XIII
Arrivò in un attimo
alle pendici del vulcano; una delle tante comodità che amava nell’essere dea
era proprio il fatto di poter materializzarsi ovunque. Il luogo dove viveva Flaren aveva ben poco di ospitale;
per il troppo caldo non c’erano piante intorno alla casa, se non qualche
erbaccia secca. Il vulcano alle spalle della piccola casa era una presenza cupa
e molto inquietante, la casa già di per sé era inquietante. Da dentro
provenivano dei secchi rumori metallici, come se più che una casa quella del
dio fosse una fucina o un laboratorio. Quella piccola
casa di certo non aveva nulla a che fare con il grande
palazzo in cui vivevano lei e la sua famiglia. Branwen emise un lungo e
profondo respiro e bussò lentamente alla porta. Per un lungo istante non le
aprì nessuno, ma poi finalmente si sentirono dei passi che si avvicinavano alla
porta. Le aprì un giovane semidio dall’aria piuttosto sciocca e assente, con lo
sguardo perso oltre la dea e due grandi occhi blu notte.
-sì?
Desiderate signora?
La sua voce era
leggermente gracchiante e la dea pensò che per certi versi quel giovane
assomigliasse a sua figlia Nemain.
-ho
bisogno di parlare con il dio Flaren, è urgente
-temo
che dovrà aspettare, il dio al momento è molto occupato
Branwen non aveva
assolutamente intenzione di aspettare anche un solo minuto. Alzò la voce e
contorse la faccia in un’espressione di rabbia per spaventare il povero ragazzo
e la cosa le riuscì molto bene.
-non
aspetterò nemmeno un minuto di più! lasciami entrare,
è un ordine!
Il servitore,
spaventato a morte, la lasciò entrare e richiuse la porta alle loro spalle; la
condusse poi nella stanza dove si trovava Flaren e
Branwen notò che in effetti la casa era più che altro
una grande fucina. C’era un grande forno in un angolo
e lì vicino un uomo stava battendo con un martello dall’aria molto pesante un
pezzo di ferro incandescente. Quella figura china sul pezzo di metallo doveva
essere Flaren. La dea gli si avvicinò con cautela,
temendo di disturbarlo, ma decisa lo stesso a parlargli.
-siete
il dio Flaren?
L’uomo si girò verso
di lei e distolse la sua attenzione dal lavoro che stava facendo. La squadrò
per un momento, cercando di riconoscere la sua visitatrice.
-cosa
ci fa la bella dea dell’amore nella casa di un vecchio come me?
-ho
bisogno di parlarvi con urgenza, è una cosa molto importante
A sentire il tono
della dea, Flaren sentì puzza di guai e mugugnò
qualche parola poco convinta mentre lasciava perdere del tutto il suo lavoro.
-Hestir, pensaci tu a questo!
Il ragazzo che aveva
aperto la porta a Branwen si diresse verso il camino e
prese gli attrezzi dalle mani del dio.
-seguitemi, andiamo a parlare da un’altra parte. Ecco qui
staremo più comodi
Flaren l’aveva condotta in
una stanzetta piccola, ma ben tenuta. C’era un tavolo in
legno al centro della camera con sopra un cesto di frutta e un altro con dei
biscotti al cioccolato; sul lato opposto alla porta dalla quale erano entrati
c’era un grande scaffale pieno di libri vecchi e polverosi e con qualche
ragnatela che pendeva dai libri più sporgenti. C’erano anche due poltrone di
velluto rosso e in mezzo a loro c’era un tavolino dorato con sopra un altro
cesto di dolci.
Flaren la fece
accomodare su una delle poltrone, la invitò a prendere dei biscotti
senza fare complimenti e poi prese posto sull’altra poltrona. Intanto Branwen
ebbe il tempo di osservarlo bene. Era alto e la sua figura era
imponente quanto quella di Balor; aveva i capelli biondi e ondulati, lunghi
fino alle spalle e raccolti in una cosa bassa; gli occhi grandi e viola
fissavano quelli di lei con un’espressione indecifrabile e allo stesso tempo un
magnetismo irresistibile. Solo ora comprese
come quel Natan avesse fatto a far innamorare perdutamente di lui sua figlia,
con quello sguardo magnetico poche persone sarebbero state in grado di
resistergli.
-allora,
di cosa mi dovete parlare di così importante?
La sua voce era bassa
e leggermente roca.
-è
una questione delicata. C’è un ragazzo, un certo Natan, che ho
ragione di pensare sia vostro figlio
-mio…
che cosa?!
I suoi occhi viola
erano spalancati per la sorpresa. Non sapeva se doveva credere alle parole
della dea o no.
-sì,
credo sia vostro figlio. Ha i vostri stessi occhi e inoltre può vedere gli dei,
caratteristiche che non può avere nessun essere umano
Flaren abbassò di colpo la
voce, come se stesse parlando da solo e non con Branwen.
-avevo
avuto un figlio una ventina di anni fa, almeno credo,
non tengo molto conto degli anni. Non so assolutamente cosa gli sia successo,
so solo che, qualche giorno dopo la sua nascita, è semplicemente sparito dalla
culla. Mia moglie non ne ha mai voluto parlare, dovreste chiedere a lei cos’è successo
-non
voglio sapere cos’è successo, almeno non per ora.
Voglio solo che mi aiutate a salvare la vita a questo ragazzo. Ha avuto una storia con mia figlia Macha e mio marito l’ha
scoperto. Purtroppo Balor non ha voluto sentire ragioni e non sa nemmeno che
quello è vostro figlio e non un semplice essere umano. Credo che stia per ucciderlo
-non
può ucciderlo, è un dio!
-ma
se fosse solo un semidio potrebbe farlo
-ho
capito, forse è per questo che mia moglie l’ha fatto
sparire, diceva sempre che non avrebbe mai voluto un figlio imperfetto. Va bene
lo salveremo, dopotutto è sempre mio figlio
A Branwen si illuminò il sorriso e tutto il viso. Forse sarebbe
riuscita a salvare l’amore di sua figlia. Ora però, doveva
pensare a come salvare la stessa Macha, che nel frattempo era stata rinchiusa
in una torre altissima che Balor aveva fatto costruire un paio di secoli prima
dietro il loro palazzo.
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La torre era di
purissimo cristallo che sfavillava alla luce del sole e aveva quindici piani,
più una terrazza in cima. Macha era stata portata fino all’ultimo piano dagli
stessi due brutti ceffi che l’avevano catturata in camera. I due poi l’avevano
lasciata sola in una stanza fredda e piccola, dalla quale non poteva vedere
fuori a causa dei riflessi dell’accecante luce del
sole. A fatica la ragazza riusciva a tenere gli occhi aperti per la luce troppo
forte; aspettava con ansia l’arrivo della notte. Se ne stava seduta in un angolino della sua prigione lucente e pensava con paura a
cosa sarebbe successo a Natan quando suo padre l’avesse trovato. Poi pensò con
rabbia e con dolore che forse mentre lei se ne stava lì, Natan poteva essere
già morto. Non voleva nemmeno immaginare una cosa simile, ma temeva che le cose
stessero proprio così; suo padre non l’avrebbe mai risparmiato. I suoi bei occhi verdi iniziarono a bagnarsi nuovamente di lacrime e
lei si rannicchiò ancora di più nel suo angolino, aspettando che arrivasse il
sonno a farla smettere di piangere. Circa un’ora dopo scese il buio sull’isola
divina e finalmente Macha poté guardare attraverso i muri spessi ma trasparenti
della prigione. Non riuscì a vedere molto, a parte le mura posteriori della
loro grande villa e qualche macchia scura che doveva
essere il giardino. Sconsolata si risedette per terra e a contatto con il
freddo cristallo un brivido le salì lungo la schiena.
Poco dopo finalmente si addormentò e scivolò in un sonno profondo e senza
sogni.
Ecco un
altro capitolo!!! Finalmente si è scoperto cos’ha di
speciale Natan (almeno in parteXD)!!! Spero sia
piaciuto a tutti, baci Jelly^^