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Autore: hirondelle_    30/09/2015    3 recensioni
[Ristesura di "Destiny"]
[Alla luce di quanto mi è pervenuto dalle vostre gradite recensioni, ci tengo a specificare che questa NON È una storia romantica, ma la descrizione di un ABUSO (come ho voluto indicare nelle avvertenze). Grazie dell'attenzione!]
-§-
Sente il suo profumo dolce, le dita sottili che gli accarezzano la pelle, percorrendo gentilmente tutta la lunghezza del suo corpo. Chiude gli occhi, percepisce i brividi ad ogni singolo tocco, un solletico malefico e ripugnante penetrare attraverso la pelle e andare dritto ai nervi: Reize sente una parola nella sua testa. Una parola che non si sarebbe mai azzardato a pensare: nella sua mente è pronta per uscire e distruggere il mondo. La pronuncia, sbarrando gli occhi.
… no.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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DESTINY XIII


C-117 fissa senza espressione le macchie di sangue, come se appartenessero a una dimensione completamente estranea. Accarezza con il dorso della mano il suo fianco segnato dai graffi, piano, per non fargli male, e appoggia la fronte sulla sua schiena, respirando l’odore di sudore e sesso che ancora impregna i suoi capelli: vi affonda il viso, un bacio sulla cute, poi torna a posare il suo respiro sulla sua pelle candida. È incredibile il contrasto che la loro pelle rivela, come un tacito equilibrio.
- Fa male. – sussurra Kira di nuovo, coprendo i singhiozzi sotto le lenzuola. Reize gli bacia il collo e gli cinge la vita con le braccia, come a voler imitare il goffo tentativo di consolarlo. Ed è strano, perché è mortificato davvero e vorrebbe che tutto sparisse in un attimo: il dolore, la sua follia, le macchie di sangue, le lacrime del Lord. Lo stringe a sé e non sa bene cosa fare: è consapevole di quanto tutto ciò sia terribilmente sbagliato, ma Kira non sembra voler allontanarlo: anzi stringe convulsamente le sue mani, in una tacita richiesta di aiuto, mentre intreccia le gambe con le sue. Restano così, petto contro schiena, ad ascoltare respiro dopo respiro la notte che scivola via, ad assaggiare gocce di mare, a sentire l’odore dell’altro. D’un tratto il Lord tende il collo, come a voler chiedere silenziosamente un altro bacio: Reize sente una morsa allo stomaco quando posa le labbra sulla superficie bianca.
- Cos’è stato? – Un sussurro, una preghiera. – Cos’è stato, Reize?
Non parla. Non sa nemmeno lui la risposta. Gli sembra di essere sospeso tra due realtà differenti: è l’equilibrio che si è spezzato, lasciando solo i cocci con cui ferirsi mortalmente. – È quello che fai a me. Ogni notte. Ti piace? – Quasi non si accorge che le labbra si sono aperte da sole con quella frase provocante e terribile. Singhiozza, anche quando il Lord prova a divincolarsi dalla sua stretta disperata. – No, io non sono così. Vero Reize? Io non sono così. Non sono così. – Il sussurro si tramuta in un urlo. Reize stringe la sua vita sempre più forte, fino a fargli male. Sono entrambi troppo deboli per lottare, troppo sopraffatti dal dolore per reagire. Reize molla la presa e il Lord si rifugia dall’altra parte del letto, rannicchiandosi come se potesse bastare. Grida ferocemente, nella follia nella quale si è rinchiuso per sfuggire dalle sue mani. – Vattene via. Vattene via. Vattene via. – continua a ripetere, la voce affievolita e acutizzata dal respiro irregolare. Quando Reize prova ad avvicinarsi, Hiroto lo colpisce così forte da farlo cadere dal letto.
Si alza lentamente e lancia un lamento di dolore, crolla sui gomiti e stringe i denti, nell’amara consapevolezza che tutto ciò non può che essere un incubo. Calde lacrime scivolano dal suo volto sudato, le gambe gli tremano e non riesce ad alzarsi, non riesce ad andare via da lui.
E intanto Kira trema, trema e non riesce a controllarsi. Continua a lanciare urla disperate. Reize si trascina fuori dalla porta con gli occhi offuscati dal pianto, si appoggia alla porta e scivola giù, fino a rannicchiarsi su se stesso e piangere in completa libertà, senza curarsi dei singhiozzi che risuonano per il corridoio buio.
Le macchie di sangue coprono ancora la parete come mostri appostati nell’ombra.
E non sa per quanto resta in quella posizione, col timore di essere scoperto da Atsuya ed essere rimproverato. Vorrebbe urlare le sue paure al mondo, i suoi più atroci dolori, la sua più completa disperazione: sa di stare impazzendo, e non c’è più tempo ormai per lui.
Si alza barcollante, con le ultime forze che gli rimangono: si sente stordito, le immagini del Lord ancora indelebili nella sua mente, il suo volto straziato dalla sofferenza, le sue lacrime, la sua voce rotta. Il suo corpo latteo e ora imperfetto, deturpato, sporcato dalle sue mani callose e voraci. Reize durante tutto il tragitto se le guarda assorto, come se davvero potesse vedere quelle bocche divoranti.
Accompagnato dalla luce calma della sua luna, dal rumore dei suoi passi e dalle sue nuove catene che strisciano pesantemente sul pavimento, si sente totalmente sperduto. È strano come il terrore di poco prima sia sparito completamente, cancellato dall’indecisione. E ora? Verrà ammazzato? C-117 se lo chiede, osservandosi le dita ossute e storte dopo anni di lavoro in miniera. È davvero tutto finito per lui?
Scende le scale con calma glaciale, fino ad arrivare in cucina. La trova deserta, ma Reize non si stupisce: è probabile che Atsuya se ne sia andato, in qualche bar magari, per spendere le ultime monete che gli sono rimaste con una buona bottiglia di alcol.
Alza lo sguardo sulle stelle del cielo che si intravedono dalla porta che dà sull’esterno. Improvvisamente guardare fuori gli mette addosso un terribile senso di claustrofobia: si ritrova a fare qualche passo tra l’erba già alta, tra i fiori rossi quasi appassiti e le prime foglie che iniziano a morire e cadere. C-117 guarda quella desolazione come se in un certo senso gli appartenesse, sfiora quei fiori prossimi alla morte come se volesse curarli. È strano, continua a piangere: eppure è un pianto silenzioso e lento, di quelli semplici che ti fanno battere forte il cuore ma da fuori appaiono come una cosa semplice.
E mentre avanza in quel mare nero di morte, mentre si addentra tra le spire del bosco, mentre si rende conto che le stelle fluttuanti non sono più visibili nelle tenebre, capisce che per lui è arrivato davvero il momento di andarsene. Sa che sarà una morte dolce, calma, soffice. Sarà una morte color acquamarina, fatto di sorrisi biechi e di risate cristalline, di note al pianoforte e di lacrime nere. Reize quasi sorride mentre si fa avvolgere dall’abbraccio pacato della notte: si accuccia e rimane lì, lo sguardo fisso nel vuoto, per attimi interminabili. Non riesce a respirare. Cammina, si ferma, si rannicchia. Lo fa fin quasi a perdere la cognizione del tempo e dello spazio, come un rito.
Un fruscio alle sue spalle, una risata e un mormorio. C-117 si ferma e alza appena il capo, a fissare i maestosi alberi che proiettano ombre inquietanti sul terreno. C’è un’ombra ai suoi piedi che prima non era visibile. – Sei venuta a prendermi? – sussurra semplicemente, voltandosi appena senza volerla guardare. La creatura ghigna un po’, poi parla: è una voce da ragazzo, calma eppure ruvida come la sete, come la fame, come il freddo che attanaglia la gola dei poveri. – Dipende da te.
Reize si volta, osserva assorto la figura stesa su un ramo in precario equilibrio: i capelli lunghissimi e biondi splendono alla luce notturna e cadono aggraziati come a voler toccare terra, la pelle cadaverica e spettrale sembra sfaldarsi sotto le sue lacrime di petrolio. E quegli occhi, rossi come il sangue e terribilmente reali, come urli di morte nel più completo terrore di tenebra. Lo schiavo fa un passo indietro come accecato dalla sua luce: è dunque questa la morte?
Qualche singhiozzo attira la sua attenzione, provengono dalle radici dell’albero. C’è un’altra figura accucciata lì, come a voler cercare aiuto nella terra morbida, che piange piano. Gli ci vuole davvero poco per riconoscerla, e gli si stringe il cuore nel vedere quel viso distorto dal dolore e dall’irrequietezza: non c’è rabbia, c’è semplicemente il nero delle sue lacrime che s’infrangono a terra, dove si è formata una pozza liquida e vischiosa intoccabile.
- Non badare a lui: fa sempre così. – mormora la creatura sul ramo con voce flebile. – Tu piuttosto… cosa ti ha condotto qui?
C-117 lo fissa senza una parola: c’è qualcosa di innaturale e strano nell’ombra, qualcosa che non riesce a cogliere. – Tu chi sei? – chiede senza rispondere, e il solo pronunciare quella domanda gli fa salire le lacrime agli occhi: chissà, magari quella creatura non è più nessuno. Non è più niente.
Gli occhi vermigli sembrano spostarsi sul cielo, e l’ombra sembra quasi parlare tra sé: - Non mi hai risposto. Io odio la gente che non mi risponde, non mi è mai piaciuta.
Reize ad un certo punto lo nota, un movimento impercettibile della gamba. Ora ne ha l’assoluta certezza: è un ragazzo, poco più giovane di lui, un guscio vuoto senza più anima. Rabbrividisce quando i suoi occhi si posano ancora su di lui, gelidi e inespressivi, e le labbra dell’ombra si distendono in un sorriso. – Dovresti saperlo, in fondo mi hai già visto una volta. – mormora soltanto, arricciandosi una ciocca di capelli tra le dita.
- Non riesco a vederti bene… - si giustifica tremando Reize: si sente a disagio al cospetto di quelle anime. I singhiozzi di S-144 si fanno sempre più alti e acuti, qualche uccello notturno vola via spaventato dal rumore: tutto sembra perfettamente immobile e silenzioso, catturato da una strana e terribile magia.
- Mh, qui è tutto buio in effetti. Te lo concedo. – sussurra piano il ragazzo, e lascia cadere una gamba nel vuoto.
- Perché piange? – chiede C-117, puntando il suo sguardo sullo schiavo ai piedi dell’albero: il rumore delle sue lacrime diventa sempre più forte, sempre di più, al ritmo del suo cuore.
- Dovresti sapere anche questo. – risponde semplicemente lo spirito guardandolo di traverso. – Ti ha visto.
- M-me?! – balbetta spaventato lo schiavo, e solo in quel momento si accorge che il suo predecessore si è appena alzato e continua a piangere forte, senza fermarsi. Indietreggia al suo ricordo, ma non riesce a muoversi quando i loro sguardi si incrociano. Il volto distorto dalle lacrime scure si fa largo nella sua mente e l’accende di terrore.
- Tu… non puoi capirlo. – piange tristemente lo spirito, guardandolo. – Tu non puoi capirlo, solo io posso. Non sei degno del suo affetto.
Un rumore di catene, il movimento dell’ombra, del liquido scuro: C-117 si ritrova per terra, il sangue scivola lentamente giù per una tempia. Alza gli occhi al cielo, terrorizzato e confuso, e vede la figura sfocata del ragazzo biondo che si avvicina con pochi passi eleganti. Scosta l’ombra del suo predecessore, che si ritira calma nel buio denso. E l’unica cosa che sente prima di perdere i sensi è la voce del regno dei morti: - Buona fortuna, Midorikawa Ryuuji…

Si alza di scatto, ansante, le gocce di sangue e sudore che gli scivolano giù per le tempie infrangendosi sulle lenzuola. Midorikawa Ryuuji.
Si scosta le coperte di dosso, cerca freneticamente la candela e appena la trova finisce per rovesciarla al suolo, tanto trema convulsamente. Si tocca la fronte umida, sbarra gli occhi tastando nel vuoto del buio, chiama il nome di Atsuya. Eppure quando se lo ritrova davanti davvero non può far altro che guardarlo sbigottito, in una sorta di macabra follia: - Devo andare dal Lord.
- Tu non vai da nessuna parte. – replica stanco il domestico. È troppo buio, non riesce a vederlo, ma appena le sue mani si appoggiano sulle sue spalle per calmarlo si sente invadere da un’insolita pacatezza. Si stende piano sulle lenzuola, guardando confuso Fubuki, che si limita a sfiorargli una delle bende. – Va tutto bene. Vi ho sentiti.
Reize può sentire chiaramente il suo cuore stringersi nella morsa del senso di colpa: quanto ha veramente ascoltato, cosa ha effettivamente capito? Nulla, a giudicare dal suo sguardo calmo. Atsuya non ha capito proprio nulla.
- Per fortuna non ti ha fatto molto male. – mormora infatti iniziando a cambiargli tutte le garze. – Ti ho trovato nel giardino. Piangevi.
Reize gli afferra una manica, si aggrappa a lui disperatamente: Atsuya non sa. Non sa davvero niente. – Ho fatto una cosa terribile. – sussurra piano, ma non dice altro. Fubuki si limita ad annuire distrattamente, continuando con insolita delicatezza a medicarlo come un figlio. – Lo so, Reize. È per questo che sono qui.
Lo schiavo si aggrappa singhiozzando al suo petto, senza smettere di piangere, mentre la notte passa silenziosamente con il suo lugubre canto a confondergli le idee.
Sente distintamente la voce di una donna dai ribelli capelli verdi chiamarlo per nome. Ed è un suono talmente estraneo e sconosciuto da risultargli angosciante e terribile. – Vattene, vattene via! – strepita, il sangue che non vuole saperne di fermarsi e le lacrime che gli rigano le guance. Per tutta risposta Atsuya lo stringe di più a sé, come per proteggerlo dai divoranti e laceranti morsi del male. – Va tutto bene… - mente, ed è l’unica cosa che dice.
Ryuuji perde i sensi e prega che non possa svegliarsi più.

Quando Natsumi si siede sul letto il suo corpo sembra sprofondare maggiormente sul materasso sgualcito, pesante come un macigno. Si volta appena, la vista annebbiata e confusa, avvertendo appena il gelo delle sue carezze. Le stringe piano una mano, senza dire nulla, e la trova fredda come la Morte.
- Se la caverà?
- Solo il tempo può dirlo. È ancora in shock.
La donna si volta verso la porta, rivolgendosi a un’altra presenza. Lo schiavo vorrebbe richiamarla a sé, ma dalle sue labbra sfuggono goffi lamenti confusi: bastano a far riportare l’attenzione della domestica su di sé. – Devo andare Reize. Mi dispiace.
Con la poca forza che gli è rimasta il ragazzo si solleva e la stringe in un goffo abbraccio, avvertendo la sua resistenza e il bollore della sua fronte. Lotta con tutte le sue forze per trattenerla, in un disperato e terribile abbraccio febbrile. Non si scambiano nessun saluto, nessuna parola, disperati a tal punto da piombare in un pianto senza perché.
Quando si risveglia si chiede se sia in grado di distinguere il sogno dalla realtà: ma Natsumi non è più nella villa e lo schiavo ha paura di chiedere.

Si rilassa maggiormente sullo schienale della comoda poltrona del salotto, socchiudendo gli occhi e puntellando le unghie sui braccioli rubino. Il suo ultimo giorno di convalescenza può considerarsi concluso, a giudicare dai suoni sinistri della pendola che rintocca pigra la mezzanotte.
Non ha più rivisto il Lord da quella sera, se non si contano ovviamente tutte le volte che lo ha osservato di nascosto uscire ed entrare nella residenza. Era sicuro che, finita la convalescenza, avrebbe provato una sorta di panico al pensiero di incrociare ancora quegli occhi intensi come il mare, ma stranamente ora prova solo una sorta di glaciale calma.
Probabilmente non lo ucciderà, considerando che ha fatto passare i giorni senza degnarlo della minima attenzione. Di certo però la sua reazione si rivelerà terribile.
C-117 si guarda assorto le mani silenziosamente, sorridendo piano: ha un nome, ora. Il Lord non può saperlo, ma ha un nome. Midorikawa Ryuuji. Lo sussurra come un segreto proibito ed eccitante, chiudendo piano gli occhi. È la chiave della sua libertà.
Un rumore sommesso lo fa voltare di scatto, senza comunque stupirlo. Il Lord si blocca sulle scalinate guardandolo con gelida fissità, passano minuti prima che Ryuuji abbassi lo sguardo con fare sottomesso. Kira prosegue imperterrito, si avvicina a lui con il mento alzato, scrutandolo con occhi austeri e freddi dall’alto in basso. Poi, inaspettatamente, si siede accanto a lui abbassando a sua volta gli occhi sul pavimento. – Stai bene?
- Sì. – mormora piano lo schiavo, scrutandolo di sottecchi. Non ha davvero paura di lui, non più ormai. Sente di poter accettare benissimo ogni condizione che gli verrà imposta: ora ha un nome. È finalmente libero; implicitamente, scandalosamente libero. Fissa colui che ormai è un padrone a metà. – Lei?
Lord Kira non risponde subito. Semplicemente gli si avvicina e fa combaciare le loro labbra: un bacio dei soliti. Eppure Ryuuji si sente pervadere da una terribile malinconia, come se con quel bacio l’uomo volesse trasmettergli tutta la tristezza del mondo.
- Io sto favolosamente, ti ringrazio.
Lo schiavo guarda infelice quelle labbra carnose, fissa quella bugia come se fosse ancora lì, palpabile, a mezz’aria. Lo guarda con intensità, ma Kira non abbassa lo sguardo, semplicemente socchiude gli occhi. – Vieni qui.
Reize ubbidisce, appoggia il capo sulle sue gambe senza tuttavia smettere di guardarlo con serietà. Improvvisamente tutta la sua bellezza pare sfiorita, come se fosse invecchiato improvvisamente. Eppure non c’è traccia di rughe sul suo volto cadaverico, estremamente pallido alla luce della luna. Midorikawa allunga una mano e l’appoggia delicatamente sulla sua guancia, per poi ricevere un altro bacio. – Non è irato con me?
- Sì. – confessa l’uomo, socchiudendo gli occhi ma senza muoversi. – Non riesco a farti del male. Non più.
Reize lo guarda ancora immobile, gli occhi che gli si chiudono per il sonno. – Mi dispiace. – mormora soltanto, facendo scivolare la sua mano sulla spalla nivea del padrone. - È tutta colpa mia.
Hiroto lo guarda a sua volta, ma sul suo viso c’è solo una smorfia amara: - Tu dici?
A quel punto Reize chiude gli occhi del tutto, senza dire nulla. Sente le braccia forti del Lord sollevarlo e portarlo in braccio su per le scale, il suo viso tanto vicino da sembrare irreale. Si aggrappa al suo collo con la consapevolezza che nulla sarà mai come prima, nulla avrà più senso di esistere: si è rotto qualcosa, nella mente di Kira. Qualcosa di calmo, ed estremamente dolce. Qualcosa che nessuno, tantomeno lui, potrà mai riparare.

   
 
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