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Autore: Asuna_Yuuki    24/09/2015    2 recensioni
"I Ragnarǫk indicano, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell'ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l'intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato."
Come potete ben immaginare, la storia sarà basata sulla mitologia nordica, in particolare quella vichinga. Mi sono documentata prima di iniziare a scrivere, ma naturalmente non sarà perfettamente coerente con la vera e propria tradizione scandinava.
La storia è incentrata sulle vicende di Rena, una giovane elfa delle tenebre, che dopo un gesto eroico verrà esiliata dal suo regno di origine e si ritroverà obbligata a iniziare una nuova vita, o meglio, a sopravvivere nel regno dei suoi nemici: gli elfi della luce. L'esilio di Rena si rivelerà in realtà una fortuna inaspettata per tutti e nove i mondi, in quanto detentrice di un oscuro segreto, di cui sono al corrente solo gli abitanti della sua terra e altri popoli altrettanto malvagi e subdoli, che si ritroveranno allo stesso tempo ingannatori ed ingannati.
Nella speranza che la storia vi piaccia, vi auguro una buona lettura!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10.
 

(Eydis)


 
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Il caso volle che la mattina seguente mi svegliassi presto. Il ragazzo era probabilmente uscito per cacciare, dandomi così una chance per fuggire. Non sarei rimasta nemmeno un minuto di più in quella capanna umida, vivendo a spese di un mio nemico. Con un bel po’ di fatica e sofferenza ero riuscita a sollevarmi dal letto e poi ad alzarmi, indolenzita e dolorante.
 
“Su Eydis, devi andartene. Che ne sai che questo non ti abbia curata solo per guadagnarsi la tua fiducia per poi consegnarti ai tuoi nemici? Tutti infidi, questi Liosalfar.” pensai, mentre mi toglievo la fasciatura.
 
La ferita era praticamente svanita: era rimasta solamente una sottile linea rossastra, dove la pelle era stata squarciata dalla lama del bandito. Non sono mai stata una ladra, quindi rinunciai ad afferrare una delle mele invitanti che Frey aveva lasciato (forse appositamente?) sul tavolo. Recuperai le mie cose, riposte dal ragazzo in un angolo della stanza ed uscì dalla casa, richiudendo la porta alle mie spalle.
Non sapevo nemmeno in che punto esatto del bosco mi trovassi, ma avrei preferito camminare per giorni tra gli alberi che passare anche solo qualche ora bloccata su quella brandina.
Il mio buonsenso a quel punto fece capolino:
 
“E se ti attaccassero? Torna indietro, non riusciresti a disarmare nemmeno un neonato in queste condizioni”.
 
-Aah, sta zitto.- borbottai, mentre ero in procinto di muovere il primo passo verso il bosco.
 
-Dove credi di andare?-
 
Le parole di Frey furono come un colpo d’acqua gelida in un pomeriggio afoso. Mi voltai all’istante, portando poi la testa all’indietro per liberare un sonoro sbuffo. Il mio ospite era poco più lontano e teneva con una mano un paio di volatili piuttosto grossi, la cui vista ebbe un immediato effetto sul mio stomaco: un fragoroso borbottio risuonò dal mio ventre, segno che ero parecchio affamata. In effetti, il mio unico pasto del giorno precedente fu proprio la minestra che Frey mi aveva offerto.
 
-Non puoi andartene! Rimani almeno un altro giorno.- esclamò lui, agitando la mano che reggeva gli animali, dai quali si liberò una grossa quantità di piume.
 
-Perché mai?- dissi, facendo un passo indietro.
 
Mi ero completamente illusa del fatto che sarei riuscita a fuggire: ero troppo debole e non conoscevo abbastanza il posto. Persino dopo quel misero passo sentì il mio corpo vacillare per qualche istante e un lieve dolore percorrermi tutte le ossa.
 
-Se resterai, domani ti accompagnerò ovunque vorrai.- rispose lui, annuendo appena.
 
La proposta era allettante, avrei guadagnato un giorno di riposo e una guida: mi sarei dovuta presentare alla cittadella come una messaggera e là avrei avuto bisogno di tanta fortuna, dato che non sapevo quale sorte mi avrebbero riservato.
 
-Ci sto.- dissi infine –Domani dovrai accompagnarmi da Lord Dain.-
 
Lui scoppiò in una risata fragorosa, coprendosi la bocca con la mano libera ed io lo guardai in maniera torva: non comprendevo il motivo di quella risata. Avevo sbagliato pronuncia? Alzai le sopracciglia, facendogli intendere che esigevo una spiegazione.
 
-Vuoi farti imprigionare?- chiese lui infine, continuando a ridacchiare, divertito dalla mia precedente richiesta.
 
Come pensavo, i Liosalfar erano tanto ospitali quanto noi Dokkalfar.
 
-Imprigionare? Credevo che voi civilizzati ed angelici elfi della luce foste più clementi con i messaggeri.- dissi io, incrociando le braccia al petto con un’espressione accigliata.
 
Lui sembrò piuttosto infastidito dalla mia risposta e mi rivolse uno sguardo un po’ cupo, prima di ribattere:
 
-La prigionia è temporanea, ma almeno noi non uccidiamo chi deve portarci un messaggio.-
 
 
Alzai gli occhi al cielo, sollevando entrambe le braccia per potermi passare le dita tra i capelli.
Nel momento in cui mossi il braccio ferito, il dolore lancinante alla spalla tornò e fui obbligata a soffocare un lamento di dolore in gola. Frey ebbe un sussulto, notando la mia espressione sofferente e abbozzò un sorriso, avvicinandosi a me poco dopo, probabilmente per dare un’occhiata alla spalla. Inizialmente mi scostai un po’, infastidita dal suo atteggiamento: non mi piaceva affatto sentirmi una bestiolina ferita. Lui si bloccò quando vide che stavo indietreggiando ed attese che io sospirassi e gli facessi cenno di controllare la lesione. Sfiorò coi polpastrelli la pelle lacerata, provocandomi un sottile brivido, e parve sollevato nel constatare che la cute non si fosse riaperta nemmeno di un centimetro.
 
-Fortunatamente la ferita non si è riaperta, però la tua fretta ti costerà un altro giorno al letto, con tanto di pomata.- disse lui, avviandosi verso la capanna ed aprendo la porta.
 
Annuì appena, seguendolo a passi lenti mentre strusciavo quasi i piedi a terra. Non vedevo l’ora che quella situazione orribile finisse. Tornai dentro la casetta, illuminata dalla fioca luce del sole, debole ma comunque presente nonostante l’orario. Mi sedetti sulla brandina a me riservata ed osservai il mio ospite intento a spennare i volatili sopra un tavolo che probabilmente utilizzava appositamente per pulire la selvaggina da lui catturata. Notai la sua concentrazione e in particolare la maestria con la quale privava gli animali delle piume, delle interiora e delle varie parti superflue. Mentre lo osservavo, una domanda mi sorse spontanea e decisi di togliermi subito il dubbio, senza che creassi teorie o elucubrazioni nella mia testa.
 
-Frey?- chiamai, sperando che mi rispondesse. Sembrava così preso dal suo lavoro che credevo che a momenti non mi avrebbe nemmeno sentita. Il mugugno che mi giunse come risposta mi autorizzò a continuare:
 
-Perché fai tutto questo per me? Insomma, siamo nemici.-
 
Lui interruppe ciò che stava facendo e poggiò le mani impregnate di sangue sul ripiano da lavoro, senza distogliere lo sguardo dalla cacciagione. Probabilmente non sapeva nemmeno lui il motivo, era una situazione troppo strana e assurda perché ci fosse una motivazione. Poco dopo alzò lo sguardo e lo posò su di me, scrollando appena le spalle con noncuranza mentre diceva con naturalezza:
 
-Semplicemente mi piace aiutare. Non avrei mai lasciato che quei furfanti ti uccidessero. Dato che eri ferita, mi sembrava stupido lasciarti là priva di sensi dopo averti salvata da un gruppetto di malviventi.- 
 
Rimasi un po’ stupita dalle sue parole, del resto aveva salvato la vita a una sua nemica, non ad una del suo popolo. Non ci sarebbe stato nulla di più legittimo del lasciarmi morire, nessuno lo avrebbe biasimato, anzi, probabilmente lo avrebbero ringraziato: una Dokkalfar in meno, giusto? Lo sentì schiarirsi la voce e riprendere a lavorare, mentre io guardavo altrove, in leggero imbarazzo.
Non mi era mai capitata una situazione del genere, e il pensiero di essere in qualche modo in debito con questo ragazzo, uno sconosciuto, mi faceva decisamente salire la bile.
 
-Posso sapere perché devi parlare con Lord Dain oppure è troppo segreto per essere svelato ad un umile cacciatore?- domandò dopo un po’ che me ne stavo in silenzio, interrompendo quella spiacevolissima sensazione di profondo imbarazzo. Mentre parlava, si avvicinò al caminetto per controllare un grosso tegame che aveva messo sul fuoco, nel quale ribolliva qualcosa che emanava un odore piacevolissimo. Dopo aver sfoderato un sorriso soddisfatto, fece cadere dei pezzi di carne che aveva accuratamente preparato all’interno del tegame.
 
-Mi sono offerta volontaria per recargli un messaggio.- dissi, avvicinandomi a lui per vedere cosa stesse facendo –Una Dokkalfar è stata esiliata ad Alfheim per aver salvato la vita ad una piccola elfa della luce.-
 
-Ah si, un mio amico mi ha detto che alla cittadella è stata portata un’elfa oscura e che ora sia finita nelle segrete.- commentò lui distrattamente, afferrando da sopra una mensola un barattolino contenente delle spezie odorose e facendone cadere un po’ dentro al tegame –Suppongo che tu stia parlando di lei.-
 
-Si, sono sicura che sia lei. Immaginavo che si sarebbe fatta imprigionare.- borbottai –Sono stata inviata perché Lord Einar ha chiesto che l’elfa venga immediata riportata a Svartalfaheim.-
 
Il ragazzo aggrottò la fronte con fare confuso e le sue orecchie a punta vibrarono per un secondo, mentre lui si stropicciava un occhio con il dorso della mano sinistra. Con la destra aveva iniziato a mescolare il contenuto del calderone sul fuoco, che aveva iniziato a produrre un odore ancora più invitante, sicuramente a causa della carne da poco aggiunta. Il mio stomaco vuoto gorgogliò di nuovo e, quasi per istinto mi portai una mano all’altezza del ventre, percependo così una leggera vibrazione. Lui rise, farfugliando qualcosa sul mio appetito e sul mio stomaco parlante, ed io rimasi in silenzio, divertita e un po’ offesa allo stesso tempo.
 
-Comunque, stavi dicendo qualcosa sulla Dokkalfar esiliata.- fece lui, tornando improvvisamente serio.
 
A quel punto tornai a parlare, facendo sparire un accenno di sorriso che era affiorato sulle mie labbra e cercando di essere il più sintetica e schietta possibile:
 
-La Dokkalfar, prima di uscire da Svartalfaheim ha ucciso una guardia che aveva il compito di scortarla fino all’ingresso dell’albero. Non so che legge sia in vigore qui, ma da noi funziona la legge del taglione.-
 
-Legge del taglione? Vuoi dire quella barbarica legge “occhio per occhio, dente per dente”?- domandò lui, con un tono che lasciava trasparire sia incredulità che sdegno. Effettivamente, era una legge piuttosto crudele e primitiva, ma i nostri sovrani l’hanno sempre mantenuta, di generazione in generazione, cosicché questa orrenda regola giungesse fino a noi.
 
-Proprio quella. Rena dovrà tornare a Svartalfaheim e pagare la vita di quell’uomo con la propria.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(Caitilin)
 
Quella mattina mi sarebbe di nuovo toccato stare nelle segrete, per sorvegliare i prigionieri. Il giorno precedente avevo passato buona parte del pomeriggio là, a respirare quell’aria intrisa dal pessimo odore della muffa. Di sottofondo si sentiva il sottile vociare dei prigionieri, che di tanto in tanto affacciavano il viso alla piccola finestra rettangolare ricavata nella pesante porta di acciaio, scrutandoci con occhi ricolmi di risentimento. Mentre tenevo lo sguardo fisso sul portone della cella della Dokkalfar, uno dei soldati che era di guardia con me mi diede una gomitata, chiamando il mio nome.
 
-Mh?- mugolai, senza distogliere lo sguardo dalla porta, alla quale si stava affacciando in quel momento la ragazza.
 
-Dovremmo servire il pranzo.- rispose l’altro in un borbottio –Oppure è un compito troppo umile per una che è sempre vicina alla famiglia reale?-
 
Decisi di non rispondere alla provocazione e andare a prendere uno dei vassoi con sopra le pietanze che avremmo portato ai carcerati, senza nemmeno dargli la soddisfazione di vedermi infastidita. Da quando avevo ricevuto la promozione, sembrava che non andassi a genio a nessuno. Chissà, magari avrebbero voluto essere loro al mio posto: il numero dei soldati ai quali era concesso il privilegio di difendere direttamente la famiglia del re era molto ridotto rispetto al totale dei Liosalfar che facevano parte della guardia. Quello di oggi, era solo uno degli ennesimi episodi nel quale qualcuno provava (invano) a farmi odiare il nuovo collocamento.
 
-Lasciali stare, Caitlin.- fece la familiare voce di Kennett, un ragazzo che solitamente si occupava di pattugliare i boschi e catturare i vari delinquenti che si divertivano a saccheggiare piccoli villaggi privi di difesa. Era stato proprio lui insieme ad un’altra guardia a fare prigioniera la Dokkalfar che era in cella con Adrian –Certe persone non riescono a non tenere la bocca chiusa quando sono prese dall’invidia.-
 
Gli sorrisi mentre sorreggevo il vassoio con il pasto destinato ai prigionieri, osservando successivamente le varie celle, per controllare in quale potessi andare per consegnare il pranzo ai detenuti. Come al solito, nessuno si era occupato di andare alla cella dei Dokkalfar: solitamente lo facevamo io e Kennett e, in nostra assenza, il compito spettava a qualche guardia abbastanza coraggiosa da affrontare quei due tremendi demoni. No, seriamente, di che avevano paura? Che li incenerissero con uno sguardo?
 
Mi avvicinai quindi alla stanzetta degli elfi oscuri, che attendevano impazienti vicino alla porta. Chiesi loro di fare qualche passo indietro ed obbedirono subito dopo con una docilità incredibile che mi lasciò sorpresa. Erano parecchio affamati, a giudicare da come si fiondarono sulla loro razione di zuppa. Adrian si era rovesciato buona parte di essa addosso, per berla attaccato alla scodella, e Rena buttava giù una cucchiaiata dopo l’altra molto rapidamente. Uscì dalla cella e mi andai a poggiare contro il muro di fronte a me, attendendo che finissero di mangiare. Non credo che mi avrebbero fatto attendere molto, dato che quando ero uscita avevano già consumato metà della minestra. Infatti a breve il viso di Rena fece capolino tra le sbarre della porta e mi avvertì che avevano entrambi terminato. Stavo per staccarmi dal muro, ma Kennett mi tagliò la strada e andò al posto mio nella cella a riprendere il vassoio. Da fuori udì chiaramente lui provocare Rena, che rispondeva a tono, per poi essere interrotti da Adrian che borbottò qualcosa di indistinto riguardo la cena. Da là in poi, non riuscì a sentire più nulla, finchè non sentì aprirsi il portone di acciaio, che provocò un cigolio fastidioso.
 
-Pallone gonfiato.- furono le parole della ragazza che mi arrivarono all’orecchio mentre l’elfo usciva dalla stanzetta con il vassoio in mano. Aveva la sua classica espressione seria, con l’aggiunta di un velo di dispiacere.
 
-Che è successo?-
 
Lui richiuse la porta alle sue spalle con tre mandate di chiavi e riappese queste al gancetto apposito che era incastonato nel muro al quale mi appoggiavo, muovendosi nel più totale silenzio. Inizialmente pensai che non avesse sentito la mia domanda, ma quando ero sul punto di porgliela nuovamente, mi fece cenno di tacere e andò a riportare il vassoio dove l’avevo preso. Subito dopo tornò da me, mormorando poco dopo:
 
-Non gli hanno dato la cena, ieri sera.-
 
Di certo non erano due angioletti quelli rinchiusi lì dentro, ma se Lord Dain aveva insistito perché entrambi venissero trattati come normali prigionieri, allora così bisognava agire: a nessuno dei carcerati era mai stato negato un pasto, casomai erano loro a rifiutarsi di mangiare. Stavo proprio sul punto di esprimere come la pensassi, quando una guardia di alto rango proveniente dalla sala del trono scese nelle segrete e chiamò varie volte il mio nome. Kennett mi fece segno di andare e lo salutai con un cenno del capo, poco prima di raggiungere l’uomo che era venuto a chiamarmi, probabilmente per ordine del re. Lo seguì e scoprì con sorpresa che i reali non si trovavano seduti sui rispettivi troni, ma c’era solamente una ragazza in piedi al centro della sala, che osservava attentamente un mosaico abbastanza antico che fungeva da pavimento. Una volta vicino a lei, ebbi modo di osservarla: il volto particolarmente gradevole, che sembrava di risplendere di luce divina, la corporatura muscolosa e l’armatura mi fecero immediatamente capire che si trattava di una Valchiria.
 
-Sei tu Caitlin?- domandò lei, e la sua voce possente risuonò per tutta la sala. Una volta sentita la mia risposta, si presentò come Astrid, generalessa della quinta legione.
 
Mi chiesi che cosa ci facesse una Valchiria qui ad Alfheim, ma prima che potessi aprire bocca, questa iniziò a camminare, seguendo lo stesso uomo che mi aveva chiamata qui. Mi accodai anche io, rimanendo in silenzio dietro la donna che avanzava spedita davanti a me, mentre teneva saldamente sotto un braccio l’elmo decorato con due ali dorate ai lati e topazi, ornamento tipico delle Valchirie. In quest’ala del castello ero venuta poche volte, in quanto era raramente frequentata e non vi erano molte stanze. Alla fine del corridoio, che aveva tutta l’aria di essere un vicolo cieco, era appeso un grande specchio dalla cornice argentata, così ampio da toccare a terra e da arrivare praticamente al soffitto. Non l’avevo mai visto prima d’ora.
 
-Entrate.- disse il soldato che mi aveva accompagnata –A me non è concesso, quindi rimarrò sulla soglia.-
 
-Cos’è?- domandai, osservando la mia immagine riflessa nello specchio –E come faccio ad entrarci?-
 
L’ufficiale di alto rango esordì con un “Meno chiacchiere, più fatti”, facendomi tacere all’istante. La Valchiria distese un braccio in avanti e il suo braccio si fuse con lo specchio, o meglio, sembrò quasi attraversarlo. Rimasi di sasso quando la vidi passare completamente all’interno dello specchio. Sfiorai la lucida superficie di questo con un dito e l’effetto fu lo stesso che produce un sassolino che viene tirato in acqua: una serie di microscopiche onde si propagarono dal punto in cui la mia pelle aveva toccato quello strano materiale, provocando un curioso rumore. Dopo qualche secondo di indecisione, trattenni il fiato come se stessi per immergermi in acqua ed entrai all’interno dello specchio, attraversando la mia stessa immagine riflessa.
 
 
 
 
   
 
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