XII
Quel pomeriggio il
sole splendeva ancora alto nel cielo, evidentemente il
capriccioso dio della notte non aveva voglia di lavorare quel giorno.
Macha stava passeggiando in giardino da sola e cercava di riflettere sul motivo
di della strana cordialità del padre. Per quello che
si ricordava, non aveva mai visto suo padre comportarsi tanto gentilmente, né
con le figlie, se non a volte con la sua prediletta, Badb, né con la moglie. Che avesse poi trattenuto anche Badb dopo il loro incontro era
ancora più strano; in più, quando il servitore personale del dio l’aveva
incontrata in giardino, sembrava agitato e preoccupato, come se il suo padrone
fosse arrabbiato. Eppure, entrando nella sala da
pranzo, non aveva notato segni di rabbia. Non sapeva cosa pensare, non aveva
idea di ciò che passasse per la testa di Balor, ma sperò che non fosse qualcosa
di brutto. Si sedette su una piccola statua di pietra a forma di tartaruga e si
mise ad osservare i giardinieri che lavoravano ad una siepe più difficile delle
altre da potare. Cancellò dalla sua mente quello che
era successo con il padre e corse con il pensiero verso Natan; si rese conto
che c’era una cosa che continuava a solleticare la sua curiosità riguardo a
quel ragazzo. Voleva scoprire assolutamente perché lui la poteva vedere.
Immaginò il suo bel viso e non trovò nulla di inusuale
rispetto agli altri esseri umani.
Mentre stava pensando
a Natan, un giardiniere le si avvicinò.
-buongiorno,
Macha
-salve,
Sitchain, come procede quella siepe?
-è
molto difficile darle una forma precisa! Come sta vostra madre? Mi manca, è da
un po’ che non riusciamo a vederci
-immaginavo,
credo che, se continuano le belle giornate come questa, mio padre si recherà sempre più spesso in giardino e sarà difficile per
voi e mia madre vedervi!
-già…
allora spero che torni la pioggia
-lo
spererò anche io per voi, ma cosa stanno facendo adesso?
-ah
sì, dobbiamo piantare delle viole in quel recinto, le ha richieste vostra madre
in persona, spero che le piaceranno!
-sì,
ne sono sicura, le dirò di venire a dare un’occhiata
il prima possibile
In quella frase c’era
molto più della promessa di far vedere le viole a sua madre e Sitchain lo
sapeva bene. Il giardiniere si rallegrò, allargò le labbra in uno dei suoi
stupendi sorrisi e congedò la dea, per tornare
poi al suo lavoro con le viole e la siepe. Mentre
l’osservava andare via, Macha ebbe all’improvviso un sussulto. Aveva capito
cosa aveva di diverso Natan dagli altri esseri umani: gli occhi! Nessun altro
mortale aveva gli occhi di quel colore! Solo gli dei potevano avere gli occhi di
quella tonalità. Ripensò a tutti gli dei dell’isola e le venne
in mente un dio con gli occhi viola: non era una divinità qualunque ad avere
quel particolare colore, bensì il grande dio del fuoco in persona.
Macha si alzò di
scatto dalla tartaruga di pietra, ringraziò mentalmente Sitchain per averle parlato delle viole e corse come una scheggia
verso il palazzo. Con il suo lungo vestito azzurro con ricami d’argento che
svolazzava per il corridoio, Macha arrivò di fronte alla porta della sua camera
e la spalancò di fretta. Se la richiuse alle spalle e
si diresse verso il suo armadio, con l’intento di mettersi qualcosa di meno
ingombrante per recarsi nella calda casa di Flaren, il dio del fuoco. La casa
del dio era isolata e si trovava alle pendici di un piccolo, ma attivo,
vulcano. Prese un abito verde, più leggero e con meno veli che avrebbero
rischiato di incendiarsi da qualche parte e lo buttò sul letto.
-dove hai intenzione di andare con quel bel
vestito?
Macha era saltata
letteralmente in aria. Le si gelò in un attimo il
sangue nelle vene. Non si era accorta che nell’angolo, seduto su una sedia e
che rivolgeva le spalle alla finestra, c’era suo padre.
-co-cosa ci fate voi qui?
La sua voce tremava
più di una foglia al vento.
-sono
venuto a portarti via da qui, hai finito di crearmi problemi
-ma… cosa…
La porta della sua
camera si spalancò con violenza e vi entrarono due colossi vestiti
completamente di nero. Macha guardò spaventata prima il padre e poi gli altri
due, che intanto le si erano avvicinati e ora la
stringevano dai fianchi. Quelle due grosse presenze cupe l’ afferrarono per le
braccia senza che lei potesse opporsi, le strinsero con forza la pelle e le
provocarono una fitta di dolore. Sentiva che le si sarebbe
fermata la circolazione da un momento all’altro. In un attimo Macha si ritrovò
con i piedi per aria e iniziò a dimenare inutilmente le gambe e ad agitare
convulsamente le braccia nel vano tentativo di liberarsi da quella stretta
ferrea.
-ecco
cosa succede a disobbedire ai miei ordini! Figlia ingrata! Come puoi anche solo
pensare che non avrei scoperto che ti intrattieni con
un mortale!?
Balor era furente, aveva trattenuto tutta la sua collera solo con
lo scopo di farla esplodere in quel preciso istante.
-ma, padre! Lui non è…
Le sue parole vennero coperte dal suono del pianto che la stava scuotendo contro
la sua volontà.
-del
fuoco… non…
Non fece in tempo a
finire la frase, che i due brutti ceffi l’avevano già portata via dalla stanza.
Suo padre sorrise felice. Felice di aver sistemato la
faccenda con quella sua difficile figlia. Macha, invece, mentre veniva portata via, urlava che Balor si stava sbagliando,
che Natan non era un semplice mortale e lo pregava di non fargli del male. Era
completamente disperata e non riusciva a smettere di piangere, mentre
continuava comunque ad urlare fino a perdere la voce.
Nessuna tra le persone della casa uscì a darle man forte, nonostante la voce
della dea fosse abbastanza alta da essere ben sentita. Una persona però, che si
stava recando in giardino, era uscita dalla stanza proprio in quel momento ed
aveva sentito le urla di Macha. Era Branwen, la quale non riuscì più a muoversi
dall’incavo della porta della sua camera, tanto era paralizzata dalla paura e
dalla preoccupazione per la figlia. Era anche sconvolta da quello che le aveva sentito dire. Se quel Natan era il
figlio del dio del fuoco, allora, forse, per lui c’era ancora una piccola
speranza di sopravvivenza. Iniziò a piangere in silenzio, desiderando correre
dal marito e urlargli contro tutto il suo odio e la sua rabbia; ma sapeva bene
che tutto quello non sarebbe servito a nulla e non avrebbe salvato la vita del
ragazzo. Si limitò allora a stringere convulsamente i pugni e pensò a quello
che avrebbe dovuto fare. Non voleva che quel povero ragazzo fosse ucciso solo
perché Balor non aveva avuto la pazienza di ascoltare fino in fondo le urla
della figlia. Corse fuori dalla casa, pronta a fare ciò
che stava per fare sua figlia prima di essere catturata come una criminale dal
padre.