Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: FairySweet    19/09/2015    2 recensioni
Non era quello suo padre, non era da quell'uomo che aveva imparato il rispetto, l'onore, l'amore per la guerra. Indossava l'uniforme per proteggere se stessa ma le parole di suo padre avevano lo strano potere di oltrepassare quella barriera così, tutto quello che provava, tutte le incertezze, le debolezze, le paure, tutto era lì, alla luce del sole, perfino quell'amore sofferto che aveva lasciato cicatrici immense nel suo giovane cuore ...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                Tributo di Sangue




Non sentiva più niente, niente rabbia, niente dolore, niente di niente.
Christian si era portato via quella voglia di vivere che era riuscita a riscoprire assieme a lui.
Non poteva andare avanti, non poteva indietreggiare, era bloccata tra due mondi che faticava a riconoscere.
Strinse più forte la fascia in vita cercando di respirare “Oscar?” la voce del padre attirò la sua attenzione, se ne stava in piedi accanto alla porta con la divisa allacciata di tutto punto e negli occhi quell'espressione carica di rabbia che ben conosceva “Ho già dato disposizioni, partirai assieme ai miei uomini tra qualche ora” si avvicinò a lei studiando l'espressione del suo volto “Non ti fa bene restare qui” “Devo farlo” “No, non devi” “Padre ...” “So cosa provi, lo so credimi ma non puoi chiedermi di mettere in pericolo la vita di mia figlia” “Non posso tornare” “Non hai niente da fare qui” le sfiorò il viso sospirando “Ucciderai chiunque oltrepassi quel confine di fuoco? Non te lo restituirà” “Non mi importa” per qualche secondo rivide negli occhi di sua figlia la stessa forza, la stessa determinazione di quando aveva quattordici anni appena e con aria di sfida, sollevava davanti a lui la spada invitandolo a combattere “Ho bisogno solo bisogno di un po' di tempo, ho bisogno del mio silenzio padre. Troverò il mio silenzio” “Combattendo?” c'era dolore in quello sguardo “D'accordo” sussurrò “D'accordo, ma risponderai direttamente a me. Avrai il comando del secondo plotone, non voglio vederti fare sciocchezze da sola sono stato chiaro?” “Si signore” si portò una mano alla fronte ma quella lacrima insolente le scivolò via dagli occhi, sentì le braccia di suo padre stringersi con forza attorno alle spalle, il suo respiro lento e regolare mentre la nascondeva dal dolore, dalla rabbia, dal mondo intero.
Chiuse gli occhi sollevando lentamente le braccia, le strinse con forza attorno a lui perdendosi nel suo calore “Non è un peccato piangere Oscar” “Non ho … non posso ...” “Non puoi piangere? Sei umana, provi sensazioni ed emozioni normali. Hai appena perso qualcuno di importante, è normale sentirsi così” “Lo credete davvero?” “Non è mai difficile per chi muore Oscar, ma chi resta ...” si fermò qualche secondo cercando i suoi occhi “ … è condannato al dolore. Con il tempo diventerà più lieve vedrai, imparerai a convicerci” “Voglio solo dimenticare” “Allora forse, restare qui non è una grande idea” non c'era rabbia nelle sue parole, niente tristezza o paura, non c'era posto per i sentimenti e forse, era proprio quello di cui aveva bisogno.



“Dov'è?” “Signore forse lei dovrebbe ...” “Oh andiamo! Sono rimasto qui quasi un anno. Voglio sapere dov'è il generale!” il soldato guardò il suo compagno cercando in quegli occhi spauriti qualche risposta, Emile sorrise avvicinandosi ai due “Sentite, abbiamo cavalcato come pazzi, siamo soldati anche noi e abbiamo bisogno di vedere il generale Jarjayes, è urgente ragazzo” “Il generale al momento è fuori con il suo plotone” “Fuori?” “Beh ecco … ci sono stati degli scontri stamattina e ha portato il suo plotone nelle prime linee” Emile fissò l'amico “C'è qualcuno con cui possiamo parlare? Qualcuno con un cervello magari?” l'altro tremò leggermente indicandogli la tenda del colonnello.
Ci misero poco più di cinque secondi a corrervi dentro e ancora meno a decifrare la faccia stupita del colonnello De Brice “Signore, perdonatemi per questa mia ...” “Appartieni al mio reggimento soldato?” “No signore, a quello del generale ma sono stato congedato qualche mese fa” “E allora perché sei qui?” domandò guardingo l'altro avvicinandosi a loro “Dovresti essere il più lontano possibile da questo posto, non hai una sposa ad aspettarti?” “Credetemi, in questo momento vorrei essere il più lontano possibile da qui ma ho bisogno di vedere il generale” “In questo momento non può, lui e suo figlio sono in prima linea a ...” “Suo figlio?” mormorò tremante, Emile rafforzò la presa attorno alla sua spalla seguendo con attenzione le parole del colonnello “Lei non … il duca?” vide l'uomo socchiudere gli occhi osservandolo incuriosito “Voi conoscete il duca D'Amien?” “Si signore, so che è d'istanza qui e ...” “Il duca è morto” Emile trasalì mentre Andrè alzava gli occhi al cielo maledicendosi per essere stato così sciocco “Mi dispiace ragazzo, non ho idea del rapporto che intercorresse tra te e il duca ma ormai è solo ricordo” “Com'è … com'è morto?” “Tre pallottole, gli hanno sparato da vigliacchi ed è caduto sotto quei colpi. Era un ottimo colonnello, un ottimo ufficiale e la cosa che fa più rabbia è che la morte sia sopraggiunta per delle dannate infezioni. Lo conoscevo da anni, era una persona meravigliosa e non meritava una cosa del genere” per quanto provasse a seguire il suo discorso, il pensiero era rivolto solo ed esclusivamente a lei.
La conosceva, la conosceva così bene da sapere che non sarebbe mai tornata a casa, non avrebbe lasciato quel posto, non prima di essere riuscita ad elaborare quella perdita massacrante e l'avrebbe fatto nel peggiore dei modi.
“Signor colonnello, so che può sembrarvi folle come richiesta ma vi chiedo di poter parlare con il generale, fatelo tornare indietro” “Non ho il potere di prendere decisioni del genere, è mio superiore, il reggimento appartiene a lui. Ha dato ordini precisi soldato” “Dove sono?” “Non ho l'autorizzazione a rivelarlo. Dovresti saperlo bene ormai” scattò in avanti ma le mani di Emile lo bloccarono in tempo “Io so solo che la donna che amo sta combattendo una guerra che non le appartiene!” “A me non importa del tuo amore, della donna che ami o di chiunque altro non sia un soldato. In questo momento ho uno dei generali migliori del nostro esercito che combatte per tenerci al sicuro e un colonnello delle guardie reali che dimostra di avere una forza e un coraggio superiore a tutti gli altri uomini” si avvicinò ad Andrè colorando lo sguardo di sfida “Perciò, se ora non avete altre sciocche domande con cui importunarmi, siete pregati di uscire da qui!” “Colonnello voi ...” “Vieni Andrè” “No!” “Vuoi stare zitto e seguirmi?” esclamò Emile tirandolo fuori dalla tenda.
“Che diavolo fai!” “Ti salvo la vita idiota! Sai qual'è la punizione per chi aggredisce un superiore?” “Adesso ti predo a cazzotti Emile!” “Sei stato un soldato, lo siamo stati tutti e due, conosci questo campo, sai quanto ci si mette fino alla prima linea” lo sguardo del ragazzo si colorò di forza “Andiamo?” un debolissimo sì gli uscì dalle labbra mentre correva in avanti pregando il cielo di poterla stringere tra le braccia come prima.


Non ricordava niente del genere, forse, restare lontano dalla guerra per mesi aveva cancellato il dolore di quegli attimi o forse era stata lei.
Qualunque cosa fosse, ora si ritrovava catapultato di nuovo in quel mondo fatto di polvere e sangue, di sibili violenti che squarciano l'aria, di trincee ora così vicine a quelle opposte. Poteva scorgere in lontananza l'esercito nemico, poteva sentire le loro voci, gli ordini in qualche lingua sconosciuta che muovevano all'unisono gli uomini.
“D'accordo, ci siamo, dove diavolo è?” esclamò Emile coprendosi il volto per evitare la polvere “Ehi tu!” urlò afferrando per un braccio un ragazzetto spaurito “Sai dirmi dov'è il vostro generale?” non rispose, si limitò solo a sollevare il braccio verso destra.
Gli sguardi seguirono quel semplicissimo movimento fino a quell'uomo a cavallo che osservava la battaglia da una piattaforma di terra rialzata protetta da murate di sabbia e legno forti e spesse.
Era abbastanza lontano per restare al riparo e abbastanza vicino per poter dare ordini spiando le linee nemiche.
Si avvicinarono a lui di qualche passo ascoltando la sua voce forte e profonda “Avanti la terza linea” “Si signore!” esclamò un ufficiale porgendogli una cartina geografica “Molto bene, ordinate al colonnello di muovere sul lato destro” “Ma signore, non credete che sia troppo pericoloso? Siamo scoperti da quel lato e non ci sono altri plotoni in grado di ...” “L'avamposto dista quaranta metri più o meno dal bosco, duecentocinquanta da noi, una bella corsa senza dubbio” mormroò studiando le linee scure sulla carta “Non è provvisto di un gran numero di uomini, direi che data l'ubicazione e la difficoltà nel raggiungerlo venti è il numero che più si avvicina” “Ne siete sicuro signore? Perché molte volte è accaduto l'irreparabile” “Ne sono consapevole capitano, ma se in guerra non si osa come si può pretendere di vincere?” l'altro sorrise ascoltando di nuovo il suo superiore “Quel cumulo di sassi e sabbia è protetto dalla montagna. Se riuscissimo a prenderlo i nostri uomini avranno via libera e potranno usare quella strada per oltrepassare la linea di fuoco ritrovandosi qui” puntò il dito sulla cartina mostrandola all'uomo “Esattamente alle spalle dell'esercito rivale. I sentieri che attraversano il monte sono ben pattugliati dai nostri uomini fino al punto dove il bosco incontra la terra, oltre c'è quel dannato avamposto e la strada continua attraverso gli alberi aggirando questo punto qui” “Signore, avete ragione ma non credo che ...” “Mio figlio prenderà quell'avamposto in pochi minuti capitano! Date ordine!” l'uomo accanto a lui spronò il cavallo correndo via, Andrè strinse più forte i pugni cercando di respirare e poi, senza nessun avvertimento, corse in avanti raggiungendo il generale.
“Che diavolo ci fai tu qui!” “Come pensate di guarirla se la costringete a combattere!” “Non ho richiamato i miei soldati, sei in congedo, torna a casa e restaci!” “Pensate davvero che potrei farlo?” “Devi farlo Andrè! Non posso preoccuparmi anche di te al momento!” quelle parole lo bloccarono per qualche secondo, immobile a riflettere su significato di quella frase, sul suo valore “Signore io ho … ho solo bisogno di vederla, di parlare con lei perché fino ad ora me l'avete impedito e non me ne andrò da qui senza prima averla vista!” “O vai via tu o ti trascino con la forza!” Emile tossicchiò leggermente tirando l'amico indietro “Mi avete messo al suo fianco per proteggerla, non me ne vado signore!” il fischio violento di un cannone invase il silenzio, l'esplosione arrivò quasi subito alzando polvere e pezzi di ferro.
Gli ufficiali si affaccendavano attorno al generale portando messaggi, riferendo ordini ma in mezzo a quell'inferno lui sembrava a proprio agio.
Freddo e altero, con lo sguardo severo di chi conosce già il futuro “Via anche alla seconda linea, che avanzi!” “Si signore” “Signor generale, il messaggero reale ci ha appena comunicato che i vostri reggimenti ci raggiungeranno entro due giorni” “Il generale Bouilé ha autorizzato tutti i miei uomini a muovere sul fronte?” “Si signore” esclamò il soldato “Molto bene, se riusciamo a resistere per qualche giorno ancora, con il cambio fresco di uomini vinceremo facilmente questa piccola scaramuccia. Date ordine di muovere fino alla prima, attenzione ai cannoni, devono arrivare già carichi, aspettate la presa dell'avamposto per fare fuoco e a scontro finito, distribuite doppia razione di viveri agli uomini” “Si signore!” “Vuoi davvero vederla Andrè?” “Cosa?” mormorò confuso da quel cambio improvviso nel tono della sua voce “Segui il rombo dei cannoni” Emile si grattò il mento ideciso sulla domanda da porre ma sentì la mano dell'amico stringersi con forza attorno al suo braccio.
C'era un angelo biondo a pochi metri da loro, quei capelli chiari come il sole non potevano essere confusi con nessun'altra.
Era immobile accanto ai suoi uomini, al riparo dagli urti violenti delle palle di cannone.
Sembrava tranquilla, troppo tranquilla per quell'inferno.
Una statua di ghiaccio con la spada sguainata e la pistola stretta nella mano sinistra, lo sguardo fiero di un combattente e il corpo di una bellissima mortale.
Voleva muoversi, camminare verso di lei, correre ma ogni volta che provava a sollevare una mano o a muovere un passo, la mente rielaborava di nuovo quel comando costringendolo a restare lì, immobile.
La vide annuire leggermente quando un giovane si avvicinò a lei sussurrandole qualcosa poi la spada scattò verso l'alto e la sua voce rimbombò nel vento “Uomini pronti a fare fuoco!” i soldati si buttarono al suolo puntando l'avamposto con i fucili, alle loro spalle una seconda linea e una terza con le armi cariche.
Conosceva bene quella tattica, l'aveva studiata di nascosto assieme a lei, l'aveva studiata tutte le volte che le serviva il tè nella libreria dove suo padre la istruiva sulle strategie di battaglia, sapeva a memoria ogni movimento, ogni figura che avrebbero formato.
Una volta fatto fuoco la seconda linea avrebbe preso il posto della prima e così via dando modo agli uomini di ricaricare velocemente il fucile e di ripartire da capo.
“Fate fuoco all'ordine del generale! Continuate a sparare, non fermatevi fino a quando non mi vedrete in quel buco maledetto!” “Si signore!” la spada si sollevò verso l'alto brillando sotto la luce del fuoco e il suo sguardo cercò istintivamente il padre.
Il generale sorrise sollevando la mano verso il cielo poi di nuovo la voce della ragazza come un tuono nel silenzio “C'è una corsa di duecento metri tra noi e loro, duecento metri per rendere il nostro generale orgoglioso di noi! Per il nostro re! Perché possa distruggere chiunque sia un pericolo per il nostro popolo! Per questa guerra maledetta che ci porta via le persone che amiamo!” i soldati sollevarono le spade verso il cielo rinvigoriti da quelle parole nate per dare speranza.
I fucili puntati fecero fuoco, Oscar corse in avanti seguita da tutti i suoi soldati, rideva, perfino da lì riusciva a vedere quel maledetto sorriso perché di colpo, era tornata l'ufficiale nato per comandare.
“Oh porca … cavolo Andrè, come … come la tiriamo via da lì?” “Non può farlo” sussurrò tremante “Non può ...” ma per quanto provasse a parlare, negli occhi aveva solo quell'immagine massacrante.
Correva assieme ai suoi uomini con la spada stretta nel pugno.
Un metro, un altro ancora, la vide rallentare leggermente mentre la pioggia di proiettili amici si infrangeva sulle barriere costringendo gli avversari a restare con la fronte schiacciata a terra.
Se non avesse smesso di correre forse quel piano folle avrebbe funzionato, sapeva bene che non sarebbe mai tornata indietro, arrendersi voleva dire essere dei vigliacchi, abbandonare il campo con la coda tra le gambe e a questo, avrebbe di certo preferito la morte.
Gli uomini nascosti in quel riparo fecero fuoco e i proiettili schizzavano nell'aria come farfalle impazzite, non avevano una destinazione precisa, niente bersagli ed era questo a terrorizzarlo.
Quei colpi sparati a caso aprivano buchi enormi nella carne, squarciavano divise e cuori ma a lei cosa importava? Continuava a correre urlando, caricando i suoi uomini fino a quella piccola fortezza.
Si mosse velocemente di lato aggirando l'entrata, un soldato con la divisa verde scuro si alzò da terra, probabilmente il comandate di quel piccolo drappello di uomini.
Lo vide sollevare la spada ma lei sorrise schivando il primo fendente e senza remora alcuna, piantò la lama nella gola del poveretto che aveva davanti rigirandola più volte nella carne viva.
Uno dopo l'altro i soldati raggiungevano quel piccolo drappo di speranza seguendo il loro comandante, quel comandante che usava la spada come mai aveva fatto prima.
La lama volava veloce nell'aria recidendo braccia, aprendo ferite, la vide girare velocemente su sé stessa fermando la spada di un soldato con la propria mentre la mano sinistra estraeva la pistola, la piantò sul cuore dell'uomo e senza staccare gli occhi dai suoi fece fuoco.
Il sangue schizzò violentemente sul suo volto costringendola ad indietreggiare di un passo ma quel sorriso era sempre lì.
Inchiodato alle sue labbra, ai suoi occhi, sentiva il suo dolore, perfino da così lontano sentiva quel grido disperato che nasceva dal cuore.
Mascherava ogni cosa per poter dimenticare, per rendere quell'assenza più leggera.
Nel caos che aveva attorno i pensieri sparivano, la rabbia prendeva il posto del dolore, la cattiveria riempiva lo sguardo e la vendetta chiedeva bruciante il proprio compenso.
Era arrabbiata con tutti, con il mondo, con sé stessa, con Christian per essere andato via e non si sarebbe fermata perché aveva trovato un modo per soffocare i pensieri, una via d'uscita atroce e violenta ma pur sempre una via d'uscita.
Uno dopo l'altro gli avversari caddero al suolo lasciando quel piccolo posto sicuro in mano a loro.
Gli occhi attenti del generale seguivano ogni passo della figlia, come un padre attento ai primi passi della sua creatura così lui studiava ogni movimento di Oscar come se fosse la prima volta, come se quello fosse per lei il battesimo del fuoco.
Teneva le redini tese, ogni muscolo pronto a scattare in caso di pericolo ma quando anche l'ultimo soldato cadde, si rilassò di colpo tornando a respirare “Non può … non può farlo” “Andiamo, andiamo a prenderla Andrè” “Non ti muovi da qui!” esclamò gelido piantando gli occhi nei suoi “Non farai un solo passo senza il mio consenso. Mia figlia al momento non ha bisogno di sciocche distrazioni. Quando finiremo di rafforzare l'avamposto la farò rientrare e potrai parlare delle tue sciocche chiacchiere ma fino ad allora ...” si fermò qualche secondo rafforzando la violenza dello sguardo “ … resterai qui e non muoverai un solo passo” “Voi siete pazzo” “Può darsi ma da pazzo riesco comunque a ragionare” strinse leggermente i fianchi del cavallo, l'animal sbuffò leggermente voltandosi dal lato opposto “Che … che facciamo?” domandò confuso Emile seguendo con lo sguardo il generale “Aspettiamo” “Aspettiamo?” “Le do mezz'ora, mezz'ora soltanto dopo di che vado a prenderla con la forza” lo sguardo tornò verso l'orizzonte e verso quel piccolissimo promontorio che le salvava la vita.
  
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