EPISODIO 1
IL GIOCO DELLA
MORTE
(PARTE III)
La chiamata era arrivata da
un vicolo sudicio nel Queens.
La
polizia aveva effettuato una retata contro un gruppo di spacciatori, e per puro
caso, inseguendo e bloccando uno dei sospettati, uno degli agenti aveva notato
uno strano sacco gettato malamente all’interno di un cassonetto, ed era stato
sufficiente aprirlo perché dal suo interno apparisse il volto, deformato dalla
decomposizione ma ancora riconoscibile, di una giovane donna.
Quando
Derek e gli altri arrivarono sul posto il corpo era già stato estratto e
adagiato a terra, e a tutti bastò uno sguardo per capire che si trattava
veramente di un’altra, ulteriore Lucy Ferrazzani.
Anche la
causa della morte appariva simile a quella della vittima di Brooklyn, con lo
squarcio nel ventre a fare bella mostra di sé, anche se stavolta la ferita
appariva molto meno orrenda della precedente.
«E con
questa siamo a tre» commentò O’Bryan.
«Aspetta
a dirlo» osservò Derek. «Stavolta potrebbe essere quella vera.»
«Ne
dubito» rispose il detective che coordinava le indagini per la polizia. «Se la
storia che mi avete raccontato è vera, stamattina la presunta vittima era
ancora viva e vegeta. Questo cadavere invece ha come minimo tre settimane.»
«Il che
fa risalire questa morte a prima di quella di Molly Tips»
disse Jane. «Forse l’assassino aveva rapito Molly già da diverso tempo, e
quando questo clone è morto ha tentato di ripetere l’esperimento, ottenendo
però gli stessi risultati.»
In
quella il grido di una voce famigliare attirò l’attenzione degli agenti, e
Derek, alzati gli occhi, distinse tra la folla il professor Ferrazzani
che cercava furiosamente di farsi largo tra gli agenti.
«Lasciatelo»
disse quindi ai poliziotti, ottenendo di fargli varcare i nastri
«Detective,
la prego, mi dica che non è lei!»
«Stia
tranquillo, non è sua figlia» lo rassicurò. «È morta da almeno una settimana.»
«Grazie
al cielo. Questa situazione sta diventando paradossale. Da dove saltano fuori
tutti questi cloni della mia Lucy?»
«Vorrei
tanto saperlo anch’io, professore. Ora però dobbiamo preoccuparci di sua
figlia. È evidente che qualcuno è molto interessato a Lucy, e che non riuscendo
a sostituirla con dei cloni ora tenterà di appropriarsi dell’originale.»
«Ha
ragione. La chiamo subito!»
Il
professore si portò un dito all’orecchio, e dopo pochi secondi iniziò subito a
parlare.
«Lucy,
sono papà. Dove ti trovi? All’università? No, ascolta, lascia perdere tutto.
Torna subito a casa.
Non commentare,
poi ti spiego.»
Poi,
d’improvviso, l’espressione del professore cambiò, e con essa il suo tono di
voce, che si fece terrorizzato e sconvolto.
«Lucy,
che succede? Lucy!»
«Che sta
succedendo?» domandò Derek
«Ascolti!»
replicò Ferrazzani toccandogli la fronte con un dito
Nella
testa del detective si palesarono allora rumori concitati, di lotta, sovrastati
dalle urla strazianti di una ragazza, ma prima che Derek potesse anche solo
pensare di domandare qualcosa o capire cosa stesse succedendo il legame mentale
si ruppe, e tutto tacque nuovamente.
Un nome,
però, si stampò nella sua mente: Peter. E fu l’ultima parola che sentì prima
che il silenzio inghiottisse ogni cosa.
I due
uomini si guardarono ugualmente atterriti.
«L’hanno
presa! Hanno preso mia figlia!»
«Mantenga
la calma, la ritroveremo» rispose Derek, che subito dopo chiamò a sé tutti i
suoi collaboratori per informarli di quanto accaduto. «Chiamate la centrale,
subito!»
In un mondo in cui la
maggior parte degli stregoni preferivano ricorrere al nuovo sistema integrativo
che permetteva di comunicare a livello telepatico usando gli invisibili flussi
di energia che percorrevano la Terra da una parte all’altra come un’immensa
rete piuttosto che ai normali telefoni, non era facile in questi casi riuscire
a tracciare una chiamata.
Per
fortuna la scuola di magia di New York era dotata dei più moderni sistemi di
sorveglianza, ma date le circostanze non c’era tempo per ricorrere ai metodi
convenzionali.
Così
intervenne Foch, il quale oltre che per esercizio
abusivo della stregoneria aveva avuto dei precedenti con la polizia anche per
aver curiosato in diversi sistemi protetti tra multinazionali, corporazioni
varie e persino forze armate, ma servirono quasi tre ore per riuscire ad avere
accesso all’archivio della sorveglianza.
Bastarono
pochi minuti per trovare il momento fatidico, che per una fortuita coincidenza
si era consumato proprio davanti ad una delle telecamere di sorveglianza.
«Eccola»
disse Derek indicando Lucy intenta a percorrere un porticato arioso ma isolato
ai margini del parco della scuola.
A
giudicare dall’ora e dal dito che la ragazza aveva poggiato sull’orecchio,
doveva trattarsi proprio del momento del rapimento; e infatti, dopo qualche
attimo, un giovane, apparentemente della sua età, le si parò dinnanzi,
scambiando alcune parole concitate con lei per poi afferrarla violentemente,
colpirla alla fronte con il palmo della mano e trascinarla, apparentemente
svenuta, dentro al vicoletto da cui era venuto.
I
detective seguirono la scena in silenzio, intenti a cercare il più piccolo
elemento che potesse aiutarli a chiarire l’identità dell’aggressore, il quale era
stato bene attento a dare sempre le spalle alla telecamera, così da non rendere
visibile il proprio volto, nascondendosi oltretutto dietro ad un cappello da
baseball e un voluminoso cappotto con un curioso disegno a teschio sulla
schiena.
«Abbiamo
immagini del volto del sequestratore?» domandò O’Bryan
«Nessuna,
purtroppo. All’interno del vicolo non ci sono telecamere, e quella che riprende
l’ingresso del parcheggio del campus, sfiga nera, era in riparazione.»
«Il
custode ha detto che la macchina era una vecchia De Ville del ’94 grigio scuro,
ma non è riuscito a leggere la targa né a vedere in volto l’aggressore» disse
Jane. «Abbiamo diramato un ordine di ricerca per tutti i modelli
corrispondenti, ma ce ne saranno migliaia solo a Manhattan.»
«Hanno
un bel coraggio a chiamarlo sistema di prim’ordine» mugugnò Derek. «Comunque,
dobbiamo trovare qualcosa.»
Purtroppo, anche dopo aver
speso tutta la sera e buona parte della notte a guardare e riguardare non solo
quelle immagini, ma anche tutte quelle che era stato possibile mettere insieme
sia all’interno del campus che nelle zone immediatamente attigue, la squadra
non fu in grado di giungere a nessuna conclusione significativa.
Tutto
ciò che era stato possibile stabilire era l’identità della nuova vittima, una
certa Teresa Stegen, una prostituta trentunenne
scomparsa da alcuni mesi ma che nessuno, a cominciare dalla polizia, si era
preso la briga di cercare.
A turno
Derek e gli altri si erano concessi qualche ora di riposo nella stanzetta
attigua agli uffici, ma dopo oltre ventiquattro ore di lavoro ininterrotto,
constatando anche la mancanza di progressi, i nervi di tutti erano ormai sul
punto di cedere.
«Abbiamo
visto questi filmati almeno cento volte» mugugnò sconsolato Foch
sorseggiando un po’ del caffè che Helen aveva caritatevolmente portato per
tutti i suoi colleghi. «Stiamo girando in tondo.»
«Sveglia,
pivello» lo imbeccò Derek, di rientro dai suoi quarantacinque minuti di sonno,
dando un calcio alla sua sedia che per poco non lo mandò gambe all’aria. «Non
abbiamo tempo per riposare.»
«Però,
anche se mi secca ammetterlo» sospirò Jane. «Devo riconoscere che l’avanzo di
galera ha ragione. Questo tizio è stato davvero attento a non lasciare indizi,
e quel poco che siamo riusciti a mettere insieme dallo screening delle immagini
non corrisponde a nessuno stupratore, predatore sessuale o maniaco noto alla
polizia.»
«Dalle
analisi del computer è venuto fuori qualcosa?» domandò O’Bryan come se sapesse
già la risposta.
«Solo
scambi di messaggi con amiche e compagni di università» rispose Helen. «Niente
sulla casella postale, sul suo blog o sui social network che faccia pensare
all’attività di uno stakler.»
«Posso darvelo
io il nome che cercate» disse il professor Ferrazzani
comparendo sull’uscio dell’ufficio.
Aveva
gli occhi rossi, il volto consumato, e bastava guardarlo per capire che non
aveva dormito; senza dire altro, il professore fece qualche passo avanti,
gettando sul tavolo interattivo una chiavetta e una pila di fogli.
«Cosa
sono?»
«Li ho
trovati nella casella telematica universitaria di mia figlia.
A quanto
pare quel maledetto non aveva perso il vizio.»
«Di chi
sta parlando?» chiese Derek
«Peter.
Peter Walcott. Frequentava uno dei miei corsi. Sono
ormai quasi sei anni che la tormenta, fin da quando si sono conosciuti quando
lei è entrata all’università.
È un
perdigiorno e un poco di buono, che in due anni di studi non ha mai preso
nessun voto sopra il diciotto, per quei pochi che è riuscito ad ottenere.
Inoltre,
so per certo che ha seguito un corso di stregoneria anatomica, lo so perché il
suo professore me ne ha parlato; pare fosse l’unico in cui eccelleva.»
I
detective si guardarono tra di loro, passandosi a vicenda le lettere e
sospirando dubbiosi.
«Grazie
della segnalazione, professore» rispose Derek quasi balbettando «Condurremo
un’indagine, e le faremo sapere.»
«Come
sarebbe a dire che farete un’indagine?» sbraitò il professore. «Vi ho appena
dato il nome del rapitore di mia figlia! Quindi ora prenda i suoi uomini e la
trovi!»
«Cerchi
di capire, professor Ferrazzani» intervenne Hogdson. «Non possiamo arrestare una persona solo sulla
base di pochi messaggi farneticanti. Dobbiamo avere qualche prova in più.»
Il
professore, trattenuto da Jane, sembrò calmarsi, ma quando fu lasciato andare
si avvicinò, quasi minaccioso, a Norway, fissandolo
dritto negl’occhi.
«Sappiate
che se succede qualcosa a mia figlia, farò causa all’agenzia, e a Lei in
special modo. Voi pensate che amministrare la magia in una città come New York
sia difficile? Dovreste vedere cosa succede altrove. A Porto Rico per esempio.
Mi basta una telefonata per spedirvi tutti a sventare riti vodoo
o fatture di malasorte in qualche isola dei Caraibi, e allora sì capirete fino
a quali abissi di mostruosità può arrivare questa pratica ultramillenaria.
Se lo
ricordi bene, detective.»
Quindi,
detto questo, il professore se ne andò, lasciando Derek e gli altri immersi in
un lungo, angoscioso silenzio.
«Proviamo
a fare un controllo su questo Peter Walcott» si
riscosse infine Norway. «Vediamo se salta fuori
qualcosa.»
Qualcuno dei presenti aveva
ben chiaro in mente quanto i giudizi di un padre verso il compagno o spasimante
della propria figlia potessero risultare il più delle volte affrettati, o
addirittura assolutamente sbagliati, ma in questo particolare caso il professor
Ferrazzani sembrava averci visto lungo, oltre che
giusto.
«Santo
cielo, questo tizio si è dato da fare» commentò O’Bryan sciorinando i dati contenuti
negli archivi della polizia. «Peter Walcott, ventisei
anni. Detenzione e spaccio di droga, rissa, aggressione aggravata.
Si è
fatto anche un periodo in prigione.»
«È stato
buttato fuori dalla scuola di magia a vent’anni» lesse Jane sul dossier che
aveva in mano, camminando su e giù per la stanza. «Da allora non ha fatto altro
che cacciarsi nei guai.
Come ha
fatto quella santarellina a innamorarsi di uno così?»
«Il
fascino dell’uomo ruspante e sopra le righe» tagliò corto Jason. «Ne so
qualcosa. Molte ragazze perdono la testa per tipi così. Perché poi, ancora non
lo so.»
«Però
sembra che suo padre la pensasse diversamente» lesse Derek. «Due anni fa, dopo
varie denunce, ha ottenuto una ordinanza del giudice che gli imponeva di stare
trecento metri dalla figlia, ma l’ha violata tre volte nel giro di un mese, e
alla terza è finito dentro. Condannato a diciotto mesi.»
«Mi
sembra tanto per un’accusa di questo tipo» obiettò Helen
«Mai
mettersi contro un professore di stregoneria con amici importanti» tagliò corto
Jane. «Ad ogni modo, sembra aver imparato la lezione. Anche dopo che è stato
rilasciato sei mesi fa, non ci sono più state segnalazioni a suo carico.»
«Anche
le e-mail e i messaggi sulla sua casella di posta universitaria sono cessati
dopo l’arresto» osservò Foch analizzando il contenuto
della chiavetta. «Almeno fino a oggi. L’ultima e-mail infatti risale proprio a
ieri mattina.»
«Hai
detto che è fuori dai sei mesi» rimuginò Derek. «Se non sbaglio la vittima del Queens è scomparsa proprio in quel periodo.»
«Cominciò
a pensare che il padre abbia ragione su di lui» disse Jane.
«Questa
cosa è interessante» intervenne ancora Foch. «Sentite
cosa ha scritto nella sua ultima e-mail, quella di ieri mattina: “Ho cercato di non pensare più a te, ma la
verità è che ormai le nostre vite sono legate a doppio filo dal destino.
Credevo che avere al mio fianco qualcuno che avesse il tuo stesso viso mi
avrebbe fatto stare meglio, ma ora mi rendo conto che non è così. Tu sei
l’unica, e devo averti tutta per me. Perciò sarai mia, anima e corpo, in un
modo o nell’altro.”»
I
detective ammutolirono, ma il direttore, riavutosi, riportò subito tutti alla
realtà.
«Abbiamo
un indirizzo di questo Peter?»
«L’indirizzo
riportato sui documenti del carcere appartiene ad un palazzo del South Bronx
che nel frattempo è stato abbattuto» rispose Foch
controllando i dati «e da quando è uscito non risulta che abbia usato né
bancomat né carte di credito.
Nulla
che ci permetta di risalire al suo nuovo domicilio.»
«Non ci
rimane che la televisione. Chiamo subito il Direttore Generale a Washington, e
gli chiederò il permesso di rilasciare una conferenza stampa. Con un po’ di
fortuna, qualcuno riuscirà a dirci dove trovarlo.»
«Ma se Walcott scopre che gli siamo addosso potrebbe avere tutto
il tempo di sparire, o peggio ancora di fare del male a Lucy.» obiettò Jason
«Dirameremo
solo una richiesta di aiuto riguardo una ragazza scomparsa, senza fare
riferimento all’identità del rapitore.
A questo
punto, è l’unica alternativa che ci resta.»
Ricorrere alla stampa, e
soprattutto a quella di New York, era sempre un rischio.
I
giornalisti andavano pazzi per qualunque questione inerente all’uso illegale
della magia o al lavoro della MAB, e se per di più nel caso era coinvolta la
figlia di un famoso docente di stregoneria era come invitare dei bambini in
pasticceria.
In
verità le maggiori testate e redazioni dovevano avere già subodorato qualcosa,
perché prima ancora che, iniziata la conferenza, il direttore Hogdson avesse avuto il tempo di aprire bocca, era stato
immediatamente tempestato di domande riguardo ad uno o più cadaveri ritrovati
con i connotati alterati.
Per
fortuna, se non altro, la mossa si rivelò vincente.
In un
primo momento vi furono i soliti falsi allarmi e le segnalazioni di qualche
mitomane in cerca dei suoi cinque minuti di gloria, ma poi, la mattina dopo di
buon’ora, arrivò alla stazione di polizia la telefonata di un’anziana signora
che abitava in una palazzina sulla 54ma strada e che asseriva di aver visto la
ragazza scomparsa in compagnia di un giovane uomo che, dalla descrizione,
somigliava molto a Peter Walcott.
La testimonianza
fu giudicata credibile, e Derek e Jane, di ritorno da una obbligata notte di
riposo, vennero subito inviati sul posto.
«Sì, è
lei» disse la signora, sull’uscio di casa, vedendo la foto di Lucy. «Era in
compagnia di Peter.»
«Ha
detto Peter?» saltò sul posto Derek
«Sì,
Peter Walcott. Un caro ragazzo. Mi aiuta spesso con
la spesa e và a prendermi la pensione. Il suo appartamento è il trentaquattro,
proprio alla fine del corridoio.
Ma è
forse successo qualcosa?»
«Grazie,
signora» tagliò corto il detective, che seguito dalla sua partner raggiunse
armi in pugno l’appartamento indicato, sfondando la porta senza neppure
intimare al proprietario di aprirla.
Considerato
il posto e la zona, per non parlare del padrone di casa, quel semplice bilocale
non era tenuto troppo male, ma nella stanza da letto, dove Derek e Jane
sorpresero Peter, i due trovarono a dire poco un vero supermercato della droga,
tra anfetamine, sonniferi e varie altre porcherie.
E Peter Walcott doveva averne ingerita parecchia di quella roba, perché
dopo essere saltato dalla paura sul suo letto come sentì la porta di casa
andare in frantumi non ebbe neppure il tempo di scendere dal letto, prima che
Derek gli fosse addosso.
«E voi
chi siete?» domandò con gli occhi fuori dalle orbite e un alito che avrebbe
ubriacato anche il più incallito dei bevitori. «Che ci fate in casa mia?»
«Siamo
della MAB. E tu sei in un mare di guai, Peter Walcott.»
«Ma di
che state parlando? Che guai?»
«Non far
finta di non sapere. Dov’è Lucy?»
«Lucy? Che
c’entra Lucy? Io non ne so niente.»
Ma i
fatti sembravano dargli torto, perché oltre alla droga e alle siringhe, su di
una sedia, faceva bella mostra di sé anche un cappotto dall’aspetto
inconfondibile.
«E questo
come me lo spieghi?»
«Non è
mio! Non l’ho mai visto prima!»
Ma una
seconda prova, la più orribile, li aspettava nel bagno, tanto che perfino Jane,
aperto l’uscio, rimase per qualche secondo come pietrificata, lo sguardo
attonito e la bocca spalancata.
«Derek…» ebbe la forza di mormorare
Il partner
quindi la raggiunse, e la sua reazione fu la stessa.
Lucy Ferrazzani, se di lei si trattava, era nella vasca, nuda,
le braccia e le gambe lasciate a penzolare all’esterno; difficile dire cosa l’avesse
uccisa, se l’acqua in cui era immersa o il contenuto delle siringhe disseminate
sul pavimento, ma una cosa era certa: era morta.
E le
brutte notizie, purtroppo, non erano ancora finite.
Dopo averla
tirata velocemente fuori dalla vasca, constatandone il decesso, Jane provò a
passare una mano sul suo volto, i cui tratti però, anche dopo diversi
tentativi, seguitarono a rimanere inalterati, dimostrando di essere autentici.
«Sì, è
lei» disse con la voce rotta dalla rabbia e dal dolore
Peter,
però, sembrava ugualmente sconvolto, anche se era difficile capire se si stesse
davvero rendendo conto della situazione in cui si trovava, stordito com’era
dalle schifezze che aveva in corpo.
«Io… io non c’entro. Non so cosa sia successo…»
Ma erano
solo parole al vento per Derek, che dovette fare appello a tutto il suo
autocontrollo per non venir meno alla sua etica di agente di polizia.
«Peter Walcott!» disse mettendogli le manette. «Sei in arresto per
utilizzo illegale della stregoneria, e per l’omicidio di Molly Tips, Teresa Stegen e Lucy Ferrazzani.»