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Autore: wolfata2000    19/09/2015    0 recensioni
Omicidi. Durante le cinque feste in maschera annuali più famose di Londra le famiglie più importanti vengono decimate. É così che i componenti più giovani di queste famiglie incominciano a indagare sulle misteriose morti. Mentre indagano senza trovare alcuna risposta scoprono che i genitori nascondono un segreto che li riguarda. Scopriranno il segreto e questo li porterà a conoscenza del loro destino. Broke , Grayson, Jackson, Kathrine, Silvia e Samuel scopriranno di appartenere ad un'antichissima stirpe di guardiani il cui compito è mantenere l'equilibrio tra il mondo nascosto, che comprende molta varietà di specie soprannaturali e il mondo degli umani. Ma la loro generazione non è destinata solo a mantenere l'equilibrio. No, loro sono la generazione che combatterà una guerra mai combattuta prima.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                     3- Hamilton
IL GIARDINO SEGRETO
Il giorno dopo fummo tutti interrogati dalla polizia. Mi chiesero come trovai il corpo, se sapevo chi erano i nemici di mio padre o se ne avesse. Non conoscevo la vita di mio padre così bene. Insomma, se aveva nemici pronti ad ucciderlo certo non lo avrebbe detto a me. Ci interrogarono in stanze diverse. Mi informarono che la villa della mia famiglia sarebbe stata invasa da indagini e sopralluoghi e che sarebbe stato scomodo viverci in quel periodo. Non importava, io e mia madre eravamo già d'accordo con gli Smith, saremmo rimaste li fino alla fine delle indagini.  La stanza in cui mi interrogarono era grigia e spenta. Non era una delle classiche sale da interrogatorio, era...più accogliente. Invece delle sedie pieghevoli c'erano due poltrone rivestite di una stoffa blu scuro. Pensai che fosse perché ero un membro di una delle famiglie più importanti di Londra. Già, una delle famiglie più importanti di Londra, non avevo ancora pensato che presto i giornali sarebbero stati pieni di articoli sulla nostra festa, ma questa volta con una nota più interessante degli anni passati. Non avremmo avuto scampo, giornalisti, paparazzi, curiosi. Certe volte dimenticavo che quando sei importante e famoso, la tua vita, e la tua morte, diventano di dominio pubblico. Era una delle tante cose della mia vita che non sopportavo. Per fortuna le persone non erano così interessate a me quanto lo erano a Katherine e a Jackson. Potevo dire che nel mio mondo io avevo la cosa più vicina ad una vita normale. I miei problemi non finivano sui giornali, tutto quello che affrontai da quando avevo dodici anni nessuno ne venne mai venuto a conoscenza, e in parte grazie a mio padre.
-" visto che siamo Hamilton si sbrigheranno a risolvere il caso."
Disse mia madre appena fummo uscite dal commissariato.
-"hai idea di chi sia stato?"
Le chiesi.
-"no tesoro. Tuo padre non aveva nemici ne politici ne di affari. Non so proprio chi abbia potuto farci questo."
-"già"
Dissi e poi l'abbracciai.
-" senti, oggi pomeriggio ci sarà il funerale. L'ho organizzato stanotte, non riuscivo a dormire. Inizierà alle sei. Ma non voglio che tu stia chiusa in una stanza al buio prima di all'ora. Va da i tuoi amici, chiuditi in una stanza al buio con Katherine, ma non stare sola."
-"ok mamma, ti voglio bene."
Le diedi un bacio sulla guancia e mi avviai verso Kat che mi aspettava poco distante.
-" ho paura per mia madre. Lei non vuole che stia sola, ma io mi preoccupo per lei."
Le dissi.
-"chiedo a mia mamma se le fa compagnia."
Disse e la ringraziai  rivolgendole un sorriso affettuoso.
Katherine prese il telefono dalla tasca e compose il numero. Mentre parlava vidi in lontananza Samuel. Lui mi assomigliava, insicuro,timido,intelligente, un po' solitario. Era l'unico che capisse davvero cosa si prova a sentirsi soli. Gli andai incontro e lo abbracciai.
-"Hey Sammy."
Lo salutai.
-"non chiamarmi così."
-"ok, Sammy."
Risposi cercando di scherzare.
-"come stai?"
Mi chiese.
-" pensavo peggio. Più che altro é stato vederlo. Vederlo in quel modo. Sembra una cosa crudele ma, non ne sento la mancanza. Probabilmente tra qualche giorno non sarà così. Però non ho voglia di parlare solo di questo."
-" e di cosa?"
-" non so, é che non cambierà niente se ne parliamo o no. Mio padre non tornerà in vita e io non starò meglio."
-"é una cosa da pessimisti, ma non posso darti torto."
Disse, lo avevo messo in difficoltà. Era già tanto che non si fosse messo a balbettare.
-"mio malgrado nessuno può darmi torto."
Risposi. Era quello che volevo, comunque. Era quello che vogliono tutte le persone pessimiste: avere qualcuno che ti da torto. Gli sorrisi malinconica abbassando lo sguardo e fissandomi le converse bianco latte.
-" hey ragazzi, Jack e Grayson stanno uscendo ora. Cosa avete voglia di fare?"
Disse Katherine raggiungendoci correndo sui tacchi alti.
-"sei tu quella divertente."
Dissi sorridendole.
-" ok... Potremmo andare nel giardino segreto. Insomma l'ultima volta che ci siamo stati tutti era quando avevamo otto anni. Ci eravamo fatti una promessa li. Mi sembra un buon momento per tornarci."
Il "giardino segreto" come lo chiamavamo noi era il giardino di una villa abbandonata appena fuori il centro di Londra. Quando eravamo piccoli ci eravamo andati perché avevamo deciso di scappare di casa. Di vivere avventure alla Huckleberry Finn. Li promettemmo che non ci saremmo mai divisi. Che saremmo diventati grandi insieme. Uniti da un giuramento fatto sulla statua di Marte, il Dio greco della guerra. Probabilmente ai vecchi proprietari piacevano le opere classiche.
Non ci tornammo più tutti insieme. Io e Kat qualche volta scappavamo li per nasconderci. Quel posto ce lo aveva fatto conoscere mio padre. Diceva che era il quartier generale di un clan che proteggeva la gente da creature misteriose. Una storia strampalata che a noi bambini piaceva molto.
-"ok, sentiamo gli altri."
Dissi e subito arrivò Jackson che baciò appassionatamente Kat. Dietro di lui arrivò anche Grayson che aveva lo stesso aspetto fresco e rilassato di sempre. Indossava un cappellino di lana grigio che gli schiacciava i capelli neri sulla fronte e un paio di Rey Ban scuri sul naso non ostante non ci fosse il sole. Portava dei Jeans scuri e maglia bianca sovrastata da una felpa nera sganciata che portava con le maniche tirate su fino ai gomiti. Mentre si avvicinava mi sorrise e io distolsi lo sguardo.
-"all'ora, cosa vogliamo fare?"
Chiese sforzandosi di dimostrarsi rilassato.
-"pensavo di fare un pic nic nel giardino segreto, ma dobbiamo andare a comprare da mangiare."
Rispose kat.
-"perfetto, voi andate in macchina, io vi seguo in moto."
Disse Grayson alzando una mano mostrando il mazzo di chiavi.
-"fate strada."
Continuò.
La villa abbandonata non era molto lontana dalla mia. Non ci mettemmo troppo, ma prima di arrivare ci fermammo in un centro commerciale a comprare da mangiare. Avevamo preso tramezzini, frutta, bevande frizzanti e altra roba da pic nic.
Quando arrivammo lì, stendemmo una coperta ai piedi della statua di Marte e disponemmo il cibo su una coperta a quadri rossi e blu.
-"é strano."
Disse Kat.
-"essere tutti insieme, qui. Come una volta."
Continuò.
Nessuno rispose. Io che stavo con una spalla appoggiata alla base della statua passavo il dito tra le incisioni delle nostre iniziali con un po' di nostalgia e tristezza. -se nessuno di noi fosse mai cresciuto...- pensai. Io non sono mai voluta crescere, e ora che non sono più una bambina vorrei che esistesse un modo di tornare indietro nel tempo. Crescere mi fece perdere troppe cose, perfino la felicità. Un eterna Peter Pan.
-"é stato uno sbaglio."
Dissi alzandomi di scatto.
-"non saremmo mai dovuti tornare qui. É patetico."
Continuai.
-"perché Broke?"
Mi chiese Katherine allarmata dal mio scatto d'ira.
-" avevamo giurato. Avevamo fatto un giuramento e nessuno di noi si é preoccupato di mantenerlo. Adesso torniamo qui come se fossimo sempre rimasti insieme, e invece non troviamo nemmeno argomenti di cui parlare perché ormai non ci conosciamo praticamente più. Siamo patetici, patetici e ipocriti."
Dissi tutto d'un fiato. Loro stavano li, mi fissavano senza sapere bene come sentirsi. Presi e me ne andai.
Corsi sul prato e tra gli alberi ormai incolti e raggiunsi quel punto alto del giardino da dove si vedeva la città. Mi sedei ai piedi di un complesso scultoreo rappresentante la dea Artemide e il fratello Apollo. Non sapevo nemmeno io perché avevo fatto quella scena, solo che mi sembrava ingiusto.
                       Whitney
Broke era scappata via e noi eravamo rimasti li come stupidi. Dovevo andare a cercarla.
-"vado da lei."
Dissi e mi alzai di corsa. La cercai per tutto il giardino, poi la trovai. Era seduta ai piedi di una statua che rappresentava due dei greci. Si abbracciava le ginocchia e guardava il sole che illuminava il cielo. Mi sentì, perché si alzò di scatto e si girò verso di me. Aveva gli occhi e le guance rosse.
-" cosa ci fai qui?"
Chiese in modo feroce come se si sentisse in pericolo.
-"credo di sapere perché hai detto quelle cose. Mi dispiace se..."
Iniziai a dire ma lei mi interruppe, fece un passo avanti. Si teneva le braccia al petto come se avesse freddo.
-"che c'é ti senti in colpa? Com'è che da un tratto ti importa di nuovo di me?"
-" Broke ero un ragazzino, ero stupido. Mi dispiace, solo ora ho capito del grande errore che ho fatto."
Dissi ma lei mi interruppe di nuovo.
-" stai zitto. Credi che la mia vita dipenda dalla tua? Credi davvero che abbia passato cinque anni della mia vita a disperarmi per te? Non sono arrabbiata con te perché sei cresciuto Grayson! Non mi importa più niente di te. Mi hai cambiata Grayson, da quando hai smesso di parlarmi non sono più stata la stessa persona. É per questo che ti odio."
Parlavamo e tra noi si trovava il complesso scultoreo. Era strano. Era perfetto per definire quel momento. Non eravamo più come una volta, c'era come un masso di marmo gelido tra noi. Quelle parole mi ferirono come mai niente prima. Mi odiava, non le importava più niente di me. E in un certo senso lo trovavo giusto.
-" mi dispiace."
Riuscii a dire sotto voce.
-" ti é passato almeno una volta per la testa che magari stessi piangendo perché ho trovato mio padre morto in una pozza di sangue e che mi ritrovo circondata da semisconosciuti nel posto dove fu lui a portarci la prima volta e non perché mi hai detto che sono bella? Ci hai pensato almeno un po'?."
Disse e se ne andò. Ed io rimasi fermo come una delle statue di marmo di quel giardino.
     
                     Hamilton
Tornai a casa a piedi. Ci misi circa mezz'ora e, per fortuna non mi seguì nessuno.
Aprii il portone di casa. C'era silenzio. Non che non fossi abituata al silenzio in casa mia. Ma quel giorno mi sembrava più pesante del solito.
-"mamma?"
Gridai, ma senza risposta. Mi avvicinai al tavolino intarsiato vicino alla porta per appoggiarci le chiavi. C'era un biglietto appoggiato scritto con una penna nera.
" Tesoro, sono in commissariato. Alla servitù ho dato un giorno libero. La polizia non verrà prima di martedì.
Ti voglio bene, mamma."
Diceva il biglietto. Ero sola. Non c'era nessuno in quella casa oltre a me. Un enorme villa per una persona. Non mi ero mai sentita tanto sola in vita mia. Presi il biglietto in mano e solo in quel momento mi accorsi che tremavo. Probabilmente per l'adrenalina. Ma non mi sentivo così da molto tempo. Non mi ero mai arrabbiata così tanto con qualcuno, e in un certo senso, mi piaceva quella sensazione. E sarebbe continuata a piacermi fino a quando il senso di colpa non si fosse impossessato di me, come sempre. Ormai evitavo di arrabbiarmi, perché sapevo che le cose che facevo mi avrebbero fatta sentire in colpa. - non c'é cosa più egoista- pensai. -evitare di ferire gli altri solo per paura di soffrire sentendosi in colpa- sono una fifona egoista- .
Arretrai, fino a raggiungere la porta sulla quale sbattei la spina dorsale. L'impatto mi provocò una fitta alla schiena che mi fece uscire un gridolino di dolore. Scivolai giù, fino a terra e mi sedetti stringendo le ginocchia al petto. Buttai la testa all'indietro e il mondò cominciò a girare, così chiusi gli occhi e una grossa lacrima salata mi uscì da un occhio e mi scivolò sul viso fin sotto il mento e poi sul collo. La sentivo scendere e solleticarmi la pelle. Mi arrivò fino alle clavicole, poi si fermò. Dopo un po' ne uscì un altra,e poi un altra fino a quando il mio viso divenne umido e il mio naso rosso. -é solo un calo di tensione- mi ripetevo - é normale,dopo tutto quello che ho passato-. Ma il problema era che non era per la morte di mio padre che piangevo. Era stato troppo doloroso trovarlo, morto su il pavimento di quella stanza, immerso nel sangue. Troppo doloroso. Da quel momento capii che alcuni sentimenti possono essere controllati: la rabbia che ormai controllavo da tempo, l'amore quando non é felicità e il dolore. Altre come la gioia e la paura non si possono manipolare, loro manipolano te. Così smisi di provare dolore. Smisi di stare male per la morte delle persone. Dicono che col tempo il dolore passi, ma é una cavolata, perché più tempo passa, più le persone ti mancano e io avevo paura che mio padre mi mancasse. Così, siccome la paura non la posso fermare, ho fermato il dolore. Ma quella volta piangevo perché ero turbata e perché le persone sembravano talmente tanto ipocrite con me. Piangevo perché volevo soffrire ma non ci riuscivo, perché avevo scelto di non farlo più. Piangevo perché volevo sentirmi forte. Non mi importava di esserlo davvero, mi bastava di sentirmi tale. Solo per un po'. Volevo solo sentirmi come non mi sentivo da tempo, e fu Grayson a farmi desiderare ciò. Volevo sentirmi come mi sentivo quando ero piccola e mi avventuravo insieme a lui. Ma lo odiavo perché mi aveva tolto il coraggio. - stupida, egoista, orgogliosa,fifona ragazzina che non sei altro- mi dissi nella mente .
- pensa ad uno schermo bianco- fu la frase che mi venne in mente - smetti di pensare e immaginati a guardare uno schermo completamente bianco- di solito funzionava. Lo usavo per addormentarmi ogni notte, per far sparire i pensieri, per azzerare e resettare il cervello. Mio padre mi diceva che sentivo tutto e troppo intensamente, che pensavo ad una velocità quattro volte superiore alla media e che mi bastava un minuto per creare un mondo nuovo. Ma non perché fossi particolarmente intelligente, solo perché ogni cosa, ogni singola parte di un minuscolo e insignificante oggetto, per me, era un universo.
Il trucco dello schermo bianco però quella volta non funzionò e i pensieri continuavano a tornare al momento in cui avevo perso il controllo, il momento in cui avevo buttato addosso a Grayson tutti i problemi di questi ultimi giorni. Non se lo meritava, non pensavo davvero quello che gli ho detto, e non era per la morte di mio padre che piangevo. Era incredibile come anche da arrabbiata io non riuscissi a esprimere con sincerità i miei sentimenti. Dovevo chiedergli scusa, se mai avesse accettato le mie scuse saremmo anche potuti tornare amici. Non come un tempo, ma magari lentamente ci saremmo arrivati. Mi mancava e doveva saperlo. Doveva sapere che lo odiavo solo perché avevo bisogno di lui.
   
 
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