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Autore: hirondelle_    15/09/2015    2 recensioni
[Ristesura di "Destiny"]
[Alla luce di quanto mi è pervenuto dalle vostre gradite recensioni, ci tengo a specificare che questa NON È una storia romantica, ma la descrizione di un ABUSO (come ho voluto indicare nelle avvertenze). Grazie dell'attenzione!]
-§-
Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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DESTINY XII


Atsuya ricorda.
Ricorda con una facilità opprimente.
È un meccanismo mentale semplice, in realtà: un suono, un odore, un colore. Qualsiasi essenza sia insita nelle cose, è compito della memoria strappargliela e ricucirla in un pensiero. E i pensieri del domestico non sono felici, si perdono anzi in un passato oscuro e tormentato, immerso nella penombra di una vecchia fabbrica dimenticata, non lontana dal porto.
Ecco che l’uomo non è più accanto al capezzale dello schiavo, ma si è già immerso in quell’atmosfera leggera e delicata tipica del risveglio. Forse si è addormentato, perché in un attimo i suoi occhi dalla fissità muta sulla foto sbiadita hanno preso a viaggiare per luoghi che credeva perduti per sempre. E si risveglia con la semplicità dei suoi sedici anni e con lo stesso rito quotidiano: Afuro che lo bacia, assaporando lentamente le sue labbra, che gli sorride divertito e poi si piega a baciare sulla fronte anche suo fratello. – Buongiorno. – ridacchia, i capelli biondi sfiorati appena dalla brezza marina che entra da uno squarcio del muro alle sue spalle. – Avete dormito bene?
È ancora notte. Atsuya può sentire il rilassante suono delle onde arrivare alle orecchie e precipitarsi a capofitto nel suo cuore, mentre Shirou si sveglia più lentamente di lui, lamentando un vago senso di fame. Nell’oscurità, si mette seduto riconoscendo a tentoni lo scomodo ammasso di reti sul quale ha avuto la malaugurata idea di coricarsi. – Insomma. – risponde, ma ha affrontato situazioni anche peggiori e non si lamenta.
Afuro si alza in piedi e Atsuya scorge appena il profilo verniciato dal pallore lunare: lo guarda raccogliersi i capelli sensibilmente lunghi nella sua crocchia imperfetta e lo sente ridere lieve, anche lui un po’ assonnato, rivolgendogli un’occhiata come al solito divertita. – Quando vi svegliate avete la stessa identica espressione da rincoglioniti. Siete proprio due gocce d’acqua.
Atsuya si toglie una scarpa solo per tirargliela dietro e il ragazzo imita una buffa fuga, caracollando sulla banchina, i piedi nudi e pallidi di freddo. Ha un fascino particolare mentre si volta e rivolge loro una smorfia di sfida. – Sbrigatevi, vi aspetto al molo!
I gemelli fanno appena in tempo a stiracchiarsi e a infilarsi i primi vestiti puliti che trovano prima di uscire, cercandolo con lo sguardo: Terumi è già salito sulla scassata scialuppa abbandonata che hanno adottato senza burocrazia. Afferrano le canne da pesca appoggiate al muro, il barattolo delle esche e due casseruole di plastica rigida, raggiungendolo tra sbadigli e mugolii.
Afuro rivolge loro un’occhiata di disapprovazione, ha già sistemato le reti e il motore che hanno montato nella parte posteriore scoppietta allegro riempiendo il silenzio con il suo borbottio. Atsuya prende il timone, l’espressione ancora corrucciata dal sonno, e Shirou si accuccia accanto a Terumi, il quale non manca di palesare la natura del loro rapporto appoggiando la testa sulle gambe del rosso e avvicinando a sé il maggiore dei gemelli. – Dormi in piedi. Ti sei intrattenuto troppo con quella prostituta francese, non è così? Shirou è troppo buono per aspettarti fuori dal bordello ogni volta.
Il minore dei Fubuki, punto sul vivo, si limita a guardarlo truce: il sesso è una debolezza che ha scoperto da poco, guidato da quelle stesse mani che ora accarezzano teneramente la capigliatura argentea di suo fratello. – Non sei la mia balia. – afferma, perché in un certo senso è lui che di solito deve dargli un’occhiata.
Afuro ghigna. È quasi sicuro di sapere cosa sta per dire. – Oh no. Io sono il tuo amico speciale. Non è così? Quelli li so fare meglio io di una prostituta francese.
Shirou ride ancora mezzo assonnato, e Atsuya vorrebbe solo tirargli l’altra scarpa e sbollire la testa sott’acqua. – Sta’ zitto e prepara l’esca.
Afuro si limita a ridere sguaiatamente, stringendo a sé il maggiore dei gemelli come se l’altro non esistesse. – Ah, Shirou! Come faremmo senza la tua proverbiale pazienza?
Al più piccolo dei Fubuki non sfugge la risata del fratello a quelle parole: un po’ assonnata, un po’ intorpidita, ma anche un po’ triste. Lui del sesso non può saperne molto, perché semplicemente non ne è mai stato attirato. Non gli importa nemmeno di provarci, a farselo piacere, gli importa solo stare accanto a lui: a proteggerlo, a sorreggerlo, a consolarlo dalle litigate con Terumi.
Quando presentano il poco pesce al banco del porto l’espressione del pescivendolo è arcigna, ma pacata. Riescono, con qualche gioco di furbizia, a trattare la loro caccia infruttuosa con un pacchetto di sigarette e un paio di lacci per scarpe.
- Che schifo. - commenta sgraziato Terumi, una volta allontanatisi, quando accende uno di quei tubicini di carta ed espira solennemente una quantità generosa di fumo bianco. Anche Atsuya ne prova una, e arriccia il naso constatando che il compagno ha perfettamente ragione. “Brutto affare”.
Dopo pranzo, lui e Afuro fanno l’amore – sì, effettivamente è più bravo di quella prostituta francese, perché se di lei ricorda appena i gemiti esagerati di Afuro ricorda tutto: quel suo modo di muovere il bacino sul suo sesso, la pelle candida e imperfetta, i sospiri trattenuti e silenziosi, e l’espressione estatica dell’orgasmo. Quel suo sorriso sbarazzino quando finiscono e non ne hanno ancora abbastanza...
Shirou li aspetta fuori, come ogni volta: sorride quando li vede, senza imbarazzo. – Quanto vi invidio. – dice, alzando appena le spalle al suo rimprovero imbarazzato, lo sguardo distante e fisso sul mare calmo. A lui non è mai interessato il sesso. Lo ha sempre evitato con diffidenza e malinconia.
È la loro ultima giornata insieme: il loro ultimo bagno spensierato tuffandosi dal molo, i loro ultimi baci, le loro ultime risa.
È la loro ultima giornata prima di essere rapiti in una notte senza luna e separati per sempre, tra le lacrime e gli strepiti e le grida di dolore. Può sentire ancora la voce di suo fratello stringerlo in un ultimo abbraccio: forte, soffocante, immerso nel buio di una stanza sporca e umida. Afuro è stato appena strappato dalle sue braccia inerti. – Andrà tutto bene. Ci rivedremo ancora una volta. – E quella è la voce flebile di Shirou che cerca di coprire le sue urla disumane.
E chi se lo aspettava, pensa Atsuya aprendo gli occhi pieni di lacrime sulla sua vecchia stanza buia, chi se lo aspettava che lo avrebbe davvero rivisto, quattro anni dopo, incatenato e costretto da quell’orrenda follia bestiale, gli occhi colmi di orrore e inconsapevolezza?
Non smette di piangere, nemmeno quando nota che il letto accanto alla sedia è rimasto vuoto. Per una volta, vuole solo lasciarsi andare. Per una volta, vuole solo ripercorrere i suoi passi incerti.
Per una volta, vuole incontrare quello sguardo spento: non l’aveva neanche riconosciuto.

È una luce tremolante quella che si riflette sulla carta da parati, la luce della candela che si scioglie lentamente sotto il suo sguardo pigro, mentre con le dita candide e delicate sfoglia piano il suo libro preferito. Fuori i rombi della tempesta squarciano il silenzio con lame sottili e taglienti, come fruste pronte a fendere l’aria in luminosi e abbaglianti fari: i lampi si susseguono senza posa in un’orchestra diretta magistralmente, la pioggia batte forte sui vetri come a voler irrompere violentemente in casa. Kira sente di amare tutto questo, sente di adorare e conoscere perfettamente le urla e i pianti feroci del cielo, e sorride ogni qualvolta sente i brividi scendergli giù per la schiena: intensi, come scintille di emozione o scariche elettriche pronte a bruciare.
Quanto ama la notte, quanto adora i temporali: l’essenza del tormento, il caos, il buio, ma in un certo senso anche la rinascita dopo la morte. È come se fosse appena rinato, Kira, immemore delle notti di pianti e sangue appena trascorse. br /> Non si accorge quasi della figura che lentamente apre la porta e s’intrufola nella stanza lasciandosi la porta socchiusa alle spalle, ma quando un fulmine ne illumina il viso Kira sorride fra sé: - Ti sei svegliato. – mormora solo, prendendo dal comodino uno dei numerosi segnalibri. Hiroto ha sempre amato collezionare segnalibri, eppure non ne ha mai usati moltissimi. – L’ho detto io, che una settimana bastava. – continua piano mettendo il segno, e infine si volta a guardarlo, umettandosi le labbra con un guizzo della lingua.
Lo schiavo non risponde, si avvicina piano. Solo quando arriva accanto al matrimoniale sul quale Kira è semi-disteso si ferma e lo guarda negli occhi. Basta un cenno del Lord per farlo stendere accanto a lui, tra le lenzuola: Reize si fa avvolgere dal suo abbraccio caldo e non parla, lascia che le sua mani candide gli sfiorino il petto, le mani, le braccia, le garze ancora intrise di sangue. Può sentire la sua voce limpida sussurrare il suo nome, calma e dolce, eppure terribilmente atroce e cattiva. – Ti ho fatto tanto male… - constata solo il nobile stringendolo a sé con intima delicatezza, un contatto che C-117 non riceve da tempo. Si accoccola maggiormente tra le sue braccia nude respirando piano. – Atsuya non vorrebbe che fossi qui, dice che devo ancora recuperare le forze.
Hiroto ride, gli alza il mento e gli posa un bacio sulla fronte. – E tu sei venuto lo stesso? Mi sorprendi. Non me lo merito. – mormora piano, socchiude gli occhi e ride ancora. Poi si sporge oltre la sua spalla, prende dal cassetto un oggetto che tintinna piano: a quel rumore C-117 si irrigidisce e si stringe maggiormente al suo petto, rimanendo a contatto con la sua pelle fresca e nivea. Il Lord sembra accorgersi del suo tremore, perché gli sorride e lo bacia ancora, sensuale e mellifluo. – Ti devo rimettere le catene, altrimenti che schiavo saresti? – mormora piano, e gli accarezza qualche ciocca sfuggita alla benda che gli copre la fronte.
Lo schiavo non osa aprire gli occhi mentre sente il ferro stringersi sui suoi polsi, non respira quasi quando il collare si chiude attorno al suo collo. Suo, di nuovo, e stavolta per davvero. Gli sfugge qualche lacrima, ma non dice nulla quando Kira si appresta a baciarlo, stavolta sulle labbra, e la sensazione di proibito attanaglia Reize nella morsa dell’innocenza.
- Da quanto tempo… - sussurra piano il Lord, ma lascia cadere la frase, impossessandosi della sua pelle. C-117 chiude gli occhi e si lascia cullare, perché è vero, è passato troppo tempo dall’ultima volta. Lentamente si lascia cadere tra le lenzuola, su di lui l’immagine sfumata e confusa del Lord che dolcemente si spoglia della vestaglia. Ed è così strano guardarlo sotto un’altra prospettiva, con le parole di quelle notti accese luminescenti nella memoria, con le sue lacrime che ancora gli bagnano le mani. Reize si sente affogare in quel mare acquamarina ed è sicuro che mai, non vorrà mai tornare in superficie. Sospira piano quando sente le labbra del Lord sul suo collo, geme implorando il suo nome, gli prende i capelli e li tira leggermente, chiudendo gli occhi.
E di nuovo quelle parole lo feriscono da dentro, sussurrate appena, forse con più lucidità ma non con meno desiderio: - Amami.
Lo schiavo spalanca gli occhi, li punta sulle iridi dell’uomo. S’immobilizzano, il fiato corto e il cuore che batte forte: Reize appoggia una mano sulla guancia del padrone, delicatamente, come per non ferirlo. La sente bagnarsi di piccole lacrime, e può sentirlo a malapena mentre sussurra parole che fanno male, che lo intimoriscono perché sono incredibilmente grandi. – Amami. Non ce la faccio più, qualcuno mi ami.
Reize gli passa una mano tra i capelli, un gesto che rassicura il padrone e lo rilassa. Si accascia stremato sul suo corpo bollente, le mani che stropicciano le lenzuola e il fiato che viene a mancare, deboli singhiozzi soffocati sulla sua pelle bruna. Reize resta in silenzio, continua ad accarezzarlo e non dice nulla: è diverso da qualche sera prima, come se assieme alla follia fosse scomparsa ogni traccia di volontà, per far spazio a un barlume umano di disperazione. Ma le ferite bruciano ancora, vive come il fuoco, prive di compassione: oltre alla tristezza, si rende conto, c’è anche tanta rabbia. – E come posso amarti? – chiede, e il gelo lo pervade nella morsa dell’odio, - Come posso amarti, come puoi pretendere il mio amore dopo tutto ciò che mi hai fatto passare? Sono solo uno schiavo. Non capisci?
Kira sussulta nel suo abbraccio, si stringe a lui rincorrendo un pensiero disperato. – Io... Non sapevo cosa stessi facendo. Mi dispiace, Reize, mi dispiace così tanto...
C-117 sospira, chiude gli occhi e si abbandona tra le lenzuola: dai capelli passa ad accarezzargli il collo, le spalle, le braccia, fino a raggiungere le mani. Le stringe con delicatezza, un altro respiro, e con un colpo di reni lo sovrasta. Tanta è la sorpresa del Lord che quasi non riesce a riconoscerlo quando si specchia in quelle iridi grandi, occhi acquamarina che lo scrutano senza malizia, bensì con un’insolita e innaturale impotenza. Si chiede quante volte lui lo abbia visto così a sua volta, inerte e sottomesso, incapace di reagire. Lo schiavo gli sfiora una guancia imperlata di lacrime con il dorso della mano, scivolando tra le sue cosce come se fosse la cosa più naturale da fare in quel momento. Non se ne accorge neanche, semplicemente mantiene quella gara di sguardi deciso a vincerla.
La consapevolezza che Kira si stia fidando ciecamente dei suoi gesti lo fa rabbrividire di ribrezzo: è questo, per lui, l’amore? La sottomissione, la violenza? Cosa ha passato, si chiede, per pensare che questa cosa fosse del tutto naturale? Cosa lo ha spinto a tanto?
Reize assesta una prima spinta: l’agonia è breve, ma gli strappa un urlo atroce. Il Lord afferra le lenzuola con tutta la sua forza, mentre le lacrime scendono copiose: - Non lasciarmi… ti prego, anche tu... Non lasciarmi... Sono così solo, così solo...
Reize gli bacia una guancia, sente la sua pelle morbida e delicata sotto le sue labbra: ne esplora i contorni, le sfumature, lo sfiora con delicatezza. Viene travolto subito dal suo inebriante e indimenticabile profumo di lavanda. – Lascia che ti spieghi una cosa… - mormora, soffocando i suoi gemiti acuti con un bacio. Non ne avrà mai abbastanza, non sarà mai abbastanza. - … Amare non significa possedere.

Atsuya muove pochi passi verso la figura. La osserva, sembra riconoscerla, ma pare solo un’impressione. Fissa i suoi occhi grandi, terrorizzati, le catene inerti lungo il corpo nudo e segnato da cicatrici indelebili. I capelli grigi, strappati, scivolano giù lungo la schiena in unte ciocche disordinate, la bocca è contornata di lividi e chiusa nel mutismo. – Shirou... – sussurra, ma la creatura non si muove, limitandosi a fissarlo d’un lato, come un animale pronto a scappare al primo gesto affrettato. Cautamente, senza far rumore, si avvicina a lui fino ad arrivare a un passo di distanza. Un passo, basterebbe, un passo per stringerlo, afferrarlo e scappare dalla porta da dove è appena entrato, trascinato dalle viscide mani del suo nuovo padrone. È un regalo per il figlio. È questo che è diventato: un oggetto. Ed è inutile che provi a sperare di trovare nel suo sguardo una traccia di quello che era strato prima di essere soggiogato dalle droghe, dalle catene e dalle botte.
Ci vuole coraggio. Ci vuole coraggio per aprire le labbra in un sospiro muto, richiuderle e poi balbettare di nuovo, stavolta con un filo di voce. – Ciao. – trema, non rintracciando nessuna reazione. – Non ti ricordi di me?
Lo schiavo scuote la testa violentemente, nel terrore crudele nel quale è stato costretto a vivere per troppo tempo. Cerca un altro sguardo, quello dell’anziano padrone che lo sta per trascinare lungo le scale. Il tempo sembra fermarsi, Atsuya vorrebbe solo che lo facesse sul serio. – Sono io. Tuo fratello.
Di nuovo scuote la testa, pochi sussurri concitati, come se stesse parlando a se stesso in una sorda cantilena: no, no, no, no, no...
Lo vede salire le scale, incespicando sui suo stessi piedi, lo sguardo vuoto e catturato indissolubilmente al suo per l’ultimo messaggio, prima che venga di nuovo divorato dal guscio d’oblio nel quale è stato costretto a rinchiudersi.
Non posso.

   
 
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