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Autore: UnGattoNelCappello    01/10/2015    1 recensioni
TRADUZIONE (completa)
Crescere sotto la rigida mano di Walburga Black non era niente di meno di una tortura per il giovane Sirius. Finché un giorno, trovò una piccola, dimenticata porta, nascosta in un ripostiglio. Fu attraverso quella porta che Sirius scoprì un intero nuovo mondo, e un'intera nuova vita.
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Wolfstar; da bambini a giovani adulti, la relazione di due ragazzi che hanno trovato rifugio da un mondo che non li vuole, creandone uno loro stessi. Trovando rifugio l'uno nell'altro. (non-magic au)
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Regulus Black, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 


 

Capitolo 3


 

I piedi di Sirius dondolavano alcuni centimetri sopra il terreno mentre aspettava sulla panchina. La pietra era fredda e ruvida contro il suo palmo, e la ghiaia veniva calciata via dalle suole dei suoi mocassini ad ogni passaggio. Il suo stomaco si stava contorcendo, nervoso e dubbioso e forse anche un po' spaventato mentre aspettava.

Non avevano fissato un orario o niente del genere, lui e Remus. Era solo “dopo pranzo”. A casa di Sirius quello significava l'una e trenta spaccate. Adesso erano appena passate le due e nessun segno di Remus. Sirius cercò di essere razionale, di pensare a qualsiasi ragione per cui Remus non sarebbe dovuto venire; qualsiasi ragione che non fosse quella che Remus aveva infranto la sua promessa. Forse “dopo pranzo” non voleva dire lo stesso orario per Remus. Magari la sua famiglia pranzava molto presto, tipo alle undici e trenta, e lui era già arrivato, aveva aspettato, e se ne era andato. O forse stava pranzando proprio in questo momento, e non sarebbe venuto per un'altra ora o due (o forse, solo forse, non gli andava di tornare. Forse Sirius non gli piaceva e non voleva avere niente a che fare con lui, perché Sirius era troppo rumoroso o troppo caotico o rompeva qualsiasi cosa intorno a lui anche quando provava davvero, davvero tanto a non farlo).

“Sirius?”

Sirius alzò la testa di scatto dalla posizione che aveva preso: piegata verso il basso, rivolta al terreno. Remus era in piedi davanti a lui, giocando nervosamente con le pietre di marmo sotto i suoi piedi, i quali erano dentro un paio di stivali consumati che sembravano essere di una taglia troppo grandi. Indossava dei vecchi pantaloni di velluto stropicciati che erano rattoppati sulle ginocchia e ricuciti malamente agli orli – così sarebbero durati per quando cresceva, ipotizzò Sirius. Aveva anche lui dei pantaloni così. Ma le cuciture sui suoi erano fatte dal sarto di famiglia, e avevano lo stesso aspetto dei costosi pantaloni di Orion. Ad una delle gambe dei pantaloni di Remus si erano anche staccate le cuciture sul dietro, e il tessuto penzolava in fuori.

Saltando in piedi, Sirius si mosse in avanti sul pavimento di marmo scheggiato e macchiato. Poi si fermò, esitò, e si mosse di nuovo in avanti. Si fermò di nuovo. La testa di Remus si era spostata di lato mentre guardava Sirius fare la sua piccola danza incerta. Senza nessuna aria da impersonare o decoro aspettato da lui, Sirius non sapeva come interagire con l'altro ragazzo. Era sembrato più facile il giorno prima, una volta che avevano iniziato a parlare. Forse sarebbe stato di nuovo facile se solo Sirius avesse capito come andare oltre tutte le imbarazzanti presentazioni.

“È un piacere incontrarti. Di nuovo.” Sirius tese impacciato la mano verso Remus, facendo qualche passo in avanti così da essere abbastanza vicini per toccarsi.

Quando Remus sorrise, il suo naso si arricciò di nuovo, strizzando le lentiggini sul suo viso. Sirius notò per la prima volta che a Remus mancavano dei denti, nella sua bocca c'erano buchi qua e là. I suoi denti davanti stavano spuntando: erano larghi, e ricordarono a Sirius di quel coniglio di cui aveva letto quando era più piccolo. Si sentì all'istante più a suo agio. Lui e Remus non erano così diversi. Sirius fece passare la lingua sopra gli spazi vuoti nella sua, di bocca. Cadevano i denti a tutti e due, proprio come a ogni altro bambino là fuori.

“Cià, Sirius.” rispose Remus, stendendo la sua mano e scuotendo quella di Sirius. Entrambi i ragazzi ritirano indietro le loro mani velocemente: Sirius portò la sua a sistemare il suo gilè, e Remus tirando le sue logore maniche arancioni sopra le dita le infilò nelle tasche dei pantaloni.

Sirius lanciò un'occhiata dietro le spalle di Remus, poi si guardò intorno, poi su al cielo. Era una bella giornata. Soleggiata e luminosa. Non come a casa, dove era grigio e freddo (come sempre, sembrava). Sirius ci rifletté, proprio come aveva fatto la notte prima quando era andato a letto, ripetendo gli eventi della giornata nella sua testa. Ci rifletté, ma non si fece troppe domande. Il tempo era come era, proprio come il resto di questo posto. Esisteva, non aveva senso, e Sirius faceva del suo meglio per non pensarci troppo. Questo posto, il tempo, Remus... Sirius trattava tutto come quelle macchioline chiare che si vedono ogni tanto con la coda dell'occhio: non pensarci troppo, non guardarle direttamente. Se l'avesse fatto, questo posto, Remus, avrebbero potuto scomparire. Proprio come le macchioline.

“Nascondino?” propose Sirius. Remus annuì, e i suoi occhi ambrati scintillarono. “Io conto per primo,” disse Sirius ricordando a Remus del loro accordo del giorno prima. Poi sussultò. A casa veniva sempre sgridato quando insisteva per fare le cose a modo suo.

Ma Remus stava ancora sorridendo. Lo faceva un sacco. A Sirius piaceva. “Okay. Fino a quanto conti?”

Sirius non sapeva ci fosse un'opzione. Non sapeva neanche se ci fosse un numero massimo standard. “Trenta?” offrì.

Gli occhi di Remus si allargarono attentamente, calcolando, mentre si girava attorno senza muovere i piedi. Guardò e riguardò intorno a lui, dando un'occhiata al grande mondo a loro disposizione. “Cinquanta?” fu la controproposta di Remus dopo un minuto.

Sirius scrollò le spalle e annuì. “Okay.” si girò, vide la panchina su cui era seduto prima, e la indicò. “La panchina è la tana.”

“'kay,” concordò Remus. Poi guardò Sirius, in attesa. All'improvviso Sirius capì che cosa stesse aspettando.

Con un ultimo sguardo a Remus e alle sue lentiggini buffe e vestiti polverosi, Sirius si voltò verso il muro accanto alla panchina. La pietra era fredda e ruvida sotto le sue mani mentre le premeva contro il muro, le sue palpebre strette una contro l'altra. Avrebbe potuto barare – lo faceva sempre quando lui e Regulus giocavano – e guardare o ascoltare con attenzione dove andava Remus, ma non voleva farlo. Quindi Sirius tenne gli occhi ben chiusi e iniziò a contare ad alta voce, abbastanza forte da sovrastare qualsiasi piccolo rumore Remus stesse facendo che avrebbe svelato la sua posizione. “Cinquanta! Quarantanove! Quarantotto! Quarantasette!”


 

**


 

Sirius si fermò con una scivolata, mentre le pietre che aveva disturbato con la sua corsa rotolarono per diversi secondi dopo che lui si fu fermato. Il suo cuore batteva forte nel petto, i suoi polmoni si svuotarono e si riempirono mentre lui cercava di far zittire il suo corpo e ascoltare. Era tutto silenzioso intorno a lui. Il suono dell'oceano era debole, calmo e attenuato essendo bloccato da diverse file di edifici in rovina e natura selvaggia. Ma Remus era lì fuori. Da qualche parte. Sirius lo aveva quasi catturato, solo un minuto prima.

Il ragazzo dai capelli chiari all'inizio si era nascosto in uno degli edifici quasi del tutto intatti sulla costa. Sirius aveva visto uno stivale spuntare fuori da uno degli angoli di una sorta di buca poco profonda nel mezzo della casa (o piuttosto, l'edificio che Sirius aveva pensato essere una casa, visto che aveva stanze che gli ricordavano camere da letto e cucine e saloni per la loro grandezza e struttura). Sirius aveva saltato dentro, incauto della sua stessa sicurezza, e aveva provato ad acchiappare il ragazzo. Ma Remus era stato troppo veloce per lui, era saltato in piedi e si era tirato fuori dal piccolo buco rettangolare (era una vasca da bagno? Sirius ridacchiò al pensiero) ed era corso via, fuori dalla casa. Quando Sirius lo aveva seguito fuori sotto la luce del sole, non c'era più segno di Remus.

Il primo posto dove Sirius era corso a controllare era la panchina. Ma era vuota. Allora Remus era probabilmente corso via nella direzione opposta: verso il lato del mondo da dove veniva lui, e i boschi.

Sirius ora era in piedi di fronte ai boschi. Erano bui. E profondi. Non riusciva a vedere più in là della prima fila di alberi: la vegetazione bassa era troppo fitta, e gli alberi troppo vicini. Le parole di una poesia svolazzarono nella sua mente mentre cercava di sbirciare all'interno, cercando di decidere se Remus si fosse nascosto lì o no. ...silenzioso, oscuro, e profondo... miglia da fare prima che io possa dormire. Il bosco era oscuro e profondo. Miglia da fare prima che tu possa dormire. Remus ci sarebbe andato, là dentro? Non avevano detto che i boschi erano fuori dai confini, e neanche l'oceano, per la cronaca. Ma Sirius aveva in qualche modo pensato che lo fossero.

All'improvviso ci fu un rumore dietro di lui di suole di gomma contro il marmo. Sirius si girò di scatto, sapendo già che era troppo tardi. Infatti, Remus si stava lanciando sulla panchina, sorridendo a Sirius trionfante.

Sirius corse da lui, accigliato. “Ti stavi nascondendo nel bosco?”

Remus scosse la testa.

Gli occhi di Sirius si assottigliarono. Forse invece l'aveva fatto. Sirius non poteva sapere se questo ragazzo era uno che barava o no. Regulus barava, ogni volta che giocavano. Si nascondeva sempre nella camera di Walburga o nello studio di Orion: posti in cui Sirius rifiutava di andare per qualsiasi ragione, ma con cui Regulus era più a suo agio. Più benvenuto. Era quello il motivo per cui Sirius barava con Regulus tenendo gli occhi aperti e ascoltando attentamente.

Eri nel bosco?”

Remus scosse la testa, poi si fermò. Osservando Sirius dalla panchina, sembrò considerare qualcosa per un lungo momento, i suoi occhi che guizzavano da una parte all'altra del viso di Sirius mentre lo guardava e riguardava. Finalmente, porse la sua mano a Sirius. “Prometto.”

Automaticamente Sirius strinse la mano di Remus, e annuì. D'accordo. Allora Remus non aveva barato. Dopo tutto, Remus aveva fatto una promessa come quella il giorno prima, che sarebbe tornato oggi dopo pranzo, e l'aveva fatto. Quindi Remus non era uno che barava, o un bugiardo. Manteneva le sue promesse.

“Okay. È il mio turno!”

Mentre Remus si girava sulla panchina e chiudeva gli occhi, Sirius si mosse in avanti e strattonò la sua manica sottile. Remus si voltò verso di lui e lo guardò, sbattendo i suoi grandi occhi in attesa. “I boschi e il mare sono fuori dai confini, okay?” disse Sirius. Remus annuì. “E le nostre case! Non si esce!” Di nuovo, Remus annuì.

Sirius sorrise, un sorriso più grande di quelli che aveva mai fatto a casa. Remus gli sorrise in risposta. Poi Sirius lasciò la manica di Remus ed iniziò ad andare, camminando all'indietro mentre continuava a gridare istruzioni: “Okay! Cinquanta! E conta forte, così posso sentire! E non si sbircia! Okay! Via!”

La voce di Remus era chiara, ma non così alta, mentre cominciava a contare. “Cinquanta. Quarantanove. Quarantotto.”

Correndo sulla strada principale, Sirius si guardò intorno. Direttamente dietro di lui c'era casa sua: no. Alla sua destra c'era il cerchio vuoto che aveva visto il primo giorno. Non andava bene: non c'era niente dietro cui nascondersi. Poi l'oceano, che non andava. Quindi doveva andare verso la parte del mondo di Remus, se voleva nascondersi da qualche parte.

Il primo edificio alla sua destra era la casa in cui Remus si era nascosto all'inizio. Sirius considerò brevemente di nascondersi nello stesso esatto posto per una specie di doppio-inganno-super-intelligente, ma decise di no. Più che altro per il fatto che voleva guardarsi un po' di più in giro, per trovare nuovi posti.

C'era un edificio con grandi ingressi ad arco proprio dall'altra parte della panchina e del muro dove Remus stava ancora contando - “Trentanove. Trentotto. Trentasette.” - ma era troppo vicino. Quindi Sirius corse giù lungo la strada, facendo attenzione a poggiare i piedi il più possibile sulle chiazze d'erba che avevano riconquistato il terreno, o su solide rocce intere. Non voleva che qualche lastricato sbriciolato o instabile rivelasse la sua posizione.

Trentadue. Trentuno. Trenta.”

Sirius corse lungo la striscia di terra che una volta era una strada, guardandosi freneticamente attorno. Una fila di colonne a metà e spazi rettangolari con fiori incolti alla sua sinistra: no. Alla sua destra, un'area pavimentata con grandi lastre di marmo, completamente vuota ed aperta: no. Poi, alla sua sinistra, appena dopo il... forse un giardino, in un'era passata?... c'era un'altra casa! “Venti. Diciannove. Diciotto.” Dando un'occhiata veloce di fronte a sé, Sirius ebbe solo un momento per registrare che davanti a lui c'era un'altra parete con una porta – diversa dalla sua ma oh così simile. Subito dopo si stava lanciando dentro la casa e cercando di corsa un nascondiglio.

Guardandosi attorno, Sirius capì perché Remus aveva scelto quella buca al centro della casa. Tutte le piccole stanze in giro per la casa erano trappole: un'entrata, un'uscita. Se Remus l'avesse trovato, Sirius non sarebbe stato in grado di sfrecciargli accanto senza essere preso. Ma Sirius non voleva copiare Remus, anche se era una casa diversa. Forse allora... Sirius corrugò la fronte mentre si guardava intorno. Forse. Allora.

Ah! un'apertura catturò lo sguardo di Sirius, verso il retro della casa. Alcuni dei muri lì erano sbriciolati, ma c'era un grande spazio aperto, quasi come un giardino, forse. C'erano delle colonne tutto intorno, un po' come quelle nello spazio che Sirius aveva visto fuori che sembrava un giardino. Scalando uno dei muri, Sirius ci si posizionò dietro, dalla parte opposta dell'ingresso della casa. Di fronte a lui c'era un sacco di spazio per poter scappare da Remus: sia dal muro esterno sbriciolato della casa e sia dal fatto che il giardino stesso sembrava essere stato originalmente disegnato per collegare il retro della casa all'esterno.

Sirius si sistemò, accovacciandosi, per ascoltare Remus. I suoi pantaloni su misura non erano esattamente i miglior vestiti per piegarsi, ma andava bene. C'era una fresca brezza che filtrava attraverso le mura spaccate e cadenti del vecchio edificio, e il sole che scendeva dal soffitto aperto era luminoso e caldo. Il suono delle onde dell'oceano che si infrangevano sulla riva era tenue, ma ancora udibile nella tranquillità di quel mondo. Sirius non sentiva più Remus, ma non sapeva se era perché Remus avesse finito di contare, o solo perché era abbastanza lontano da Sirius da non poterlo più sentire.

Non era molto più tardi quando un nuovo suono giunse alle orecchie di Sirius, debole all'inizio ma decisamente lì. Era il muoversi di pietre e il sussurro molto, molto attenuato di piedi sul marmo. Girandosi ma rimanendo accucciato, Sirius sbirciò da una crepa nella parete dietro cui stava. Aveva una vista chiara dell'entrata della casa dalla sua posizione. Di fatto, un secondo dopo Remus entrò all'interno, guardandosi attorno attentamente. Sirius notò che ad un certo punto si era tolto le scarpe. Furbo. Questo Remus era molto, molto intelligente. Ovviamente.

Remus si stava avvicinando sempre di più. Stava osservando meticolosamente ogni stanza – entrava, si guardava intorno, poi usciva di nuovo – facendosi quindi strada verso dove Sirius era nascosto. Avrebbe dovuto iniziare a correre presto, o Remus sarebbe stato troppo vicino.

La volta seguente che Remus entrò in una stanza, Sirius si lanciò fuori dal suo nascondiglio e si precipitò nello spazio tra i muri premendosi contro l'esterno della casa. Aspettò un secondo, il cuore martellante nel petto, ascoltando. Non riusciva a sentire Remus, il che era probabilmente un bene: voleva dire che l'altro ragazzo non aveva ancora iniziato a correre verso di lui. Il più velocemente possibile e senza fare nessun rumore allo stesso tempo, Sirius corse intorno all'edificio, indietro verso la direzione della panchina. Gli anni passati a nascondersi da Walburga e Kreacher, o a rimanere in silenzio e fuori dai piedi durante tutte le “cene importanti” a cui i suoi genitori insistevano che attendesse, avevano reso Sirius molto bravo in questo.

Mentre raggiungeva la strada principale, Sirius si preparò a correre. Era praticamente una linea dritta da lì alla panchina, con solo qualche pila di rocce e detriti lungo la strada. Ma quelli erano facilmente evitabili. Doveva solo superare la casa dove si era nascosto, e poi avrebbe potuto-

“Preso.”

Sirius sbatté le palpebre, si fermò. Sbatté le palpebre. Voltandosi alla sua destra, guardò incredulo l'altro ragazzo, che era lì in piedi con un piccolo, orgoglioso sorriso sulle sue labbra. “Preso,” ripeté Remus.

Sirius sbatté i piedi a terra, scioccato. “Come hai fatto?!”

Remus scrollò le spalle, lasciando cadere la mano dal braccio di Sirius, dove l'aveva acchiappato, per giocherellare con le sue maniche troppo lunghe. “Non lo so. Ti ho sentito.”

Sirius lanciò un'occhiataccia ai piedi di Remus. “Avrei dovuto farlo anch'io,” osservò. “Togliermi le scarpe. È una cosa furba.”

Il sorriso di Remus si allargò di più sentendo il complimento. “Lo faccio sempre, quando acchiappo. Tu no?”

Sirius visualizzò una dozzina di occasioni in cui aveva provato a giocare a nascondino con Regulus, e a come Walburga o Kreacher erano sempre arrivati con crudeli unghie o ghigni cattivi a fermare il gioco non appena iniziavano. Scosse la testa. “Lo farò da adesso, però. Ti copio.”

Remus sembrò accettarlo come il complimento che Sirius aveva inteso, perché annuì e cominciò a tornare verso la tana con Sirius.

Mentre camminavano, Sirius sbirciò verso Remus da sotto la sua massa di setosi capelli neri. Sorrise a l'espressione seria ragazzo, poi lo colpì sul fianco con una spalla. L'altro ragazzo lo guardò sorpreso, ma poi sorrise quando sembrò capire che Sirius lo intendeva come un gesto affettuoso. “Ti acchiapperò, stavolta,” minacciò Sirius.

E poi Remus disse qualcosa di assolutamente geniale. “Ancora non ci sei riuscito.”

L'eco della risata di Sirius risuonò tra le vecchie, cadenti pareti e rimbalzò intorno ai ragazzi mentre ritornavano alla panchina.


 

**


 

L'acqua della piscina era fresca mentre scivolava gentilmente sui piedi doloranti di Sirius. I piedi di Remus erano visibili attraverso la leggera distorsione dell'acqua, proprio accanto ai suoi. Le loro spalle si urtarono, e le loro mani si sfioravano mentre si spostavano agitandosi lungo il bordo della piscina, i piedi che calciavano pigramente nell'acqua.

“Vinco sempre quando gioco con Regulus.”

Remus si girò verso Sirius senza togliere i piedi dall'acqua. I loro piedi si sfiorarono nel movimento, sotto il fresco liquido azzurro pallido. “Un tuo amico? Da-” si interruppe, e Sirius non gli offrì subito il nome del posto da dove veniva. Remus era simpatico, e divertente. Ma Sirius sapeva che non sarebbe mai stato accettato dove viveva, nella sua casa piena di vestiti appropriati e facce serie. I vestiti di Remus erano perfino di più bassa qualità di quelli di Kreacher.

“Il mio fratellino,” spiegò invece Sirius. “Lo trovo sempre, e lui non trova mai me.”

Remus scivolò più lontano da Sirius, che ne sentì acutamente e all'improvviso la mancanza. “Scusa.”

“No!” Sirius sbatté la spalla contro quella di Remus, illuminandosi quando vide un timido sorriso apparire sotto una frangetta di capelli biondi. “Va bene. È solo strano.”

Con cautela, come se fosse incerto su come procedere con il gesto, Remus diede un colpetto con la spalla a Sirius. “È perché ti stavi nascondendo da qualcuno più piccolo.”

Con una smorfia, Sirius ripensò a tutte le volte che era scappato per nascondersi da Walburga o Kreacher, e come qualche volta, una volta fortunata ogni tanto, ci era riuscito con successo. “Mi sono anche nascosto da Kreacher.”

“Kreacher?” Le lentiggini di Remus si arricciarono sul suo viso, stupito dal nome. “Chi è?”

“Il nostro domestico.”

“Oh.”

Di colpo Sirius ricordò che non tutti avevano dei domestici, giusto? Esitò, chiedendosi che cosa poteva dire per spiegarsi, per fare in modo che Remus non lo odiasse. Perché era ovvio dal modo in cui Remus si vestiva e parlava che non veniva da una famiglia come la sua. E Walburga diceva sempre delle cose, su come le persone povere volevano i loro soldi, ed erano tutti avidi e ingordi e gelosi di loro, ed era quello il motivo per cui a casa loro non c'era mai nessun altro in giro a parte le altre Famiglie benestanti, perché tutti gli altri volevano solo i loro soldi.

Ma quello non era Remus. A Sirius piaceva Remus; sapeva che Remus non lo voleva per i suoi soldi. Ma sarebbe potuto essere imbarazzato dal fatto che la famiglia di Sirius ne aveva un sacco, davvero un sacco.

“Perché ti nascondi da un domestico?”

Sirius sbatté le palpebre. Remus aveva parlato prima che potesse pensare a qualcosa da dire per allentare la tensione.

Quando Sirius lanciò un'occhiata alla sua destra, vide che Remus lo stava osservando, genuinamente curioso e confuso. “I domestici non dovrebbero, tipo, fare quello che gli dici?”

Sirius si imbronciò. “Kreacher fa quello che gli dice mia mamma.” E cioè di solito di punirmi. Ma Sirius non voleva parlare di quello. Non voleva parlare di nessuna di quelle stupide cose di casa con Remus. L'altro ragazzo era ovviamente qui per giocare con Sirius, per far dimenticare a Sirius la sua stupida casa e tutte le stupide, cattive persone al suo interno. Qui fuori, era sempre estate e mai inverno senza Natale. Questo posto era per far giocare lui e Remus, Sirius lo sapeva. Quindi avrebbero dovuto fare quello.

“Sai nuotare?”

Immediatamente Remus scivolò fuori dalla portata di Sirius sul freddo bordo piscina, scuotendo vigorosamente la testa mentre i suoi occhi si allargavano spaventati. “No! Non farlo!”

E con quello Sirius stava ridendo di nuovo, spingendo tutti i pensieri sulla tetra, spaventosa, vecchia Grimmauld Place in fondo alla mente. “No! Non volevo... guarda!” Sirius si alzò in piedi, con i piedi bagnati che gocciolavano sulla fredda pietra intorno alla piscina. “Volevo dire, vedi quella cosa? Sul fondo?”

Sirius indicò il fondo della piscina, dove nella pietra c'era un disegno tremolante. Era un qualche tipo di... Sirius non sapeva il nome per quel tipo di arte. Erano tanti piccoli piccoli pezzi di pietre di diversi colori attaccate vicine, o qualcosa del genere, formando una grande, enorme figura che prendeva tutto lo spazio al centro della parte più profonda della piscina. Sirius riusciva a vedere una sorta di motivo di quadrati e triangoli e stelle, arrotolato su se stesso che si ripeteva all'infinito in motivi sempre più grandi di forme e colori. Ma lui voleva andare laggiù, per tracciarlo, per sentire i piccoli frammenti di pietra sotto la punta delle dita, lisci per l'acqua che scorreva gentilmente sopra di loro, nascondendoli (ed era come una specie di tesoro sotterrato in piena vista, con bagliori forse d'oro e rubini e smeraldi che luccicavano da sotto l'acqua).

Remus si stava sporgendo più vicino, guardando lui stesso il disegno. “Mh-mh.”

“Lo toccherò. Prima o poi,” annunciò Sirius. “Dovremo imparare a nuotare. Perché neanch'io so farlo.”

Remus annuì. “Okay. Impareremo.”

Sirius si girò per guardare Remus, per sorridergli, e trovò che lui gli stava già sorridendo. Restarono così per un lungo momento, due ragazzi che si sorridevano a vicenda sotto il sole brillante accanto all'antica piscina. Poi un pensiero iniziò ad affacciarsi in fondo alla mente di Sirius, crescendo sempre di più finché non poté più ignorarlo. Si voltò da Remus, guardando dietro di lui. Lì c'era l'architrave sotto cui erano passati per trovare la piscina. Oltre quello c'era la strada, ed oltre quella la parete di Sirius, con la porta di Sirius. E oltre quella... casa.

Sirius rabbrividì, avvolgendosi le braccia intorno al corpo. “Devo andare.”

Remus lo accettò come faceva con tutto, e annuì. “Okay. Ti va di giocare domani?”

Sirius annuì immediatamente. Sì. Sì, certo che voleva. “Dopo pranzo?”

“Okay.”

Sirius dovette andarsene per primo, correndo alla panchina dove aveva lasciato le sue scarpe e i calzini. Remus stette lì con lui, salutandolo con la mano mentre Sirius apriva la pesante porta per tornare a casa. 



 

  
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