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Autore: Sea    19/09/2015    2 recensioni
Il ragazzo della biblioteca è il classico esempio di ragazzo emarginato, lontano dalla società e dai contatti amichevoli, ma dietro il suo aspetto e i suoi modi c'è una storia complessa, una grave perdita. La vita sembra essersi stancata di lui, ma Ed continua ad andare al lavoro e a combattere contro il suo patrigno e il suo fratellastro per non perdere l'eredità di suo nonno: la sua casa. Sua nonna e la sua chitarra sono le uniche cose che gli restano, ma gli eventi prenderanno una piega inaspettata e tra un lavoro e l'altro, Marina entrerà prepotentemente nella sua vita.
Ecco una nuova storia dopo Afire Love! Spero di non deludere le aspettative. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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IX




 
Non sapeva se fosse contento che la biblioteca fosse chiusa, perché ok, non doveva andare al lavoro, ma erano già due ore che spalava la neve dal vialetto. Quella notte la tormenta aveva fatto tremare i vetri senza sosta ed ora c’era più di un metro di bianco su tutta la città.
Gli facevano male le mani, l’aria fredda nei polmoni lo faceva sentire malato ancora prima di prendere la febbre e come se non bastasse, doveva cercare un supermercato aperto per andare a comprare del sale, altrimenti tutta quella fatica non sarebbe servita a niente.
Aveva abbandonato l’idea di prendere la bici quando un ciclista era caduto proprio davanti al suo cancello, quindi si sarebbe avventurato a piedi. Sperava solo che qualcuno fosse aperto.
Camminò piano sullo strato di ghiaccio e posò la pala in garage, scorgendo di nuovo la macchia rossa che aveva lasciato l’ultima volta che ci era entrato e poi richiuse la serranda.
Sospirò, ripensando a quel foglio sul tavolo. Ora che aveva la certezza – la scusa – per approfondire quel discorso, non sapeva da dove cominciare, né a chi chiedere consiglio e doveva ancora trovarsi un lavoro per quelle vacanze di Natale.
Si avviò a piedi sul marciapiede pieno di neve, trovandosi spesso costretto a camminare in strada, ma tanto non c’era nessuno.
Qualche altro ragazzo come lui, girovagava alla ricerca di qualcosa, stringendosi nei cappotti e nei cappelli con la speranza di scaldarsi, ma quell’inverno era davvero spietato. Gli alberi spogli che fiancheggiavano la carreggiata erano come un presagio di morte, magri come scheletri.
Si tirò giù il suo vecchio cappello, lo aveva trovato per caso in un cassetto che non apriva mai e strinse i lacci del cappuccio, per proteggersi il viso come poteva.
Un paio di volte aveva rischiato di scivolare, ma ebbe i riflessi abbastanza pronti da riuscire ad arrivare intero al primo supermercato. Chiuso.
Quando nevicava in quel modo, la gente faceva le scorte e si richiudeva in casa, ma lui non era la casalinga perfetta e non poteva certo prevedere una cosa del genere, tuttavia, se non avesse risolto il problema del vialetto e non avesse portato a casa qualcosa da mangiare, Ben gli avrebbe spezzato il collo. Ancora una volta, si chiese dove fosse andato la sera prima, ma non riusciva a pensare ad altro che allo studio di un avvocato.
Fece dietro-front, dirigendosi verso la sua seconda tappa, accelerando il passo, altrimenti ci avrebbe messo un’eternità.
Si allontanava dal centro, dirigendosi nella zona in cui si trovava il rifugio, dove più tardi avrebbe dovuto fare un salto per riempire le ciotole vuote, ma una voce ed un tonfo lo fecero girare verso il marciapiede opposto. Riconobbe subito la figura di Marina che si portava una mano alle natiche, massaggiandosi.
Mise da parte la sorpresa di vederla lì, così lontano da casa sua ed andò a darle una mano.
Cosa ci faceva da quelle parti?
  • Marina! – la chiamò, sentendo i suoi occhi scivolare su di lui.
  • Oh, Edward!
Le tese la mano e lei non si fece ripetere due volte di afferrarla e rialzarsi. Tirò su il suo corpicino in un secondo, era leggera come un fuscello.
  • Ti sei fatta male? – chiese, lasciandole la mano.
  • Niente di grave. – disse, pulendosi dalla neve con le mani avvolte nei guanti.
  • Cosa ci fai qui?
Lei sembrò non afferrare subito la domanda, mentre lo guardava.
  • Io…
Sembrava incantata e si sentì in imbarazzo, non capendo perché mai lo stesse fissando in quel modo, ma non disse nulla, limitandosi a mordersi il labbro superiore.
Non si rendeva conto di quanto il riflesso bianco della neve illuminasse i suoi occhi, ma Marina se ne era accorta eccome.
  • …sto cercando un supermercato.
  • Ah. – disse lui, tirando un sospiro di sollievo.
  • Tutti quelli intorno a casa mia sono chiusi. – fece lei, gesticolando verso la strada che aveva appena percorso. – Tu cosa ci fai per strada?
  • Quello che fai tu. Vuoi…? - ma lei lo interruppe subito.
  • Va bene. Dove si va?
Il fatto che lei sorridesse per il semplice fatto che avrebbero cercato un supermercato insieme, lo fece sentire più sollevato: c’era qualcuno che a 23 anni era più bambino di lui.
  • Vieni.
Fece il primo passo sulla neve e aspettò che lo affiancasse, guardandola con la coda dell'occhio.
Durante quella passeggiata, continuò a guardarla di sottecchi, cercando di decifrare i suoi pensieri. Ovviamente, lei lo colse sul fatto e si rimproverò, dandosi dell’idiota mentre cercava di controllare il rossore sugli zigomi, ma lei sorrideva di quel suo imbarazzo e quel silenzio non gli pesò. Il freddo gli pizzicava gli occhi.
  • Oggi niente lavoro nemmeno per te?
  • Già. – e la guardò.
  • Cosa fai quando non lavori? Hai qualche hobby?
  • Di solito cerco un altro lavoro. – disse, rispondendo con serietà a quella domanda.
  • Quindi lavorerai anche durante le vacanze?
  • Devo. – rispose, quasi sospirando. – Tu…tu cosa farai? - chiese, un po' per curiosità, un po' per distrarla da quella sua risposta.
  • Cercherò di studiare, dato che da lunedì Jody entra in maternità e io avrò il doppio turno a scuola.
Svoltarono l’angolo e il fatto che il secondo supermercato fosse chiuso, non lo disturbava quanto il fatto che non avrebbe visto Marina in biblioteca.
  • Magari qualche volta puoi venire a scuola a suonare per i bambini. – disse lei, entusiasta di quell’idea. – Sempre se ti va, ovvio.
  • Oh…beh, mi farebbe piacere.
In realtà non sapeva se avrebbe avuto il tempo, ma dalla settimana successiva la biblioteca faceva mezza giornata e se lui non avesse ancora trovato un lavoro…forse sarebbe riuscito a fare un salto.
  • Tu…hai qualche passatempo? – chiese.
  • Beh, sì, ma prometti di non ridere.
  • Va bene. – disse, ancora più curioso, mentre faceva spallucce.
  • Io scrivo. – nei suoi occhi si accese una scintilla.
  • E cosa c’è da ridere? – non riusciva a capire.
  • Di solito la gente ride, quando lo dico. – osservò, guardando la strada.
  • A m-me sembra una bella cosa. – non riusciva più a guardarla. – Cosa scrivi?
  • Uhm, non c’è un genere di scrittura che prediligo. Se mi va di scrivere un romanzo o una poesia, fa lo stesso. – spiegò.
E così, Marina era una scrittrice. Non riusciva ad immaginare i suoi testi, non la conosceva ancora abbastanza, ma quella mattina sembrava che stesse scavando più a fondo in quella persona.
  • Anche tu scrivi, vero? Ho ascoltato le tue canzoni, sabato, sono belle.
  • Oh, non sono davvero un granché. Non riscuotono mai troppo successo.
Mentre lei faceva uno sproloquio su quanto la gente sottovalutasse certe cose prima che diventassero celebri, lui notava che – per fortuna o per sfortuna – il terzo supermercato era aperto. Entrarono all’interno senza smettere di chiacchierare di cose come il prezzo del tonno o le previsioni per il giorno dopo e presero a riempire i loro cestini con i beni di prima necessità. Girarono per i corridoi e Ed ebbe quasi la sensazione di essere tra gli scaffali della biblioteca quando la vide arrampicarsi per raggiungere la pasta che desiderava. Non disse nulla, mentre si avvicinava a lei per prenderle lo scatolo. Marina doveva aver ricordato quel primo incontro, perché sorrideva imbarazzata a quel suo gesto.
Spesso allungarono le mani sulle stesse cose, ma cercarono di restare distesi, allontanando le tensioni. Anche se, parliamoci chiaro, erano nervosi per motivi diversi: il disagiato aveva paura di toccare chiunque, la scapestrata era solo attratta dal suo profumo maschile.
Quando furono fuori, lui prese subito la parola, vedendola procedere verso una direzione diversa dalla sua. I suoi capelli si mossero, in contrasto con l’ambiente bianco che la circondava.
  • Io vado di qua, ho una commissione da fare.
  • Oh. – fece una pausa. – P-per caso…
Lo guardava quasi terrorizzata, lunatica come poche. Cos’aveva da tremare, così all’improvviso? Pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato.
  • …cioè, dove vai?
  • Al rifugio per animali. Devo riempire le ciotole. – spiegò brevemente, stringendo i pugni intorno alle buste anche più del dovuto.
Sembrò che Marina stesse riflettendo su qualcosa, ma non riusciva più a decifrare il suo comportamento. Cominciò ad elaborare una commedia nella sua testa, ripercorrendo mentalmente gli ultimi minuti e analizzando le sue stesse parole, alla ricerca della sua mossa sbagliata, ma non riuscì a capire. Eppure si stava sforzando.
  • A-ah! – disse, istericamente.
  • V-vuoi venire? – azzardò, giocando la sua ultima carta.
Per una volta, aveva vinto il piatto: il sorriso di Marina si fece così largo che persino lui si sentì contento. Non riuscì a non sorridere di rimando, mentre lei annuiva. Le sue labbra erano rosse come le ciliegie, per un po’ non riuscì a smettere di guardarle.
Le loro orme, nella neve, li seguivano silenziose.
 
La vecchia serratura cigolò e immediatamente i cani presero ad abbaiare.
Non aveva mai portato nessuno lì, ma sembrava che Marina fosse destinata a quel posto.
All’inizio i suoi occhi vagavano nella stanza, analizzando ogni metro quadro come se stesse cercando qualcosa, poi avanzò e lo superò.
Ed posò le borse della spesa sul tavolo all’ingresso, senza smettere di osservare i suoi comportamenti: sembrava che fosse a suo agio in mezzo agli animali, tant’è che stava già affondando le mani nel pelo di uno degli ultimi arrivati. Si era tolta il cappello e i guanti.
Paw interruppe i suoi pensieri, spaventandolo a morte, dato che non l’aveva sentito arrivare e si accovacciò accanto a lui per accarezzarlo.
  • E lui chi è? – Marina non fu da meno, intervenendo così d’improvviso.
  • Un vecchio amico.
Il cuore martellava ancora quando lei tese una mano sulla testa del gatto, quasi indifferente al fatto che ci fosse già la sua. Gli mancò il respiro e sentì lo stomaco aggrovigliarsi sentendo la sua pelle fredda e non riuscì a trattenere la tensione, lasciando andare le dita ad un leggero tic. Alzò gli occhi e lesse sul suo viso una finta indifferenza, avrebbe giurato che si fosse accorta della sua sorpresa e che la stesse intenzionalmente ignorando. Stava…osando?
Quando Marina alzò lo sguardo e gli sorrise, ebbe la netta sensazione che lei lo conoscesse già meglio di quanto volesse ammettere.
Quando il gatto fu stanco delle loro carezze e li lasciò soli, Ed si alzò e Marina prese esempio.
  • Cosa si fa? – chiese.
  • Riempiamo le ciotole e facciamo un po’ di pulizia.
Afferrò il sacco dei croccantini appoggiato alla parete e si avviò alla prima cuccia. Come se fosse stata una cosa naturale, Marina lo seguì con l’acqua e uno alla volta, fecero visita a tutti i cani, lasciando qualche carezza di troppo.
La vocina sottile di Marina gorgogliava nella stanza e qualche volta non riuscì ad evitare un sorriso.
  • Sicura che non ti annoi?
No, non si annoiava, altrimenti non sarebbe rimasta a giocare con la cucciolata di gattini per il successivo quarto d’ora, dando libero sfogo alle vocine più stridule e ai “ciccino” e “carino” di ogni genere.
Si soffermò a giocare con Paw, mentre lei si godeva le fusa e lo osservava. In un certo senso, era felice che lei fosse lì, poiché adesso rientrava tra le sue amicizie e quella era la sua tana, il suo rifugio, una specie di casa sull’albero che conosceva solo lui. Lei aveva il permesso di entrarci. Si chiedeva lui cosa fosse, agli occhi di Marina, una ragazza così semplice e gentile, ma in quel momento era grato che fosse nella sua vita, poiché stava riscoprendo la gioia della condivisione e non sapeva se avrebbe potuto farne a meno di nuovo. Non si accorse del fatto che fosse in piedi accanto a lui, ma non si spaventò di nuovo quando lei gli sfiorò le dita, per attirare la sua attenzione.
  • Ci tieni molto a questo posto. Perché?
La guardò, leggendo qualcosa nei suoi occhi. Voleva che anche lei leggesse nei suoi.
  • Dopo la morte di mia madre, è diventato il mio rifugio.
Lei annuì e tornò a guardare il gatto.
  • Sai, - riprese lui – Paw è un po’ come un fratello. Mi ha aiutato tanto.
  • Si vede che andate molto d’accordo. – sorrise lei, carezzando il gatto. – Grazie, Paw.
  • Hehe. – non riuscì ad evitare quella risata. - Anche lui ti ringrazia.
Marina lo urtò col gomito per rimproverarlo di qualcosa e rise, sorridendo di rimando.
Il silenzio fu rotto dal suo cellulare che squillava. Un po’ impacciato, lo prese dalla tasca e rispose, sotto gli occhi di lei.
  • Salve, signore, mi dica. Certo. Sì, stia tranquillo. – un attimo di silenzio. – A domani.
Ripose il cellulare in tasca e si ritrovò ad essere scrutato, la curiosità di Marina si leggeva chiara sulle pieghe del suo viso.
  • Era l’Hawking Pub. – spiegò, allora. - Domani suono.
  • Davvero?!
Stava letteralmente esultando.
  • Sì, mi aspettano alle 19.
  • Anche io monto per quell’ora.
Si guardarono e si fecero due conti: l’Hawking Pub era 1 chilometro dopo casa di Marina.
  • S-se vuoi, posso passare a prenderti. – disse, sentendosi in ansia già da quel momento al pensiero di riaverla sulla bici. Il solo gesto di farle quel favore, lo rendeva isterico.
  • Se ti va.
Uscirono dal rifugio ed aveva ricominciato a fioccare. Sembrava che l’avrebbe vista più spesso di quanto si aspettasse, ma non riusciva più a dispiacersene e non riusciva a smettere di avere le labbra incurvate. Ultimamente si stava riscoprendo, non sapeva più cosa aspettarsi da se stesso, soprattutto quando era con lei. Magari, avrebbe avuto davvero un’amica, qualcuno con cui avere un legame stretto, sentirsi sostenuto e condividere con lei qualcuna delle sue preoccupazioni. Magari, col tempo, avrebbe trovato in lei un po’ di serenità.
La sentiva già così presente nella sua vita, nei suoi pensieri, nell'iniziale che aveva al collo, che magari avrebbero potuto tornare a casa insieme la sera dopo il lavoro, o scambiarsi i numeri di cellulare, alla vecchia maniera. Avrebbero pranzato insieme.
  • Allora, ti aspetto domani fuori casa. – disse lei, congedandosi all’incrocio che li separava.
  • S-sì, sarò puntuale.
  • Beh, grazie per l’aiuto. – disse, guardando prima i suoi occhi, poi la sua bocca.
  • No, grazie a te. – ed era sincero, mentre lo diceva.
  • A domani.
Lo salutò, tendendo una mano al suo braccio, scatenando in lui la voglia di guardare nei suoi occhi ancora un po’, ma era il momento di tornare a casa.
Si trovò in imbarazzo quando si accorse di non sapere come ricambiare quel gesto e rimase per un attimo impacciato. Quando il suo cervello si riaccese, l’unica soluzione che aveva sfornato fu carezzarle la testa. Oddio, Marina non era mica un cane.
La sua risata, però, sembrò spezzare anche il gelo, rincuorandolo.
  • A domani. – rispose, allora.
Si voltarono insieme e presto sparirono in due direzioni diverse.
Sembrò così breve la strada fino a casa, tanto sognava ad occhi aperti, spesso senza badare a dove mettesse i piedi, rischiando di cadere.
Doveva lavorare ancora a fondo sul suo atteggiamento e sui suoi gesti, ma il fatto che Marina fosse così accondiscendente alla sua stranezza era un punto a suo favore: si sentiva un po’ più se stesso, anziché la sua maschera.
Quando varcò il cancello, pensò di guadagnare un po’ di tempo prendendo subito il sale dalla busta e cominciando a spargerlo su tutto il vialetto.
Congelato e coperto di neve, entrò in casa con la scatola vuota fra le mani e sorprese Ben a parlare con qualcuno nell’ingresso.
  • …è un reato.
Quelle furono le uniche parole che riuscì a distinguere, prima che l’uomo in giacca e cravatta si zittisse sotto lo sguardo gelido di Ben.
  • Buongiorno. – disse, per spezzare la tensione.
  • Buongiorno. – ricambiò quello, guardandolo con un certo interesse da dietro i suoi occhiali rotondi.
  • Va in camera tua.
Ben gli lanciò un’occhiata abbastanza tagliente da convincerlo a non trattenersi sull’uscio per un secondo di più. Salì le scale lentamente, ma quelli non ripresero a parlare finchè la serratura della sua porta scattò: da lì non poteva sentire niente.
Si fermò a riflettere sull’eventuale collegamento che quelle parole potevano avere con il documento che aveva trovato in cucina. Forse avrebbe fatto meglio a scoprire chi fosse l’avvocato Foster. Una volta seduto sul suo letto, prese la sua agenda dal cassetto e vi annotò dentro tutto ciò che aveva scoperto fino a quel momento, per paura di dimenticare.
Quando quel pomeriggio sarebbe uscito a cercare un lavoro per quelle vacanze, avrebbe potuto fare un salto all’internet point per fare qualche ricerca, sempre che Ben non gli avesse trovato qualche nuova mansione o incarico da fargli svolgere.
Bum. Bum. Bum.
  • Ehi! – era Jef che cercava di sfondare la sua porta. – Io ho fame! Papà ha detto che devi preparare il pranzo.
  • Arrivo.
Lo sentì borbottare mentre andava via, facendo cigolare le tegole del pavimento.
Sospirò e si alzò dal letto, nascondendo di nuovo l’agenda nel cassetto.
Dopo essersi passato una mano sul viso, per lavare via i pensieri, uscì dalla sua stanza e scese di fretta le scale per andare in cucina.
I suoi pensieri si confondevano nella testa senza dargli tregua: Ben, la casa, Marina, il testamento, la nonna, i soldi, l’avvocato, il lavoro, il dolore. Ogni cosa si confondeva nel vapore della minestra che sobbolliva sul fuoco. Ci guardava dentro come se a breve vi sarebbe emersa la risposta a tutte le sue domande, ma l’unica cosa che riuscì a distinguere in mezzo a tutto quel disordine, fu il nome di Marina che si stendeva a chiare lettere nella sua mente.
Oramai, lei era la sua speranza.






Angolo autrice:

Hola! Non lo so, mi andava di aggiornare stamattina, non chiedetemi perchè.
Anyway, credo che siate impazziti: la storia ha un numero di visite pari a quello di Afire Love. Stiamo scherzando? Sul serio?
Le recensioni sono relative, ragazzi - ovviamente sono contentissima di leggervi, ci mancherebbe altro - e vedere un numero di visite praticamente uguali per ogni capitolo, significa che nessuno di voi ha mollato la storia e siete tantissimi! Mi fate felice! :)
A parte il momentaneo delirio, cosa ne pensate del capitolo? Non accade alcunchè di eclatante, ma era estremamente necessario.
Fatemi sapere cosa ne pensate. :)
Vi lascio con un paio di foto che ho trovato poco dopo aver scritto il capitolo, credendo che qualcuno mi stesse leggendo nel pensiero.
A presto! :D

S.



    
  
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