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Autore: ISI    09/02/2009    8 recensioni
"Hai avuto paura... per me?
Hai davvero temuto che la mia anima fosse raggiunta prima dal gelo senza scampo della morte che dal tepore del tuo petto al quale mi hai stretto, incurante del sangue, mentre correvi?
Non sapevi e non sai nulla di me, eppure ho sentito il tuo cuore battere veloce in preda al panico per la mia sorte, per il mio destino, che pareva ormai essere giunto al termine.
Allora...è la prima volta che scrivo qualcosa di fantasy, quindi sappiate esser clementi con me e ditemi ciò che ne pensate di questo primo, breve, capitolo.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La riconoscenza del corvo

† La riconoscenza del corvo †

 

Capitolo VI

Ritrovo: nero nel bianco

 

-Tutti noi paghiamo per le nostre colpe...- mormorò il vecchio capo villaggio ritornando nella sua capanna -Folle, neppure tu che sempre hai potuto contare sulle tue doti di strega, sulle tue magie ed i tuoi inganni, neppure tu ora puoi più nulla contro la giustizia e la punizione che essa non a caso t’infligge: il maleficio che sciogliesti dalla carne del peccatore pentito ti s’è ritorto contro ed ha trovato proprio in te la persona giusta cui far portare la croce del rimorso. Proverai tante pene quante ne hai inflitte agli altri; insetti, topi e bisce saranno le portate principali dei tuoi prossimi banchetti; i sassi e le frecce si faranno gioco delle tue sembianze di cornacchia, mentre le donne e gli uomini fuggiranno la tua presenza pestifera scacciandoti dai loro campi e dai tetti delle loro case.- disse così, mentre aggiungeva altra legna alle fiamme che lucenti s’alzavano da terra e chiusi gli occhi pregò che anche per lei ci fosse qualcuno pronto, un giorno, ad amarla, a riportarla alla vera vita, quella che la malvagità gli aveva negato con la sua bramosia ed il suo inesauribile odio.

 

***

 

I suoi occhi erano tornati a vedere, era vero, ma lì intorno a lui, ancora una volta, c’era solo bianco.

Senza fine, abbacinante, soffocante, sterile e gelido, in una parola sola bianco, neve che aveva ricoperto tutto senza scrupoli spegnendo i colori delle cose, intrappolandolo di nuovo lì, nell’assenza di lui, nella solitudine di una vita passata a soffocare in quel bagliore senz’anima che gli si stringeva addosso, mentre correva, mentre le sue ginocchia affondavano in quel candido, gelido manto che pareva volerlo sommergere, mentre ci cadeva di faccia e si rialzava, mentre le lacrime scendevano senza controllo e senza ritegno, mentre si malediva e pregava Dio o chi per Lui di togliergli di nuovo la vista perché questa non gli sarebbe servita ad alcunché se lui fosse morto, perché preferiva rinunciare lui alla sua stessa vita piuttosto che saperlo perso in quell’oblio incolore, senza neppure la consolazione del fuoco o l’abbraccio della terra, il cadavere divorato dai lupi e dagli uccelli.

 

Cadavere?

 

No, lui era vivo, lo sapeva, lui era forte, lo era sempre stato, non se ne sarebbe andato, aveva fatto una promessa, gli aveva giurato che gli sarebbe rimasto accanto per sempre, non se ne sarebbe andato. Il suo corpo non sarebbe stato freddo come la neve che cadeva dal cielo lattescente, la sua pelle, la sua carne non avrebbero avuto l’insensibilità del marmo: quel bianco, quel dolore non lo avrebbe vinto in alcun modo, lo sapeva, eppure aveva paura.

Aveva paura, come la prima volta in cui se l’era ritrovato tra le mani, tiepido, le piume morbide e sporche di sangue, l’ala spezzata, la convinzione che la morte, nelle cui mani si stava già abbandonando senza riserve o timori, fosse l’unica espiazione per le proprie colpe, l’unica soluzione a tutto il dolore causato.

Ma non erano state le fiamme dell’inferno a divorarlo, né la bocca del selvaggio affamato che con i suoi sassi aveva cercato di rubarlo alla vita, a divorarlo, a consumarlo era stato il rimorso, l’amarezza di gesti più bestiali della sua forma di corvo e a curarlo il perdono che tanto aveva bramato, l’amore che mai aveva ricevuto in vita sua e che un giorno, dinnanzi ad una fredda alba dalle dita rosate, gli si era presentato per la prima volta e l’aveva raccolto e stretto al proprio petto senza curarsi di null’altro se non di lui.

E al proprio petto l’avrebbe stretto ancora e ancora perché lui non se ne sarebbe andato, perché lui gli sarebbe rimasto accanto per sempre, qualunque cosa fosse successa, e sarebbe stato sua guida ancora in quel bianco apparentemente senza via di salvezza, avrebbe continuato ad indicargli la strada giusta come aveva sempre fatto ed il vuoto incalcolabile dai suoi occhi cechi non l’avrebbe spaventato mai più, perché lui l’avrebbe guidato, sì, l’avrebbe guidato oltre la tristezza, oltre la solitudine, al di là sofferenza sotto i raggi di tiepido sole primaverile, fuori dal gelo, fuori dal bianco.

 

-Guidami! Ti prego, guidami!- lo urlò con quanto più fiato aveva in gola, perché lui, ovunque fosse, lo sentisse, l’ascoltasse e facesse come gli era stato detto. Un vento glaciale raccolse quella supplica tanto accorata e d’un tratto, in tutto quel bianco, si levarono nell’aria, come schizzi che sfidano la gravità, come schegge di un passato le cui colpe son già state tutte perdonate, centinaia di piume d’un colore che non aveva mai visto ma che era sicuro d’aver già sentito, d’aver già definito.

 

Era l’antitesi del bianco.

Era il soffio di vita che aveva rianimato i suoi occhi un tempo inutili.

Era il destino di un uomo cui, finalmente, erano stati rimessi i propri peccati.

Era il colore del castigo che aveva seguito il rimorso, lo stesso che aveva stretto al suo petto, lo stesso al quale aveva reso la vita, che aveva curato e sfamato, cui aveva confessato ogni propria paura ed angoscia.

Era il pezzo dell’anima di un malfattore, d’un ladro, d’uno stupratore, d’un assassino, d’una fiera cui aveva ad esser uomo, ad amare.

Era, in una parola sola, il nero.

 

Tacite come le tenebre, intime come la notte che bacia la luce delle stelle e le esalta, così l’accarezzarono correndo nel vento quelle piume, sfiorandogli il volto e la pelle arrossata dal freddo, come fossero le mani d’un amante sul corpo dell’amato.

 

-Guidate da lui, vi prego! Guidatemi da chi un tempo vi portò sulla sua pelle per espiare le proprie colpe! E tu vento, guidami anche tu da chi, un tempo, rubò, abusò ed uccise, portami al suo cospetto, guidami innanzi a colui che non trova pace per il rimorso ed io lo amerò! Non è molto ciò che ho offro, lo so, non è pane che sfami né acqua che disseti, ma io voglio amarlo, devo e non riesco a non farlo!-

 

E le sue urla furono ascoltate una volta ancora ed il ragazzo si ritrovò senza più paura a seguire il nero nel bianco, il buio nella luce più accecante e corse, corse più che potè, con i polmoni in fiamme ed il vento gonfio di neve in gola, fino a che non se lo ritrovò davanti, fino a che non riconobbe occhi, labbra e membra di qualcuno che non aveva mai visto, ma che aveva amato più quanto non avesse mai fatto in vita sua.

S’inginocchiò accanto al suo corpo nudo, semi-congelato di uomo, separato dalla coltre di neve sotto di lui solo da un sottile giaciglio di quelle stesse piume che ora come allora tentavano di proteggerlo dalla morte, lo prese tra le braccia e se lo strinse al petto, cingendogli le spalle con il proprio mantello, avvolgendolo, per quanto gli fosse possibile con il suo esile fisico, nel calore del suo abbraccio e l’altro si trovò nuovamente con il volto premuto contro quel piccolo, giovane petto sconvolto dai singhiozzi, ad ascoltarne i battiti veloci per la paura e lo sforzo, le contrazioni spasmodiche di un corpo, di un’anima che aveva anelato a lui fin da sempre, forse già ancor prima di essere, d’esistere.

 

-I tuoi occhi...- la voce uscì aspra dalla gola non più avvezza alle parole e la lingua faticò non poco nell’articolarle -Sono così belli i tuoi occhi...- in risposta si sentì stringere ancora più forte da quelle braccia, mentre il suo calore lo invadeva e ne respirava il profumo dolce di un’innocenza che l’aveva mutato.

-Ma per questi miei maledetti occhi tu hai rischiato la vita! Cosa potrei farmene d’un paio d’occhi, per quanto belli possano essere, se tu sei morto? Che gusto potrei avere nel guardare il mondo, nel contemplarne la bellezza se tu non fossi al mio fianco, se prima d’ogni altra cosa o persona non potessi contemplare te?- il pianto incrinò le parole ed altre lacrime corsero a ghiacciarsi sulle sue guance infreddolite.

-Ti prego... accettala, è solo la riconoscenza di un povero corvo...- piano, con mano tremante, gli asciugò il volto dalle stille salate che lo solcavano e lo portò più vicino a sé.

-Io non volevo riconoscenza alcuna, non desideravo nessuna ricompensa per averti salvato, volevo solo che tu fossi felice, volevo solo che il dolore che sentivi scomparisse o almeno diminuisse, volevo solo...- ma non potè finire la frase che le labbra dell’altro furono sulle sue, delicatamente gelide, come petali di un fiore sopravvissuto alla gelida brina.

-Ma io sono felice. Io, ora, tra le tue braccia, davanti ai tuoi meravigliosi occhi, io sono felice.-

 

 

 

Fine.

 

 

Non ci speravate più, vero?

Bè, se devo essere sincera, neanche io, ma è bastato un po’ d’impegno e di tempo libero ed ecco qui l’ultimo capitolo... non brillerà, lo so, ma va bene così, perché così me lo sono sentito e così l’ho voluto scrivere, niente di meno niente di più.

Grazie a tutti coloro che hanno seguito la mia storia e mi hanno sostenuto con le loro recensioni, se questa storia non vi è troppo venuta a noia fatemi sapere che ne pensate, se no, non preoccupatevi, l’importante e che quella magica parolina sia stata scritta.

Isi.

  
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