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Autore: esotericism    27/09/2015    0 recensioni
Tremendamente vicino ad una realtà a noi non molto distante: quasi sotto forma di diario, Chris, un 15enne oramai sopraffatto dall'odio provante nei riguardi del mondo intero, caduto nell'oblio della droga, narra di come letteralmente distrugge la propria "vita", dopo la morte della propria madre, Nora, con l'irrefrenabile voglia di avere al suo fianco Hazael, la creatura più bella al mondo.
«Esistono due tipi di sogni, a questo mondo: quelli reali, tradotti in “incubi”, e quelli infattibili, tradotti più semplicemente in “sogni”.» – Chris.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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23 Aprile 2081, “inganno”

Apri gli occhi di scatto, la bocca si spalanca ed i polmoni si riempiono per l’aria mancata che hai appena inspirato, come ti mancasse e stessi affogando sott’acqua. Le iridi immense inevitabilmente balzano ovunque, in cerca di un qualcosa possa tranquillizzarti: magari qualcuno vivo lì con te, o nei peggiori dei casi, un qualcosa possa aiutare la tua ferita dissanguante a renderla meno dolorosa di quanto non lo sia già, e, sempre magari, continuar a perire lì da solo, disteso sulla spiaggia, bagnato dal mare, dolorante e con lancinanti fitte che pervadono interamente il tuo fragile e sottile corpo. Quando non vedi nessuno, ancora non ti rendi conto di essere sicuramente una delle poche persone più fortunate al mondo, e lo faresti certamente se qualcuno verrebbe poi a cercarti, ma non è questo il mio caso. Mi chiedo solo ora, come io abbia fatto a non accorgermi prima di te, Chris: ti ho amato come pochi hanno potuto con altri, e tu ancor di più, tanto da aspettarmi per tutto quel tempo, inutilmente. Abbiamo vissuto i nostri momenti, ed anche se brevi, intensi. C’è chi di fortuna ne gode fin troppo, ed anche chi affatto: l’hai detto tu, ed io ne sono così tanto convinta da essere la più sfigata al mondo e, allo stesso tempo, la donna più felice mai esistita sulla faccia della Terra. Sei nel panico più assoluto: io lo ero, e più di quanto non lo fossi di già su quel maledetto aereo. La cintura schiacciata contro il petto e il cuore che batte tanto da creare un contatto tra i due, le braccia attaccate al sedile, la schiena spinta allo schienale, le iridi si incrociano con tutte quelle degli altri presenti, riempiendosi della stessa disperazione al solo pensiero di precipitare da un momento all’altro, e perdersi, nel vuoto. Sei triste, moltissimo: non pensi alla tua vita, ed infondo, perché mai dovresti farlo? Io non l’ho fatto: semplicemente mi scorsero davanti gli occhi, quasi in 4D, i volti delle persone che più amavo al mondo. Li immaginavo sorridenti, pieni di gioia e d’allegria, e non perché felici da un momento all’altro sarei morta, ma perché era quello avrei voluto per loro, anche nel caso fossi morta con qualche arto all’aria. In lontananza un fumo nero, denso, più che fitto; l’aereo nel mare –non poi così distante dalla riva-, ed insieme, bambini, anziani, uomini e donne, incapaci di urlare aiuto, impotenti. Il fuoco divampava sulla superficie ancora a galla dell’aereo, ed alcuni erano di già morti, altri invece erano semplicemente dei “pre-morti”, destinati di già alla loro crude sorte. Scruto la vegetazione e mi rimetto a malapena in piedi –o almeno ci provo-, mi avvicino alle urla che echeggiano su quella che mi parve a primo impatto un’isoletta, e realizzo i soccorsi sarebbero prima o poi arrivati, sicuro, ed una lacrima –o due, o tre, e perché no, forse anche quattro-, mi irriga il viso, tragicamente felice di essere viva, quasi sadica, perché di disperazione lì ce n’era. Ho pensato a mia madre, e poi al mio papà, al mio fratellino, ed a te, Chris. Non so spiegare quello che ho provato: rimasi lì immobile col peso del mio corpo, sulle ginocchia affondate nella sabbia asciutta, afflitta e disperata allo stesso modo come tutti i presenti, nonostante io non avessi perso nessuno, o almeno, non lo sapevo. Mi avvolse un misto di gratitudine nei confronti del fato, o di Buddha, o di Allah, o di Gesù, e nei confronti di tutti gli Dei esistenti, perché nonostante allo stesso tempo completamente sconfitta e stracciata da quella forte mancanza di gioia pura, io (s)fortuna ero ancora lì, viva e non vegeta come mai. Aiutai nel mio piccolo, magari trascinando qualcuno arrivato a riva, sulla spiaggia, o semplicemente consolando quella donna che perse il proprio figlio, fino a quando i soccorsi finalmente non arrivarono –decisamente in ritardo-. Rimasi in ospedale per qualche giorno, forse tre, in attesa di una tua chiamata, o di un tuo qualcosa, ma niente: ed il terzo giorno –no, non resuscitò nessuno-, mio padre mi porse il tuo diario; questo, diario. Lo lessi e rilessi per la centesima volta, tutto, pagina per pagina, e chiaramente, era la prima volta: rimasi sconvolta, allibita da quanta sofferenza potesse sopportare un essere umano, e da quanto potesse essere ingannevole, crudele e spregevole la “vita”. Piansi, piansi e lo feci ancora, per mesi, e non per giorni o settimane. Avrei voluto prendere la testa di qualcuno, di staccargliela dal collo e di schiantarla al muro, sfracellandogliela: magari, perché no, quelle di coloro che mi diedero per dispersa insieme a tant’altra gente allo stesso modo intrappolata. Fui morta per qualche mese, abbandonata e sconfitta dall’idea di vivere un’intera punizione –perché così consideravo il mio “vivere”-, impossibilitata nel compiere la tua stessa gesta: non volevo, e non potevo. Ora ho la bellezza di ottantaquattro anni, e l’unico mio rimpianto è quello di non averti mai più visto prima della mia partenza al college, insieme a quello di non essere venuta al tuo funerale, ma infondo, la colpa non fu neanche mia: sarei potuta peggiorare e rimetterci le penne anch’io, se solo fossi venuta a conoscenza dell’accaduto, dissero i miei genitori, certo, come no, ma va bene. Sono stata triste –moltissimo, quasi quanto te, se non di più-, ma ora, sull’orlo di rimetterci per davvero le penne, sono incredibilmente felice e fiera del mio trascorso. Ti ho conosciuto e condiviso con le mie labbra: mi basta e avanza, Chris. Ad ogni modo, hai sempre saputo non molto brava nel concludere anche un’interrogazione, quindi ecco: il motivo per cui non ho potuto impiccarmi alla stessa maniera, è che ora hai un figlio di sessantaquattro anni qui al mio fianco impegnato nell’adempiere le mie ultime volontà –sì, è vecchio quasi quanto te, ed il tempo passa-.

Nessun addio: sto arrivando per volerti di nuovo un bene.



RINGRAZIAMENTI (?): semplicemente, un grazie a tutti coloro che hanno seguito questa mia prima e "mini" serie su EFP! Volevo chiedervi inoltre, come ultima cortesia, di commentare come meglio credete la storia: se credete sia uno schifo, fatelo e non temete di essere troppo duri! :)
 
   
 
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