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Autore: jellyfish    09/02/2009    1 recensioni
Balor, dio della morte, decide di prendere moglie e sceglie la bellissima dea dell’amore Branwen. Dal matrimonio nascono tre figlie femmine che il dio della morte educa come sue future aiutanti. Ma cosa succederebbe se una di loro si dovesse innamorare di uno dei mortali, che invece dovrebbe uccidere? Scatenerebbe di sicuro l’ira del padre. “-saranno le mie eredi. Diventeranno il mio braccio destro. Appena avranno compiuto tutte cinque anni, le educherò io, come più mi aggrada. Mi avete capito? -sì, ma non ho intenzione di ascoltarvi! Non me le porterete via e non ne farete dee di morte e di disperazione come voi! Non lo permetterò- la voce della dea adesso era forte e acuta, disperata quasi. Sapeva benissimo che le sue erano solo vuote minacce, Balor avrebbe fatto comunque quello che voleva e nessuno lo avrebbe mai fermato.”
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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XII

XII

 

Quel pomeriggio il sole splendeva ancora alto nel cielo, evidentemente il capriccioso dio della notte non aveva voglia di lavorare quel giorno. Macha stava passeggiando in giardino da sola e cercava di riflettere sul motivo di della strana cordialità del padre. Per quello che si ricordava, non aveva mai visto suo padre comportarsi tanto gentilmente, né con le figlie, se non a volte con la sua prediletta, Badb, né con la moglie. Che avesse poi trattenuto anche Badb dopo il loro incontro era ancora più strano; in più, quando il servitore personale del dio l’aveva incontrata in giardino, sembrava agitato e preoccupato, come se il suo padrone fosse arrabbiato. Eppure, entrando nella sala da pranzo, non aveva notato segni di rabbia. Non sapeva cosa pensare, non aveva idea di ciò che passasse per la testa di Balor, ma sperò che non fosse qualcosa di brutto. Si sedette su una piccola statua di pietra a forma di tartaruga e si mise ad osservare i giardinieri che lavoravano ad una siepe più difficile delle altre da potare. Cancellò dalla sua mente quello che era successo con il padre e corse con il pensiero verso Natan; si rese conto che c’era una cosa che continuava a solleticare la sua curiosità riguardo a quel ragazzo. Voleva scoprire assolutamente perché lui la poteva vedere. Immaginò il suo bel viso e non trovò nulla di inusuale rispetto agli altri esseri umani.

Mentre stava pensando a Natan, un giardiniere le si avvicinò.

-buongiorno, Macha

-salve, Sitchain, come procede quella siepe?

-è molto difficile darle una forma precisa! Come sta vostra madre? Mi manca, è da un po’ che non riusciamo a vederci

-immaginavo, credo che, se continuano le belle giornate come questa, mio padre si recherà sempre più spesso in giardino e sarà difficile per voi e mia madre vedervi!

-già… allora spero che torni la pioggia

-lo spererò anche io per voi, ma cosa stanno facendo adesso?

-ah sì, dobbiamo piantare delle viole in quel recinto, le ha richieste vostra madre in persona, spero che le piaceranno!

-sì, ne sono sicura, le dirò di venire a dare un’occhiata il prima possibile

In quella frase c’era molto più della promessa di far vedere le viole a sua madre e Sitchain lo sapeva bene. Il giardiniere si rallegrò, allargò le labbra in uno dei suoi stupendi sorrisi e congedò la dea, per  tornare poi al suo lavoro con le viole e la siepe. Mentre l’osservava andare via, Macha ebbe all’improvviso un sussulto. Aveva capito cosa aveva di diverso Natan dagli altri esseri umani: gli occhi! Nessun altro mortale aveva gli occhi di quel colore! Solo gli dei potevano avere gli occhi di quella tonalità. Ripensò a tutti gli dei dell’isola e le venne in mente un dio con gli occhi viola: non era una divinità qualunque ad avere quel particolare colore, bensì il grande dio del fuoco in persona.

Macha si alzò di scatto dalla tartaruga di pietra, ringraziò mentalmente Sitchain per averle parlato delle viole e corse come una scheggia verso il palazzo. Con il suo lungo vestito azzurro con ricami d’argento che svolazzava per il corridoio, Macha arrivò di fronte alla porta della sua camera e la spalancò di fretta. Se la richiuse alle spalle e si diresse verso il suo armadio, con l’intento di mettersi qualcosa di meno ingombrante per recarsi nella calda casa di Flaren, il dio del fuoco. La casa del dio era isolata e si trovava alle pendici di un piccolo, ma attivo, vulcano. Prese un abito verde, più leggero e con meno veli che avrebbero rischiato di incendiarsi da qualche parte e lo buttò sul letto.

-dove hai intenzione di andare con quel bel vestito?

Macha era saltata letteralmente in aria. Le si gelò in un attimo il sangue nelle vene. Non si era accorta che nell’angolo, seduto su una sedia e che rivolgeva le spalle alla finestra, c’era suo padre.

-co-cosa ci fate voi qui?

La sua voce tremava più di una foglia al vento.

-sono venuto a portarti via da qui, hai finito di crearmi problemi

-ma… cosa…

La porta della sua camera si spalancò con violenza e vi entrarono due colossi vestiti completamente di nero. Macha guardò spaventata prima il padre e poi gli altri due, che intanto le si erano avvicinati e ora la stringevano dai fianchi. Quelle due grosse presenze cupe l’ afferrarono per le braccia senza che lei potesse opporsi, le strinsero con forza la pelle e le provocarono una fitta di dolore. Sentiva che le si sarebbe fermata la circolazione da un momento all’altro. In un attimo Macha si ritrovò con i piedi per aria e iniziò a dimenare inutilmente le gambe e ad agitare convulsamente le braccia nel vano tentativo di liberarsi da quella stretta ferrea.

-ecco cosa succede a disobbedire ai miei ordini! Figlia ingrata! Come puoi anche solo pensare che non avrei scoperto che ti intrattieni con un mortale!?

Balor era furente, aveva trattenuto tutta la sua collera solo con lo scopo di farla esplodere in quel preciso istante.

-ma, padre! Lui non è…

Le sue parole vennero coperte dal suono del pianto che la stava scuotendo contro la sua volontà.

-del fuoco… non…

Non fece in tempo a finire la frase, che i due brutti ceffi l’avevano già portata via dalla stanza. Suo padre sorrise felice. Felice di aver sistemato la faccenda con quella sua difficile figlia. Macha, invece, mentre veniva portata via, urlava che Balor si stava sbagliando, che Natan non era un semplice mortale e lo pregava di non fargli del male. Era completamente disperata e non riusciva a smettere di piangere, mentre continuava comunque ad urlare fino a perdere la voce. Nessuna tra le persone della casa uscì a darle man forte, nonostante la voce della dea fosse abbastanza alta da essere ben sentita. Una persona però, che si stava recando in giardino, era uscita dalla stanza proprio in quel momento ed aveva sentito le urla di Macha. Era Branwen, la quale non riuscì più a muoversi dall’incavo della porta della sua camera, tanto era paralizzata dalla paura e dalla preoccupazione per la figlia. Era anche sconvolta da quello che le aveva sentito dire. Se quel Natan era il figlio del dio del fuoco, allora, forse, per lui c’era ancora una piccola speranza di sopravvivenza. Iniziò a piangere in silenzio, desiderando correre dal marito e urlargli contro tutto il suo odio e la sua rabbia; ma sapeva bene che tutto quello non sarebbe servito a nulla e non avrebbe salvato la vita del ragazzo. Si limitò allora a stringere convulsamente i pugni e pensò a quello che avrebbe dovuto fare. Non voleva che quel povero ragazzo fosse ucciso solo perché Balor non aveva avuto la pazienza di ascoltare fino in fondo le urla della figlia. Corse fuori dalla casa, pronta a fare ciò che stava per fare sua figlia prima di essere catturata come una criminale dal padre.

 

  
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