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Autore: dilpa93    23/09/2015    5 recensioni
Castle corse verso l’entrata del Tardis e non appena le porte si aprirono fu travolto da quel ragazzotto dall’accento fortemente inglese.
“Richard Castle, il mio scrittore preferito!”, lo strinse a sé dondolando a destra e sinistra. “Beh, dopo Conrad e Agatha Christie, una donna adorabile. E ovviamente J. K. Rowling. Ah… il settimo libro, c’è di che piangere!”. Gli lasciò un’ultima pacca sulla spalla fiondandosi poi da Kate, che nel frattempo si era alzata ed era rimasta ad attenderlo con le braccia incrociate e quello sguardo da finita indispettita per essere stata messa al secondo posto. “E Kate Beckett, la miglior detective di New York.”
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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"Tutte le azioni compiute nel mondo cominciano con l'immaginazione"
-Barbara Harrison-

 



 

Quella notte il caldo era soffocante, pur con il condizionatore acceso Rick non faceva altro che rigirarsi cercando di trovare un punto del letto leggermente più fresco. Si mise sul fianco guardando la moglie dormire chiedendosi come riuscisse a farlo, quando la risposta gli arrivò dal baby controller in un leggero mugolio.
 
Sorrise.
 
Matt era la gioia di quella casa, specie da quando Alexis aveva preso la coraggiosa decisione di trasferirsi definitivamente. Nessun ragazzo con cui convivere, nessun fruttariano in vista. Solo lei, la sua amica d’infanzia, Carol e una collega dell’internato allo studio legale dove lavorava, Trish. Tre ragazze che condividevano un appartamento ad un paio di isolati di distanza da lui, nulla sarebbe potuto andar storto. Ma per quanto lui e Kate avessero a lungo bramato un po’ di calma e tranquillità, così da avere almeno una serata o due in cui rilassarsi dal rientro dal lavoro o dopo la conclusione di un caso particolarmente duro, il silenzio in casa stava diventando soffocante. Fortunatamente era arrivato Matt, paffutello, grandi occhioni vispi e azzurri, sorriso ancora sdentato. Dieci mesi di pura vivacità, ma tutta quell’energia vitale sembrava risucchiarla dai loro corpi. Kate, tra i due, era quella che faceva più sacrifici. Cercava di fare il possibile per tornare a casa entro l’ora della nanna, o per fargli il bagnetto ma non sempre era possibile e si attaccava ad ogni momento libero che aveva per poter stare con i suoi due uomini. Ed ora niente, nemmeno la terribile afa estiva poteva impedirle di riposare.
Per fortuna il piccolo sembrava non essersi svegliato, così Rick abbassò la guardia stendendosi nuovamente sulla schiena. Diede un’ultima occhiata al soffitto bianco prima di chiudere gli occhi deciso ad addormentarsi ad ogni costo, ma ancora una volta un gracchiare richiamò la sua attenzione. Per essere così piccolo, suo figlio aveva già un tempismo davvero pessimo. Prese in mano il baby controller, lo osservò con circospezione portandoselo poi all’orecchio, decisamente il rumore non proveniva da lì. Si mise a sedere allarmato, sentendo Kate cercarlo con la mano nel sonno-veglia.
“Tesoro…  è Matt. Vai tu?”, domandò sbiascicando e aggiustando la sua posizione. Rick non ebbe il tempo di replicare, perché il rumore si fece più forte e stridente e all’improvviso entrambi lo riconobbero.
 
Non lo avevano mai dimenticato, non avrebbero potuto.
 
Anche Kate si mise seduta e, trepidante, attese che l’oggetto che entrambi tanto avevano sperato di rivedere, insieme ovviamente al suo proprietario, si materializzasse definitivamente davanti ai loro occhi.
La cabina blu finalmente comparve, proprio al centro della loro camera da letto. Castle corse verso l’entrata del Tardis e non appena le porte si aprirono fu travolto da quel ragazzotto dall’accento fortemente inglese.
“Richard Castle, il mio scrittore preferito!”, lo strinse a sé dondolando a destra e sinistra. “Beh, dopo Conrad e Agatha Christie, una donna adorabile. E ovviamente J. K. Rowling. Ah… il settimo libro, c’è di che piangere!”. Gli lasciò un’ultima pacca sulla spalla fiondandosi poi da Kate, che nel frattempo si era alzata ed era rimasta ad attenderlo con le braccia incrociate e quello sguardo da finita indispettita per essere stata messa al secondo posto. “E Kate Beckett, la miglior detective di New York.”
“È Capitano adesso”, suggerì Rick poggiato ancora allo stipite della cabina.
Il Dottore si staccò da lei guardandola negli occhi, con sguardo serio, poi le sorrise congratulandosi. “Forza, tutti dentro al Tardis!”.
I due coniugi si guardarono, negli occhi avevano entrambi lo stesso interrogativo. Potevano davvero andarsene così, come se nulla fosse? C’era Matt a cui pensare adesso ed erano tutti e due convinti che il tempo di stelle, di luoghi come Akhaten, Siluria e le Foreste Gamma, di guerre Sontaran e Dalek, e dei Siluriani fossero finiti, almeno per loro. Invece, ancora una volta, ecco comparire quel folle uomo con la sua cabina della polizia.
“Che fate? Coraggio, entrate.”
“Dottore…”, lo richiamò Kate con aria rattristata. “Non possiamo andarcene”. Il Dottore si stirò le bretelle voltandosi poi verso Rick, sperando di trovare sostegno. “Abbiamo un bambino ora. Non possiamo lasciarlo, neanche per un paio di giorni. Ci piacerebbe venire con te, davvero, noi…”, lasciò la frase in sospeso puntando lo sguardo a terra.
Il Dottore ci pensò su qualche secondo passandosi le dita lungo la mascella pronunciata, poi si sistemò il cravattino. Kate scosse la testa, gli era mancato quel semplice gesto. Lo aveva visto fare a Rick un sacco di volte, ma non era la stessa cosa.
“Vi riporterò qui e nessuno si accorgerà neanche che siete stati via.”
I coniugi Castle arricciarono le labbra. “L’ultima volta che lo hai detto siamo stati via tre settimane!”
“Davvero? Oh beh, è stato un errore. Lo prometto, vi riporterò qui in tempo.”
“Regola numero uno, il Dottore mente. Lo dicevi sempre, ricordi?”, gli fece notare Richard.
“Lo dico ancora, ma questa è un’altra storia… andiamo ragazzi, manterrò la promessa!”.
Un altro lungo e profondo sguardo, un dialogo silenzioso di quelli che erano soliti condividere insieme. E poi un solo sorriso a dimostrazione, ancora una volta, di essere arrivati alla stessa conclusione.
Kate afferrò i vestiti sulla poltrona e si avvicinò alle porte del Tardis, mise un piede all’interno per poi fare un passo indietro e puntare l’indice sul petto del Dottore. “Se saremo in ritardo anche solo di un giorno, giuro che ti sparerò”, sorrise compiaciuta e poi sparì dalla vista dei due uomini. Il Dottore si sistemò di nuovo il papillon con aria soddisfatta. “Rick?”
“Dammi solo un minuto! Non partite senza di me”, disse in un urlo strozzato. Corse in cucina e scrisse in fretta su un post-it. Era una di quelle rare occasioni in cui benedì il fatto che sua madre alla fine avesse scelto di non trasferirsi e restare da loro per aiutarli con il bambino.
 
Io e Kate siamo dovuti uscire, torneremo entro sera.
 
Meglio abbondare con il tempo, pensò. Le promesse del Dottore erano sempre da prendere con le pinze.
Lasciò il post-it sul bollitore, sarebbe stata la prima cosa che sua madre avrebbe visto appena sveglia, ne era certo, poi tornò in camera, prese una maglietta dal cassetto e un paio di jeans e raggiunse sua moglie. Entrando la trovò già vestita, pronta per qualsiasi avventura avrebbero vissuto. Si affrettò anche lui a cambiarsi in una delle innumerevoli stanze del Tardis. Uscì aggiustandosi una manica della t-shirt che si era arrotolata su se stessa. Si diede un’occhiata intorno, al solito la consolle troneggiava al centro della cabina nella sua forma esagonale, ricca di pulsanti e leve che il Dottore impediva a chiunque di toccare. Sviluppandosi in verticale, terminava all’interno di metallici cerchi concentrici. Le cose tonde dovevano piacere particolarmente al Dottore, tanto da esserne piene anche le pareti. Nell’intero Tardis si diffondeva un bagliore sui toni dell’arancio e del giallo, facendolo apparire come perennemente avvolto dalla luce del Sole al tramonto. Due rampe di scale portavano al piano superiore che ovviamente Rick non vedeva l’ora di esplorare. Gli sembravano secoli da quando vi era stato la prima volta, ed era curioso di vedere se la libreria avesse ampliato la sua collezione e soprattutto se la piscina fosse ancora lì. Per il resto non avrebbe osato addentrarsi più di tanto. Il Tardis era più grande all’interno, e lui lo aveva imparato la prima volta a sue spese perdendosi. “Questo posto non cambia mai”, commentò trasognato. Il Dottore cominciò a correre in lungo e in largo attorno alla consolle. “Credo che Lei avrebbe da ribattere”, accarezzò i comandi facendo una piccola pausa. “Allora, allora, allora, che ne dite di andare a vedere i due anelli di Posadise? Oh, sono spettacolari in estate! Gli asteroidi che li compongono brillano alla luce dei Soli gemelli.”
“Direi che può andare. Kate…?”
Beckett saltellò fino alla consolle, aggrappandosi forte alla sbarra metallica, “Cosa stiamo aspettando?”.
Il Dottore le sorrise sghembo abbassando la leva e lo scossone del Tardis in partenza li fece sobbalzare.
“Dunque…”, esordì allungando le u come a voler creare la giusta enfasi. “Per l’esattezza, quanto tempo è passato da quando… Si beh, noi…”
“Cinque anni. Ormai iniziavamo a credere di averti inventato.”
 
 
Era da poco passato il Natale. Le strade erano ancora affollate dalla consueta orda di turisti accorsi a New York per godersi lo spirito natalizio, che infestava la città dall’inizio del mese di dicembre fin dopo Capodanno per poi tornare alla sua -quasi totale- normalità. Ovviamente l’avvento delle festività non teneva lontani i criminali che, al contrario, parevano rinvigoriti dal freddo e dello scintillio dei led che coloravano le strade. Il sole non era ancora sorto e il vicolo in cui era stato rinvenuto il cadavere era freddo e avvolto dal chiarore della notte, oltre che dalla leggera coltre di nebbia che si alzava dalla brina di cui era ricoperto l’asfalto, scatenando quel brivido che dalla punta dei piedi arrivava fino alla base del collo. Non sembrava esserci nulla di strano, solo un altro noiosissimo caso che aveva costretto la squadra di Beckett a rientrare qualche giorno prima del previsto. Eppure, prima di lasciare la scena del crimine, l’attenzione di Rick si era rivolta a quella cabina blu che appena arrivato non aveva notato. Vi si stava avvicinando quando i richiami di Beckett, che non voleva essere il prossimo cadavere in quella strada per causa assideramento, gli avevano fatto fare un passo indietro. Aveva alzato le spalle e, con andatura sostenuta, l’aveva raggiunta in auto.
Il caso non aveva richiesto particolari sforzi ed energie per essere risolto -l’assassino si era lasciato dietro numerose tracce rivelando la sua inesperienza ed ingenuità- e, come Kate aveva tenuto a ricordare a Castle, non tutti i casi potevano essere intellettualmente stimolanti per la sua vena creativa.
Nonostante tutto, il ragazzo continuava a proclamare la sua innocenza, sottolineando come le tracce di dna trovate e le fibre della sua sciarpa incastrate nella lampo del giubbotto della vittima fossero presenti solo perché, quando lo aveva trovato, aveva cercato in ogni modo di aiutarlo, anche se era già troppo tardi. Poi qualcosa era apparso nel buio e, spaventato, era corso via.
Benché sembrasse la classica storia inventata su due piedi, ben si accordava con alcune prove che non erano riusciti a collegare a lui o alla vittima stessa. Rick l’aveva pregata di aspettare almeno un altro giorno -e del resto Gates non avrebbe concesso alla squadra più di quello- per dichiarare ufficialmente chiuso il caso ed incriminare formalmente il ragazzo.
Aveva sospirato e scosso la testa, ma fu costretta ad ammettere che anche lei voleva vederci chiaro fino in fondo. Si erano trattenuti al distretto fino a serata inoltrata, non avevano intenzione di sprecare neanche un minuto della proroga che la Gates gli aveva accordato. Quella stessa sera, uscendo, Rick -in quel gesto abituale quando ci si guarda intorno senza realmente vedere ciò che ci circonda- aveva notato nuovamente quella cabina blu. Fu solo per un frazione di secondo poi Kate, poggiandosi con la schiena alla portiera della macchina, lo aveva tirato a sé per i lembi del cappotto. C’era voluto qualche secondo prima che riuscisse a concentrarsi su quello che Kate gli stava dicendo. Le aveva sorriso afferrando le chiavi dell’auto dalla sua mano e lasciandole un bacio sulla guancia. Per il tragitto non parlarono. Kate ogni tanto gli aveva sfiorato le dita, che lui teneva strette attorno al cambio, rilassandosi guardando al di là del finestrino, mentre Rick, pur concentrato sulla strada, non era riuscito a non pensare a quella cabina blu. Non poteva essersela immaginata e, riflettendoci, ricordò di averla già notata quella mattina presto, mentre beveva la sua tazza di caffè poco prima che il telefono di Beckett squillasse obbligandoli a raggiungere la scena del crimine. Ma era stato un istante, nulla di più. Quando aveva riportato gli occhi sul punto esatto in cui era convinto di averla vista, questa sembrava essere svanita, lasciandogli credere di aver preso un abbaglio.
Raggiunto il loft, aveva aspettato di trovarsi solo con Kate, nella loro camera da letto, per domandarle se anche lei avesse notato qualcosa ma, prima che lei potesse rispondergli negando col capo e guardarlo con la sua usuale aria scettica, lo stridore dei freni del Tardis, che il Dottore lasciava sempre inseriti, aveva riempito la stanza e in pochi secondi anche la cabina era comparsa. Rick era rimasto immobile, mentre Kate con movimenti quasi impercettibili aveva cercato di raggiungere la Glock chiusa nel cassettino del comodino. Con le dita ne sfiorò il calcio e, quando ebbe l’impugnatura ben salda nella mano, la tirò fuori puntandola verso la porta della cabina nel momento esatto in cui il Dottore comparve sulla sua soglia. Lui, riluttante alle armi -e non aspettandosi minimamente un’accoglienza simile- si mise sulla difensiva puntando in risposta, contro Castle e Beckett, il suo cacciavite sonico appena estratto dalla tasca interna della giacca in tweed. Il ronzio della luce verde del cacciavite, indice del suo funzionamento, venne accompagnato da un woah di totale stupore da parte del Dottore.
Castle aveva semplicemente sentito, quello che aveva tutta l’aria di essere solo un ragazzino, dire con forte accento inglese, “Tardis”, indicando la cabina, “Dottore” puntandosi invece l’indice contro il petto, “Non amante delle armi”, in conclusione. Alla sua domanda esplicita, quando aveva ripetuto a mo’ di pappagallo Dottore con tono interrogativo, seguito da “Dottore… chi?”, l’ultra centenario Signore del Tempo aveva spiegato in somme parole cosa la sua cabina -beh, sua… la cabina che aveva preso in prestito. O forse era lo stesso Tardis ad aver preso in prestito lui? Ancora la cosa era da stabilirsi- fosse in grado di fare. Gli occhi di Castle avevano brillato come quelli di un bambino con il naso premuto contro il vetro di un negozio di dolci e, prima che Kate avesse potuto in alcun modo fermarlo, pregandolo di riflettere con maggior razionalità, Castle era sceso dal letto, aveva superato il giovanotto inglese ed era entrato nel Tardis. Il Dottore, dopo averlo sentito esclamare con stupore, “È più grande all’interno!”, ripose il cacciavite sonico aggiustandosi il papillon e raggiungendolo lasciando Kate da sola, con bocca spalancata e sguardo perso.
Non aveva avuto molta scelta se non quella di seguire i due uomini, anche se tutto andava contro il suo carattere estremamente razionale, ma da quando stava con Rick le era capitato più di una volta di dover combattere il suo raziocinio. Quella sarebbe semplicemente stata un’altra occasione da aggiungere alla lista.
Nell’ultimo periodo, il Dottore era stato trascinato in lungo e in largo dal Tardis. Sembrava quasi che non avesse più il controllo della sua Sexy cabina.
Cinque minuti”, aveva detto alla giovane Amelia Pond, la prima ad aver visto il suo nuovo viso, la ragazzina scozzese che viveva a Leadworth, in Inghilterra, senza padre né madre, solo con una zia e una crepa nella parete della sua camera e, come il Dottore ben sapeva, una crepa non era mai solo una crepa. Era risalito sul Tardis, convinto che sarebbe davvero tornato in un attimo, i motori erano partiti e lui aveva fatto fare alla sua cabina un ultimo viaggio, giusto per scongiurare l’ipotesi di una sua esplosione. Era tornato a ben dodici anni di distanza e, dopo aver aiutato gli Atraxi a catturare il paziente zero, averli convinti a lasciare in pace la terra, e senza nemmeno salutare Amy, si era fiondato sul suo Tardis. Una delle chiavi era diventata incandescente e questo significava che finalmente era pronto. Nuovo volto per lui, nuovo aspetto per la sua macchina del tempo. Anche questa volta doveva essere solo un viaggio di rodaggio fino alla Luna e poi ritorno, invece si era trovato prima su Rokhandi, dove aveva rischiato di cadere nei canyon cantanti, poi su Metrolos. Qualche tempo dopo era tornato sulla Terra catapultato a Glasgow ed infine a New York. In ogni posto in cui andava c’era qualcosa da sistemare e, una cosa che avrebbe compreso solo tra molti anni -anche se per lui probabilmente sarebbero potuti sembrare solo pochi minuti- era che il Tardis lo portava sempre dove aveva bisogno di essere. Non era mai un posto e un tempo casuale.
Arrivato a New York, la prima tappa era stata l’Old Hunt. Aveva visto Castle e Beckett uscire abbracciati, il sorriso sulle labbra poi deformate in uno sbadiglio con il quale avevano deciso di decretare la fine della serata per tornare a casa e riposarsi. Quando aveva provato a ripartire, il Tardis lo aveva portato solo a qualche isolato di distanza, con un  distacco temporale di uno o due giorni. Ancora la stessa coppia, ancora la stessa aria stanca e, quando aveva attivato il cacciavite sonico per una rapida scansione, questo aveva rivelato la presenza di qualcosa che sembrava seguire la coppia. Il Dottore non aveva tuttavia notato nulla, anche se forse gli sarebbe bastato prestare maggiore attenzione alle vetrine dei negozi alle spalle dei due.
Al terzo spostamento, ritrovandosi di nuovo ad assistere ad un momento della vita di Rick e Kate, aveva capito che qualsiasi cosa la sua cabina voleva che lui facesse doveva aver a che fare con loro due. Così aveva tentato di avvicinarsi a loro in più di un’occasione, ma tutte le volte che Rick sembrava accorgersi di lui, Kate lo distraeva dalla sua innata curiosità, allontanandolo.
A mali estremi, estremi rimedi, e così quella sera si era trovato nella loro camera da letto.
Il Dottore aveva provato a convincerli a seguirlo. Viaggi nel tempo, razze aliene, poter assistere in anteprima alla fine del modo, ma prima di tutto risolvere quel caso per cui non sembrava esserci una spiegazione logica.
L’osso duro della coppia era senza dubbio Kate.
Aveva ancora lo sguardo perplesso, un sopracciglio alzato e le labbra arricciate. Si era portata le mani sui fianchi, in una tacita richiesta di attenzione che venne immediatamente accolta dal Dottore.
Chi ci dice che tu non sia solo un pazzo con un cabina?”.
Mentre Rick girava ancora su se stesso col naso per aria, lui le si era avvicinato reggendosi poi alla balaustra metallica che circondava la consolle. “Ti svelerò un segreto”, aveva sussurrato sporgendosi in avanti arrivando a pochi millimetri dal suo viso. “Io sono totalmente e decisamente un pazzo con una cabina”. Kate sembrò pensarci su, ma fu solo questione di secondi prima che i lineamenti del suo viso si rilassassero in un sorriso. Forse per il modo che aveva avuto il Dottore di tenere testa a lei e a quel suo sguardo inquisitore, ma alla fine si era lasciata persuadere.
Il Dottore era il solo che avrebbe potuto aiutarli a risolvere quello che all’apparenza era sembrato un caso di omicidio come tanti altri, dando così anche nuovi spunti a Rick per il suo romanzo. Il difficile sarebbe stato spiegare come l’omicidio fosse stato perpetrato per mano, essenzialmente, di un manichino in plastica.
Autons, li aveva chiamati il Dottore, che si era poi dato dello stupido per non averlo capito prima.
Al solito Kate era sembrata scettica a riguardo, ma quando si era trovata a fronteggiarli faccia a faccia si era dovuta ricredere. Il Dottore aveva constatato il loro miglioramento dall’ultima volta che li aveva visti -doveva essere alla sua ottava, no, alla sua nona rigenerazione-, erano decisamente più sofisticati di un tempo. Se prima sembravano dei comunissimi manichini, ora erano riusciti a somigliare in tutto e per tutto a degli esseri umani, se solo non fosse stato per quel luccichio plastico della pelle e per il piccolo, quanto importante, dettaglio che le loro mani potevano trasformarsi all’occorrenza in armi in grado di uccidere, se non addirittura vaporizzare, le vittime designate.
Tra inseguimenti e combattimenti, erano riusciti a fermarli e, con un po’ di inventiva da parte del Dottore, erano riusciti a ricostruire una storia plausibile per rilasciare il loro unico sospettato senza che la cosa risultasse dubbia alla Gates. Il caso sarebbe rimasto irrisolto ma non importava più di tanto. Castle e Beckett sapevano esattamente di averlo portato a termine, per il resto del team, invece, sarebbe stato solo un altro omicidio che, tra qualche mese, si sarebbe aggiunto alla lista dei cold case.
Da quel giorno qualcosa era cambiato e così era iniziata la loro seconda vita.
La stanchezza sembrava svanita, le avventure erano appena cominciate. Erano stati via giorni che in realtà non erano stati che minuti e minuti che invece erano state settimane. Delle volte, quando erano a casa, aspettavano che lui arrivasse a rapirli per un nuovo viaggio, o anche solo a fargli visita, e spesso lui atterrava nel loro soggiorno, come se li avesse sentiti chiamarlo solo con la forza del pensiero.
Fino a che, d’improvviso, scomparve.
Aspettarono e aspettarono, non appena sentivano un rumore simile al caratteristico suono del Tardis scattavano sull’attenti. E poi, un giorno, avevano semplicemente smesso di aspettare.
 
 
“Lei cominciava a crederlo!”, si giustificò subito Castle, “Ho sempre saputo che saresti tornato, un giorno.”
In risposta ricevette un pugno ben assestato sulla spalla da Kate. “Ahio, cos- ho detto la verità.”
Lei scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
Il Dottore fu lieto di notare che certe cose non cambiavano mai. D’istinto li abbracciò e i coniugi Castle sorrisero ma lo sguardo del Dottore, nonostante la felicità, era pieno di malinconia e rammarico. “Sono contento di riavervi qui”, sussurrò appena, e prima che uno dei due potesse chiedergli cosa lo turbasse, si staccò da loro sfregando divertito le mani. “Cinque anni, sarebbe potuto andare peggio”.
“La prossima volta non farci aspettare tanto però!”, lo ammonì Richard stringendo in vita Kate.
D’un tratto sentirono una voce femminile provenire alle loro spalle. “Il Dottore e le tempistiche… non sono mai andati d’accordo.” La donna avanzò verso il Dottore ignorando gli sguardi straniti dei due ospiti. Una volta davanti a lui gli diede un buffetto sul naso con l’indice. “Ciao, dolcezza.”
“Dottoressa River Song”, disse con un sorriso provocatorio sulle labbra.
“Professoressa per te”, lo corresse con fare saccente prima di sorridergli. Il silenzio cominciò a farsi imbarazzante e questo costrinse Kate a schiarirsi la voce.
“Oh, che maleducata, scusatemi… Professoressa River Song”, allungò la mano verso di loro rimediando alla sua impulsività. “Archeologa”, il Dottore fece un verso di disapprovazione.
“Cosa? Perché ce l’hai tanto con gli archeologi?”
“Sono un viaggiatore del tempo, River. Io rido degli archeologi.”
“Non mi è sembrato che l’ultima volta ridessi”, ammiccò maliziosa nella sua direzione, guardandolo arrossire in un batter di ciglia. Dallo zaino estrasse un libricino blu alquanto voluminoso, le pagine erano state quasi totalmente scritte, ingiallite probabilmente dal tempo. “Allora, a che punto siamo?”, domandò tornando seria, anche se quando alzava lo sguardo, puntandolo sul Dottore, nei suoi occhi si poteva vedere ancora un provocante scintillio.
“È una mia impressione o la copertina di quel libro è tale e quale alle porte del Tardis?”, chiese in un sussurro Rick a sua moglie.
“Secondo te chi è lei? Per il Dottore, intendo…”, ribatté all’istante Kate, e Rick non poté fare a meno di chiedersi perché non potesse mai rispondere ad una domanda prima di formularne una nuova. Gli anni passavano, ma l’attitudine che aveva sempre mostrato nella sala interrogatori non era mai svanita. “Un’amica magari?”
“Noi siamo suoi amici, eppure non abbiamo mai avuto un diario!”.
Rick distolse per un istante l’attenzione dalla scenetta che aveva dinnanzi per concentrarsi esclusivamente sullo sguardo di fuoco di Kate. “Non sarai… gelosa?”, sembrava scettico all’idea ma, dalla strana espressione che vide sul suo viso, capì di non essersi affatto sbagliato. “Cosa? Gelosa della donna che si è materializzata dal nulla, che sembra conoscere profondamente il Dottore, con capelli fantastici, ricci perfetti e bionda naturale? Non lo sono affatto.”
“Certo, come non detto”, si ricompose tornando a guardare la coppia.
River ancora sfogliava le pagine del diario, ricordando eventi già accaduti che tuttavia il Dottore  -quel Dottore- ancora non aveva vissuto. “Le cascate di Argolis le abbiamo già fatte?”
“No…”, scosse la testa con aria dispiaciuta scavando nella sua memoria, ma ogni istante trascorso con River era come marchiato a fuoco nella sua testa. Adorava i loro incontri e gli scontri, gli attimi rubati e passati insieme, odiava però che lei conoscesse il loro futuro, ciò che sarebbe venuto dopo. Ma non c’era nulla che più odiasse del sapere la sola cosa che River ignorava, ovvero quale sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero passato del tempo insieme prima che lei si sacrificasse nella Biblioteca, distante anni da lui.
“Mmm… strano, c’è qualcosa che non va”. Guardò il manipolatore vortex che aveva al polso sbarrando gli occhi. “Oh, non è possibile”, sbuffò, notando la data sbagliata. “Tesoro, temo di aver commesso un errore”, poi si girò in direzione di Rick e Kate. “Mi spiace aver interrotto la vostra rimpatriata. Ci vediamo su Karfel, dolcezza!”. Digitò velocemente sul manipolatore e, prima di scomparire, strizzò l’occhio al Dottore che, spazientito, disse a denti stretti, “Spoiler!”.
“Spoiler?”, ripeté Kate avvicinandosi a lui guardandosi intorno di tanto intanto, come intimorita dal fatto che la Professoressa Song potesse d’improvviso riapparire.
“Generalmente viene usato per riferirsi ad anticipazioni di cui non si vorrebbe essere resi partecipi e…”, si fermò di colpo quando vide Kate digrignare i denti e poi lanciargli un’occhiata truce. “So cosa significa, Castle, mi chiedevo come mai lo avesse detto. Dottore…?”. Incrociò le braccia al petto assumendo uno sguardo inquisitore.
“Perché fa questa cosa con la faccia?”, domandò a Richard muovendo l’indice in cerchio davanti al volto di Kate. “Ha quella sua solita aria seria, e so bene cosa succede quando questo accade. Richard, credo che stia provando un qualche genere di emozione!”.
Rick le si avvicino posandole un braccio attorno alle spalle. “Credo che sia solo…”
“Non dire gelosa.”
“Non stavo dicendo gelosa, stavo per dire…”, ci pensò su qualche istante, non aveva molto tempo se voleva davvero far credere a Kate di star effettivamente pensando ad un’altra parola. “Curiosa! Curiosa era ciò che avevo in mente fin dall’inizio.”
Kate scosse la testa, riprendendo a guardare il Dottore con aria torva.
“Okay, okay”, balbettò agitando davanti a sé le mani. “Ma non fare quella cosa con le sopracciglia. È inquietante”, bisbigliò. Si torturò le mani girovagando per il Tardis fino a che, imboccato un corridoio, non scomparve alla loro vista.
“Dov’è andato?”, Kate prese a guardarsi intorno e ormai, soggetta all’abitudine dell’inseguire possibili sospettati, portò una mano sul fianco, accorgendosi immediatamente di non avere con se la sua glock. Il Dottore apparve all’improvviso, poggiato alla balaustra del secondo piano. Castle sobbalzò quando si accorse della sua presenza, si portò una mano sul petto quasi a voler tranquillizzare il cuore che aveva cominciato a battere rapidamente.
“Sul serio ragazzi, come fate con un solo cuore?”, non si stancava mai di domandarlo, specie dal momento che ancora non aveva ottenuto una risposta soddisfacente.
“Va bene, Dottore”, alzò le mani Kate, in segno di resa. Sapeva riconoscere quando qualcuno faceva di tutto per svicolare da un argomento scottante. Del resto aveva sposato il re degli svicolatori. “Se non vuoi dirci chi è non dovremmo insistere. Dovremmo goderci il viaggio. Giusto Rick?”. Lui la guardò con perplessità, non capendo perché mai, proprio lei, si fosse arresa così facilmente. “Certo, sono pur sempre uno scrittore di gialli, credo che un alone di mistero dopotutto vada mantenuto.”
Il Dottore si aggiustò rasserenato il cravattino, andando poi a giocherellare con le bretelle. “E voi due, cosa mi sono perso in questi anni? Sempre ehm… ecco, voi due”, con le labbra mimò lo schioccare di un bacio facendoli sorridere. “Stai chiedendo se siamo ancora fidanzati?”, tentò Kate.
“Si, era esattamente quella la parola che cercavo! Fidanzati… non trovate abbia un non so che di strano?”
“No, a dire il vero”, risposero in coro. Aspettarono che il Dottore la smettesse con le sue elucubrazioni mentali per dargli la notizia. “Ecco noi... ci siamo sposati!”, esclamò entusiasta Richard mostrando l’anulare sinistro e lasciando un bacio sulla guancia di Kate.
“Oh, questa si che è una notizia! il Signore e la Signora Beckett, congratulazioni”, tornò alla consolle aggiustando la direzione del Tardis.
Kate rise compiaciuta.
“No! Dottore, non è così che funziona. Lei è la Signora Castle, non io il Signor Beckett”, si lamentò Rick.
Per un istante, in un pensiero fugace a cui non poteva permettere di prendere piede, il Dottore rivide il volto di Rory mentre opponeva la stessa lamentela.
Sorrise ripensandoci. Un sorriso triste, amaro, mentre il ricordo rimpiccioliva sempre di più nei suoi occhi fino a dissolversi.
“Tutto bene Dottore?”
“Uhm? Certo, benone. Avrei voluto esserci al ricevimento, io adoro i matrimoni! Beh, adoro ballare ai matrimoni”, fece un paio di mosse e da quello che i coniugi Castle poterono vedere non era certo un gran ballerino, anzi, si poteva dire che fosse semplicemente terribile. Ma era pur sempre un Signore del tempo, ultimo della sua specie una volta che Gallifrey venne spazzato via -dopo che il Dottore della Guerra aveva preso una decisione che le rigenerazioni future avrebbe rimpianto per sempre-, gli si poteva perdonare la sua goffaggine nel ballo.
Prese le maniglie laterali del piccolo schermo sospeso a mezz’aria avvicinandolo a sé e, dopo un’occhiata, si decise ad abbassare la leva arrestando il volo del Tardis. “Forza, venite”, si avvicinò alle porte aprendole, lasciandosi poi cadere contro lo stipite così che i suoi compagni di viaggio avessero sufficiente spazio per poter sbirciare fuori. Rick si sedette a terra, con le gambe a penzoloni sospese nel cielo stellato profondo ed apparentemente infinito. Kate si inginocchiò dietro di lui posandogli le mani sulle spalle, facendole poi scivolare in avanti e intrecciandole sul suo petto. Nella vastità dell’Universo, avevano davanti ai loro occhi il pianeta di Posadise, e ciò che aveva detto loro il Dottore non rendeva minimamente l’idea dello spettacolo che ora stavano osservando. I due anelli si incrociavano tra loro girando in sensi opposti, in lontananza si potevano vedere due piccole sfere bruciare, fiamme vive che proiettavano la loro luce direttamente su Posadise e che riflettendosi sugli asteroidi li facevano brillare come diamanti sospesi nel vuoto.
“Wow…”, sospirò Rick. “Quindi è cosi, mh? Quando sei giù di morale vieni qui, Dottore?”
Il Dottore tirò su col naso, “Aiuta a schiarirsi le idee, non trovate?”, dopo aver visto Castle annuire, si girò verso l‘interno del Tardis rientrando senza accorgersi dello sguardo di Kate su di lui. Lei scosse la testa riappoggiandola alla spalla del marito, godendosi così quell’attimo di assoluta tranquillità che era certa non sarebbe durata a lungo.
Come per la maggior parte delle sue previsioni, anche quella si rivelò esatta. Il telefono del Tardis prese a squillare ed entrambi, anche se un po’ controvoglia, si alzarono avvicinandosi al Dottore.
“Pronto? Temo che la linea sia disturbata… non può essere che sia scappata, l’ultima volta che l’ho vista era stata rinchiusa nelle catacombe di Jubilos. Oh…”, spostò lo sguardo sui Castle che, con gli occhi spalancati e le sopracciglia alzate, sembravano invitarlo a continuare quella conversazione così da saperne di più. “Quindi c’è una mummia a piede libero… sul Titanic… nello spazio. Molto bene”, riagganciò rivolgendosi poi a Rick e Kate. “Scusate, sta succedendo una cosa e credo che… si, che dovrò riportarvi a casa.”
“Cosa? Niente affatto! Noi veniamo con te. Giusto, Kate?”
“Castle ha ragione. Sei sparito per cinque anni”, cominciò elencando sulle dita. “Non ci hai mai fatto avere tue notizie, e sei apparso all’improvviso in casa nostra, infrangendo la regola del niente improvvisate in camera da letto.”
Il Dottore, sentendosi minacciato da quel’indice che ora puntellava il suo petto, si mise sulla difensiva. “Ma siete sempre chiusi lì dentro!”, si giusitificò.
“Certo che lo siamo se piombi nel cuore della notte!”
“Quello che Beckett sta cercando di dire, è che sei appena tornato. Non puoi scaricarci di nuovo così. Quindi, dove siamo diretti?”.
L’angolo destro della bocca del Dottore si piegò all’insù avendo ottenuto esattamente quello che voleva. Stuzzicando la loro curiosità li aveva convinti a restare con lui, almeno per quell’avventura, e sapeva bene che con le giuste argomentazioni sarebbe riuscito a trattenerli sul Tardis almeno per un po’. Non doveva sentirsi in colpa per il suo giocare sporco, del resto stava semplicemente facendo ciò che gli aveva consigliato River qualche tempo prima.
Non viaggiare da solo”, aveva detto e lui stava facendo del suo meglio per non farlo dal momento che quando aveva proposto a lei il posto vacante di Companion, aveva a modo suo declinato l’offerta. “Uno psicopatico per Tardis, non pensi?”, sorrise ripensando a quelle parole.
La psicopatica era lei, senza dubbio. D’altronde non era certo stato lui che aveva cercato di ucciderla al loro primo incontro, subito dopo aver ottenuto una proposta di matrimonio.
Quello, tuttavia, non era il momento adatto ai ricordi. C’era pur sempre una mummia a piede libero su di una nave, e se non fosse intervenuto probabilmente il Titanic avrebbe rischiato di precipitare sulla Terra… di nuovo.








Diletta's coroner:

Buonasera!
Allora, allora, allora... arrivo con una minilong, piccolo crossover con Doctor Who. Ho cercato di spiegare ogni cosa relativa al Dottore al meglio, così che chi dcidesse di seguire la fanfic ma non avesse mai visto questo telefilm possa capire alcune cose un po' strane ma fondamentali. Spero di esserci riuscita!
Grazie di aver letto e ci si legge al prossimo se decierete di seguirmi
Baci baci

  
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