire il perdono, Fred» e aveva deciso di dare una seconda possibilità a Mirtilla Malcontenta.

Era pronto ad entrare nel bagno femminile del secondo piano e dire chiaro e tondo a quella ragazza che era stata cattiva e crudele, ma che le avrebbe dato una seconda occasione per farsi perdonare e ritirare tutte le cattiverie che aveva detto.

Durante il tragitto però, si sa, l’animo umano è volubile, e Fred finì col non essere poi più tanto sicuro di quello che avrebbe fatto o detto una volta che avesse superato la soglia del regno di Mirtilla Malcontenta. Sperava quasi di non incontrarla o di trovare il bagno occupato da qualche altra persona che gli avrebbe impedito di discorrere in privato col fantasma.

Fermatosi davanti alla porta del bagno si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si decise ad entrare.

Come sempre l’unica luce del bagno proveniva dalle bifore della stanza, che permettevano al pallido e timido sole di inizio Aprile di illuminare il pavimento in pietra e di creare giochi di colore con le gocce d’acqua che perdevano da uno dei rubinetti.

L’unico suono della stanza era il pianto che proveniva da uno dei cubicoli; era un pianto disperato che faceva fremere il cuore di Fred perché, malgrado lei lo avesse ferito, lui voleva ancora farla sorridere.

Mosse pochi passi e poi aprì la porticina in legno, ritrovandosi di fronte una Mirtilla Malcontenta accucciata accanto al gabinetto, le gambe strette al petto e il viso nascosto dalle braccia.

Non fu poi molto sorpreso di vederla piangere, in fondo era quello che aveva fatto per anni, senza che nessuno avesse mai provato a confortarla, eppure qualcosa dentro di lui gli diceva di essere parte, in qualche modo, del dolore provato dalla ragazza e voleva a tutti i costi rimediare.

Si sedette accanto a lei, fissandola per alcuni secondi prima di sorridere appena: «Ciao», disse semplicemente, ricevendo come risposta uno stridulo e brusco: «Vattene via».

Fred non si diede per vinto e prese dalla tasca la misteriosa pergamena, rigirandosela tra le mani:

«Io e mio fratello abbiamo rubato questa dall’ufficio di Gazza», disse, sbirciando ogni tanto in direzione del fantasma accanto a sé: «Solo che non riusciamo a capire a cosa serva», continuò, spiegando il foglio davanti a sé: «Sappiamo che nasconde qualcosa, ma non riusciamo a capire cosa, abbiamo provato con tantissimi incantesimi, abbiamo letto libri su libri ma niente, non riusciamo a capire quale sia il suo segreto», spiegò, sospirando appena.

Mirtilla, che avrebbe voluto mostrarsi scontrosa e antipatica come al solito, non poté fare a meno di sorridere: «Io conosco questa pergamena», disse, mostrando a Fred il suo viso rigato da trasparenti lacrime: «È opera di alcuni ragazzi... saranno passati vent’ anni da quando l’ho vista per l’ultima volta in circolazione», aggiunse.

Quando Fred si voltò sorpreso verso di lei, Mirtilla cercò in tutti i modi di nascondere il suo sorriso, ma ormai il ragazzo l’aveva visto: «Stai sorridendo», constatò lui, con gli occhi che gli luccicavano per la contentezza e l’orgoglio.

«Non montarti la testa», disse lei, brusca, voltando il capo dall’altra parte, offesa.

«Sai qual è il segreto della pergamena, quindi?», chiese Fred, guardando con crescente speranza la figura perlacea accanto a sé, lei però continuava a guardare da un’altra parte e nuove lacrime le rigavano le guance.

«Mirtilla, stai bene?», chiese lui, allungando una mano, nel vano tentativo di appoggiarla sulla spalla della ragazza per consolarla, ma si fermò a mezz’aria, conscio che non sarebbe riuscito a toccarla neanche se avesse voluto.

Lei rimase in silenzio per pochi istanti poi, voltando il viso verso di lui, disse: «Mi dispiace per quello che ho detto, non volevo essere cattiva... anzi, non voglio esserlo, ma è più forte di me».

Fred sospirò, poi sorrise: «Ti perdono», disse, togliendosi dal petto un peso che era stanco di portare: «Amici?», propose, sporgendo la mano destra verso di lei.

Mirtilla appoggio le sue dita su quelle del ragazzo, facendo attenzione a non passarci attraverso, e sorrise timidamente: «Amici».

Si guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi Mirtilla allontanò la sua mano e si asciugò con la manica della divisa le perenni lacrime che rigavano il suo viso.

Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri; Fred faticava ancora a credere di esser riuscito finalmente a far sorridere Mirtilla Malcontenta ed era fiero di se stesso e dei consigli di sua mamma dato che, senza di loro, probabilmente a quel punto si sarebbe trovato ancora in camera sua a rimuginare su cosa avesse sbagliato con la ragazza. Mirtilla intanto cominciava a capire quanto le diverse emozioni piacevoli della vita le erano mancate e che voleva continuare a chiacchierare con quel ragazzino, magari non sempre, ma ogni tanto, per sentirsi di nuovo bene. Questo non voleva dire che avrebbe smesso di tormentare chiunque l’avesse presa in giro, o di ridere malignamente delle ragazzine col cuore spezzato che venivano a frignare nel suo regno, o di piangere ogni volta che la nostalgia per la vita fosse venuta a bussare alla porta della sua anima.

«Devi dire: “Giuro di non avere buone intenzioni”», disse lei, guardando la pergamena che il suo nuovo amico stringeva ancora tra le mani: «E poi, quando hai finito, il contro incantesimo è: “Fatto il misfatto”».

Gli occhi di Fred si illuminarono: «Mirtilla, sei una grande!», disse, tirando subito fuori la bacchetta per provare.

«Ora ti dispiacerebbe lasciarmi un po’ sola... non sono abituata a troppa compagnia, rischio di diventare odiosa da un momento all’altro», spiegò lei, stringendosi nelle spalle.

Il ragazzo posò bacchetta e pergamena in una delle tasca della divisa e si sollevò in piedi: «Ci vediamo, allora?», domandò, sorridendo appena.

«Vienimi a trovare quando vuoi», disse lei facendo un veloce gesto con la mano.

Fred, emozionato per aver scoperto l’incantesimo, il contro incantesimo e per esser riuscito a far sorridere l’introversa Mirtilla malcontenta, corse verso la sala comune e poi verso la sua stanza, ansioso di parlare con George e di provare con lui la formula suggeritagli dal fantasma.

Nel frattempo nei bagni, Mirtilla non piangeva, ma rimaneva comunque accucciata sul pavimento su cui era morta anni prima, a guardare il muro vuoto di fronte a sé. Aveva sempre pensato che il pianto fosse liberatorio; che fosse il modo migliore per allontanare da sé il senso di vuoto ed inadeguatezza che si era portata con sè da quando era una semplice e timida ragazza di tredici anni. In pochi mesi invece aveva scoperto che sarebbero stati necessari un sorriso e un’amicizia per sentirsi meglio. Promise a se stessa di non essere troppo scontrosa in futuro, anche se temeva che non ci sarebbe riuscita.

  
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