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Autore: Roof_s    19/09/2015    1 recensioni
“Quindi voi due vi conoscete abbastanza bene!”
Sia io sia Catherine la guardammo, nuovamente a corto di scuse.
“No, non ci conoscevamo davvero” fece Catherine. “Harry ha... solo...”
“Ho suonato a casa sua” dissi.
Catherine mi lanciò un'occhiatina scocciata.
“Sì, ma solo per...”
“Aspetta un secondo” intervenne mia sorella. "Lei è la ragazza che ha organizzato la festa dove avete suonato tu e gli altri?”
Questa volta Catherine non si sforzò nemmeno di nascondere la propria espressione allibita.
“Ehm... Già, è lei” ammisi.
“Già, sono io” ridacchiò Catherine, imbarazzata.
Gemma rise. “Ora mi ricordo! Ma mi avevi detto che tra di voi non scorreva buon sangue, Harry!”
Con la scusa di voler mostrare una finta affinità tra noi due, Catherine mi rifilò un colpo al braccio che le riuscì straordinariamente violento.
“Ma non è affatto vero!” esclamò, fingendosi divertita.
“Oh, forse avevo capito male quando mi avevi detto che ero un insignific...”
Mi sentii pestare il piede con forza sotto il tavolo e le parole mi morirono in bocca. Catherine scoppiò a ridere e riprese a parlare: “Sono molto grata a Harry per aver accettato di suonare a casa mia con i suoi amici”.
“Sì, molto grata...” borbottai.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una facile preda


Kate

 

Ascoltai gli ultimi messaggi vocali affidati alla mia segreteria telefonica, cancellandoli uno dopo l'altro. Arrivata all'ultimo, abbandonai ogni speranza di trovarvi quello che cercavo e lo eliminai con uno sbuffo sonoro. Allontanai il telefono fisso da me e lo guardai ancora per qualche istante con astio, come se la mancanza di notizie di mia madre fosse colpa sua.
Non mi contatta da due settimane, pensai tristemente.
Mi alzai dal letto e raggiunsi l'ampia finestra che dava sul giardino posteriore della villa in cui abitavo. Scrutai con aria delusa le siepi perfettamente potate e gli imponenti alberi da frutto che mio nonno aveva piantato anni prima al confine della nostra proprietà.
Mia madre si era forse stancata di tutto quello? Perché se n'era andata?
Non solo mio padre era cambiato sensibilmente dal suo abbandono, ma mi aveva anche lasciata completamente sola in una casa troppo grande e silenziosa. Non avevo fratelli o sorelle con cui condividere la mia delusione, con cui trascorrere quelle infinite giornate così malinconiche. Salivo e scendevo le scale di casa mia contando i miei passi, contando anche i giorni che mi separavano dalla definitiva partenza verso una città e una vita migliore. Ero prigioniera della mia stessa ricchezza.
Sospirai sconsolata e chiusi le tende della mia stanza di scatto. Ero stanca di fissare sempre i soliti scenari. Avevo voglia di fare due passi, di stare da sola altrove. Le stanze di casa echeggiavano delle grida di mio padre rivolte contro di me, e io ero stanca di essere confinata in un luogo che detestavo.
Uscii dalla mia enorme stanza in penombra e scesi in fretta le scale che portavano al piano terra. Afferrai distrattamente la giacca lasciata sul divano e mi infilai le scarpe da ginnastica bianche. Uscii all'aria fresca di quell'oscuro pomeriggio che non avrebbe potuto essere tanto peggio dei precedenti.
Pensa ad altro, pensa ad altro.
Tutto quel rancore represso contro mia madre, contro mio padre, contro le mie amicizie non faceva che crescere di giorno in giorno, aumentando la sensazione già forte di essere incatenata contro la mia stessa volontà. Lentamente la mia riluttanza per tutto ciò che mi circondava iniziava a prendere il sopravvento: avevo già mentito a mio padre affermando che il corso di danza classica sarebbe iniziato nei primi giorni di ottobre, quando invece avevo segretamente deciso di smettere un'attività che ormai non mi appassionava più. Era un piccolissimo passo, ma quella bugia mi aveva liberata da un peso gravoso. Avevo a lungo detestato la maniera con cui mio padre mi imponeva la danza.
Non essere ridicola, Catherine, il teatro è per i buffoni che non concluderanno mai nulla nella vita. Hai bisogno di un'attività che tempri la tua mente e ti insegni a comportarti come una vera donna”.
Sorrisi trionfante e ripensai alla sera di una settimana prima, quando mi ero trovata sola sul ponte che portava fuori dall'asfissiante Holmes Chapel: ero stata a un soffio dal farla davvero finita, avevo trovato il coraggio che per mesi mi era mancato.
A spingermi verso quel gesto così estremo era stato il desiderio di vendetta; volevo farla pagare cara a mio padre, così distratto dalla sua vita, e a mia madre, ormai del tutto disinteressata alla mia crescita. Si odiavano a vicenda, eppure avevano una cosa in comune: la più completa indifferenza per ciò che desideravo io. Avevo creduto che la mia morte sarebbe stata una bella delusione per entrambi, soprattutto per mio padre: si sarebbe pentito atrocemente delle sue assenze e della sua insopportabile severità, si sarebbe consumato nel dolore e nelle notti di pianto e io avrei avuto la mia rivincita.
Scossi il capo per cacciare via quelle riflessioni così feroci.
E poi era spuntato Harry Styles dal nulla, un povero sciocco che aveva tentato ogni carta nella speranza di salvarmi. Forse l'aveva fatto perché io gli piacevo, o forse perché mi aveva presa più seriamente di quanto non avessi fatto io stessa.
Stupido idiota, pensai con rabbia tra me e me.
Se non avesse ficcato il naso nei miei affari, avrei potuto decidere liberamente che cosa fare e non mi sarei ritrovata a dover condividere quello spaventoso segreto con qualcun altro. Nessuno aveva anche solo la minima idea di ciò che provavo, e il fatto che ora qualcuno possedesse un'arma così potente da usare contro di me mi spaventava da morire.
“Ehi, culo d'oro, levati di mezzo!”
Mi riscossi improvvisamente dalle fantasticherie legate al mio tentato suicidio, e mi ritrovai nel bel mezzo della strada. Mi guardai attorno e individuai subito chi aveva parlato: una ragazza era affacciata dal finestrino della sua vecchia macchina bollata, lo sguardo serio puntato su di me e l'aria piuttosto annoiata.
“Come mi hai chiamata, scusa?” strillai, accigliata.
La sconosciuta alzò gli occhi al cielo e diede un colpo di clacson. Sobbalzai, presa alla sprovvista.
“Vuoi toglierti dalla strada? Credo che non farebbe piacere a molti se riducessi il tuo bel faccino in poltiglia sull'asfalto” fece quella.
Mi schivai in direzione del marciapiedi e guardai la ragazza in cagnesco. Non l'avevo mai vista in città, chi diavolo era?
“Molte grazie” borbottò la sconosciuta, accelerando per sparire in fretta da lì.
Che maleducata e strafottente!, ringhiai tra me e me, incredula per ciò a cui avevo appena assistito. Raramente una ragazza si permetteva tanta schiettezza con me, e quasi mai mi sarebbe capitato di sentirmi chiamare culo d'oro. C'era evidentemente qualcosa che non andava: prima venivo minacciata da una mezzacartuccia come Harry Styles, poi mi ritrovavo ridicolizzata da una perfetta sconosciuta...
Chi sarà il prossimo che proverà a prendersi gioco di me?, mi domandai mestamente, proseguendo per la mia strada, diretta verso il nulla.
Non potevo minimamente sospettare che tutto ciò avrebbe avuto un significato, più avanti.



E così i giorni passarono, portando una relativa pace dei sensi. Iniziarono le prime ardue prove scolastiche, mentre i professori continuavano a ripeterci quanto dovessimo prendere seriamente lo studio e il nostro futuro.
Settembre scivolò lentamente, snodandosi tra giornate davvero pesanti e altre banali e noiose. A parte il fidanzamento di Barbara con un amico di Michael, non ci furono sostanziali novità di cui valesse la pena parlare per settimane; in compenso, però, sviluppai un'incalzante avversione per Harry Styles, che presto portò a risvegliare le mie mattinate dal torpore scolastico. Incrociarlo per i corridoi e fargli il verso, oppure farmi beffe di lui davanti a ragazze sconosciute non aveva prezzo. In mancanza di altri svaghi e di nuovi scoop succulenti, dovevo accontentarmi di tormentare una nullità come lui, giusto per ribadire una questione che, comunque, rimaneva aperta: se non avesse tenuto la bocca chiusa, sarei diventata ancora più spietata.
Certo, Harry Styles non aveva davvero fatto nulla per guadagnarsi tanta antipatia, eppure accanirmi contro di lui sembrava un'ottima medicina contro il dolore che sentivo dentro. E poi, in fin dei conti, lui era un vero perdente: non provava mai a difendersi, non faceva nulla per evitare i miei duri colpi. Si lasciava bersagliare, semplicemente. E questo lo rendeva una preda ancora più facile da attaccare.
Ero sicura che presto mi sarei stancata di lui e del suo essere così patetico, ma per il momento niente e nessuno mi avrebbe distolta da quell'unico passatempo.
Era il ventitré settembre, un mercoledì, quando finalmente un pallido sole autunnale tornò a fare capolino tra spessi nuvoloni frastagliati. Camminavo mano nella mano con Michael, guardandomi attorno e ascoltando a stento ciò che lui stava dicendo sulla partita del giorno prima.
“Oh, ecco Barbara!” lo interruppi di colpo, indicando la mia amica stretta in un abbraccio mozzafiato col suo nuovo fidanzato.
Michael rimase con la bocca mezza aperta, infastidito dalla brusca interruzione. Gli avevo spiegato mille volte che quel suo cianciare a proposito del rugby non era di alcun interesse per me, eppure non sembrava capire il concetto.
“Ciao, tesoro!” salutai la mia amica, andandole incontro.
Albert si staccò da lei alla velocità della luce e mi rivolse un sorriso anche troppo caloroso. Ricambiai scrutandolo velocemente da capo a piedi: non ero sorpresa dalla sua reazione, visto che tutti a scuola sapevano quanto lui avesse desiderato fidanzarsi con me, prima di arrendersi e accettare Barbara come ripiego.
“Ehi, ragazzi...” fece la mia amica, il fiato corto come se avesse corso per chilometri e chilometri.
“Vedo che ve la state proprio spassando!” feci presente, incurante del fastidio che la mia osservazione avrebbe potuto suscitare.
Barbara si riassettò la borsa sulle spalle e sorrise nervosamente.
“Già... Noi...”
La zittii con un brusco gesto della mano e dissi: “Barbie, ho bisogno di te e delle altre. Ti andrebbe di accompagnarmi in classe?”
La mia amica aprì la bocca con aria delusa, e io socchiusi gli occhi con aria maligna.
Ora” aggiunsi, calcando per bene la parola.
Barbara sospirò con afflizione e annuì. “Certo che mi va”.
Sorrisi allegramente e guardai Michael.
“Ci vediamo più tardi, tesoro” lo salutai con una vocetta dolce.
Lui sembrò dimenticare ogni interruzione ai suoi discorsi e tirò fuori quel suo solito sguardo innamorato. Mi diede un bacio appassionato proprio di fronte al suo amico e ci salutammo.
Quando io e Barbara fummo abbastanza distanti dai nostri fidanzati, tornai all'uso del mio consueto tono autoritario.
“Allora, sto pensando di organizzare una festa, e questa volta dovrò lasciare il segno” dissi.
Salimmo la scalinata della scuola e Barbara si affrettò ad aprire le porte per me. Varcai la soglia e attesi che mi raggiungesse.
“Tu e le altre dovrete trovare qualcosa che possa rendere la mia festa memorabile” conclusi.
“Qualcosa?” ripeté Barbara.
Le lanciai un'occhiata di fuoco. “Che ti prende? L'amore ti sta rendendo tocca, per caso?”
“È che... non so proprio cosa vuoi dire con...”
Sospirai fingendomi sovrappensiero. “Meno male che non dovrò fare affidamento solo su di te, altrimenti sarei spacciata”.
Quell'ultima frecciatina sembrò andare a segno, perché Barbara mise su un'aria imbronciata e rimase zitta per il resto del tragitto verso la nostra classe. Mentre io canticchiavo un motivetto ascoltato alla radio quella mattina, scorsi una figura familiare appostata poco prima della porta della mia aula: Harry Styles, che era passato dall'essere un completo sconosciuto al diventare una presenza fissa nelle mie giornate, stava parlando concitatamente con un professore che io non conoscevo.
Torturare Barbara non era stato abbastanza, mi aveva lasciato una certa insoddisfazione; forse proseguire l'opera con Harry Styles mi avrebbe alleviato quella fastidiosa sensazione.
Deviai passando di proposito più vicino a lui e al professore ed esclamai: “C'è qualcuno che si dà da fare per ottenere uno straccio di promozione!”
Il risultato fu immediato: Harry si voltò alla velocità della luce e mi guardò con orrore. Il suo professore sembrò scandalizzato dalla mia spavalderia e si tirò più su gli occhiali per osservarmi meglio.
“E lei come si permette di parlare così davanti a un insegnante?” domandò, brusco.
Barbara sembrava sconvolta e ammirata allo stesso tempo. Io alzai le spalle e sorrisi sfacciatamente.
“Pensavo che lei non avrebbe preso sul serio un'innocente battutina come la mia” mi giustificai, parlando di nuovo con tono dolce.
L'uomo scrollò le spalle e salutò Harry Styles, il quale mi puntò addosso uno sguardo severo.
“Che diavolo vuoi?!” sbottò, incapace di trattenersi oltre.
Aggrottai la fronte, accigliata: come si permetteva di rivolgermi la parola con quel tono? E oltretutto di fronte a Barbara!
“Calmati, pulcino” gli intimai con voce dura. “E fai attenzione a come ti comporti con me”.
Harry Styles sembrò sul punto di scoppiare a urlare: si fece rosso in volto e qualche ignaro passante lo additò divertito. Infine, però, si limitò a lanciarmi un'ultima occhiata intrisa d'odio e se ne andò dalla parte opposta, pestando i piedi con rabbia.
Sbuffai con sufficienza e guardai la mia amica, rimasta in silenzio per tutto il tempo.
“Chi è quello scherzo della natura?” domandò, felice di poter spostare la mia attenzione da lei a Harry.
“Un idiota che mi muore dietro” inventai con aria svogliata; dopotutto, per quel che ne sapevo io, poteva anche essere vero. “Quando l'ho scoperto, ho creduto che il mio nome fosse davvero caduto in basso”.
Barbara mi diede qualche leggera pacca sulla spalla, con aria dispiaciuta.
“Capisco, Kate. Fai bene a trattarlo così”.
Certo che faccio bene, stupida oca, pensai trionfante, immaginandomi di nuovo la scena in cui Harry Styles mi aiutava a scendere dal bordo del ponte e mi offriva il suo aiuto.



Il professore di Matematica continuava a muoversi a destra e a sinistra, indicando i numeri scritti con la sua grafia sghemba sulla lavagna sporca. Sentivo la concentrazione affievolirsi sempre di più man mano che la fine della lezione si avvicinava. Segretamente la materia mi piaceva anche, ma andare a letto tardi ogni sera mi rendeva impossibile capire anche solo una parola di ciò che veniva spiegato.
“Ho bisogno di un caffè” borbottai piano a Olivia, la mia vicina di banco.
La mia amica stava scribacchiando qualche numero sul suo quaderno senza nemmeno controllare alla lavagna.
“Non dirlo a me” la sentii sbuffare tra i denti.
Alzai pigramente il braccio, la mano penzolante e gli occhi appesantiti dalla mancanza di sonno. Il professore non mi notò subito; passarono un paio di minuti, durante i quali mi chiesi se lo stesse facendo apposta.
“Professore?” lo chiamai infine, spazientita.
Lui si voltò di scatto e sembrò risvegliarsi da un lungo sogno agitato.
“Sì?”
“Potrei andare in bagno?”
“Non potrebbe aspettare la fine della lezione, signorina Cavendish?”
Roteai gli occhi al cielo e dissi: “Professore, non mi sento molto bene”.
Questo mi squadrò con aria combattuta e infine indicò la porta, distogliendo in fretta lo sguardo da me. Sorrisi all'indirizzo di Olivia e sgattaiolai in fretta verso l'uscita.
Mancavano circa venti minuti alla fine dell'ora di Matematica, avrei potuto prolungare la mia pausa finché la campanella non fosse suonata.
Se papà mi vedesse!, gongolai trionfante tra me e me.
Avevo smesso di partecipare ai corsi di danza classica, saltavo a mio piacimento le lezioni e controllavo la mia vita senza dover renderne conto a nessuno. Mio padre mi avrebbe odiata per tutto ciò, e non c'era soddisfazione maggiore di questa dolce idea.
Passeggiai fino all'ampio atrio dal quale si snodavano i tre diversi corridoi del secondo piano. Vidi una ragazza dai folti capelli ricci affaccendarsi attorno alla bacheca pubblica, dove evidentemente stava incollando qualche annuncio. Mi avvicinai per controllare gli orari del gruppo teatrale della scuola, e allora mi accorsi che l'annuncio della ragazza dai capelli ricci era proprio il volantino che stavo cercando. Attesi che avesse terminato di infilare le puntine nel riquadro di sughero della bacheca, ma quando questa si voltò, la mia attenzione fu catturata dal suo cipiglio scontroso e i suoi occhi chiari.
“Tu!” esclamai come se avessi appena visto apparire un fantasma.
La sconosciuta non sembrò particolarmente turbata dal mio gesto; si limitò a guardarmi con fare indagatore e poi disse: “Quindi?”
“Tu sei la maleducata che qualche giorno fa, per strada, mi ha... chiamata culo d'oro!” sbottai, offesa.
La ragazza alzò le sopracciglia con fare annoiato. “Tutto qua?”
La scrutai con disprezzo. “Non fai più tanto la spiritosa, ora che non sei in quella tua sporca auto”.
La ragazza sospirò, rigirandosi tra le mani i restanti annunci del corso di teatro.
“Senti, bella, se hai intenzione di farmi perdere altro tempo perché le mie parole hanno urtato la tua sensibilità di bambina di cinque anni, ti avverto che non ho alcuna voglia di...”
“Chiedimi scusa” la interruppi con tono autoritario.
Lei strabuzzò gli occhi, incredula. “Non ci penso nemmeno!”
Incrociai le braccia al petto, messa in difficoltà. La scrutai torva, sempre più infastidita dal suo modo di fare.
“Come ti chiami?” domandai, sempre mantenendo il broncio offeso.
La ragazza non rispose subito.
“Che cosa vuoi esattamente da me?” chiese lei di rimando.
“Delle scuse e delle informazioni” replicai.
La sconosciuta ridacchiò e allargò le braccia con aria esasperata.
“Chi sono non è affar tuo, e non vedo di che cosa dovrei scusarmi” rispose calma. “E dimmi: che informazioni ti servono?”
Non potevo credere che quella ragazza fosse così tanto antipatica. Forse mi importunava ancora di più perché era la prima persona a mettersi palesemente contro di me senza preoccuparsene. Mi infastidiva tutto in lei: i vestiti scuri, i grandi occhi chiari, i capelli troppo lunghi e incolti, il cipiglio scontroso...
“Vorrei sapere quando si tengono le prove del gruppo teatrale” dissi, seria.
Lei abbozzò un sorriso arrogante e indicò il foglio appeso alle sue spalle.
“Non sai leggere? L'ho messo lì apposta”.
Chiusi gli occhi, mentre la rabbia s'impossessava nuovamente di me.
“Grazie tante” sibilai.
La ragazza, a quel punto, scoppiò a ridere e allungò una mano.
“Certo che sei davvero suscettibile, eh? Mi chiamo Alex” fece, in attesa che stringessi la sua mano.
Non lo feci, ovviamente; la guardai dall'alto al basso e sbuffai con aria altezzosa. Almeno aveva ceduto alle mie condizioni e si era degnata di dirmi il suo nome.
“Io sono Catherine Alexandra Cavendish” mi presentai.
La vidi annuire. “Lo so, ti conosco. E da quando vorresti partecipare al gruppo teatrale?”
Alzai le spalle. “Non ne discuterò di certo con te”.
Alex sorrise, bonaria.
“Forse non sei aggiornata, Catherine Alexandra Cavendish” disse, sottolineando il mio nome in una terribile imitazione della mia voce. “Sono la figlia del professore che organizza il corso, e di conseguenza è come se io stessa me ne occupassi”.
La guardai con crescente orrore. “Stai scherzando”.
Lei scosse il capo senza smettere di sorridere con impertinenza.
“Ci vediamo il prossimo giovedì pomeriggio alle quattro, dopo le lezioni” concluse Alex, trattenendosi a stento dal ridere. “E non fare tardi”.
La guardai allontanarsi con il resto degli annunci ancora in mano. Non ero più tanto sicura della decisione di iniziare segretamente a frequentare il corso di teatro della Holmes Chapel Comprehensive School.



Passai il resto della giornata a studiare accuratamente i piani per la futura festa a casa mia; nessun dettaglio andava trascurato, volevo che tutti quelli che contavano vi partecipassero e ne parlassero come della festa del secolo. Ma avevo bisogno di qualcosa di grandioso, appunto, e le mie idee al momento scarseggiavano. O meglio, la mia voglia di trovarne di geniali.
Osservai Mary e Olivia scarabocchiare qualcosa sui loro fogli, ancora praticamente intonsi.
“E se chiamassimo qualche cantante famoso come ospite d'onore?” propose la prima, speranzosa.
Sbuffai. “Sarebbe un lavoro troppo difficile e troppo lungo. La festa avrà luogo il primo week end di ottobre, quindi tra poco più di una settimana. Non possiamo perdere tempo in progetti irrealizzabili”.
Mary si affrettò a cancellare le parole scritte poco prima sul proprio foglio.
Passai in rassegna i volti delle mie amiche, uno a uno.
“Qualcun'altra di voi ha un'idea brillante da espormi?” chiesi.
Nessuna delle cinque fiatò, gli occhi fissi nei miei. Io abbassai lo sguardo sui loro fogli e infine, rialzandolo, sorrisi.
“D'accordo. Ne deduco che siete troppo impegnate a pensare ai fatti vostri per concentrarvi su quella che potrebbe essere la festa migliore degli ultimi anni” annunciai, fredda.
Le mie amiche parvero prese alla sprovvista dal mio improvviso cambio di tono e si lanciarono occhiate furtive. Ignorai tutto ciò, perché scaricare la mia frustrazione su di loro mi aiutava a non tenermi tutto dentro.
Sospirai, perdendo tutta la voglia di continuare a parlare.
Mi sentivo terribilmente male senza di quelle cinque esagerate adulatrici, perché era anche grazie a loro se la mia fama era cresciuta in modo spropositato; ma allo stesso tempo non sopportavo di essere usato così palesemente, di essere un giocattolo nelle loro mani. Se avessi perso loro, forse non sarei più sembrata tanto eccezionale. Eppure, la compagnia di Jane, Sarah, Mary, Olivia e Barbara diventava spesso un peso insopportabile.
“Kate” mi chiamò timidamente Jane. “Che ne dici se, al posto di un cantante famoso, ci servissimo di qualcuno della nostra scuola?”
La guardai a lungo, riflettendo sulla sua proposta. Un cantante decente che frequentasse la Holmes Chapel Comprehensive School doveva ancora essere inventato: tutti coloro che si erano esibiti di anno in anno durante le feste di chiusura dei semestri si erano rivelati dei sempliciotti a stento in grado di tenere in mano una chitarra. Sapevo benissimo che, in una cittadina microscopica come Holmes Chapel, non mi sarei potuta aspettare niente di meglio, ma non ero sicura che l'idea di Jane potesse davvero cambiare qualcosa.
“Non conosco nessuno davvero meritevole a scuola” replicai. “Voi?”
Olivia e Barbara scossero il capo quasi contemporaneamente, Jane aprì bocca ma non disse nulla. Sospirai e spostai il foglio sotto il mio naso.
“Be', vorrà dire che avete più o meno una settimana di tempo per scovare un talento musicale che viva nel nostro raggio d'azione e non sia un completo perdente”.




Ringrazio di cuore tutte le lettici che, silenziosamente e non, mi stanno seguendo passo dopo passo.
La storia è ancora agli inizi, e solo in questi capitoli sta prendendo forma ciò che verrà in seguito.
Ancora grazie, e se vorrete farmi sapere cosa pensate della storia, sarò più che felice di leggere critiche positive e negative.
A presto,



Martina


 
   
 
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