» 3. Re-evaluate
your expectations
Cristo, che diavolo aveva
da fissarlo a quella maniera?
Assottigliò le palpebre
sullo sguardo di freddo metallo, disturbato dall’espressione sconvolta dello
scemo che si trovava davanti. Ebbene, l’aveva scoperto! Che disdetta! Che
tragedia!
Fece schioccare, scocciato,
la lingua sul palato, lasciando cadere il mozzicone della sigaretta a terra e
schiacciandolo rabbiosamente con il piede.
- Vuoi un applauso? -
commentò, secco, imponendosi ostile su di lui. Persino minacciarlo lo faceva
incazzare: generalmente non era raro che ad attaccare briga con lui fosse gente
che per qualche motivo sottovalutava la sua altezza e il suo fisico, ma con Kise era praticamente alla pari. Lo fissò dritto negli occhi, adesso perfettamente allineati
ai propri, non temendo di invadere i limiti del suo spazio vitale.
- Adesso che hai vinto
quest’allegra scommessa con te stesso, ti dispiace levarti dal cazzo? -
proseguì, soffiando tra i denti stretti.
- Perché? La mia presenza
ti disturba? Sto forse interrompendo qualcosa? - oh, se si vedeva quanto poco
riusciva ad intimorirlo. Ryouta
era insopportabile e pure un cretino, e forse proprio per questo di timore, nei
suoi confronti, proprio pareva non averne. Che palle, pensò; la
tentazione di alzare le mani era più forte di quanto lo fosse mai stato nei
precedenti giorni, ma sapeva che anche solo tenere un tono di voce del genere
con lui poteva equivalere ad un pesante rischio per la
sua nascente e affatto lusinghiera carriera di facchino tuttofare.
- Sì, mi stai disturbando
durante il mio orario di lavoro. -
- Ah? - sul suo viso si
dipinse un sogghigno leggero, a metà tra l’incredulo e il beffardo. Cosa avrebbero detto tutte le sue amate fan, vedendolo con
un’espressione tanto stridente con quella del Kise Ryouta che conoscevano loro? Almeno lui era coerente con il
proprio essere feccia; quello, invece,
non era neanche la metà del bravo ragazzo che ostentava di essere.
- Sentirti associato alla
parola lavoro
mi sembra un po’ paradossale. Non è una coincidenza un po’ strana che tu sia proprio qui? -
- Oi, credi seriamente che
io ce l’abbia con te per qualche motivo? – lo
interruppe, prima di qualsiasi altro giro di parole, saltando alle più ovvie
conclusioni. Beh, in realtà non avrebbe avuto torto: di motivi per cui poteva
avercela con lui ce n’erano, e nemmeno pochi. Ma nessuno di quelli era la causa per cui si trovava lì, e
non poteva credere che la sua mente avesse concepito anche solo lontanamente
un’ipotesi del genere.
- Non pensi di star
sopravvalutando la considerazione che ho di te? Non sei così importante, Ryouta. E fidati che preferirei anche io
che questa coincidenza non esistesse. -
Il modello lo squadrò
dall’alto in basso, una mano in tasca e l’altra ancora stretta intorno alla
bibita fresca che, piuttosto palesemente, non sembrava più tanto intenzionato a
consegnargli. La tensione, o meglio il nervosismo, per Shougo
stava iniziando a diventare insopportabile.
Non solo doveva spaccarsi
la schiena, doveva pure farsi giudicare a quel modo da
quella mezzasega?
Certo, poteva capire che
fosse strano coniugare il suo nome e l’idea di un onesto impiego; e forse forse poteva anche capire
che qualcuno dubitasse delle sue rare ‘buone’ intenzioni. Ma
non accettava quelle occhiate di disprezzo, e soprattutto quell’atteggiamento
di velata ma papabile superiorità che gli stava adesso rivolgendo. I soldi
erano una necessità di chiunque, ma non è che
tutti erano così fortunati da poterne guadagnare facendo l’imbecille davanti a
una telecamera!
Era
per questo che, tanto, finiva per demotivarsi subito nonappena cercava di fare qualcosa che non fosse niente di
strettamente deviante. C’erano sempre teste di cazzo del genere a dubitare che per
una volta si stesse comportando da persona normale, e per quanto fosse consapevole
che quello stigmate se lo fosse impresso da solo, allo stesso tempo stava solo
cercando di essere preso sul serio.
Ma
non poteva cadere nella tentazione delle solite abitudini, non anche quella
volta. Le mani sprofondarono nelle tasche per impedirgli qualsiasi gesto
inopportuno, e inspirando ed espirando profondamente cercò di mettere insieme
quella poca calma che gli era rimasta.
- Chiedi a chi ti pare, là
dentro, oppure se preferisci anche al mio superiore, che tra cinque minuti
torna. - borbottò - Ti sembrerà strano, ma te lo confermeranno tutti. Sono un
cazzo di onesto cittadino, ora, contento? -
- Hm.
- no, evidentemente non era contento. Perché non gli aveva ancora strappato la
testa dal collo? Gusto, perché altrimenti si sarebbe visto strappare il
contratto davanti agli occhi - E com’è che ad un
tratto hai deciso di fare “l’onesto”? -
- Per i soldi, Ryouta. Il mondo gira intorno ai soldi. -
- E a cosa ti servono, così all’improvviso? -
- Cristo,
ma cosa sei, mia madre?! - no, nemmeno sua madre gli faceva tutte quelle
domande, figurarsi. Rise, incredulo, passandosi una mano sul viso - Se lo
chiedessi io a te mi risponderesti? No, certo che no,
cazzo! Non ho sinceramente voglia di stare a discuterne qui e ora, voglio solo
fare il mio dovere. Possiamo, per favore, tenere qualsiasi questione da parte e
ignorarci? Tu non rompi le palle a me e io non le
rompo a te. -
Sapeva che, nonostante
tutto, Kise ancora non era convinto, ma lo ringraziò interiormente per non aver cercato di calcare
oltre la mano. Piuttosto, lo vide lanciargli l’ennesima occhiata ambigua,
mentre arrendendosi si stringeva nelle spalle.
- Non c’è quasi bisogno che
lo dica: non mi fido di te, Shougo. - gli disse
freddamente, avviandosi di nuovo verso la porta - Ti
terrò d’occhio. -
- Allora magari facciamo un
test oculistico veloce veloce,
eh? - ringhiò, alzando il dito medio - Quanti sono questi?
-
Nessuna risposta, grazie al
cielo: Ryouta roteò gli occhi al cielo,
e l’attimo dopo era già sparito dentro l’edificio. Finalmente.
- E vaffanculo… - si lasciò
finalmente sfuggire, massaggiandosi le tempie. Almeno, sperava, avere a che
fare con lui sarebbe dovuta essere solo un’occasione sporadica.
- Ce l’hai
con me? -
Sobbalzò, Shougo, voltandosi di scatto. il
signor Ishihara si era come rimaterializzato
davanti ai suoi occhi, lo sguardo disinteressato e la schiena contro la porterà
del furgone.
- No, no, certo che no! -
si affrettò a replicare, agitando le mani. Da quanto diavolo era lì, quanto
aveva visto?! E soprattutto, perché non si era accorto
del suo ritorno? Aveva già avuto a che fare con persone del genere, dalla
presenza così sottile da essere quasi impalpabile, e non poteva dire che avesse
una particolare simpatia per questa spaventosa caratteristica.
L’uomo sollevò le
sopracciglia sullo sguardo annoiato, come intuendo una parte dei pensieri di Haizaki. Scrollò le spalle, noncurante.
- Non sono affari miei, ma
se hai litigato con quello vedi di chiarire le cose
alla svelta. - borbottò - È il cocco dello studio, ti prenderanno in antipatia
se si venisse a sapere. -
- Ma figurati se c’ho litigato, è stato lui a venire da me… - mugugnò, quasi
remissivo. Per una volta che era quasi nel giusto, cazzo! - … era un mio
compagno delle medie, un cretino. -
- E come mai l’ostilità? -
- Perché gli ho fregato la
ragazza. - pausa. - … e perché per colpa sua sono stato cacciato dalla squadra.
-
Omise sapientemente tutte
le vicende legate a quella Winter Cup
che li vide schierati uno contro all’altro, a come
l’avesse volontariamente infortunato e come, dopo la partita, l’avesse
aspettato con l’intenzione di mettergli le mani addosso — ma non erano
cose che, in quel momento, valeva la pena raccontare. L’aveva detto, non gli
interessava minimamente di Ryouta in quel momento
della sua esistenza! Voleva solo lavorare in pace!
Ishihara gli tirò una lunga e pensosa occhiata, come valutando se
lasciarsi persuadere o meno da quelle parole. Ecco, ci mancava anche che un
simile confronto lo facesse pure licenziare! Il più giovane lo vide sospirare,
per poi accendersi l’ennesima sigaretta.
- Haizaki.
- lo richiamò, semplicemente, senza neppure guardarlo
in faccia - Mi garantisci che non sei qua per menare le mani? -
- Andiamo, potrei farlo
quando mi pare e senza dover indossare una salopette arancione e spaccarmi la
schiena a smontare scatoloni! - gracchiò, annoiato - Voglio solo lavorare senza
rotture, chissenefrega di quello là?! -
Altro sospiro, altra
scrollata di spalle. Era come se quell’uomo avesse giusto giusto
due o tre movimenti di base, e che li alternasse a seconda
della necessità, rendendo però del tutto impossibile leggere con
precisione cosa stesse per dire. Per Shougo, ormai,
stargli attorno era come stare perennemente in bilico
sul filo del rasoio.
- Sicuramente mi fido più
di te, che ormai ti conosco, che di quello lì. -
concluse l’altro, tranquillo. Haizaki si sentì come
liberare da un macigno, e una soddisfazione di fondo
gli incurvò le labbra nel più stupido dei sorrisi. “Mi fido di te” — non
era neanche sicuro che qualcuno gli avesse mai davvero rivolto quelle parole; e
finalmente, dopo tanta gente che gli dava contro a prescindere, qualcuno che
gli dava un po’ di credito era come una boccata d’aria fresca.
- Oi, non farmene pentire,
eh. -
- Ah- c-certo che no, capo!
-
- Sono a casa… -
Alla fine, quella giornata
si era conclusa senza troppi fastidiosi intoppi. Kise, grazie al cielo, non era più venuto a scassare
le balle, e dopo aver deciso di rimanere ad aspettare fuori per tutto il tempo,
quando era rientrato a recuperare gli allestimenti non aveva incontrato nessuno
a cui quello stronzetto avrebbe potuto aver raccontato
perché fosse di così cattivo umore. Ennesimo appunto mentale: preferibilmente,
decise, da lì in poi in quello studio ci sarebbe entrato solo se strettamente
necessario e per il minor tempo possibile.
Si chiuse la porta alle
spalle con un sospiro, non aspettandosi che qualcuno rispondesse davvero a quel
saluto. Fuori casa la macchina di Shinya non c’era, e
visto l’orario era più che probabile che quella casa fosse completamente vuota.
Fu
per questo che, una volta messo piede nella sala principale,
per poco non si prese un accidente quando vide una donna riversa sul tavolo. Cazzo, sembrava quasi morta!
- Ma’? - si
inginocchiò accanto a lei, leggermente preoccupato, avvicinando una mano
al suo viso. Ovviamente, respirava ancora: quella era solo crollata come una
deficiente, tra l’altro proprio mentre finiva di truccarsi. Dunque
avrebbe lavorato pure quella sera? Shougo appoggiò il
mento ad una mano, scrutandola in silenzio senza ancora
svegliarla.
Non gliel’aveva mai detto,
fermamente convinto che farsi i cazzi propri in certi casi fosse la cosa
migliore — ma non aveva dubbi che, in fondo, tutto questo bisogno di
truccarsi così tanto ogni volta non ne aveva. Sua madre era davvero una bella
donna, dai tratti eternamente giovanili e un fisico innegabilmente attraente, e
poteva ben capire perché dopo tanti anni di servizio,
ancora, la sua agenda fosse sempre così piena. Inarcò le sopracciglia, facendo
sporgere il labbro superiore nella manifestazione più ovvia e inconscia di
un’abitudine che aveva ‘rubato’ a qualcuno diverso tempo fa: per lui era
normale parlare di sua madre in quei termini, ormai abituato a considerare come
niente di così scandaloso il lavoro che si era scelta;
a volte, però, non poteva fare a meno di fermarsi a riflettere che per il resto
del mondo quella era solo una donnaccia debosciata.
Come avrebbe reagito, però,
se si fosse trovato davanti agli occhi qualcuno intento ad apostrofarla così?
Ne pensava di tutti i colori su di lei, soprattutto soffermandosi sul suo umore
instabile e sulla sua lancinante incapacità di prendersi
responsabilità, ma a differenza di quanto palesava Shinya lui, sua madre, non
l’aveva mai odiata davvero. La considerazione che aveva nei suoi confronti non
era delle più alte, certo, e forse non la considerava neanche esattamente una genitrice;
complici quei relativamente pochi anni di differenza che correvano tra di loro
e la sua età mentale da eterna diciassettenne, forse la sentiva
quasi più affine ad una specie di sorella maggiore, risparmiandogli così anche
una marea di seghe mentali sul come non avesse mai avuto dei “genitori presenti
e amorevoli” e cazzate simili. Era sempre stato molto più facile, per lui,
accettare le sue lacune e comportarsi di conseguenza, mantenendo
contemporaneamente intatto quel legame un po’ insolito che probabilmente
l’avrebbe portato a saltare al collo di chiunque avrebbe provato a dire
qualcosa su di lei (o almeno, al di fuori di quella famiglia).
A tal proposito, un moto di
sottile inquietudine gli sorse nel mezzo del petto, e una smorfia spontanea si
dipinse sul suo viso. Fino a quel momento non gliel’aveva ancora chiesto, ma
come avevano reagito i suoi clienti alla notizia? Perché-… doveva per
forza dirglielo, no?
Controllò l’ora sullo
schermo del cellulare, appurando l’orario e concludendo
che, forse, era il caso di riportarla in questa dimensione della realtà.
Allungò una mano verso di lei, scrollandola appena, e quelle palpebre truccate
solo per metà si aprirono poco dopo.
La donna si guardò intorno
spaesata, sussultando appena prima di mettere correttamente a fuoco la figura
del ragazzo accanto a sé.
- Shougo…
sei già a casa? - mugugnò, portandosi le mani agli occhi per stropicciarseli ed
emettere un urletto stridulo un attimo dopo.
- Oh no, il trucco per
stasera! - si lagnò, lamentosa, alzandosi di scatto e correndo chissà dove.
Ecco, anche per questo Shougo faceva fin troppo
fatica a starle dietro: non capiva mai cosa le passasse per la testa, quali
sarebbero state le sue reazioni e cosa figurasse in cima alla lista delle sue
priorità.
Sospirò, seccato,
aspettando di vederla concludere tutte quelle
accortezze a lui incomprensibili, e lanciando uno sguardo sul tavolo pieno di
trucchi sparsi in giro adocchiò una busta che tirò su senza troppe domande. Al
suo interno, quasi con disappunto, tutto ciò che trovò furono
un paio di foglietti neri con macchie più chiare del tutto incomprensibili. Che
era quella merda?
- Che è ‘sta roba? -
domandò senza grazia, non appena la madre tornò a sedere al tavolo per
sistemarsi il trucco. Ella sorrise brevemente, gli
occhi fissi sullo specchietto portatile mentre si impiastricciava gli occhi di
colori che Haizaki non credeva potessero davvero
stare bene in faccia a una persona.
- È il tuo fratellino, Shougo. Sono andata a fare la prima ecografia, oggi, non te
l’avevo detto? Mi hanno confermato che sono di otto settimane. - replicò, con
gentile naturalezza. L’altro si pentì di ogni pensiero avuto nell’arco degli
ultimi dieci secondi, tornando con le pupille incollate a quelle foto identiche
ma per lui completamente incomprensibili. Quella— macchietta grigia ed informe dentro quella macchia nera era suo fratello? Come
si faceva a capire?
La donna parve accorgersi
del suo dubbio, ridacchiando divertita e prendendogliele di mano.
- Vedi? Qua c’è la
testolina. - cinguettò, iniziando ad indicare forme
che Shougo si sforzava, davvero, a cercare di
comprendere, ma era tutto talmente arduo che si domandò se per caso la donna
non si stesse inventando tutto - Mentre qua c’è l’abbozzo delle gambe e delle
braccia, e… -
- Ed è tutto lì? Nella-…
tua pancia? -
Ella
rise, e Haizaki si sentì avvampare. Non è che lo
stava prendendo per il culo per una domanda simile,
vero?! C’era qualcosa di sbagliato ad essere curiosi,
una volta nella vita?
La vide appiattirsi la
maglietta sul ventre, ma contrariandosi per l’ennesima volta in quella serata Shougo non vide praticamente
nulla. Nessun palese rigonfiamento, niente che potesse lasciargli presupporre
che là dentro potesse davvero esserci qualcosa. Di
nuovo, la donna gli rise praticamente in faccia.
- Forse
in effetti non si nota, ma io sto già iniziando a faticare a chiudere il
bottone dei miei pantaloni attillati preferiti! - commentò, con
quell’indiscutibile ingenuità che caratterizzava ogni sua frase -… però è un
bravo bimbo. Per adesso sta crescendo bene, e non mi ha fatto svegliare con la
bocca piena di vomito neanche una volta! -
- Non c’è bisogno di essere
così espliciti, mamma, cazzo! - si lamentò immediatamente Haizaki,
provocando in lei l’ennesima risata. Almeno uno dei due era contento, ma che
schifo…
Cercò di tenere lontano
ogni pensiero su nausee mattutine (si chiamavano
così?) e quant’altro, recuperando il motivo iniziale per cui aveva cercato di
iniziare quella conversazione. Riprese in mano quelle immagini indecifrabili,
dunque, scrutando oltre a esse la donna che con noncuranza era tornata a
truccarsi.
- … ma’. -
- Sì? Dimmi. -
- I tuoi clienti,
uhm… lo sanno? Come l’hanno presa? -
Non seppe neanche perché
era così teso mentre poneva quella domanda, scivolando così tanto fuori dal
proprio usuale personaggio da non riconoscersi. Che poi, perché si preoccupava
tanto? Quell’altra non aveva smesso di sorridere come una scema neppure per un
secondo!
- Oh, i regolari li ho avvisati praticamente tutti, ormai! - esclamò infatti, per nulla turbata - … anche se alcuni preferiscono
aspettare che io entri nel periodo più stabile prima di rivederci. Non mi
aspettavo niente di diverso, d’altronde molti li conosco già da quando
aspettavo te, Shougo… - sorrise, quasi nostalgica - …
mi hanno fatto tutti i complimenti, comunque. E molti si sono offerti di
aiutarmi, per qualsiasi necessità io possa avere. -
Fu in quel momento che, al
moto di preoccupazione che gli aveva annodato lo stomaco fino a quel momento,
si sovrappose preponderantemente un’intensa
sensazione di rabbia. Certo, sapeva bene quale fosse il loro atteggiamento
nei confronti di sua madre, tutti presi a coccolarla e viziarla come fosse una
bambola; ma quando si trattava di assumersi vere responsabilità?
- Scommetto che nessuno si
è offerto di provare il test del DNA o queste stronzate qua. - borbottò,
volgendo lo sguardo altrove. Ciò che raggiunse le sue orecchie non fu più una
risata, ma un palese sospiro.
- E perché dovrebbero? - si
sentì rispondere, con una voce gentile ma impregnata di rassegnazione - … sono
tutti uomini ricchi, sposati, e alcuni con figli più grandi persino di Shinya.
Che interesse ci sarebbe, per loro, riconoscere un figlio al di fuori dal loro santissimo
matrimonio? -
- Ok, ma non è giusto. -
- Volente o nolente sono in
quest’ambiente da vent’anni, Shougo, e anche prima
credo di non aver mai incontrato un uomo ‘giusto’. -
quella frase carica di fredda e spietata lucidità lo riscosse, non aspettandosi
di sentirla uscire da una bocca che di solito sparava solo frivolezze. Era raro
sentirla parlare in quel modo — e proprio in quei momenti, Shougo capiva che sua madre non era l’oca superficiale che
tante volte ostentava di essere, forse solo per appagare quei compagni
che erano rimasti infatuati di lei per così tanto tempo ma che avevano sempre
preferito considerarla solo come un eccitante, segreto
divertimento.
Doveva aver fatto una
faccia davvero idiota, perché poco dopo si sentì tirare fastidiosamente una
guancia. Aggrottò le sopracciglia, ma prima di ogni protesta fu di nuovo lei a
prendere la parola.
- Però almeno Shinya
sembrerebbe starsi impegnando a dimostrarmi il contrario, anche se ultimamente
è sempre terribilmente nervoso - stavolta, la sua voce era tornata allegra e
tranquilla - … e anche tu sei sulla buona strada, me lo sento. -
Fermi tutti, l’aveva appena
definito un uomo giusto? Haizaki sgranò gli
occhi, ogni risposta sfottente che gli scivolò via dalla bocca senza nemmeno
una possibilità di essere sfruttata. Prima il capo che aveva deciso di fidarsi
di lui, poi sua madre che gli diceva una cosa del genere? iniziò a domandarsi
se per caso non stesse vivendo una delle tipiche giornate di Haizaki Shougo, ma che quella
mattina si fosse svegliato nel corpo di qualcun altro.
Un altro buffetto, stavolta
all’altra guancia, lo riportò coi piedi per terra. La
donna si era alzata, sistemandosi i vestiti addosso e recuperando i propri
trucchi e quasi tutte le ecografie sparse in giro per il tavolo.
- Adesso devo andare, se
hai fame ti ho lasciato la cena da scaldare nel frigo.
Vedi di lasciare qualcosa per tuo fratello, che stasera torna tardi! - gli sorrise, serena - E non stare tutta la sera al pc, che
domani hai scuola. -
- In diciassett’anni me le fai ora queste raccomandazioni,
ma’? - borbottò, ma senza davvero protestare. Udì vagamente il suo saluto
divertito e la porta che si chiudeva, e solo allora si rese conto che sulla
tavola era rimasta un’ultima copia dell’ecografia.
Stava quasi per alzarsi e
rincorrerla per restituirgliela, quando l’attenzione gli cadde su una scritta
veloce lasciata sul retro dell’immagine stampata.
“ x Shougo”
Sbatté le palpebre, colto
un po’ di sorpresa. Aveva fatto una copia specifica solo per lui? Quasi
sicuramente ne aveva fatta una per Shinya, pure, e magari anche per tutti i
suoi clienti più fidati, ma per un motivo o per l’altro quella singola
accortezza lo fece sentire parte di qualcosa di speciale — senza contare
il sottile pentimento che, per qualche motivo, provava
per non essere stato lì nel momento in cui quelle immagini venivano catturate
per la prima volta. Che poi, perché così all’improvviso gli importava così
tanto di quel fagiolo?
… anche se, magari, alla
visita successiva avrebbe potuto pure pensare di accompagnarla.
Salve! Dovrei
smetterla di sproloquiare dopo i capitoli, argh.
Questo è uno dei miei capitoli preferiti fino ad ora, principalmente per questa
misteriosa sensazione d’affetto che ho sviluppato nei confronti della madre di Haizaki. Fino ad ora è stata un po’ una svampita squilibrata
con la testa tra le nuvole, ma la verità è che non ho mai avuto l’intenzione di
dipingere un personaggio del tutto monodimensionale – e nella seconda
metà di questo capitolo ho cercato di evidenziarlo al massimo.
In generale, non è
l’unico pg che appare in questo capitolo di cui ho mostrato “l’altra faccia
della medaglia”. Kise, ad esempio – ricordo
vividamente una dichiarazione di Fujimaki e di come,
secondo la sua concezione, il nostro biondino adorato non fosse un personaggio buono per natura, ma un soggetto
sprezzante e disinteressato, intenzionato a comportarsi ‘da bravo’
solo davanti alle persone che gli interessano. Cercherò di ricalcare il più
possibile questa visuale, non incattivendolo eccessivamente ma di sicuro
neppure rendendolo immediatamente disposto al perdono!
Btw,
alla fine ho deciso di non mettere l’avvertimento OOC, ma forse dovrei mettere
quello di ‘tematiche delicate’. Nella testa di Shougo, la condizone della sua
famiglia è affrontata con leggerezza ma solo perché ormai ne è pienamente
abituato, ma è chiaro che il tutto sia definitivamente fuori dalle righe.
Ancora, vi ringrazio
per le letture e i seguiti che mi sono arrivati; al solito, qualsiasi commento
è sempre più che ben accetto!
… e da qui in poi
spero di pubblicare regolarmente, perché questo era l’ultimo capitolo che avevo
pronto già scritto già da prima di pubblicare la storia. Se non altro i successivi
sono in via di stesura!