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Autore: BloodyCandy    01/10/2015    3 recensioni
[Ereri, Jearmin (ship secondaria) | Reincarnation AU]
Eren Jaeger è cosciente di ciò che accadde più di mille anni fa. L'incubo dei titani, le urla disperate dei suoi compagni di squadra e il ricordo vivido della sua morte continuano a tormentarlo anche ora che la sua vita si può definire normale.
Un giorno, però, fa un incontro che non si aspettava di fare: Levi, l'uomo per cui provava qualcosa, è lì, davanti a lui. Levi sembra riconoscerlo, o forse no, forse sta cercando di nascondere qualcosa, o semplicemente non vuole che il suo passato influenzi il suo presente.
Fatto sta che quell'incontro, in un modo o nell'altro, sconvolgerà la vita di entrambi.
Cosa succederebbe se questa tempesta finisse? E se invece fosse solo iniziata?
Genere: Drammatico, Erotico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Armin, Arlart, Eren, Jaeger, Irvin, Smith, Jean, Kirshtein
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Lo stesso presente

 

~ 14 Ottobre 2015 ~
 

― Allora vado a casa ― aveva detto.
― Perché non ti fermi ancora un po'? ― gli aveva risposto il capo. ― C'è da pulire il negozio ― aveva aggiunto. E poi ancora: ― Non ci metterai più di dieci minuti.
Un'ora e quarantotto. Ci aveva messo qualcosa come un'ora e quarantotto minuti per finire di spolverare tutte le mensole, sistemare i libri al loro posto e pulire il parquet. Già lo infastidiva pensare di rimanere là dentro solo pochi minuti in più del dovuto, figuriamoci quasi due ore.
Ma perché, di tutti i colloqui che aveva fatto, solo quello per quel posto era andato bene? In fondo non corrispondeva nemmeno lontanamente al tipo di persona che stavano cercando; gli unici requisiti richiesti che aveva erano la maggiore età e il diploma, l'interesse per la letteratura se l'era inventata al momento, citando quei pochi scrittori che aveva studiato e che si ricordava vagamente. Così, quando il capo l'aveva presentato ai suoi colleghi era diventato “l'appassionato di Proust e Kafka”. La verità è che non sapeva nemmeno come si scrivevano quei due nomi, e se avesse saputo prima che il capo era particolarmente fissato con quei due e che lavorare in quel posto facesse così tanto schifo, Proust e Kafka non li avrebbe nemmeno mai nominati. Alla fine aveva mandato quella domanda di lavoro solo perché “tentar non nuoce”, non certo perché lavorare in una libreria facesse parte dei suoi sogni.
Sogni, già. In quel momento invidiò parecchio Armin, che al suo sogno di diventare pasticcere si stava avvicinando, poiché aveva avuto la fortuna di trovarsi un posto come cameriere in una caffetteria piuttosto lussuosa e di aver trovato qualcuno che gli desse le lezioni di pasticceria, che tanto desiderava, gratis. Poi che quel “qualcuno” fosse nientepopodimeno che Jean Kirstein era un'altra storia.
Lui invece? Qual'era il suo sogno? Riuscire ad arrivare a fine mese con ancora un tetto sulla testa? Probabile.
Sospirò amareggiato. Si doveva trovare qualche altro lavoro, e al più presto. E magari anche uno scopo nella vita.
Timbrò il biglietto della metropolitana e passò attraverso i tornelli, per poi darsi una rapida occhiata intorno. A quell'ora le persone che prendevano la metro erano decisamente meno rispetto al solito, e aveva anche l'impressione che appartenessero alla categoria “persone da evitare”. La sciarpa tirata fin sopra al naso, il modo sospetto di guardarsi intorno; non si sarebbe sorpreso se una di quelle persone gli fosse piombata alle spalle e gli avesse ficcato un coltello in mezzo alla schiena, per poi scappare con i pochi spiccioli che gli erano rimasti nel portafogli.
Scosse la testa e scaccio via quel pensiero assurdo. Da dove venivano tutte quelle paranoie? Non era la prima volta che si trovava fuori casa a quell'ora, e anche se qualcuno avesse provato ad aggredirlo, lui sarebbe stato capace di difendersi. Ai tempi delle medie e delle superiori era uno di quelli che quando c'era da fare a botte non si tirava mai indietro. Per non parlare di quando era una recluta, dopo Mikasa era il migliore nelle arti marziali e, nonostante il fisico non fosse più quello di un soldato, le tecniche che gli aveva insegnato Annie se le ricordava tutte.
Prese un respiro profondo e si ripeté più volte che nessuno lo avrebbe ucciso e nessuno gli avrebbe rubato i soldi, e quasi riuscì a convincersene. Comunque, quando arrivò sulla banchina non poté fare a meno di controllarsi nuovamente le spalle e, quando appurò che dietro di lui non c'era nessuno, si rilassò ed infilò le mani in tasca. La calma, però, durò ben poco. Perché, ok, il telefono nella tasca destra c'era ancora, ma nell'altra tasca mancava qualcosa.
Il portafogli, diamine. Doveva essergli caduto di tasca dopo aver superato i tornelli e, sicuramente, se qualcuno non l'aveva preso, doveva essere ancora lì da qualche parte.
Velocemente risalì le scale, inciampando in uno o due scalini e ignorando completamente il treno che era arrivato facendo alzare un'ondata di vento gelido, girò a destra e, quando svoltò l'angolo, lo vide: il suo portafogli verde bottiglia, in mano ad uno sconosciuto.
― Ehm...quello è mio ― esordì, tra un ansito e l'altro, con un filo di voce, forse ancora intimorito dai pensieri di prima o forse dagli anfibi esagerati e il collarino borchiato che indossava il ragazzo a pochi metri da lui; e, a dirla tutta, quando l'individuo alzò lo sguardo dal portafogli per spostarlo su di lui, Eren pensò che se voleva poteva anche tenerselo. Sì, ecco, quello era proprio l'esempio perfetto della “persona da evitare”.
Eppure aveva qualcosa di familiare...
Un senso di nostalgia gli riempì lo stomaco e lo travolse una strana voglia di prende per mano quello strano tizio e correre insieme felici verso l'orizzonte in sella a degli unicorni rosa.
A-aspetta, cosa?
Si maledisse per essersi dimenticato, quella mattina, le lenti a contatto; magari avrebbe evitato di strizzare gli occhi in un'espressione imbarazzante per provare a mettere a fuoco e riconoscere quel tipo che aveva iniziato a fissarlo come se fosse un idiota. E, sì, forse un po' idiota lo era.
― Stai più attento la prossima volta, Eren.
E fu in quel momento che lo riconobbe. Quando sentì il suo nome uscire dalla sua bocca, quando si avvicinò per porgergli il portafogli, perché lui era troppo sotto shock per pensare a quel coso ora, e poté guardarlo bene in faccia; gli occhi grigi, le labbra sottili, la pelle perfetta come quella di una bambola di porcellana.
Dio, era lui. Era lui ed è lì, a condividere il suo stesso presente.
E sembrava avesse anche qualche anno in meno dall'ultima volta che l'aveva visto. Non che il Levi di mille anni fa sembrasse vecchio, eh.
Eren sorrise appena. Se qualcuno avesse sentito i suoi pensieri lo avrebbe preso per pazzo. Quale umano sembrerebbe più giovane dopo anni che non lo vedi? Oltre a Benjamin Button forse solo le signorine nelle pubblicità dei prodotti anti-età. Aspetta, stava forse paragonando Levi ad una di quelle signorine?
― Ohi, moccioso. Potresti ringraziarmi, al posto di fissarmi con quella faccia.
Quando Eren si riprese dai suoi pensieri, l'altro gli aveva già dato le spalle, probabilmente dopo averlo mandato a quel paese, e si era allontanato di qualche metro, lasciando al suo posto un leggero odore di fumo.
Davvero se ne stava andando così? Provò a dirgli qualcosa per fermarlo ma, colpa la vacanza temporanea che si era preso il suo cervello, finì per far uscire dalla bocca solo dei versi confusi che fecero sputare uno “tsk” irritato a Levi, prima che imboccasse la scalinata che portava ai treni e sparisse dal suo campo visivo.
Eren rimase lì dov'era per parecchi minuti come se fosse parte integrante della stazione, immobile, con un braccio sospeso a mezz'aria e la bocca spalancata, prima di decidersi a fare dietrofront e tornare sconfortato sulla banchina da cui era venuto.
Era alquanto...confuso da quello che era appena successo. Quello era Levi, no? Allora perché se n'era andato via così? Possibile che non si ricordasse di lui?
Il treno che arrivò lo fece sobbalzare, ricordandogli dove si trovava e facendogli notare che se avesse fatto un altro passo probabilmente a quest'ora non avrebbe più avuto una faccia. Appena le porte si aprirono, salì sul vagone ed occupò uno dei numerosi posti liberi, lontano il più possibile dagli altri passeggeri.
No, era impossibile che non si ricordasse di lui, diamine, lo aveva chiamato per nome. Ma allora perché? Doveva assolutamente parlarne con Armin, lui aveva il potere di riuscire sempre a venire a capo di tutto, e sicuramente lo avrebbe aiutato anche questa volta a capire cosa stava succedendo. Avrebbe potuto aspettare quel fine settimana per parlargliene di persona, in fondo non amava parlare di cose serie al telefono, per di più in metropolitana dove chiunque poteva sentirlo, ma aveva bisogno di capire, e probabilmente quella notte non sarebbe riuscito a dormire se prima non avesse sentito cosa ne pensava Armin di quella faccenda.
Prese il telefono, andò nella rubrica, dove il nome dell'amico occupava il primo posto, e premette il pulsante verde sul touch screen aspettando impazientemente, tamburellando con le dita della mano libera su un ginocchio, che il telefono iniziasse a squillare.
Ma una voce, che non era né quella metallica della segreteria telefonica, né tanto meno quella pacata di Armin, iniziò a rimbombargli in testa, facendogli mancare un battito e facendogli interrompere con mano tremante la telefonata al secondo squillo.
L'hai ucciso...l'hai ucciso, l'hai ucciso.
Cosa si aspettava, che ora che si erano rincontrati Levi gli avrebbe fatto le feste? Era ovvio che volesse evitarlo. Anzi, forse doveva ritenersi fortunato per non essere stato pestato a sangue, che in fondo era quello che si meritava per quello che aveva fatto a lui e ai suoi compagni. Come aveva fatto a non arrivarci?

Le immagini cruenti di quel campo di battaglia, di Levi ricoperto di sangue e dell'ombra di Erwin che alzava le spade per colpirlo, iniziarono a scorrergli davanti agli occhi, facendolo stringere nel parka come se all'improvviso la temperatura si fosse abbassata di qualche grado. Si ritrovò con gli occhi colmi di lacrime e la mano, con cui qualche attimo prima stava stringendo il telefono, appoggiata sulla bocca a soffocare i singhiozzi che altrimenti avrebbero attirato l'attenzione degli altri passeggeri . Era così fottutamente patetico, così tanto che si sarebbe preso a pugni da solo.
Decise che avrebbe dimenticato quell'incontro e ad Armin non avrebbe detto nulla, né ora né quel fine settimana.

 


~ 16 Ottobre 2015 ~

 

― Quindi ti andrebbe di andare da qualche parte domani sera?
Eren prese un altro grosso boccone di torta al triplo cioccolato e tornò a guardare Armin che non poté fare a meno di scoccargli uno sguardo preoccupato, dal momento che era alla quarta fetta di torta e se avesse continuato così probabilmente i vestiti gli sarebbero esplosi addosso.
All'altro, però, in quel momento importava ben poco della sua linea: era depresso e recitare la parte del giovane ragazzo felice e spensierato richiedeva energie, ergo aveva un disperato bisogno di cioccolato.
E poi quella torta era davvero buona.
― Va bene. Dove? ― chiese il biondo.
― Pensavo in discoteca a bere qualcosa insieme agli altri.
Con “gli altri” intendeva i loro amici del liceo, e nessuno di questi era uno degli ex soldati del centoquattresimo corpo di addestramento reclute. Gli unici che per ora sembravano rivivere in quel presente erano lui, Armin e Jean.
E Levi.
Prese un'altra forchettata di torta.
Armin alzò un sopracciglio sconcertato, e riempì di acqua il bicchiere che Eren aveva appena svuotato, senza perdere di vista nemmeno un secondo gli occhi verdi dell'amico.
― Tu odi le discoteche. E non reggi l'alcol. Anzi, ti devo ricordare che l'ultima volta che ti sei ubriacato sei sparito all'improvviso, e...
Eren mise le mani davanti a sé tentando di fermarlo. Quella era una storia imbarazzante e l'idea che qualcuno potesse sentirla non lo eccitava particolarmente.
― Sì, sì, mi ricordo, non tirare di nuovo fuori quella storia, per favore ― si affrettò a dire, tentando di coprire con la voce quella dell'altro.
― ...la mattina dopo mi hai chiamato in preda al panico perché ti sei svegliato nudo nel letto di uno sconosciuto?
Si abbandonò sbuffando sullo schienale della sedia e verificò che nessuno dei clienti presenti – li aveva scrutati così intensamente da riuscirne ad intravedere l'anima – avesse avuto la fantastica idea di non farsi gli affari suoi, poi spinse il piatto verso Armin per farselo riempire ancora una volta. Il cioccolato non era mai abbastanza.
Armin ignorò il piatto vuoto ed appoggiò i gomiti sul tavolo e il viso sul palmo delle mani; la posizione perfetta per fissare il suo sguardo indagatore in quello ora intimidito di Eren.
― C'è qualcosa che ti turba. E non vuoi dirmi cosa.
Ok, se c'era una cosa che odiava di Armin è che non poteva nascondergli nulla. Non che poi si impegnasse così tanto a nasconderle, le cose.
Spostò gli occhi sulle briciole di torta che giacevano tristemente nel piatto che Armin si era rifiutato silenziosamente di riempire per la...quinta o sesta volta. Aveva perso il conto.
Effettivamente era strano anche per lui pensare di voler andare in discoteca ad ubriacarsi, ma aveva seriamente bisogno di riempirsi di alcol e non pensare per qualche ora all'incontro che aveva fatto qualche giorno prima. Questa volta magari evitando di finire nel letto di qualcuno.
― Ho solo bisogno di distrarmi. Quel lavoro del cazzo mi manda fuori di testa ― mentì. Non se la sentiva di dirgli davvero come stavano le cose; non aveva voglia di fare la figura del debole, che torna a rimuginare su una cosa accaduta più di mille anni fa perché il tipo che ha ammazzato non si è fermato a chiedergli, dopo tutto quel tempo, come stava. In ogni caso Armin non avrebbe potuto fare nulla per cambiare le cose, e sicuramente farsi consolare non lo avrebbe fatto sentire meglio.
― Per ora ti sei salvato, ma quando vuoi dirmi la verità fammi un fischio. ― Il biondo incrociò le braccia e gonfiò le guance in un'espressione imbronciata che in qualche modo fece piegare leggermente all'insù gli angoli delle labbra ad Eren. Quando Armin vide che l'amico sembrava essersi rilassato, abbandonò le vesti del bambino offeso e gli sorrise rassicurante, posando una mano su quella dell'altro.
― Lo sai che se avessi un problema mi farei in quattro per aiutarti a risolverlo, vero?
Eren spostò lo sguardo su un punto imprecisato del pavimento, pur di non guardare quegli occhi così azzurri, e rispose con un filo di voce: ― Sì, lo so. ― Ed era vero, diamine, lo sapeva che avrebbe potuto dirgli tutto, ma era più forte di lui.
Ad Armin faceva male vederlo così, mentre tentava disperatamente di combattere da solo i suoi demoni. Avrebbe voluto davvero aiutarlo, in fondo era il suo migliore amico, e in quanto tale era suo dovere farlo, ma conoscendo Eren sapeva che aveva bisogno dei suoi tempi e nel momento in cui si sarebbe sentito pronto gli avrebbe detto di sua spontanea volontà cosa c'era che non andava. Forzarlo a sputare il rospo probabilmente avrebbe solo peggiorato le cose, l'unica cosa che poteva fare era aspettare. E si sentiva così inutile nell'aspettare.
Il sorriso rassicurante che si era disegnato qualche secondo prima sulle labbra si sostituì con uno decisamente più malinconico, ma prima che Eren potesse accorgersene, il biondo spostò lo sguardo sull'elegante orologio da parete, simbolo della caffetteria, che indicava che la pausa era finita.
― Ti impacchetto i resti della torta e torno a lavoro ― annunciò, alzandosi e risistemando la sedia ordinatamente sotto al tavolino, per poi allontanarsi con l'alzatina su cui si trovavano le ultime fette del dolce, e tornare qualche minuto dopo stringendo tra le mani la scatola da trasporto sulla quale spiccava il logo del negozio e la scritta “Teezeit Bäckerei”.
― Non mangiarla tutta oggi, non vorrei che ti sentissi male ― gli ordinò, mantenendo comunque un tono dolce da mamma, e appoggiò la scatola davanti ad Eren che, a quelle parole, sentì andare in frantumi i suoi piani per quella sera.
― E tu non stare troppo tempo con Faccia da cavallo ― ribatté velocemente, con un tono decisamente meno zuccheroso. ― Non vorrei che iniziassi a nitrire come lui.
Ora si sarebbe sentito sicuramente meno in colpa se quella torta fosse magicamente finita dentro al suo stomaco. Sapeva che Armin avrebbe inevitabilmente disubbidito ai suoi ordini: il venerdì era uno dei giorni in cui il biondo rimaneva in pasticceria fino a tardi per prendere lezioni da Jean, non poteva certo evitare di passare tutto quel tempo insieme a lui. Quindi erano pari. Non funzionava così?
Armin non poté fare a meno di farsi scappare una risata. ― Dopo tutti questi anni ancora non riesci a fartelo andare a genio?
― No, ― rispose velocemente, aggiungendo poi: ― e dubito che arriverà mai il giorno in cui lo troverò simpatico. Anzi, sai una cosa? Fa tutto il fighetto, ma la verità è che sei almeno mille volte meglio di lui a preparare i dolci, diamine, questa torta è fantastica, nulla a che vedere con quelle che fa lui. ― Gli fece l'occhiolino e sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.
Sorriso che sparì appena l'amico gli rivelò ridendo: ― Grazie Eren, ma quella l'ha fatta “Faccia da cavallo”.
Se non altro aveva trovato il modo di non fargliela finire.

 


 ~ 20 Ottobre 2015 ~

 

Non era affatto abituato a bere, tanto che, fosse stato per lui, sarebbe rimasto a letto anche quel giorno. In fondo aveva passato la domenica a vomitare e il lunedì a cercare di riprendersi, il tempo per riposarsi decentemente non l'aveva ancora trovato.
Comunque, tutto sommato, la serata non era andata così male, nel senso che aveva raggiunto un livello di ubriacatura che gli aveva consentito di non finire a casa di qualche sconosciuto e di fregarsene altamente del fatto che Levi lo odiasse, in più era anche riuscito a tornare nel suo buco di monolocale senza sbagliare strada o cadere dalle scale. Che ci avesse provato tutta la notte con Armin, invece, era una di quelle cose da cancellare dalla mente e far finta di non averne memoria.
In ogni caso, per un motivo o per l'altro, era praticamente riuscito a dimenticare l'incontro di qualche giorno prima, anzi, se provava a ripensarci gli sembrava come se fosse stato tutto un sogno. Un sogno incredibilmente realistico ma pur sempre un sogno.
Finì di sistemare i libri in ordine alfabetico nella sezione “fantasy”, anche se, fosse stato per lui, li avrebbe ordinati in ordine arcobalenico – sicuramente ci avrebbe messo un quarto del tempo che ci aveva impiegato e il tutto sarebbe risultato esteticamente più bello – , e controllò l'ora. Ancora pochi minuti e la pausa pranzo sarebbe iniziata, sempre se il suo simpatico capo non fosse spuntato dal nulla e gli avesse trovato un “lavoretto da cinque minuti” che doveva fare assolutamente prima della pausa e che gli avrebbe mandato a puttane quell'ora e mezza scarsa che aveva a disposizione per rifocillarsi. Se ne doveva andare, prima che quell'incubo potesse diventare per l'ennesima volta una realtà.
Con il passo felpato di uno zombie a caccia di cervelli sgattaiolò verso la porta dei camerini e, una volta dentro, si liberò della maglietta giallo fluo da dipendente, tornando ad indossare con sollievo la sua felpa di una tonalità decisamente meno fastidiosa.
Uscendo fece quasi cadere una colonna di libri con il venti per cento di sconto e inciampò nelle stringhe slacciate delle sue Converse, attirando inevitabilmente l'attenzione dei clienti e del suo collega alla cassa che gli chiese con lo sguardo dove diavolo stesse andando.
― La mia pausa pranzo è iniziata un minuto fa ― disse, senza fermarsi a guardare l'uomo che si accertava stizzito che non stesse cercando di svignarsela in anticipo.
Appena mise i piedi fuori dal negozio inspirò profondamente l'odore della città. Era fuori finalmente, e anche se la puzza del fumo delle sigarette dei passanti lo fece tossire, ringraziò il cielo di non dover aver a che fare per un'ora con l'odore dei libri, di cui ormai ne aveva pieni i polmoni. E pensare che prima di iniziare a lavorare non gli dispiaceva nemmeno così tanto, quell'odore; gli riportava alla mente con una dolce nostalgia quando, da bambini, lui ed Armin leggevano di nascosto i libri di suo nonno sul mondo fuori dalle mura, facendoli sognare su quanto grande potesse essere l'oceano e su che effetto potesse fare camminare su un deserto di ghiaccio. Ora invece gli ricordava solo le brutte facce dei suoi colleghi e che l'oceano, ancora, non l'aveva visto.
Sospirò amareggiato e prese a camminare, verso una meta indefinita.
Non era un tipo abitudinario, e per lui passare la pausa pranzo sempre nello stesso posto era impensabile. Forse, se la pasticceria dove lavorava Armin non fosse stata così lontana, avrebbe potuto prendere in considerazione l'idea di scroccare dolci al Teezeit Bäckerei ogni giorno ma, non essendo così, si ritrovava sempre ad avventurarsi tra le strade secondarie a cercare un nuovo posto in cui fermarsi a mangiare.
Quel giorno la sua attenzione venne catturata dall'insegna di un bar in cui, quasi sicuramente, non era mai entrato. Fuori dalla porta c'era una lavagna con scritto un breve menù e il piatto del giorno e, appena fu abbastanza vicino – si era dimenticato un'altra volta le lenti a contatto – , controllò i prezzi, che trovò decisamente abbordabili per le sue tasche. Quello era il posto giusto.
Quando spinse la porta vetrata per entrare si accorse che i lacci delle sue scarpe erano ancora slacciati, e li avrebbe sicuramente riallacciati se non gli si fosse gelato il sangue nelle vene quando sentì una voce fin troppo familiare dirgli qualcosa.
― Chi non muore si rivede. Eh, Eren?

 

 

Note dell'autrice:
Ed eccoci qua anche con il secondo capitolo :D Avrei voluto pubblicarlo stamattina, ma tra una cose e l'altra si sono fatte le 20.30 D:
Finalmente siamo ai giorni nostri ed ecco Levi che appare davanti ad Eren come un pokemon selvatico nell'erba alta (?). Che cosa succederà ora? Lo scopriremo nella prossima puntata, che non so quando sarà perché ho finito i capitoli pronti, il prossimo è scritto a metà e non so quanto ancora mi ci vuole per finirlo u.u
Trovate che sia troppo lungo come capitolo? Pensavo di rimanere più o meno sulle cinque pagine per ogni capitolo, ma forse risultano troppo lunghi...o magari il fatto che siano suddivisi in giorni li fa sembrare più corti? ù.u Boh, ditemi. Oh, e ovviamente, come anche nel capitolo precedente, se vi siete imbattuti in qualche errore non esitate a segnalarmelo, io non potrò che esservene grata :3
Prima che mi dimentichi, grazie a tutti quelli che hanno iniziato a seguire la mia storia, l'hanno recensita, inserita tra le preferite e le ricordate *-*
Al prossimo capitolo :)

 

   
 
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