Anime & Manga > Inazuma Eleven
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Autore: alma_valdez    30/09/2015    2 recensioni
Una nuova protagonista -Lea- entrerà a far parte dell'Inazuma, ma nel suo passato sono nascoste parti oscure che nemmeno lei può immaginare...
Fra apparecchi in grado di controllare la mente creando mondi pericolosi, talmente realistici che se ci muori dentro, muori anche nella realtà, paure e passioni, amori impossibili e nuovi nemici senza scrupoli...l'Inazuma e Lea dovranno lottare.
Dal testo:
(..)Jude impallidì quando si trovò davanti una copia di se stesso che lo fissava con un’ aria crudele e calcolata.
La copia sorrise, nello stesso modo in cui sorrideva Jude quando ancora non aveva conosciuto Mark e tutti gli altri ragazzi.
Freddo, cattivo, micidiale.
E:
(...)Ma quella voglia era troppo forte, quelle grandi mani troppo delicate…così tornò a guardarlo negli occhi e ad annaspare in tutto quel rosso, senza respiro, col cuore a mille.
Rosso, rosso, rosso...
                            Non sono brava a fare introduzioni!
                            Spero vi abbia incuriosito!
                           (anche comico e suspance in parti)
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Riassunto puntata precedente:
Tutti i ragazzi riescono a tornare nei loro corpi e ad uscire dalle visioni, anche se Jude con un po’ di fatica e con l’aiuto di Caleb.
Tornati, scoprono che Luthor, ormai sconfitto, ha dato fuoco all’edificio per nascondere le prove e che Cassidy è sotto il suo completo controllo.
Poi Luthor scappa, dando a Cassidy il compito di ucciderli con una pistola, ma Jude ha un piano, fa uscire tutti e rimane solo con lei…
Dal testo:
(…)-Ragazzi!- gridò fra gli spari e le fiamme- Andate!
Nessuno si mosse, ma quando i suoi occhi rossi si voltarono verso i loro, brillanti e risoluti, col riflesso delle fiamme che danzavano nelle iridi, annuirono senza chiedere spiegazioni, che sapevano non ci sarebbero state, ed uscirono dalla porta da cui prima era scappato Luthor.
Non sapevano perché, ma c’era qualcosa in quello sguardo che li aveva convinti ad andarsene.
Caleb tentennò un secondo sulla porta, quasi arrabbiato per quel che stava accadendo, ma dopo aver fatto un cenno a Jude, accettò la sua decisione
-Porta il tuo didietro e gli occhialini sani e salvi fuori di qui.- squadrò frustrato Cassidy–e salva anche lei.
Lui annuì, e subito dopo, prima che la porta venisse oscurata da un muro di fiamme, vide Caleb uscire fuori.
Jude adesso era solo.
Guardò la ragazza dallo sguardo di vetro assente, ma pur sempre con una pistola in mano.
Sarebbero stati solo loro due: occhi di ghiaccio contro occhi di fuoco…

Ultimo capitolo
-L’ultimo bacio-



Uno sparo risuonò nell’aria, ma adesso Jude non si preoccupava quasi più della pistola, perché il ferro rovente dell’arma che Cassidy teneva fra le mani continuava a divorarle la pelle, già scottata in precedenza, facendogliele tremare violentemente e quindi impedendole di mirare.
“Anche se è sotto il controllo di Luthor, nemmeno lui può dominare il comportamento naturale del corpo. Può cercare di fermarlo, soffocarlo e mitigarlo, ma le reazioni fisiche non si possono bloccare.I tremiti lo confermano”
Una pallottola gli accarezzò il gomito.
Jude sobbalzò: non era precisa, ma sbagliando poteva ammazzarlo comunque.
Si tuffò su Cassidy facendola ruzzolare a terra per toglierle l’arma.
Quando toccò l’odioso oggetto gettandolo poi lontano fra le fiamme, avvertì quanto realmente lei dovesse soffrire in quel momento: il calcio ed il grilletto erano davvero roventi.
Con paura adesso osservò l’arnese, scivolato nell’inferno di fuoco, chissà dove in tutto quel rosso danzante.
Un trillo di pericolo stava suonando nella sua testa: se l’ordine di Luthor era stato di ucciderli con la pistola, si sarebbe allora gettata nelle fiamme per eseguire quel compito, a costo di morirci!
Non poteva permetterlo.
Inchiodò col suo peso Cassidy al pavimento, cercando di trattenerla.
Lei scalciava si dimenava, ma il suo viso rimaneva impassibile, senza la minima smorfia di dolore , paura o rabbia.
Jude intanto strinse i denti ed assunse la sua solita epressione preoccupata. Cosa avrebbe fatto? Il suo piano era fermarla legandola con una corda che aveva scorto per poi portarla via, ma adesso che Cassidy aveva quell’ordine, se l’avesse lasciata anche solo il tempo di andarla a prendere …sarebbe morta!
Si guardò attorno disperato, ed iniziò a tossire.
Il fuoco ormai era a meno di un metro da lui, e la stanza era satura di fumo.
Anche Cassisy non poteva farne a meno, e tossiva molto più di lui, ogni tot tempo, come se avesse il singhiozzo.
Stavano soffocando.
Erano senza via di fuga.
Jude era rassegnato. Aveva fatto tutta quella strada per finire la sua vita come un pollo bruciato.
“almeno” pensò “gli altri sono riusciti a salvarsi…”
Tossì di nuovo, pensando intanto che Cassidy non ricordava nulla, non ricordava nemmeno di… amarlo.
Con l’ultima aria che gli era rimasta allora, mentre il fumo opprimeva la stanza, la guardò.
Impassibile, coi capelli biondi  scarmigliati e mezzi bruciati.
Gli occhi marroni, sempre caldi, adesso arrossati dal fuoco e spenti, senza vita.
La piccola bocca screpolata e ferma in una linea dritta.
La guardò, e per quanto stessero lottando, per quanto stessero morendo, per quanto ormai non valeva più niente, non riuscì a trattenersi oltre, e chiudendo gli occhi stanchi, non riuscì a fermarsi e la baciò.
Una gioia intensa lo avvolse; era tanto, tanto che aspettava quel momento…
Il suo sapore, il suo profumo avvolgente, la sua pelle liscia e calda…
Nonostante continuava a dibattersi, lui non ci badò. La cinse in un abbraccio disperato, l’ultimo, il più lungo… e la accarezzò, sentendo la sua pelle, continuando a baciarla, senza fiato.
Ma all’improvviso qualcosa cambiò .All’improvviso la bocca di lei reagì al bacio, le sua labbra reclamarono quelle di Jude, e le braccia tremanti lo presero, strette e bramose, abbracciandolo come se avessero avuto paura di non poterò più fare.
Jude si fermò all’improvviso, boccheggiante, di colpo osservando quel viso che adesso lo fissava di rimando con occhi lucenti e pieni di lacrime. Il labbro le tremava, e sembrava la cosa più piccola ed indifesa che avesse mai visto.
-Come…? –sussurrò con voce arrochita dal fumo.
Ma senza che potesse finire di parlare lei lo tirò nuovamente a sé con forza quasi disperata.
Tremante come una foglia lo strinse più forte e tornò ad abbracciarlo singhiozzando, per poi riposare le sue labbra tremanti sulle sue. Calde lacrime di lei passarono sul viso di Jude, bruciato dal fuoco e dal calore.
Non dissero nulla, anche se avrebbero avuto un sacco di parole da scambiarsi, perché nessuna di quelle cose era importante quanto stare insieme quel momento.
Tremanti, tossendo e piangendo rimasero lì, per terra, abbracciati.
E che importava se attorno a loro le fiamme erano ovunque, se erano totalmente coperti di fuliggine, se erano feriti e sporchi, e rischiavano di morire.
Jude non avrebbe potuto mai essere più felice.
                                                                                      ***
Cassidy non riusciva a smettere di piangere, se di gioia, di paura o di dolore per le ustioni non lo sapeva.
Non si sarebbero mai voluti separare ma dovevano uscire, ed anche velocemente.
Jude tirò fuori gli occhialini dalla tasca dei pantaloni e li porse a Cassidy, perché aveva notato che i suoi occhi per qualche motivo erano pericolosamente gonfi ed arrossati.
Forse erano gli effetti del microchip che le aveva impiantato Luthor, o l’essere dovuta stare tanto a contatto con quelle fiamme, oppure entrambe le cose.
Lei però appena presi tra le dita, li fece cadere a terra con un gemito smorzato.
-S-scusa-Disse, come se fossero una reliquia preziosa.
Jude la guardò preoccupato: le mani, completamente ustionate, non ce la facevano a toccare nulla. Allora glieli mise addosso personalmente. Poi slegò il mantello legato alla schiena, ne strappò due pezzetti e ne mise uno a lei sul naso e sulla bocca, legato dietro al collo, ed uno a se stesso.
Le fiamme ormai avevano bloccato ogni via di fuga, e la ragazza che si reggeva a malapena in piedi tossiva continuamente… almeno gli occhialini le avrebbero protetto un po’ gli occhi, ustionati dal troppo caldo, e quel pezzo di stoffa li avrebbe fatti uscire senza svenire da lì.
-Non ci vedrai niente con quegli occhiali, sono tutti appannati e bruciati, quindi ti dovrai fidare di me okay? –gridò cercando di sovrastare il rumore delle fiamme che mangiavano ogni cosa crepitando-Dobbiamo raggiungere quella porta! E l’unica via di fuga!-
Fra loro e l’uscita d’emergenza, due metri di fiamme da percorrere.
Si avvolsero col restante pezzo di mantello, e dopo essersi guardati un’ultima volta, si buttarono in quell’inferno di fuoco.
                                                                                  ***
Tante lingue infuocate le danzavano davanti agli occhi come libellule, il mondo bruciava, si sentiva esplodere ogni cellulare del corpo e le mani! Le mani! Le facevano un male da farla urlare.
Ma la cosa peggiore furono gli occhi.
Si erano gettati nel fuoco, e per proteggersi aveva indossato gli occhialini di Jude, che però appannati, non le facevano vedere niente.
Solo buio e quelle lingue rosse voraci.
Il dolore le mozzava il fiato, e faceva fatica a camminare. Tutto il suo colpo era teso, e si sarebbe spezzato come un grissino se non c’avesse messo tutta la disperazione e forza che aveva per andare avanti.
Ma non erano le mani, il fuoco, il caldo, l’aria che mancava, la paura, o il fumo…era quel buio invaso solo da quel rosso ad essere terrificante.
Le faceva ricordare quei tre giorni.
Quei tre giorni d’inferno.
L’ultima cosa che Cassidy ricordava, era quella specie di lama rotante lucida che girava sopra di lei come una trottola, tremendamente minacciosa, tremendamente affilata.
Poi il dolore. Poi il buio.
Quanto odiava il buio… che ormai associava allo star male, alla sofferenza, alla tristezza ed alla solitudine.
Tre giorni erano passati senza luce.
E quei tre giorni erano invasi dalla sua sofferenza e dalle sue lacrime.

Adesso Cassidy era nel panico, perché quella cappa scura era ovunque, e minacciava di inghiottirla di nuovo.
Sentiva con quel buio tutto il dolore che aveva provato.
Lo stava rivivendo e non voleva!
Mai più!
Mai più!
Capì di aver percorso una rampa infinita di scale, e di aver raggiunto il suolo sicuro dell’asfalto davanti all’edificio.
Ma era sempre nel panico, perché era tutto buio. Tutto era completamente nero.
E di nuovo, provò quella immensa paura che le bloccava il respiro, che le faceva battere il cuore forsennatamente.
Paura.
Buio.
Dolore.
Con le mani tremanti tentò di togliersi gli occhialini dagli occhi, ma le dita ferite non rispondevano ai suoi comandi.
Il panico l’avvolse.
-Jude!- gridò, disperata, cercando di vedere.
Luce! Dov’era la luce?
“E’ colpa degli occhialini” cercò di tranquillizarsi “sì, è così…”
Sentì i suoi stessi respiri forsennati, come quelli di un topolino catturato a cui batte forte forte il cuore.
Sentì la paura invaderla e ucciderla da dentro con la stessa forza di un gessetto che raschia la lavagna.
-Jude…- sussurrò vedendo solo buio e nero. Cosa le stava accadendo? Cosa le aveva fatto quel pazzo di Luthor? Cosa era diventata? Dov’era Jude? Dov’era la Luce?
Stava per essere di nuovo presa dal panico quando una mano calda e rassicurante le prese il braccio, evitando accuratamente le bruciature sulle mani ed i polsi. Poi le stesse mani gli sfilarono delicatamente gli occhialini.
-Sono qui-
Era lui. Era lui.
Ma quel che successe la fece crollare definitivamente.
Gli occhialini le furono sfilati via delicatamente dal viso da Jude.
Ma lui non c’era.
Non riusciva a vederlo.
Il suo impercettibile sorriso soddisfatto, i suoi occhi rossi, perfino il suo viso bruciacchiato…
Sentiva la voce ma non vedeva.
Non vedeva più niente.
 Cassidy girò lentamente la maniglia fredda della porta, e tastando accuratamente col piede destro davanti a sé, uscì fuori sul prato dell’edificio.
Erano passate due settimane da quella sera, e Cassidy aveva passato tutto quel tempo all’ospedale, per curarsi le ferite agli occhi ed alle mani.
Quel giorno sarebbe stata finalmente dimessa, quel giorno sarebbe potuta tornare a casa e continuare a vivere una vita normale.
Eppure, quando si avviò fuori dall’edificio ospedaliero, ebbe la certezza che nulla sarebbe stato più come prima.
Si scostò lentamente con la mano fasciata una ciocca ribelle che le cadeva sugli occhi.
Sentì il vento accarezzarle la pelle ancora fragile ed insicura dopo l’incendio..
Sentì la luce e il tepore del sole e il formicolare delle dita fasciate e la frescura dell’aria…
Girò il capo, cercando di intuire cosa avesse attorno. Una strada, sicuramente.
Più in là probabilmente un bar: il vociare della gente felice e l’odore di brioches e caffè arrivava fin lì…
Chissà cosa c’era attorno a sé, oltre a quel buio.
Fremeva impaziente, ma aspettò ancora un po’ lì in piedi, senza muoversi.
Fece il gesto istintivo di dare una sbirciata all’orologio, scordandosi che l’aveva dovuto togliere per via delle fasciature, e che non riusciva a vedere l’ora.
Cercò di distrarsi tornando a capire cosa avesse attorno.
Sentì qualcuno camminare e il latrato eccitato di un cane.
“Persone che passeggiano.”Pensò.
Sorrise.
Un bambino che piangeva poco più in là.
Dovette trattenersi a voltarsi verso il suo pianto, perché altrimenti non ce l’avrebbe fatta a resistere dal cercare di identificare il suo volto.
E non poteva farlo.
Poi…poi…
Un suono che tanto aspettava interruppe i suoi sogni: una macchina che si accostava al marciapiede, e il rumore di una portiera che veniva frettolosamente chiusa.

Il tonfo leggero dei passi di un ragazzo, prima lenti, poi sempre più veloci era inconfondibile.
-Jude- sussurrò al vento
Ma non riusciva a vederlo. Chissà se in quelle settimane era cambiato. Per telefono le aveva detto che ora si era alzato di due centimetri e che le calzette da calcio gli stavano corte.
Lei si era proposta di allungargliele, anche se in effetti non aveva mai lavorato di cucito.
Avevano parlato di cavolate del genere ogni giorno, ma non si erano mai visti.
Cassidy era uscita dalla L.Tower molto malconcia, sia fisicamente, che emotivamente, ed i medici avevano deciso che avrebbe dovuto starsene totalmente a riposo, così, per due settimane, lei e Jude non si erano mai incontrati.
A quel punto Cassidy  diresse lo sguardo verso il punto da cui provenivano i passi e non riuscì più a trattenersi.
Era giunto il momento.
Con le dita intorpidite si tolse le bende dagli occhi. Le palpebre, socchiuse, fremettero leggermente alla carezza di quell’aria fresca del mattino presto.
Li strizzò lentamente, aprendoli piano, e finalmente riuscì a mettere a fuoco, trovandosi davanti un ragazzo biondo, dagli occhi rossi, che la guardava.
Aveva aspettato, aveva aspettato a lungo.
Una lacrima le bruciò gli occhi irritati.
Aveva aspettato fino ad allora. Due settimane al buio, perché l’operazione fatta da Luthor ed il fuoco avevano rischiato di renderla ceca. Era stato terribile tutto quell’oscurità tanto che le era venuta l’aclufobia.
Paura del buio.
Odiava il buio.
Ma aveva voluto resistere ancora dieci minuti in più in tutto quel nero.
Inforcò il paio di occhiali blu che le avevano dato all’ospedale.
“Ora dovrai sempre indossarli, ti permetteranno di vedere bene…” avevano detto i dottori.
Si mise a correre, non badando agli scossosi che le facevano ancora ancora un po’ male alle mani ferite.
Sempre più veloce, sempre più veloce, con gli occhi rossi un po’ dall’esposizione dopo tanto tempo all’aria, un po’ per il pianto.
Nonostante tutto il dolore che le provocava il buio, aveva voluto aspettare a togliersi le bende…
Saltò nelle sue braccia, che la strinsero forte.
Aveva voluto aspettare, perché voleva che la prima cosa che i suoi occhi avessero potuto vedere fosse proprio il viso e gli occhi e le labbra di Jude.
-Jude…
Si abbracciarono stretti, l’uno immerso nell’altra.
Rimasero avvinghiati come dei gattini in una cesta per tanto tempo, in silenzio.
Sarebbero rimasti così per sempre, finchè Cassidy parlò.
-Jude…-disse lei, col naso premuto nel suo petto.
-mm?-Non aveva la forza di rispondere con un suono articolato. Era troppo intento a rimanere avvolto da quel profumo agrodolce che emanava il suo collo ed i suoi capelli.
La strinse un po’ più forte, stando attento a non farle male alle braccia fasciate.
-Mi stavo chiedendo…come mai mi sono svegliata dalla simulazione quando…quando…
-Quando ti ho baciata?
Lei annuì leggermente con la testa.
-Non lo so…-Jude guardò quel visino affondato nella sua maglia- avevo capito che per quanto potente, quell’aggeggio che è andato in frantumi non poteva controllare le reazioni fisiche del corpo, come il tremare delle tue mani ferite o…il tossire ma…-alzò gli occhi verso una nuvoletta che solcava il cielo-  sinceramente…non credevo che reagisse anche a questa cosa…
La guardò di nuovo, e Cassidy si scoprì imbarazzata. Si staccò dall’abbraccio e fece un passettino indietro.
-Quindi…è come se il mio corpo avesse avuto il bisogno istintivo di…ricambiare…il bacio?-
- beh…presumo di Si…-Jude non riuscì a trattenere un sorrisetto.
Sorrise anche lei, dandogli un pugno sulla spalla e sussurrando uno “stupido” divertito, ma poi si bloccò.
-Quindi si può dire che…
Cassidy non riuscì a pronunciare ciò che aveva appena realizzato, ma non ce ne fu bisogno, perché anche Jude aveva capito: Il cuore, la parte istintiva, era stata più forte, tanto da rompere l’aggeggio che la controllava; si amavano a tal punto, da riuscire a sconfiggere la mente.
Rimasero in silenzio a lungo, immersi nei loro pensieri.
Sia Jude che Cassidy non poterono fare a meno di pensar per un secondo pure all’edificio in fiamme.
In un certo senso erano riusciti a vendicare il negozio di HIllman, anche se in effetti era stato lo stesso Luthor a dare fuoco al palazzo.
“Già, Luthor…”
“Chissà dov’è finito. E Thompson?”
Ma con la stessa velocità con cui avevano formulato le domande, quelle sparirono.
Adesso non aveva importanza. Nulla ne aveva più dello stare insieme.
Jude si avvicinò lentamente a Cassidy.
Quella ragazza che fino poco tempo prima era “Lea”, che fino poco fa non conosceva nemmeno e non sapeva della sua esistenza. Esaminò quegli occhi marroni e fugaci che come ormai sapeva, si abbassarono di colpo non reggendo il suo sguardo rosso vivo.
-Ehy- Le prese il mento con le dita, e la costrinse così a non ritornare a fissare il pavimento.
Poco dopo lei lo baciò e lui si godette la sua vittoria, gongolante.
Ovviamente, tutto calcolato.
Poi di comune accordo si staccarono da quel bacio, e si misero a camminare.
Dove esattamente non lo sapevano.
Ma erano insieme.
E solo questo importava.
Sicuramente verso casa… anche se non si può mai sapere con loro.
Dopotutto, loro sono l’Inazuma.
Dopotutto, loro sono Eroi.
E gli Eroi si sa, hanno sempre tempo per una nuova avventura...


 


***
 
 
Angolo autrice.

Che dire.
Siamo giunti al The End.
La storia è finita.
Spero vi sia piaciuta quanto è piaciuta scriverla a me.
Come sempre i commenti sono graditissimi, alla prossima, Eroi!
(Perché dopo ogni racconto letto ciascuno di noi è un po’ più coraggioso)
Un bacio,
la vostra
Alma_Valdez







                                                                                                 Inazuma Eleven
                                                                                              -Il ritorno degli Eroi-
   
 
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