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Autore: LyaStark    24/09/2015    4 recensioni
Nel regno di Viride far parte della Corporazione degli Assassini è un privilegio, e Marcus ne è più che mai consapevole. Lui e i suoi amici vivono per obbedire, per soddisfare i desideri della famiglia reale. Ma cosa fare quando è la figlia del Re a chiedere aiuto, andando contro la sua stessa famiglia? Cosa fare quando il nemico è la Regina stessa, implacabile e pericolosa?
Marcus e i suoi amici dovranno capire in chi riporre la loro lealtà, ma hanno poco tempo perché la guerra incombe, su di loro e su tutto ciò che conoscono, pronta a distruggere ogni cosa.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO II

MARCUS

    Mi chiamo Marcus, ho 20 anni e sono un Assassino al servizio del re. Non ho casa, né moglie, né famiglia. Ho rinnegato il mio vecchio nome da quando, a sette anni, sono entrato nella Corporazione e me ne hanno assegnato uno nuovo. Vorrei poter dire che tutto questo sia stata una mia scelta, ma purtroppo non è così. Sono nato in una famiglia povera, nella campagna del mio paese, Viride.
    Ero il più piccolo di una famiglia numerosa, e i miei hanno deciso che ero solamente una bocca in più da sfamare. Ho pochi ricordi dei miei genitori e non tutti sono piacevoli. Mio padre era un uomo grosso, piegato dalla fatica di lavorare nei campi tutto il giorno, tutti i giorni. Raramente aveva per noi parole gentili e non credo di averlo mai visto sorridere, nemmeno una volta. Mia madre aveva in sé una vena dolce, probabilmente mascherata dalla disagevolezza della sua vita. Ogni tanto ci prendeva in braccio e ci abbracciava, oppure ci lasciava un boccone in più di cibo, togliendoselo dal piatto. Niente di eccezionale, ma quando capitava era davvero un evento eccezionale.
    Quella però che mi ricordo di più è mia sorella, Laure. Tecnicamente non è nemmeno più mia sorella, ma non importa. Era gentile e dolce, e quando i nostri genitori uscivano di casa all'alba era lei a prendersi cura di me per il resto della giornata. Era lei che mi consolava quando piangevo.
    Ero il più piccolo della famiglia e lei era di poco più grande di me, ma è stata come una madre per quei pochi anni che abbiamo passato insieme. Ancora adesso, quando sto per fare qualcosa di molto stupido, è sua la voce che sento dentro la mia testa, che mi dice di pensarci bene. Ogni tanto risulta essere terribilmente fastidiosa. Immagino che di tutta la nostra famiglia sia stata lei a esserci rimasta peggio quando i miei genitori mi vendettero.
    Ebbene sì, gli Assassini hanno così bisogno di nuovi accoliti che, oltre a rastrellare il paese alla ricerca di orfani, e ce ne sono davvero tanti, sono disposti a pagare un buon prezzo per dei bambini che altrimenti sarebbero solo un peso per le famiglie. Devo ammettere che a me è andata male. Fossi nato femmina tutto questo non sarebbe successo. Oppure mio padre mi avrebbe abbandonato ugualmente, senza ricevere soldi in cambio e senza che mi fosse garantita una vita sicura, ed è inutile dire che in quest'ultimo caso sarei morto di fame e di stenti a un angolo della strada. Non c'è pietà per nessuno da queste parti e ognuno pensa solo a se stesso.
    Della notte in cui avvenne il mio cambio, per così dire, di domicilio, ricordo poco. Erano giorni che sentivo la mamma litigare con mio padre, ma non mi ero preoccupato di capire, visto che comunque era una cosa che capitava spesso e anche se avessi voluto dubito che sarei riuscito a comprendere tutto. So solo che quando mi svegliavo per i rumori scivolavo piano nel lettino di Laure e accoccolandomi vicino a lei tornavo a dormire. Un giorno infine mi svegliarono nel cuore della notte e prima di uscire mia madre, cosa insolita, mi salutò piangendo e abbracciandomi. Fossi stato un po' più grande forse mi sarei insospettito, ma a sette anni si ha una grande fiducia negli adulti e ancora di più nei propri genitori.
    Camminammo per quella che mi sembrò un'eternità, senza che mio padre proferisse parola, cosa invece tutt'altro che insolita. Non so se dentro di lui ci fosse una lotta di coscienza, mi piacerebbe pensare di sì, ma più probabilmente stava pensando a quanti soldi avrebbe guadagnato dalla mia vendita, come se fossi stato un sacco di grano.
Arrivammo poco prima dell'alba nella piazza di un villaggio vicino a casa, dove ci aspettava un uomo vestito di scuro. Pochi minuti dopo, mio padre si stava allontanando senza figlio e con un bel gruzzolo di monete mentre io ero tenuto dall'uomo in una presa ferrea, per evitare che scappassi. Niente saluti per me, niente spiegazioni, niente di niente. Mio padre mi diede a quell'uomo, prese i soldi e si allontanò, come se non avesse appena lasciato il suo ultimo figlio. Piansi molto quel giorno, e non rividi mai più la mia famiglia. Ogni tanto mi chiedo come stiano e come sarebbe stata la mia vita se non fossi mai stato cacciato. Diversa? Sicuramente. Più felice? Non lo so, ma ne dubito fortemente. In ogni caso adesso ho una mia famiglia, un po' diversa da quelle solite forse, ma anche se rischio la pelle un giorno sì e l'altro pure sono contento così.
    La Corporazione degli Assassini si trova ad Elea, capitale di Viride, da sempre. La sede è nascosta agli occhi della popolazione comune, infatti da fuori ha le sembianze di un tempio dedicato a Polemos, l'Unico, Dio della Guerra. Il fatto che i suoi monaci siano vestiti completamente di nero, come noi, contribuisce solo a rendere più credibile il tutto. Diciamo che volendo si potrebbero notare delle discrepanze, come il fatto che noi Assassini siamo sempre armati fino ai denti, ma si sa, la gente vede solo quello che vuole vedere.
    All'interno del tempio si apre un palazzo vero e proprio, con le camere, i cortili, le stalle e le uscite verso l'entroterra e verso il castello dei Coverano, la famiglia reale. La Corporazione degli Assassini, da quando è stata costituita anni fa, è agli ordini del Re di Viride, l'unico oltre all'Alto Comando che può decidere le nostre missioni, ed è questo il motivo della vicinanza con il Palazzo Reale. Il nostro compito è garantire la sicurezza del Regno e quando ci viene assegnato un incarico questo comprende di solito una parte prettamente investigativa, per capire se il nostro bersaglio ha effettivamente commesso quello di cui è accusato. Dopodiché, se e quando siamo sicuri della colpevolezza, uccidiamo. Siamo implicati fondamentalmente in quei casi in cui trovare delle prove concrete per allestire un processo sarebbe molto difficile e soprattutto quando è realmente in pericolo la sicurezza del Regno. Siamo guerrieri d'élite, non ci usano a caso. Per tutto il resto ci sono quegli imbecilli della Guarnigione di Stato, che sarebbero in grado di perdersi anche nelle loro case.
    Sfortunatamente da un po' di tempo a questa parte le cose sono cambiate a causa del decesso di re Jerome Coverano, pace all'anima sua. I suoi figli sono troppo piccoli per regnare e quindi il compito spetta alla Regina Reggente, Celia Moreau, che a parer mio è leggermente paranoica. Le nostre mansioni sono state modificate e ormai abbiamo più che altro il compito di reprimere il dissenso nei confronti della Regina, uccidendo a destra e a sinistra, senza motivazione nella maggioranza dei casi, solo perché Sua Altezza Reale ha sentito delle brutte voci sulla vittima.
    La parte delle missioni che riguardava le indagini e la decisione della colpevolezza è stata eliminata, riducendo noi Assassini a sicari. Duecento anni di regolamenti mandati al rogo, ma chi sono io per giudicare? Nessuno. Quindi mi adeguo, anche perché l'alternativa sarebbe con ogni probabilità la morte per tradimento e ritengo di essere troppo giovane e troppo intelligente per morire così. Nonostante ciò attuo la mia piccola e personale ribellione dando a ogni mia vittima la possibilità di difendersi, forse per mettere a tacere la mia coscienza turbolenta. Non che la cosa sia di così grande rilevanza dal punto di vista del risultato, visto che io mi alleno ad uccidere da tutta la vita mentre le mie vittime di solito sono nobili o signorotti imbolsiti dai troppi pranzi e dal troppo vino. E quando dico da tutta la vita intendo dire che, da quando a sette anni sono stato portato come un fagotto urlante nella Corporazione, mi sono stati dati un mantello e una coperta, insieme al consiglio di cercare di sopravvivere anche a costo di uccidere. In questo consiste la tecnica di “scrematura” degli Assassini: dopo aver raccattato almeno duecento orfani in giro per il paese li mettono tutti nello stesso posto e ogni giorno consegnano cibo sufficiente per la metà di essi. Il tutto almeno per sei mesi. Originano così una grande rissa mortale, in cui vince il più forte e il più adatto a sopravvivere.    Nemmeno il sonno era sicuro e ho imparato molto in fretta a dormire con un occhio aperto, per controllare le mie poche e preziose cose. Tutte le giornate venivano consumate all'aperto e nemmeno durante le rigide notti invernali ci era concesso avere un tetto sopra la testa. Io sarei con ogni probabilità morto al secondo giorno se non avessi incontrato chi mi ha aiutato.
    Ero magrolino, emaciato e denutrito, incapace anche solo di guardare in maniera aggressiva gli altri bambini, che in linea di massima erano grossi e ben abituati a lottare per sopravvivere. Quando avevo la fortuna di riuscire a prendere un pezzo di pane per mangiare venivo subito picchiato a sangue da quelli più grandi di me, che poi inevitabilmente mi rubavano il cibo. Dopo un po' di giorni che questa storia andava avanti un altro ragazzo mi si avvicinò. Si chiamava Jared, ed è diventato il mio migliore amico, anche se nel primo periodo ho avuto paura che potesse strangolarmi nel sonno. Anche all'epoca sembrava troppo delicato per il mestiere di Assassino, con i suoi capelli argentati, i lineamenti cesellati e gli occhi color del mare, ma a quanto pare mi sbagliavo. È sempre stato un tipo molto agitato, scherzoso e rumoroso, e soprattutto con un talento per i furti del tutto fuori dal comune, che gli aveva permesso di rubacchiare cibo qua e là all'interno del cortile. L'avevo già notato, avevo visto di come una volta fosse stato beccato a fregare del pane a un tipo, e beh, il trattamento che aveva ricevuto in cambio non doveva essere stato per niente piacevole.
In sintesi, mi si avvicinò, parlammo un po' e poi decidemmo di cooperare, per avere speranze di vita migliori (io), e per avere qualcuno che potesse evitargli altre botte nel caso in cui fosse stato pizzicato di nuovo a rubare (lui). Mettemmo su insieme un piano rapido e semplice, che si rivelò essere anche molto efficace. Quando veniva dato il cibo non ci gettavamo nella mischia, ma aspettavamo qualche minuto. Poi, io andavo a distrarre un tipo a caso, che però fosse riuscito a prendersi da mangiare -e con distrazione intendo che molte volte ho rischiato di farmi ammazzare- mentre Jared gli rubava tutto quello che aveva. Poi fuga e arrampicata sugli alberi, dove ci concedevamo finalmente il lusso di mettere qualcosa sotto i denti. Parecchio pericoloso e non sempre ci andava bene, ma iniziammo comunque a migliorare le nostre condizioni di vita là dentro.
    Avere un amico poi permetteva di riposarsi, visto che durante la notte facevamo dei turni per controllare che non ci capitasse nulla di male. Ci occorse un po’ per imparare a fidarsi l'uno dell'altro, ma quella fiducia guadagnata in un posto così terribile non è mai sparita. Stando con Jared tutto il giorno scoprii molte cose della sua vita. Imparai che veniva da Ange, una grande città poco lontana da Elea, sul fiume.
    I suoi genitori lo avevano sbattuto fuori di casa a cinque anni perchè, un giorno d'inverno in cui doveva badare al fratello più piccolo, questo morì in un incidente. Non mi spiegò mai di precisò che cosa capitò e io non ho mai chiesto. Comunque, dopo aver rischiato l'assideramento implorando fuori dalla porta i suoi genitori di riaccoglierlo a casa, divenne un ladruncolo di strada, con strabilianti risultati. Un giorno poi cercò di rubare un pugnale ad un Assassino, senza riuscirci ovviamente, e questo lo prese con sé e lo portò alla Corporazione. Jared non ne parla mai volentieri e credo di aver sentito la storia da lui solo una volta, ma ogni anno, nella notte del 13 dicembre, si inginocchia ovunque si trovi e rimane così, dal tramonto all'alba. Negli anni in molti hanno provato a farlo smettere, con parole gentili o persino con le percosse, ma senza risultati. Passata la notte Jared ritorna poi il solito ragazzo di sempre, allegro e pieno di vita, e, da un po' di tempo a questa parte, anche pieno di donne.
    Un giorno, quando ormai noi riuscivamo a mangiare quasi con costanza e quindi eravamo anche di buon umore, vedemmo un bambino come noi, solo molto più pallido e magro, seduto con aria sconsolata su un muretto. Ci avvicinammo e, non so perché, gli allungai un pezzo del mio pane. Non l'avevo mai fatto con nessuno prima, e dire che di bambini mezzi morti di fame ce n'erano parecchi, ma forse mi lasciai convincere dai suoi occhi, di un colore molto simile a quello dell'ambra, uguali a quelli di mia sorella Laure.   
    Fu così che Andreas entrò nelle nostre vite e da allora non ci siamo separati praticamente mai. Lui è il più tranquillo e pacato del gruppo, sempre disposto a parlare e a negoziare, a portarci via trascinandoci dalle risse, a evitare i pericoli. Inutile dire che è anche il più intelligente tra tutti noi. Se hai un problema meglio che prima ne parli con lui, molto spesso tira fuori una soluzione che tu non ti eri nemmeno immaginato, e a volte la cosa è decisamente frustrante.
    Scoprimmo abbastanza in fretta che era un orfano di Armilla, una città sul mare. Non si ricorda nulla dei suoi genitore, che devono averlo abbandonato alla nascita. È sopravvissuto per la carità che gli è stata fatta dai monaci, che l'hanno trovano davanti al portone del loro tempio quando era ancora un neonato e lo fecero entrare nel loro orfanotrofio. Avrebbe potuto diventare un prete a sua volta, ma quando gli Assassini andarono al tempio a reclutare decise di seguirli. Forse il suo temperamento dolce deriva dalla vita vissuta tra uomini di fede, e anche se non gliel'ho mai detto lo vedrei bene a pregare tutto il giorno. Credo che sia il più umano di tutti noi, sempre pronto a giustificare e a perdonare. Quando è tra la gente quasi non lo si nota talmente è silenzioso e timido, ma quando è con noi si lascia andare e si unisce alla nostra cafonaggine, facendo rumore e scherzando tanto quanto noi. Una trasformazione insomma.
    L'ultimo arrivato nella nostra piccola combriccola è stato Mel. Arrivò alla Confraternita tardi, aveva già otto anni ci disse, ma non sapeva fare assolutamente nulla. Mi stupii in effetti che riuscisse anche solo a mettersi gli stivali, visto che era completamente inetto. Però a suo discapito c'è da dire che è sempre stato uno che impara molto in fretta e già dopo poco era in grado di fare tutto quello che facevamo noi. Non so come mai si unì a noi, ma ci aveva praticamente adottati. Dove eravamo noi c'era anche lui e un giorno salvò Andreas da un pestaggio. Il nostro amico non era stato abbastanza rapido a scappare e stava per pagare tutti i nostri piccoli furtarelli. Io e Jared avremmo voluto andare a dargli una mano, ma eravamo rimasti bloccati su un albero da alcuni bimbi allegri che ci avrebbero volentieri fatto la festa. Allora Mel, piccolo, magro, serio, si buttò nella mischia a fianco di Andreas e cacciò chiunque volesse fargli del male. Mi ricordo che quel giorno mi fece paura. Sembrava posseduto, con una furia inusuale negli occhi verdi. Da allora però, divenne parte del nostro gruppo e, strano a dirsi, non venimmo più importunati. Mel incute un certo timore riverenziale negli altri, ma con noi è sempre stato normale, il migliore amico che avremmo mai potuto trovare. È il più colto di tutti noi e ogni tanto sa delle cose di cui io non ho mai sentito parlare, ma di questo non c'è da stupirsi vista la mia proverbiale ignoranza.
    Sopravvivemmo quindi in quattro ai primi sei mesi di selezione e poi finalmente cominciammo l'addestramento vero e proprio. Orari massacranti, con sveglie nel pieno della notte e turni di guardia al freddo, anche in pieno inverno. A quanto pare è servito per temprarci, ma io ho i miei seri dubbi visto che l'unica cosa che ho imparato è stato di avere sempre con me un mantello in più, per qualunque evenienza. Imparammo ad usare ogni tipo di armi, dallo spadone a due mani ai pugnali, dalle sciabole all'arco, nel cui uso Mel è bravissimo ma in cui io faccio decisamente schifo. Imparammo a preparare veleni e, modestamente parlando, risultai essere particolarmente portato. Studiammo le lingue straniere, per prepararci all'evenienza di missioni all'estero. Studiammo la storia, per conoscere i legami dei diversi paesi, le loro tradizioni e modi di vivere. Mi stupii notevolmente quando, ad esempio, scoprii che nello stato di Semele, separato da noi da una catena montuosa, il trono passa di madre in figlia, in una struttura matriarcale. Da noi le donne non godono di così tanti favori e nei miei numerosi anni alla Corporazione non ho mai visto nemmeno una ragazza nella sede, visto che si ritiene che la vita di Assassino non faccia per loro.
    I nostri maestri ci addestrarono ad usare l'astuzia per evitare i combattimenti, e a vincerli quando questi erano necessari. Ci dissero che un Assassino porta la morte, ma proprio per questo stima la vita molto di più di un uomo comune, onorandola e godendola in ogni suo istante, come se questo fosse l'ultimo. Diventammo degli Assassini perfetti e sopravvivemmo uniti come fratelli a dieci anni di addestramento, in cui seppellimmo numerosi nostri compagni.
Io e gli altri tre ci facemmo riconoscere in fretta come il gruppo peggiore, più indisciplinato e anche unito di tutto il gruppo reclutato nel 1620, soprattutto dopo che sparimmo per una notte intera saltando il contrappello al mattino. Alla Corporazione è infatti severamente vietato alle reclute uscire in generale e comunque mai dopo la chiusura dei cancelli, pena punizioni pesanti. Noi una sera decidemmo che, visto che nessuno tranne Andreas aveva mai visto il mare, era assolutamente fondamentale andarci il prima possibile.
    Usciti dalla Corporazione passando dai tetti, rubammo quattro cavalli nella città e ci dirigemmo a Imarilla, città portuale poco distante da Elea. Arrivammo in riva al mare in piena notte e siamo stati lì a parlare e guardare e sguazzare nell'acqua per tanto tempo, fino a che infreddoliti e affamati ci spostammo in una locanda. Qua ci addormentammo sfiniti sul tavolo dopo aver mangiato e bevuto e poi, al risveglio, ci accorgemmo che Jared era sparito.
    Ricomparve sulle scale della locanda un'ora dopo, con i vestiti in mano e inseguito dall'oste, che lo aveva scoperto a letto con l'unica figlia. Scappammo con i nostri cavalli ridendo come matti, ascoltando i racconti di Jared sulla prima delle sue numerose avventure sentimentali, prendendolo in giro e non preoccupandoci più di tanto di aver saltato il contrappello.
    Tornati alla Corporazione pulimmo le stalle per un mese. Sembra una cavolata, ma abbiamo più di duecento cavalli, che sporcano tantissimo e che decisamente non hanno un buon odore. Non mi ricordo di aver mai faticato così tanto, ma insieme riuscimmo a rendere divertente persino una cosa così terribile. Ah, ci diedero anche dieci frustate a testa, davanti a tutti, ma per me quello è stato il minimo. Odio le stalle, odio la puzza e odio lo sporco.
    La nostra prova di iniziazione si concluse nel 1631, quando da soli riuscimmo a portare a termine la missione che ci era stata assegnata. Per festeggiare, oltre ad ubriacarci, andammo a farci tatuare il nome di un vento, scelto tra i quattro principali. Io ho scelto Noto, il vento del Sud che porta pioggia benefica o aria rovente. Jared ha Zefiro, il vento dell'Ovest, per il suo essere il più vanitoso dei quattro. Ad Andreas corrisponde Apeliote, il dolce vento dell'Est, adorato dai contadini perchè porta la pioggia che permette ai campi di crescere. Mel infine ha tatuato Borea, il vento del Nord, pericoloso e gelido quando soffia. Sono loro la famiglia che non ho mai avuto, e per loro credo che potrei fare qualunque cosa. Sono i miei fratelli e non solo perché siamo tutti Assassini, ma per il rapporto che si è stabilito tra noi e che è più forte di qualunque legame di sangue. Crescere e sopravvivere e uccidere insieme genera qualcosa che non è così facile da spezzare, non importa quale litigio o situazione si affronti. Non abbiamo mai dimenticato le sofferenze patite insieme all'inizio e tanto meno quei bambini, ormai cresciuti, che per tempo ci avevano picchiato e fatto patire la fame. Con molti ci siamo vendicati nel tempo, molti sono anche morti durante l'addestramento e sarei un bugiardo se dicessi che ne sono stato dispiaciuto. È così che la Confraternita riesce a rendere difficile la formazione di legami all'interno di un gruppo, mettendoci gli uni contro gli altri, facendoci scegliere tra la nostra vita e quella altrui.
    Un esempio è la missione per l'iniziazione che viene assegnata uguale a due membri, ma solo uno dei due può portarla a termine e concludere la prova. Non ho mai dimenticato l'uccisione del mio compagno e avversario, il mio primo omicidio, e devo dire che a volte lo sogno ancora.
    Quando miracolosamente arrivammo tutti vivi dopo l'iniziazione ci fecero scegliere l'Ouroboros, il simbolo della Corporazione, che ha delle caratteristiche uniche per ogni membro, con solo pochi dettagli fissati. La cerimonia di ingresso come membri effettivi fu rapida ma comunque maestosa, al cospetto del Re e della sua famiglia, e di tutte le più alte cariche. Da duecento e più che avevamo iniziato dieci anni prima, eravamo ormai una quindicina. Giurammo lealtà e obbedienza al Re e alla sua famiglia sotto lo stemma dei Coverano, rosso e nero con una stella a otto punte incoronata. Una volta usciti dal Palazzo Reale, dopo pochi minuti di cerimonia, eravamo finalmente degli Assassini.
    Non so dire come mi sentissi al momento. Orgoglioso, di sicuro. Spaventato, probabilmente. Ma ero anche assurdamente felice visto che avevo finalmente realizzato qualcosa nella mia vita. I miei amici erano con me e ci sentivamo invincibili, intoccabili.
    Negli anni a seguire abbiamo completato tutti numerose missioni, alcune in solitaria, alcune insieme. Abbiamo ucciso tante persone, dentro al nostro stato e fuori. Molti incarichi erano nelle nazioni adiacenti, per uccidere uomini che mettevano in pericolo la sicurezza del nostro Regno. Tutto questo in modo assolutamente segreto, perchè tra il nostro paese e Dimina, al nord, e Semele, Cesia ed Albis, al sud, esiste un unico patto di non belligeranza, fragile ma pur sempre presente. Non bisogna interferire per nessun motivo nella politica degli altri stati, e di sicuro l'uccisione di un cittadino potrebbe essere visto come un affronto rimediabile anche con una dichiarazione di guerra.
    Viviamo in un'enorme polveriera e tutti speriamo che il patto duri e ci protegga, e sappiamo quanto questa tregua possa essere fragile. Fortunatamente i sovrani di questo periodo sono abbastanza illuminati da capire che una guerra sarebbe la distruzione, mentre è di gran lunga migliore una pace dove ci siano commerci e scambi tra gli stati.
    Re Jerome Coverano, sotto il quale ho iniziato la mia carriera di Assassino, è stato un bravo sovrano. Sfortunatamente con la sua morte ha lasciato il principe Daniel di soli quattordici anni e non pronto per regnare. La regina reggente Celia invece è una completa incapace. L'unica cosa positiva che ha fatto è stata stipulare una serie di patti matrimoniali con la famiglia reale di Dimina, gli Auremore, con il progetto di rendere la pace più forte e duratura.
    Il mondo in cui viviamo noi Assassini è quindi questo, pieno di morte e di sangue versato, dove siamo disprezzati da tutti ma necessari comunque affinché la pace venga mantenuta nei regni.
   
 
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