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Autore: ReaRyuugu    20/09/2015    2 recensioni
Shougo Haizaki non ci ha messo molto ad imparare che il contesto in cui vive lo vede principalmente come un fastidioso parassita. Quando una certa notizia scuote la sua monotona quotidianità, però, pur di andare contro ai soliti giudizi, persino smentire l'immagine che ha sempre dato di sé diventa una sfida a cui un po' infantilmente non riesce a sottrarsi.
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{Post-serie principale, focalizzata quasi interamente su Haizaki ma avviso subito che ci saranno poi elementi HaiKise. Il rating potrebbe cambiare.}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ryouta Kise, Shogo Haizaki
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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» 3. Re-evaluate your expectations

 

 

Cristo, che diavolo aveva da fissarlo a quella maniera?

Assottigliò le palpebre sullo sguardo di freddo metallo, disturbato dall’espressione sconvolta dello scemo che si trovava davanti. Ebbene, l’aveva scoperto! Che disdetta! Che tragedia!

Fece schioccare, scocciato, la lingua sul palato, lasciando cadere il mozzicone della sigaretta a terra e schiacciandolo rabbiosamente con il piede.

- Vuoi un applauso? - commentò, secco, imponendosi ostile su di lui. Persino minacciarlo lo faceva incazzare: generalmente non era raro che ad attaccare briga con lui fosse gente che per qualche motivo sottovalutava la sua altezza e il suo fisico, ma con Kise era praticamente alla pari. Lo fissò dritto negli occhi, adesso perfettamente allineati ai propri, non temendo di invadere i limiti del suo spazio vitale.

- Adesso che hai vinto quest’allegra scommessa con te stesso, ti dispiace levarti dal cazzo? - proseguì, soffiando tra i denti stretti.

- Perché? La mia presenza ti disturba? Sto forse interrompendo qualcosa? - oh, se si vedeva quanto poco riusciva ad intimorirlo. Ryouta era insopportabile e pure un cretino, e forse proprio per questo di timore, nei suoi confronti, proprio pareva non averne. Che palle, pensò; la tentazione di alzare le mani era più forte di quanto lo fosse mai stato nei precedenti giorni, ma sapeva che anche solo tenere un tono di voce del genere con lui poteva equivalere ad un pesante rischio per la sua nascente e affatto lusinghiera carriera di facchino tuttofare.

- Sì, mi stai disturbando durante il mio orario di lavoro. -

- Ah? - sul suo viso si dipinse un sogghigno leggero, a metà tra l’incredulo e il beffardo. Cosa avrebbero detto tutte le sue amate fan, vedendolo con un’espressione tanto stridente con quella del Kise Ryouta che conoscevano loro? Almeno lui era coerente con il proprio essere feccia; quello, invece, non era neanche la metà del bravo ragazzo che ostentava di essere.

- Sentirti associato alla parola lavoro mi sembra un po’ paradossale. Non è una coincidenza un po’ strana che tu sia proprio qui? -

- Oi, credi seriamente che io ce l’abbia con te per qualche motivo? – lo interruppe, prima di qualsiasi altro giro di parole, saltando alle più ovvie conclusioni. Beh, in realtà non avrebbe avuto torto: di motivi per cui poteva avercela con lui ce n’erano, e nemmeno pochi. Ma nessuno di quelli era la causa per cui si trovava lì, e non poteva credere che la sua mente avesse concepito anche solo lontanamente un’ipotesi del genere.

- Non pensi di star sopravvalutando la considerazione che ho di te? Non sei così importante, Ryouta. E fidati che preferirei anche io che questa coincidenza non esistesse. -

Il modello lo squadrò dall’alto in basso, una mano in tasca e l’altra ancora stretta intorno alla bibita fresca che, piuttosto palesemente, non sembrava più tanto intenzionato a consegnargli. La tensione, o meglio il nervosismo, per Shougo stava iniziando a diventare insopportabile.

Non solo doveva spaccarsi la schiena, doveva pure farsi giudicare a quel modo da quella mezzasega?

Certo, poteva capire che fosse strano coniugare il suo nome e l’idea di un onesto impiego; e forse forse poteva anche capire che qualcuno dubitasse delle sue rare ‘buone’ intenzioni. Ma non accettava quelle occhiate di disprezzo, e soprattutto quell’atteggiamento di velata ma papabile superiorità che gli stava adesso rivolgendo. I soldi erano una necessità di chiunque, ma non è che tutti erano così fortunati da poterne guadagnare facendo l’imbecille davanti a una telecamera!

Era per questo che, tanto, finiva per demotivarsi subito nonappena cercava di fare qualcosa che non fosse niente di strettamente deviante. C’erano sempre teste di cazzo del genere a dubitare che per una volta si stesse comportando da persona normale, e per quanto fosse consapevole che quello stigmate se lo fosse impresso da solo, allo stesso tempo stava solo cercando di essere preso sul serio.

Ma non poteva cadere nella tentazione delle solite abitudini, non anche quella volta. Le mani sprofondarono nelle tasche per impedirgli qualsiasi gesto inopportuno, e inspirando ed espirando profondamente cercò di mettere insieme quella poca calma che gli era rimasta.

- Chiedi a chi ti pare, là dentro, oppure se preferisci anche al mio superiore, che tra cinque minuti torna. - borbottò - Ti sembrerà strano, ma te lo confermeranno tutti. Sono un cazzo di onesto cittadino, ora, contento? -

- Hm. - no, evidentemente non era contento. Perché non gli aveva ancora strappato la testa dal collo? Gusto, perché altrimenti si sarebbe visto strappare il contratto davanti agli occhi - E com’è che ad un tratto hai deciso di fare “l’onesto”? -

- Per i soldi, Ryouta. Il mondo gira intorno ai soldi. -

- E a cosa ti servono, così all’improvviso? -

- Cristo, ma cosa sei, mia madre?! - no, nemmeno sua madre gli faceva tutte quelle domande, figurarsi. Rise, incredulo, passandosi una mano sul viso - Se lo chiedessi io a te mi risponderesti? No, certo che no, cazzo! Non ho sinceramente voglia di stare a discuterne qui e ora, voglio solo fare il mio dovere. Possiamo, per favore, tenere qualsiasi questione da parte e ignorarci? Tu non rompi le palle a me e io non le rompo a te. -

Sapeva che, nonostante tutto, Kise ancora non era convinto, ma lo ringraziò interiormente per non aver cercato di calcare oltre la mano. Piuttosto, lo vide lanciargli l’ennesima occhiata ambigua, mentre arrendendosi si stringeva nelle spalle.

- Non c’è quasi bisogno che lo dica: non mi fido di te, Shougo. - gli disse freddamente, avviandosi di nuovo verso la porta - Ti terrò d’occhio. -

- Allora magari facciamo un test oculistico veloce veloce, eh? - ringhiò, alzando il dito medio - Quanti sono questi? -

Nessuna risposta, grazie al cielo: Ryouta roteò gli occhi al cielo, e l’attimo dopo era già sparito dentro l’edificio. Finalmente.

- E vaffanculo… - si lasciò finalmente sfuggire, massaggiandosi le tempie. Almeno, sperava, avere a che fare con lui sarebbe dovuta essere solo un’occasione sporadica.

- Ce l’hai con me? -

Sobbalzò, Shougo, voltandosi di scatto. il signor Ishihara si era come rimaterializzato davanti ai suoi occhi, lo sguardo disinteressato e la schiena contro la porterà del furgone.

- No, no, certo che no! - si affrettò a replicare, agitando le mani. Da quanto diavolo era lì, quanto aveva visto?! E soprattutto, perché non si era accorto del suo ritorno? Aveva già avuto a che fare con persone del genere, dalla presenza così sottile da essere quasi impalpabile, e non poteva dire che avesse una particolare simpatia per questa spaventosa caratteristica.

L’uomo sollevò le sopracciglia sullo sguardo annoiato, come intuendo una parte dei pensieri di Haizaki. Scrollò le spalle, noncurante.

- Non sono affari miei, ma se hai litigato con quello vedi di chiarire le cose alla svelta. - borbottò - È il cocco dello studio, ti prenderanno in antipatia se si venisse a sapere. -

- Ma figurati se c’ho litigato, è stato lui a venire da me… - mugugnò, quasi remissivo. Per una volta che era quasi nel giusto, cazzo! - … era un mio compagno delle medie, un cretino. -

- E come mai l’ostilità? -

- Perché gli ho fregato la ragazza. - pausa. - … e perché per colpa sua sono stato cacciato dalla squadra. -

Omise sapientemente tutte le vicende legate a quella Winter Cup che li vide schierati uno contro all’altro, a come l’avesse volontariamente infortunato e come, dopo la partita, l’avesse aspettato con l’intenzione di mettergli le mani addosso — ma non erano cose che, in quel momento, valeva la pena raccontare. L’aveva detto, non gli interessava minimamente di Ryouta in quel momento della sua esistenza! Voleva solo lavorare in pace!

Ishihara gli tirò una lunga e pensosa occhiata, come valutando se lasciarsi persuadere o meno da quelle parole. Ecco, ci mancava anche che un simile confronto lo facesse pure licenziare! Il più giovane lo vide sospirare, per poi accendersi l’ennesima sigaretta.

- Haizaki. - lo richiamò, semplicemente, senza neppure guardarlo in faccia - Mi garantisci che non sei qua per menare le mani? -

- Andiamo, potrei farlo quando mi pare e senza dover indossare una salopette arancione e spaccarmi la schiena a smontare scatoloni! - gracchiò, annoiato - Voglio solo lavorare senza rotture, chissenefrega di quello là?! -

Altro sospiro, altra scrollata di spalle. Era come se quell’uomo avesse giusto giusto due o tre movimenti di base, e che li alternasse a seconda della necessità, rendendo però del tutto impossibile leggere con precisione cosa stesse per dire. Per Shougo, ormai, stargli attorno era come stare perennemente in bilico sul filo del rasoio.

- Sicuramente mi fido più di te, che ormai ti conosco, che di quello lì. - concluse l’altro, tranquillo. Haizaki si sentì come liberare da un macigno, e una soddisfazione di fondo gli incurvò le labbra nel più stupido dei sorrisi. “Mi fido di te” — non era neanche sicuro che qualcuno gli avesse mai davvero rivolto quelle parole; e finalmente, dopo tanta gente che gli dava contro a prescindere, qualcuno che gli dava un po’ di credito era come una boccata d’aria fresca.

 - Oi, non farmene pentire, eh. -

- Ah- c-certo che no, capo! -

 

 

- Sono a casa… -

Alla fine, quella giornata si era conclusa senza troppi fastidiosi intoppi. Kise, grazie al cielo, non era più venuto a scassare le balle, e dopo aver deciso di rimanere ad aspettare fuori per tutto il tempo, quando era rientrato a recuperare gli allestimenti non aveva incontrato nessuno a cui quello stronzetto avrebbe potuto aver raccontato perché fosse di così cattivo umore. Ennesimo appunto mentale: preferibilmente, decise, da lì in poi in quello studio ci sarebbe entrato solo se strettamente necessario e per il minor tempo possibile.

Si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, non aspettandosi che qualcuno rispondesse davvero a quel saluto. Fuori casa la macchina di Shinya non c’era, e visto l’orario era più che probabile che quella casa fosse completamente vuota.

Fu per questo che, una volta messo piede nella sala principale, per poco non si prese un accidente quando vide una donna riversa sul tavolo. Cazzo, sembrava quasi morta!

- Ma’? - si inginocchiò accanto a lei, leggermente preoccupato, avvicinando una mano al suo viso. Ovviamente, respirava ancora: quella era solo crollata come una deficiente, tra l’altro proprio mentre finiva di truccarsi. Dunque avrebbe lavorato pure quella sera? Shougo appoggiò il mento ad una mano, scrutandola in silenzio senza ancora svegliarla.

Non gliel’aveva mai detto, fermamente convinto che farsi i cazzi propri in certi casi fosse la cosa migliore — ma non aveva dubbi che, in fondo, tutto questo bisogno di truccarsi così tanto ogni volta non ne aveva. Sua madre era davvero una bella donna, dai tratti eternamente giovanili e un fisico innegabilmente attraente, e poteva ben capire perché dopo tanti anni di servizio, ancora, la sua agenda fosse sempre così piena. Inarcò le sopracciglia, facendo sporgere il labbro superiore nella manifestazione più ovvia e inconscia di un’abitudine che aveva ‘rubato’ a qualcuno diverso tempo fa: per lui era normale parlare di sua madre in quei termini, ormai abituato a considerare come niente di così scandaloso il lavoro che si era scelta; a volte, però, non poteva fare a meno di fermarsi a riflettere che per il resto del mondo quella era solo una donnaccia debosciata.

Come avrebbe reagito, però, se si fosse trovato davanti agli occhi qualcuno intento ad apostrofarla così? Ne pensava di tutti i colori su di lei, soprattutto soffermandosi sul suo umore instabile e sulla sua lancinante incapacità di prendersi responsabilità, ma a differenza di quanto palesava Shinya lui, sua madre, non l’aveva mai odiata davvero. La considerazione che aveva nei suoi confronti non era delle più alte, certo, e forse non la considerava neanche esattamente una genitrice; complici quei relativamente pochi anni di differenza che correvano tra di loro e la sua età mentale da eterna diciassettenne, forse la sentiva quasi più affine ad una specie di sorella maggiore, risparmiandogli così anche una marea di seghe mentali sul come non avesse mai avuto dei “genitori presenti e amorevoli” e cazzate simili. Era sempre stato molto più facile, per lui, accettare le sue lacune e comportarsi di conseguenza, mantenendo contemporaneamente intatto quel legame un po’ insolito che probabilmente l’avrebbe portato a saltare al collo di chiunque avrebbe provato a dire qualcosa su di lei (o almeno, al di fuori di quella famiglia).

A tal proposito, un moto di sottile inquietudine gli sorse nel mezzo del petto, e una smorfia spontanea si dipinse sul suo viso. Fino a quel momento non gliel’aveva ancora chiesto, ma come avevano reagito i suoi clienti alla notizia? Perché-… doveva per forza dirglielo, no?

Controllò l’ora sullo schermo del cellulare, appurando l’orario e concludendo che, forse, era il caso di riportarla in questa dimensione della realtà. Allungò una mano verso di lei, scrollandola appena, e quelle palpebre truccate solo per metà si aprirono poco dopo.

La donna si guardò intorno spaesata, sussultando appena prima di mettere correttamente a fuoco la figura del ragazzo accanto a sé.

- Shougo… sei già a casa? - mugugnò, portandosi le mani agli occhi per stropicciarseli ed emettere un urletto stridulo un attimo dopo.

- Oh no, il trucco per stasera! - si lagnò, lamentosa, alzandosi di scatto e correndo chissà dove. Ecco, anche per questo Shougo faceva fin troppo fatica a starle dietro: non capiva mai cosa le passasse per la testa, quali sarebbero state le sue reazioni e cosa figurasse in cima alla lista delle sue priorità.

Sospirò, seccato, aspettando di vederla concludere tutte quelle accortezze a lui incomprensibili, e lanciando uno sguardo sul tavolo pieno di trucchi sparsi in giro adocchiò una busta che tirò su senza troppe domande. Al suo interno, quasi con disappunto, tutto ciò che trovò furono un paio di foglietti neri con macchie più chiare del tutto incomprensibili. Che era quella merda?

- Che è ‘sta roba? - domandò senza grazia, non appena la madre tornò a sedere al tavolo per sistemarsi il trucco. Ella sorrise brevemente, gli occhi fissi sullo specchietto portatile mentre si impiastricciava gli occhi di colori che Haizaki non credeva potessero davvero stare bene in faccia a una persona.

- È il tuo fratellino, Shougo. Sono andata a fare la prima ecografia, oggi, non te l’avevo detto? Mi hanno confermato che sono di otto settimane. - replicò, con gentile naturalezza. L’altro si pentì di ogni pensiero avuto nell’arco degli ultimi dieci secondi, tornando con le pupille incollate a quelle foto identiche ma per lui completamente incomprensibili. Quella— macchietta grigia ed informe dentro quella macchia nera era suo fratello? Come si faceva a capire?

La donna parve accorgersi del suo dubbio, ridacchiando divertita e prendendogliele di mano.

- Vedi? Qua c’è la testolina. - cinguettò, iniziando ad indicare forme che Shougo si sforzava, davvero, a cercare di comprendere, ma era tutto talmente arduo che si domandò se per caso la donna non si stesse inventando tutto - Mentre qua c’è l’abbozzo delle gambe e delle braccia, e… -

- Ed è tutto lì? Nella-… tua pancia? -

Ella rise, e Haizaki si sentì avvampare. Non è che lo stava prendendo per il culo per una domanda simile, vero?! C’era qualcosa di sbagliato ad essere curiosi, una volta nella vita?

La vide appiattirsi la maglietta sul ventre, ma contrariandosi per l’ennesima volta in quella serata Shougo non vide praticamente nulla. Nessun palese rigonfiamento, niente che potesse lasciargli presupporre che là dentro potesse davvero esserci qualcosa. Di nuovo, la donna gli rise praticamente in faccia.

- Forse in effetti non si nota, ma io sto già iniziando a faticare a chiudere il bottone dei miei pantaloni attillati preferiti! - commentò, con quell’indiscutibile ingenuità che caratterizzava ogni sua frase -… però è un bravo bimbo. Per adesso sta crescendo bene, e non mi ha fatto svegliare con la bocca piena di vomito neanche una volta! -

- Non c’è bisogno di essere così espliciti, mamma, cazzo! - si lamentò immediatamente Haizaki, provocando in lei l’ennesima risata. Almeno uno dei due era contento, ma che schifo…

Cercò di tenere lontano ogni pensiero su nausee mattutine (si chiamavano così?) e quant’altro, recuperando il motivo iniziale per cui aveva cercato di iniziare quella conversazione. Riprese in mano quelle immagini indecifrabili, dunque, scrutando oltre a esse la donna che con noncuranza era tornata a truccarsi.

- … ma’. -

- Sì? Dimmi. -

- I tuoi clienti, uhm… lo sanno? Come l’hanno presa? -

Non seppe neanche perché era così teso mentre poneva quella domanda, scivolando così tanto fuori dal proprio usuale personaggio da non riconoscersi. Che poi, perché si preoccupava tanto? Quell’altra non aveva smesso di sorridere come una scema neppure per un secondo!

- Oh, i regolari li ho avvisati praticamente tutti, ormai! - esclamò infatti, per nulla turbata - … anche se alcuni preferiscono aspettare che io entri nel periodo più stabile prima di rivederci. Non mi aspettavo niente di diverso, d’altronde molti li conosco già da quando aspettavo te, Shougo… - sorrise, quasi nostalgica - … mi hanno fatto tutti i complimenti, comunque. E molti si sono offerti di aiutarmi, per qualsiasi necessità io possa avere. -

Fu in quel momento che, al moto di preoccupazione che gli aveva annodato lo stomaco fino a quel momento, si sovrappose preponderantemente un’intensa sensazione di rabbia. Certo, sapeva bene quale fosse il loro atteggiamento nei confronti di sua madre, tutti presi a coccolarla e viziarla come fosse una bambola; ma quando si trattava di assumersi vere responsabilità?

- Scommetto che nessuno si è offerto di provare il test del DNA o queste stronzate qua. - borbottò, volgendo lo sguardo altrove. Ciò che raggiunse le sue orecchie non fu più una risata, ma un palese sospiro.

- E perché dovrebbero? - si sentì rispondere, con una voce gentile ma impregnata di rassegnazione - … sono tutti uomini ricchi, sposati, e alcuni con figli più grandi persino di Shinya. Che interesse ci sarebbe, per loro, riconoscere un figlio al di fuori dal loro santissimo matrimonio? -

- Ok, ma non è giusto. -

- Volente o nolente sono in quest’ambiente da vent’anni, Shougo, e anche prima credo di non aver mai incontrato un uomo ‘giusto’. - quella frase carica di fredda e spietata lucidità lo riscosse, non aspettandosi di sentirla uscire da una bocca che di solito sparava solo frivolezze. Era raro sentirla parlare in quel modo — e proprio in quei momenti, Shougo capiva che sua madre non era l’oca superficiale che tante volte ostentava di essere, forse solo per appagare quei compagni che erano rimasti infatuati di lei per così tanto tempo ma che avevano sempre preferito considerarla solo come un eccitante, segreto divertimento.

Doveva aver fatto una faccia davvero idiota, perché poco dopo si sentì tirare fastidiosamente una guancia. Aggrottò le sopracciglia, ma prima di ogni protesta fu di nuovo lei a prendere la parola.

- Però almeno Shinya sembrerebbe starsi impegnando a dimostrarmi il contrario, anche se ultimamente è sempre terribilmente nervoso - stavolta, la sua voce era tornata allegra e tranquilla - … e anche tu sei sulla buona strada, me lo sento. -

Fermi tutti, l’aveva appena definito un uomo giusto? Haizaki sgranò gli occhi, ogni risposta sfottente che gli scivolò via dalla bocca senza nemmeno una possibilità di essere sfruttata. Prima il capo che aveva deciso di fidarsi di lui, poi sua madre che gli diceva una cosa del genere? iniziò a domandarsi se per caso non stesse vivendo una delle tipiche giornate di Haizaki Shougo, ma che quella mattina si fosse svegliato nel corpo di qualcun altro.

Un altro buffetto, stavolta all’altra guancia, lo riportò coi piedi per terra. La donna si era alzata, sistemandosi i vestiti addosso e recuperando i propri trucchi e quasi tutte le ecografie sparse in giro per il tavolo.

- Adesso devo andare, se hai fame ti ho lasciato la cena da scaldare nel frigo. Vedi di lasciare qualcosa per tuo fratello, che stasera torna tardi! - gli sorrise, serena - E non stare tutta la sera al pc, che domani hai scuola. -

- In diciassett’anni me le fai ora queste raccomandazioni, ma’? - borbottò, ma senza davvero protestare. Udì vagamente il suo saluto divertito e la porta che si chiudeva, e solo allora si rese conto che sulla tavola era rimasta un’ultima copia dell’ecografia.

Stava quasi per alzarsi e rincorrerla per restituirgliela, quando l’attenzione gli cadde su una scritta veloce lasciata sul retro dell’immagine stampata.

 

x Shougo

 

Sbatté le palpebre, colto un po’ di sorpresa. Aveva fatto una copia specifica solo per lui? Quasi sicuramente ne aveva fatta una per Shinya, pure, e magari anche per tutti i suoi clienti più fidati, ma per un motivo o per l’altro quella singola accortezza lo fece sentire parte di qualcosa di speciale — senza contare il sottile pentimento che, per qualche motivo, provava per non essere stato lì nel momento in cui quelle immagini venivano catturate per la prima volta. Che poi, perché così all’improvviso gli importava così tanto di quel fagiolo?

 

… anche se, magari, alla visita successiva avrebbe potuto pure pensare di accompagnarla.

 

 

 

 

Salve! Dovrei smetterla di sproloquiare dopo i capitoli, argh.
Questo è uno dei miei capitoli preferiti fino ad ora, principalmente per questa misteriosa sensazione d’affetto che ho sviluppato nei confronti della madre di Haizaki. Fino ad ora è stata un po’ una svampita squilibrata con la testa tra le nuvole, ma la verità è che non ho mai avuto l’intenzione di dipingere un personaggio del tutto monodimensionale – e nella seconda metà di questo capitolo ho cercato di evidenziarlo al massimo.

In generale, non è l’unico pg che appare in questo capitolo di cui ho mostrato “l’altra faccia della medaglia”. Kise, ad esempio – ricordo vividamente una dichiarazione di Fujimaki e di come, secondo la sua concezione, il nostro biondino adorato non fosse un personaggio buono per natura, ma un soggetto sprezzante e disinteressato, intenzionato a comportarsi ‘da bravo’ solo davanti alle persone che gli interessano. Cercherò di ricalcare il più possibile questa visuale, non incattivendolo eccessivamente ma di sicuro neppure rendendolo immediatamente disposto al perdono!

Btw, alla fine ho deciso di non mettere l’avvertimento OOC, ma forse dovrei mettere quello di ‘tematiche delicate’. Nella testa di Shougo, la condizone della sua famiglia è affrontata con leggerezza ma solo perché ormai ne è pienamente abituato, ma è chiaro che il tutto sia definitivamente fuori dalle righe.

Ancora, vi ringrazio per le letture e i seguiti che mi sono arrivati; al solito, qualsiasi commento è sempre più che ben accetto!

 

… e da qui in poi spero di pubblicare regolarmente, perché questo era l’ultimo capitolo che avevo pronto già scritto già da prima di pubblicare la storia. Se non altro i successivi sono in via di stesura!

   
 
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