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Autore: dark tears    27/09/2015    3 recensioni
Durante uno dei loro soliti scontri all’ultimo sangue, Batman colpisce Joker per errore, ferendolo gravemente e lasciandolo privo di sensi e di energie. Attanagliato dal rimorso e dal senso di colpa, l’eroe raccoglie l’altro uomo dal pavimento e lo trasporta alla batcaverna, deciso a prestargli tutte le cure necessarie per salvargli la vita. Riuscirà Batman a strappare la sua eterna nemesi dalle braccia della morte o fallirà, trasformandosi nell’oscuro mostro che ha sempre temuto di diventare?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Alfred Pennyworth, Batman, Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
Operazione d’urgenza

 

La batmobile sfrecciò attraverso le acque della cascata che celavano l’ingresso della grotta ad una velocità tale da rischiare seriamente lo sbandamento; eppure l’uomo alla guida era un abilissimo pilota, uno abituato alle alte velocità e agli inseguimenti all’ultimo respiro. Quando l’automobile fu parcheggiata con una sonora sgommata delle ruote sulla nuda roccia, Alfred accorse immediatamente sul posto andando incontro all’uomo che da tanti anni serviva con affettuosa dedizione. Bruce sbucò fuori dalla vettura con un agile balzo, portandosi immediatamente dal lato del passeggero senza degnare di uno sguardo il suo maggiordomo.
< Cos’è accaduto? > domandò l’uomo anziano con tono piuttosto neutro, lanciando una rapida occhiata al clown criminale disteso privo di sensi nella macchina del giustiziere.
< Sono stato io Alfred, è colpa mia > ammise il giovane eroe con una spontaneità che stupì perfino sé stesso, stringendo le labbra dal rimorso e dalla vergogna ed afferrando il corpo esanime di Joker con le braccia forti e sicure. < Volevo colpirgli la mano per impedirgli di fare una strage, invece ho sbagliato a prendere la mira e l’ho centrato in pieno petto >.
Alfred sollevò le sopracciglia in un’espressione che la diceva lunga su quanto non fosse affatto dispiaciuto per l’accaduto, e che anzi biasimasse il suo padrone per la pena che si stava prendendo. Lo osservò sollevare il pagliaccio dal sedile e trasportarlo rapidamente verso il fondo della stanza, là dove una porta in metallo immetteva ad un corto corridoio con infondo una sorta di sala operatoria approntata con lo stretto necessario. La camicia un tempo color verde acqua del pagliaccio, era ora diventata del rosso cupo del sangue che la inzuppava completamente, lo stesso che macchiava il volto magro e pallido, trasfigurandolo in una grottesca maschera di sangue. Mentre lo trasportava in tutta fretta verso la stanza, Batman non ebbe il coraggio di posare gli occhi su quel misero corpo inerme e ferito, che sembrava esistere solo per ricordargli l’orrore del suo peccato.
< Il dottor Anderson sarà qui a momenti > informò Alfred da dietro le larghe spalle del giustiziere, sforzandosi di mantenere il passo e di stare dietro ai due uomini. Batman non disse niente, ma si limitò ad aprire la maniglia della porta aiutandosi con il gomito per poi entrare nella piccola sala operatoria. Aveva fatto approntare quella stanza solo pochi mesi prima, quando se l’era vista davvero brutta per una pallottola che gli si era conficcata ad un soffio dallo stomaco, rischiando di ucciderlo sul colpo o di lasciarlo dissanguato. Da quel giorno aveva compreso l’importanza di avere a disposizione nella batcaverna un luogo dove potesse ricevere tutte le cure necessarie in caso di emergenza – comprese le operazioni chirurgiche – e di poter contare su un medico abile e riservato che si sarebbe offerto di operare al di fuori del normale circuito ospedaliero. In quel momento ringraziò mentalmente sé stesso per aver avuto quell’utile idea. Non avrebbe potuto affidare Joker ai dei medici del pronto soccorso come se si trattasse un qualsiasi ferito, primo perché considerata la fama che aveva lo avrebbero probabilmente lasciato morire in barba a qualsiasi principio del Giuramento di Ippocrate, e secondo perché chiunque avrebbe notato il batrang conficcato nel petto del malcapitato, ed allora l’onta della propria vergogna sarebbe stata troppo difficile da scrollarsi di dosso perfino per uno come Batman.
Bruce depositò il suo nemico sul freddo tavolo operatorio, afferrando poi un grosso paio di forbici sistemate su un vassoio di metallo e avvicinandole al torace del “paziente” per tagliar via i vestiti in modo da levarli di mezzo in modo facile e veloce. Le gelide lame tagliarono prima le maniche della giacca che fu subito rimossa, e poi la camicia intrisa di sangue, evitando di passare vicino al punto dove in batrang affondava nella carne bianca e tenera. Con l’aiuto di un contrariato ma obbediente Alfred, Bruce liberò in poco tempo il torace di Joker dai vestiti, predisponendolo così per l’imminente operazione. L’eroe osservò con una fitta allo stomaco il petto insanguinato sul quale si stagliava netta e prepontente una metà dell’arma che lo aveva trapassato, come una lugubre vela nera issata in un mare di bianco latte e di rosso sangue.
< Padron Bruce, non è colpa sua.. > mormorò all’improvviso Alfred con tono dolce e confortante, sollevando lo sguardo dal clown riverso sul tavolo al viso serio e contrito del giovane uomo che tanto stimava. Fortunatamente l’arrivo imminente del chirurgo che stavano aspettando sollevò Bruce dall’onere di replicare a quel tentativo di rassicurazione.
< Buonasera signor Wayne. Mi ha fatto chiamare, di chi si tratta? > domandò la voce bassa e burbera del dottor Anderson mentre si avvicinava al tavolo operatorio. L’ultima volta che c’era stato bisogno del suo intervento si era trattato di Nightwing, anche lui ferito gravemente per un’arma da taglio ed anche lui impossibilitato a recarsi in ospedale per proteggere l’anonimato. Batman sospirò affranto e si voltò a guardare il medico.
< Si tratta del Joker > disse in tono asciutto senza badare alle occhiate che si scambiarono i due uomini maturi < Per errore l’ho colpito con una delle mie armi ferendolo gravemente, ed ora versa in condizioni disperate > anche se la vergogna gli suggeriva di parlare il più in fretta possibile, Batman si sforzò di scandire bene ogni frase, spostandosi poi di lato per permettere al dottore di avvicinarsi al ferito. < Temo di averlo colpito al cuore.. > aggiunse con quello che fu poco più di un basso borbottio, tenendo gli occhi bassi e i pungi stretti. Senza fare commenti o esternazioni, il dottor Anderson si avvicinò al criminale e prese ad esaminare da vicino la ferita, andando poi a tastare il polso bianco dove il battito era quasi assente. Le folte sopracciglia grigie si aggrottarono di colpo, segnando sul viso dell’uomo un cipiglio di severa preoccupazione.
< Dobbiamo agire immediatamente, non c’è un attimo da perdere > asserì con tono fermo e sicuro, rassicurando Bruce sul suo professionale proposito di tentare di salvare la vita ad un rifiuto come il Joker. Evidentemente il dottor Anderson era un medico di vecchio stampo, legato in maniera indissolubile e quasi religiosa a quelle regole dettate da Ippocrate sulle quali tanti anni prima aveva fedelmente giurato.
< Come al solito, non avendo a disposizione la mia equipe, dovrete essere voi i miei assistenti > avvisò Anderson con il solito tono, vestendosi del camice verde e lavandosi per bene gli avambracci e le mani. < Certamente! > asserì Bruce togliendosi veloce i guanti e la maschera nera del costume, mostrando il volto arrossato e sofferente. Alfred aiutò il chirurgo a prepararsi e ad indossare i guanti di lattice, per poi fare lo stesso con Bruce e con sé stesso.
< Non ho rimosso il batrang per paura di scatenare un’improvvisa emorragia > disse Bruce mentre il medico si sistemava la mascherina davanti alla bocca e tornava al capezzale del paziente.
< Saggia decisione > convenne l’uomo con un cenno del capo < Dobbiamo intubarlo e procedere ad una blanda anestesia, giusto per sicurezza >. Bruce ed il suo maggiordomo improvvisati aiuti-chirurghi si fecero vicini al medico e si scambiarono un rapido cenno d’intesa, armandosi di coraggio e concentrazione per dare inizio all’operazione.

* * *

L’intervento durò appena due ore, ma fu ugualmente insidioso e molto delicato. Come previsto da Bruce, la punta del batrang aveva raggiunto il cuore di Joker, conficcandosi nella membrana di rivestimento muscolare e fermandosi ad un soffio dall’aorta, senza creare danni letali per puro miracolo. L’arma fu estratta e la ferita curata e ricucita, ma Joker aveva perso molto sangue, sia prima che durante l’intervento e, dato che in quella sala operatoria in miniatura non disponevano di sacche per un’eventuale trasfusione, le condizioni cliniche del paziente rimasero gravi nonostante l’ottima riuscita dell’operazione. Sotto la responsabilità del dottor Anderson, Joker fu perciò messo in coma farmacologico, un sonno artificiale e controllato garantito dalla somministrazione di apposite sostanze a intervalli regolari.
< Tenetelo così per un paio di giorni > disse con la sua voce ferma e baritonale il dottor Anderson, mentre si liberava dal camice e dai guani sporchi di sangue < Almeno finché le funzioni vitali non torneranno nella norma. Se si verificherà un recupero in tal senso, allora potrete interrompere la sedazione e risvegliarlo dal coma >. Mentre appendeva la flebo all’apposito sostegno, l’uomo parlava rivolgendosi sia ad Alfred che a Bruce, ma solo quest’ultimo prestò attenzione e prese nota mentalmente di tutte le cose da fare. Joker fu trasportato in una stanzetta attigua alla sala operatoria, dotata di un vero letto da ospedale e di qualche misero arredo. Il paziente fu spostato sul suo nuovo giaciglio dalle lenzuola bianche e pulite, poi venne attaccato al monitor su cui comparvero i parametri di pressione sanguigna, saturazione e frequenza cardiaca; il secondo di questi tre valori era decisamente critico, al ché il medico decise di apporre una mascherina per l’ossigeno davanti alla bocca sottile e priva di rossetto del criminale.
< La ringrazio per l’aiuto e per la sua proverbiale tempestività > disse Bruce con un sorriso stanco, stringendo la mano al dottore.
< Dovere signor Wayne, dovere! Per qualsiasi necessità non esiti a chiamarmi, arrivederci >
< Grazie. Il mio maggiordomo le pagherà il giusto compenso >. Il chirurgo si ritirò con un ossequioso cenno del capo e subito dopo lasciò la stanza seguito da Alfred.
Rimasto solo nella stanza, Bruce si avvicinò a Joker, osservandolo con gli occhi stretti e leggermente arrossati da sopra la sponda del letto. Non riusciva a credere di avere davanti a sé il criminale più efferato e pericoloso di tutta Gotham City..! Quell’uomo pallido e privo di sensi, trascinato a forza in un sonno senza sogni, sembrava così debole e indifeso – così fragile – che nessuno avrebbe mai detto che si trattasse del folle killer che solo poche ore prima stava per far saltare in aria un intero edificio gremito di persone. Quell’individuo ora così inoffensivo e vulnerabile era in realtà capace di strappare vite umane a suo piacimento con la stessa incuranza e leggerezza con la quale avrebbe strappato un mucchio di carte inutili. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto odiarlo, che avrebbe dovuto disprezzarlo con la stessa implacabile ferocia con cui lo aveva sempre odiato e disprezzato. Eppure non ci riusciva. In quel momento surreale e inatteso, vedendo così ridotto il suo eterno nemico, non riusciva a provare che un profondo e sconfinato senso di rammarico e di rimorso. Quel sentimento lo fece incupire e arrabbiare con sé stesso. Possibile che bastasse così poco per cancellare in un attimo anni e anni di terrore, di stragi, di inseguimenti, di sangue e dolore? No, non doveva provare pena per un essere spregevole come Joker, non lo meritava.
Afferrò con gesto meccanico l’unica sedia presente nella stanza e con pesantezza la trascinò fino al letto di Joker, facendo stridere con un acuto fastidioso i piedi di metallo contro il pavimento senza preoccuparsi di far rumore. Si lasciò cadere sulla sedia con un movimento pesante, avvertendo in quel momento tutta la stanchezza mentale e fisica calare come una mannaia affilata sopra le sue membra tese e indolenzite. Si passò una mano a massaggiarsi gli occhi e le tempie, sospirando con forza nel palmo nudo e leggermente graffiato. Si guardò addosso e si rese conto solo in quel momento di indossare ancora la tuta nera da supereroe; quel pensiero gli strappò un leggero sorriso, e lo portò a domandarsi che ore fossero. Forse fuori era ancora notte fonda o magari stava già spuntando l’alba di un nuovo, faticoso giorno. Quella mattina lo attendeva una lunga e noiosa riunione di lavoro alla Wayne Enetrprises, e sapeva che avrebbe dovuto dormire almeno qualche ora per non rischiare di crollare sul tavolo davanti agli sguardi sdegnati dei suoi soci come spesso accadeva. Buffo pensare che quelle persone avrebbero fantasticato su una notte brava passata fra champagne e belle donne, quando in realtà Bruce si ritrovava a vegliare cupo e solitario sul corpo inerme del suo acerrimo nemico. Sospirò, stanco e affranto, e sollevò le iridi azzurre sul volto pallidissimo di Joker che dormiva ignaro di tutto. Il bip piatto e continuo del macchinario a cui il pagliaccio era attaccato riempiva con sinistra monotonia il silenzio statico della stanza, coprendo il flebile ronzio prodotto dalla bombola d’ossigeno. Il giustiziere strizzò forte gli occhi, intenzionato a resistere all’impulso sempre più impellente di addormentarsi, poi appoggiò gli avambracci incrociati sulla bassa sponda del letto ospedaliero poggiandovi sopra il mento squadrato. Con le palpebre sempre più gonfie e pesanti, Bruce prese ad osservare il clown placidamente addormentato e incosciente, percorrendo con le iridi blu il profilo bianco e affilato del suo viso. Era davvero strano vedere quelle labbra sottili private del solito rossetto, così come lo era osservare le cicatrici frastagliate ai lati di quella bocca sempre beffarda e sorridente. Il bel miliardario gettò un’occhiata accigliata al monitor sulla propria testa, passando in rassegna i valori non proprio incoraggianti rilevati sul corpo del Joker. Sospirò pesantemente, tormentato dalla gelida angoscia che da un momento all’altro quell’uomo avrebbe potuto morire, spegnandosi con un rantolo flebile e soffocato. Avrebbe sentito il segnale acustico diventare lugubre e ininterrotto, e sarebbe stata tutta colpa sua.. Lui, il valoroso giustiziere mascherato fiero e incorruttibile, il temibile Cavaliere Nero guidato dal lume della giustizia e delle proprie convinzioni morali si sarebbe trasformato in un volgare assassino, un criminale mosso dalla vendetta e dalla collera. Pur sapendo benissimo che alla base di quella situazione non c’era nulla del genere, ma che si era trattato di un fatale incidente, Bruce continuò a rimuginare amaramente sul peso delle sue responsabilità, finché il suono ritmico di tutti quei bip non lo trascinò inesorabilmente in un sonno pesante e agitato.
  
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