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Autore: Beatrix Bonnie    02/10/2015    1 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 20
L'ultimo erede






Non ne sapeva bene il motivo, ma Edmund era stranamente agitato. Cercò di calmarsi, ripetendosi come un mantra che, in fin dei conti, non era certo la prima volta che uscivano di nascosto dal Trinity. Forse era agitato per il fatto che stava disobbedendo ad un ordine diretto di Captatio, permettendo a Mairead e Laughlin di seguirlo, oppure perché stava per scoprire se l'oggetto in cui aveva riposto tutta la sua speranza esisteva davvero o erano solo frottole di McFarren.
Mairead probabilmente percepì la sua preoccupazione, perché gli rivolse un sorriso incoraggiante. «Andrà tutto bene, vedrai» lo rincuorò.
«Non vi serviranno i mantelli al Gaianum» commentò una voce alle loro spalle.
Edmund si voltò di scatto, lanciando un'occhiataccia a Laughlin. «Perché hai chiamato anche Dominique?» sibilò nella sua direzione, furente.
Laughlin non si fece intimorire. «Avanti, Dom conosce Roma come le sue tasche» spiegò. «Abbiamo bisogno di una guida.»
«Non ti preoccupare, Edmund, so essere discreto» lo incoraggiò Dominique, che aveva afferrato di essere al centro della disputa tra i due amici.
Edmund scosse la testa. «Non è per quello» lo rassicurò. «È che potrebbe essere pericoloso e poi ho promesso a Captatio che non vi avrei coinvolti di nuovo.»
Laughlin sfoderò il suo miglior sorriso. «Ma Dom l'ho coinvolto io, quindi non c'è problema!» esclamò, prendendo l'amico Nagard per le spalle.
Edmund scosse la testa. «Sei sempre il solito, Laugh» borbottò, ma alla fine si ritrovò a pensare che la presenza di Dominique poteva rivelarsi molto preziosa. Dopotutto, era un tranquillo sabato pomeriggio di primavera, che cosa poteva accadere loro di terribile?
Con un sospiro e un cenno del capo, Edmund acconsentì che partissero tutti. Si recarono così al passaggio segreto sotto il ponte, per uscire dal territorio del Trinity e raggiungere i boschi vicino a Doolin. Dal momento che Dominique insisteva nel dire che a Roma avrebbero trovato piuttosto caldo, essendo ormai maggio, Mairead, Edmund e Laughlin lasciarono i loro mantelli al sicuro dentro il tunnel segreto che conduceva fuori dalla scuola. Una volta sbucati di nuovo all'aria aperta, si prepararono per la materializzazione: dal momento che anche Laughlin e Mairead avevano superato l'esame di idoneità, solo Dominique aveva bisogno di una materializzazione congiunta.
«Non vi preoccupate per dove arrivare» disse loro Dominique. «Tanto su tutta Roma è attivo un complesso sistema magico che canalizza tutte le materializzazioni in punti strategici della città. È per convogliare l'afflusso di gente.»
«Cioè mi stai dicendo che a Roma non ti puoi materializzare dove ti pare?» domandò Laughlin, alzando un solo sopracciglio.
Dominique si strinse nelle spalle. «Non hai idea di quanti maghi ci vanno ogni giorno. Sarebbe un caos.»
Laughlin scosse la testa. «Come dici tu» fu costretto ad ammettere.
«Dunque ci si vede là?» domandò Mairead.
Dominique annuì, avvicinandosi a Edmund per la materializzazione. Ad un cenno del ragazzo, prima Laughlin, poi Mairead rotearono su se stessi e scomparvero. Edmund allora strinse il braccio di Dominique e si smaterializzò a sua volta.
Giunsero in un grande stanzone affrescato, dal sapore squisitamente italiano; era stato suddiviso, attraverso dei paravento, in dieci aree, ognuna delle quali riportava un cartello con l'indicazione della nazione di provenienza. Nell'area irlandese si trovavano solo loro quattro.
«Ottimo, muoviamoci» asserì Dominique, sfregandosi le mani.
C'era davvero una piacevole temperatura a Roma; anzi, faceva quasi caldo per le loro abitudini. Si lasciarono guidare da Dominique attraverso le strade della città affollata e rumorosa, osservando con gusto le strane abitudini dei Babbani italiani.
Un tizio in motorino per poco non investì Laughlin. «A te levi dalla strada, a li mortacci tui?» La sua imprecazione si perse nel vento, il romanaccio spericolato già lontano e il rumore dei clacson a coprire le parole.
«Benedetto San Patrizio!» borbottò Laughlin, indeciso se rischiare la morte per strada o affrontare la folla di pedoni, turisti, venditori ambulanti e gente a caso sul marciapiede. «Quanto manca ancora?»
«Ci siamo quasi» l'incoraggiò Dominique con un sorriso. Fu di parola, per fortuna: dopo pochi minuti, raggiunsero la porticina di un edificio piuttosto squallido. «È per scoraggiare i Babbani» spiegò Dominique. In effetti, l'interno era un bel salone abbastanza nuovo, simile ad una stazione ferroviaria ma senza binari: c'erano negozietti di souvenir (alcuni dei quali davvero raccapriccianti, come la statuetta del legionario romano che cantava a squarcia gola un motivetto composto da sole tre parole: “I love Italy”), un piccolo bar e un bancone informazioni. Il tizio dietro il bancone aveva l'aria davvero scocciata.
«Turisti di là» borbottò in un inglese dalla pronuncia inudibile, quando li vide avvicinarsi.
Dominique si fece avanti con un sorriso a trentadue denti e domandò qualcosa all'uomo in un italiano impeccabile. Lui brontolò un poco, ma alla fine annuì e fece cenno col capo di andare dall'altra parte. Dominique parve molto soddisfatto. «Venite» sussurrò ai suoi amici. «Facciamo la strada vecchia.»
«La strada vecchia?» gli fece eco Laughlin.
Dominique sfoderò un'espressione complice. «È l'antica via di accesso al Gaianum. Da qualche tempo è stata chiusa ai turisti, per i quali c'è una nuovissima entrata iper-veloce. Ma l'altra... be', l'altra ha molto più fascino.»
Edmund lanciò un'occhiata dubbiosa al tipo all'ingresso. «Come hai fatto a convincerlo?» domandò, mentre si avviavano tutti e quattro verso un corridoio buio.
Dominique si strinse nelle spalle. «Gli Italiani, quando sentono parlar la loro lingua da uno straniero, sono talmente estasiati che son disposti a concedergli tutto» rispose senza scomporsi troppo. Nel frattempo, li condusse attraverso un corridoio a botte simile a quello di una antica segreta; man mano avanzavano, le torce sui muri si accendevano magicamente. Infine, giunsero davanti ad una porta dall'aria consunta, attraverso la quale trapelava uno spiacevole odore di umido, come in una vecchia cantina ammuffita.
«Sei sicuro sia la strada più affascinante?» domandò Laughlin, storcendo il naso.
«Adesso vedrete» sussurrò Dominique, toccando la porta con la bacchetta magica, in modo da poterla aprire delicatamente verso di loro. Non appena riuscirono a spiare dentro, capirono cosa avesse voluto dire Dominique. Davanti ai loro occhi si profilò lo spettacolo più meraviglioso che avessero mai visto: un immenso salone attraversato da quattro ordini di alte colonne, avvolto nell'oscurità se non per delle fiammelle dall'intenso color arancione che si innalzavano verso il soffitto a partire dal basamento di ciascun pilastro. Ma la cosa più straordinaria era il mezzo metro di acqua che invadeva tutto il salone, creando un meraviglioso gioco di specchi, come se il soffitto si trovasse anche sul fondo e le luci venissero risucchiate verso il basso. A destra e a sinistra dei quattro ordini di colonne si trovavano dei camminamenti con delle balaustre, sentieri sospesi sull'acqua che conducevano ad un portone dall'altra parte della sala.
«Questa è l'antica via d'accesso al Gaianum» sussurrò Dominique, come se non volesse rompere l'incanto di quel luogo. «È una cisterna di epoca romana, che venne scelta dai Patrizi come miglior protezione per il loro quartiere magico: tramite un sistema di chiuse, il salone può venir completamente allagato.»
«È stupendo» mormorò Mairead, incantata.
«È geniale» aggiunse Edmund, ammirato.
Dominique sorrise. «Andiamo» li incitò e si incamminò verso la passerella sul lato destro. Percorsero il loro cammino come immersi in un sogno, attraverso le navate di quella spettacolare sala ambrata. Quando giunsero al portone sul fondo, Dominique lo toccò con la bacchetta e anche quello di aprì silenzioso su una scalinata che saliva verso l'alto. Arrivati in cima, sbucarono finalmente su una via laterale del quartiere magico di Roma. Il viavai di gente era impressionante: maghi e streghe dai vestiti bizzarri, alti prelati della curia, folletti, ogni sorta di creatura magica e tanti, tantissimi turisti.
Edmund notò due uomini con uno strano telo bianco drappeggiato tutto intorno al corpo; sotto si intravedevano abiti da mago. «Cosa indossano quelli lì?»
domandò a Dominique.
«Sono toghe romane» spiegò il ragazzo. «I maghi del Gaianum le indossano in tutte le cerimonie ufficiali o liturgiche, sopra i vestiti; e spesso anche in giorni normali.»
«Deve essere scomodissima» commentò Laughlin.
Dominique si strinse nelle spalle. «Immagino di sì. Ma è un segno di distinzione e qui al Gaianum ci tengono tutti a ricordarsi le proprie origini.»
Edmund non aveva mai visto molti altri posti oltre all'Irlanda, ma riteneva che il Gaianum fosse un luogo davvero unico: quelle che sembravano ville e porticati romani si mescolavano a torri dall'aspetto medievale, palazzi barocchi o ottocenteschi. La piazza più straordinaria era quella dove sorgeva la cattedrale, un antico tempio pagano dalla pianta circolare con un colonnato di marmo sul fronte; a sinistra si erigeva un palazzo medievale con una torre merlata, da cui pendeva lo stendardo del Patriarca: quelli erano i suo alloggi personali. Proprio di fonte, invece, un edificio barocco dallo sgargiante color arancione faceva da sede alla curia patriarcale. L'insieme era qualcosa di eccentrico eppur eccezionale.
«E ora?» domandò Laughlin, osservando perplesso la natura bizzarra della piazza.
Edmund si guardò in giro: non aveva mai un piano ben congegnato in mente. «Dovremmo trovare il modo di entrare nella biblioteca della curia» buttò lì, come se fosse una cosa semplice.
Laughlin lo guardò con un misto di commiserazione e pazienza. «Perché non proviamo anche a portar via le uova da sotto il naso ad un drago?»
«Che c'entra il drago, adesso?» sbuffò Edmund.
L'amico alzò gli occhi al cielo. «È un modo di dire, Ed. Solo un modo di dire.»
Dominique invece si fece avanti con aria seria. «Forse potremmo provare a chiedere al cardinal Saiminiu» propose a mezza voce.
Edmund si illuminò. «Ma certo! Lui potrebbe aiutarci!» In fondo, il cardinal Saiminiu era Irlandese di nascita e se assomigliava anche vagamente al suo nipote professore, certo avrebbe trovato apprezzabile l'idea di aiutare giovani studenti assetati di conoscenza.
Dominique, con un sorriso smagliante, tirò la manica della giacca di Edmund e gli indicò la porta della curia. «La fortuna ci assiste» commentò, indicando un cardinale corpulento che usciva dal palazzo proprio in quell'istante. Era accompagnato da qualche pretino zelante e da un paio di maghi dall'aria importante.
Edmund, che come suo solito agiva prima di pensare, gli si fece incontro con aria baldanzosa. «Cardinal Saiminiu, permette?» domandò non appena fu a portata di voce.
L'uomo si fermò con aria distratta, facendo segno al suo seguito di imitarlo. «Sono un po' di fretta, giovanotto.» Aveva una voce profonda e roca, educata ma insieme molto ferma.
Stranamente Edmund ne fu un po' intimorito. «Solo una parola» riuscì a mormorare, con un mezzo sorriso.
«Il tempo è prezioso e le parole vanno misurate con calma» rispose il cardinale, tormentando la catena della croce d'oro che aveva appesa al collo. «Scrivi un gufo al mio ufficio e sarò lieto di riceverti in appuntamento. Altrimenti, tutti i sabato mattina sono disponibile per le confessioni nella cattedrale di Dubh Cliathan.» E con un sorriso e un cenno di saluto si allontanò insieme al suo entourage.
Laughlin lanciò un'occhiata di sottecchi all'amico, che era rimasto lì imbambolato in mezzo alla piazza. «Che fine ha fatto l'Edmund-fascino?» gli domandò allibito. Di solito Ed sapeva sempre come ottenere ciò che voleva dalle persone.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Non lo so» fu costretto a rispondere. «Non sembra un tipo che si lascia incantare facilmente.»
«A volte, preso com'è dai suoi mille impegni, si dimentica qual è il compito principale di noi pastori: pascolare il gregge di Dio» aggiunse un'altra voce calda alle loro spalle. I ragazzi si voltarono: apparteneva ad un cardinale dal viso tondo e l'aria gentile.
«Cardinal Ravase» esclamò Dominique con deferenza e ammirazione.
L'uomo sorrise bonario. «In persona. Di che cosa avevate bisogno, ragazzi?» Il suo inglese non aveva alcuna inflessione particolare, come se lo parlasse da sempre.
Edmund ritrovò un po' di animo. «Mi chiamo Edmund Burke, signore, e sono... sono alla ricerca di informazioni» spiegò.
«Che genere di informazioni?» chiese gentilmente Ravase.
«A proposito della fuga dei conti Rory O'Donnell e Hugh O'Neill, un episodio avvenuto nel...»
«1608» completò il cardinale con sicurezza. Una strana ombra era comparsa sul suo viso al sentir nominare i due Conti, ma subito era scomparsa per lasciar posto al solito sorriso bonario. Tirò fuori di tasca un'agendina su cui erano segnati più impegni di quanti umanamente potesse sostenere una sola persona in una settimana ed esclamò: «Ho giusto un'oretta libera. Perché non venite con me in studio?»
Edmund lanciò un'occhiata agli amici, lievemente preoccupato, ma alla fine ignorò lo sguardo allarmato di Laughlin e decise di seguire il suo istinto, che lo spingeva a fidarsi del cardinale. I ragazzi lo seguirono in silenzio lungo le vie del Gaianum, fino al portone di un palazzo grigio cupo.
«Questa storia puzza» sussurrò Laughlin all'orecchio di Edmund. Aveva uno sguardo eloquente e gli occhi guardinghi.
Anche Edmund provava una strana sensazione di disagio, ma decise di ignorarla: la curiosità e la speranza che il cardinale potesse avere delle risposte ebbero la meglio persino sul buon senso. Il ragazzo rifilò all'amico un sorriso di circostanza e seguì l'uomo dentro casa. Salirono per una rampa di gradini abbastanza consunti, fino ad un pianerottolo buio e un po' squallido. Ma quando il cardinal Ravase aprì la porta, si ritrovarono in un salottino di gusto barocco, con poltroncine di tappezzeria verde e un'arpa in un angolo. C'era qualcosa di inspiegabilmente irlandese in quella stanza.
«Prego, accomodatevi» il invitò il cardinale, con un sorriso. Poi agitò la bacchetta e comparvero delle tazze e una teiera di porcellana raffinata. «È giusto l'ora del tè, quindi se gradite...»
Nessuno se ne servì. I ragazzi presero posto sulle poltroncine, leggermente a disagio; Laughlin si posizionò nell'angolo, vicino all'arpa, e squadrò tutto con occhio critico, come se si aspettasse chissà quale trappola.
Il cardinal Ravase non si accorse, o più probabilmente decise gentilmente di ignorare la diffidenza nei suoi confronti: si sedette di fronte a Edmund, si servì del tè e chiese al ragazzo di raccontargli quello che sapeva sui due Conti irlandesi.
Edmund non sapeva indicare il motivo, ma era certo di potersi fidare del cardinale. Gli spiegò le ipotesi a proposito di un fantomatico oggetto magico che rispuntava nelle varie epoche, un oggetto molto potente, forse in grado di donare l'immortalità. Gli narrò le tappe che McFarren aveva individuato e la simbologia della mela. Disse che le ultime tracce portavano in Irlanda, forse proprio nelle mani dei Conti O'Donnell e O'Neill, che erano fuggiti verso Roma in seguito a degli intrighi di corte tra le fila della nobiltà.
Il cardinale era restato in silenzio per tutto il racconto, senza mai distogliere lo sguardo serio e concentrato da Edmund. Al termine, pose la sua tazza di tè ormai vuota sul vassoio e guardò il ragazzo intensamente negli occhi. «Ho bisogno di parlarti da solo, Edmund.»
Calò il gelo nella stanza. Laughlin si mosse di poco sulla sedia, allungando la mano verso la tasca dove teneva la bacchetta. Mairead lasciò sguardi ansiosi prima al cardinale e poi a Edmund. Il ragazzo, invece, annuì e si alzò dalla poltroncina. «Va bene» disse semplicemente.
Nessuno lo fermò mentre il cardinal Ravase lo conduceva verso una porta che si trovava sul lato opposto rispetto a dove erano entrati. Ma prima che questa si fosse chiusa alle loro spalle, Laughlin esclamò: «Se hai bisogno di qualsiasi cosa, grida. Saremo lì in un baleno.»
Edmund e Ravase attraversarono un altro salottino, più piccolo, su cui si affacciavano tre porte; il cardinale imboccò l'ultima e si ritrovarono in una libreria adibita a studio personale, ricca di numerosissimi volumi adagiati su scaffali scuri dall'aria antica. Edmund si sentì immediatamente a casa.
«Prego, accomodati» lo invitò Ravase, indicandogli una sedia di fronte alla scrivania. «Grazie di esserti fidato» aggiunse con un sorriso, prendendo posto a sua volta. «Lo so che può sembrare sospetto, ma volevo solo parlarti a quattrocchi.»
Dal salottino proveniva la musica soffusa di un'arpa: Laughlin doveva essersi messo a suonare. Edmund accennò ad un sorriso.
«Perché sei sulle tracce di questo oggetto magico?» chiese senza mezzi termini il cardinale.
Edmund lo fissò per qualche secondo, cercando di cogliere nel suo volto qualche traccia di inganno o doppio fine. Non ne trovò; era solo serio e sinceramente interessato alla faccenda. O il cardinal Ravase era un gran bravo bugiardo, oppure era semplicemente onesto. Così Edmund decise di essere onesto a sua volta: «Mi è stata imposta una maledizione – confessò, – una maledizione molto potente. Speravo che questo oggetto potesse aiutarmi a spezzarla» si interruppe, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse così sciocco riporre le proprie speranze in quelle che non erano altre che mere ipotesi basate su leggende. Scosse la testa. «Forse è solo una follia.»
«Io non credo» concesse invece il cardinal Ravase, con un sorriso incoraggiante. «Le tue ipotesi mi sembrano molto valide; oltre ad essere un lavoro notevole per un ragazzo così giovane.»
Edmund era contento che il cardinale non lo prendesse per uno sciocco sognatore. «Non è tutta farina del mio sacco» confessò con più spirito, confortato dall'approvazione dell'interlocutore. «Ho usato le ricerche del professor Sigmund McFarren.»
«L'ultimo Gran Maestro degli Interventisti, vero?» domandò Ravase, ma con un tono che non sembrava necessitare di una conferma.
Edmund non si era aspettato che l'altro sapesse degli Interventisti e che addirittura fosse a conoscenza dell'identità del lor Gran Maestro. Ma, in fondo, era stato proprio padre Rafael il primo a parlargliene; improvvisamente capì il motivo per cui si era istintivamente fidato del cardinale: sembrava la versione più anziana (e in carne) del professor Majestis, colto, schietto, ma insieme gentile e premuroso. Sorrise. «Sì, lo conosceva?»
Ravase annuì. «Sospettavo di lui» ammise, incrociando le mani sulla scrivania. «Da tempo tenevo sott'occhio le sue ricerche, ma poi sparì nel nulla quasi venti anni fa. Immagino fosse invischiato in qualcosa di pericoloso.»
«Lo era, ma contro la sua volontà» confermò Edmund. «È morto l'anno scorso» aggiunse infine, con un sospiro.
«Peccato. Era una grande mente.» Il cardinale si perse ad osservare fuori dalla finestra alle spalle di Edmund, poi tornò a guardare il ragazzo con un sorriso incoraggiante. «Comunque sia, le tue – e le sue supposizioni – sono molto valide» gli confermò.
«Ma sono arrivato ad un punto morto» fu costretto ad ammettere Edmund. «Secondo il libro che mi ha prestato padre Rafael, uno dei due conti morì poco dopo essere giunto a Roma e dell'altro si sono perse le tracce. Se anche avevano con sé l'oggetto magico, in quattro secoli potrebbe essere finito ovunque.»
Il cardinal Ravase si alzò dalla scrivania e prese a passeggiare per il studio. «Rory O'Donnell non morì nell'aprile del 1608, ucciso da una maledizione di Lord Arthur Chichester» rivelò infine.
Edmund scosse la testa, incredulo. «Ma nel libro...» provò a dire.
Ravase alzò una mano e lo interruppe. «Così voleva far credere, ma era una morte apparente» spiegò, prendendo a gesticolare con una grazia che solo un Italiano poteva avere. «Infatti, aveva ingerito una capsula contenente un preziosissimo liquido ambrato di origine siriana, chiamato ioqad. Gli era stato donato da un mercante arabo di nome Abdul-Qaadir Ebn Assad, incontrato durante il viaggio verso Roma. Lo ioqad dona una morte apparente per quasi due giorni. Il tuo cuore si ferma, i tuoi organi si ghiacciano e tu risulti in tutto e per tutto morto. Dopo circa quarantotto ore ti risvegli nello stesso stato del momento in cui ti sei addormentato, per così dire. Gli incantesimi subiti in quel lasso di tempo risultano nulli. Era una tecnica usata dalla Setta degli Assassini Nizariti, quando rischiavano di venir catturati.»
«In questo modo O'Donnell riuscì ad ingannare Chichester, vero?» intervenne Edmund, estasiato dalla scoperta. Era straordinario che il cardinale conoscesse tutti i retroscena di quella vicenda: aveva proprio avuto un colpo di fortuna, quella volta.
«Esattamente» confermò Ravase, sempre in piedi a passeggiare per la stanza. «Chichester tornò in patria convinto di aver sconfitto il suo eterno rivale. In realtà, grazie all'appoggio del Patrizio Ottaviano Crescenzi e dello stesso Patriarca Benedictus III, O'Donnell e O'Neill rimasero nascosti nel Gaianum fino alla loro morte, avvenuta in modo naturale. Essi infatti avevano bisogno di un posto sicuro dove restare, perché recavano con loro un grande segreto.»
Edmund soppesò le parole del cardinale per qualche momento. Infine si azzardò a chiedere: «Come sa tutte queste cose?»
Ravase smise di passeggiare e si fermò a guardarlo dritto negli occhi. «Mia madre si chiamava Brid O'Donnell» rivelò. «Io sono l'ultimo discendente del conte Rory O'Donnell.»










Ebbene, eccoci giunti a Roma! E nel Gaianum!
Spero che vi sia piaciuto il giretto panoramico. Giusto per dare un 'idea... QUI e anche QUI due immagini di come appare l'ingresso al Gaianum (è la cisterna sotterranea di Istambul). QUI, invece l'aspetto della cattedrale e del palazzo del Patriarca (chiesa di santa Maria sopra Minerva, Assisi); QUI, infine, il palazzo della curia (palazzo Martinengo Palatini, Brescia).
E visto che siamo sempre in vena di immagini, QUI il volto del cardinal Ravase e QUI il suo salottino stile irlandese... che è in stile irlandese perché è stato arredato al tempo di Rory O'Donnell! ;)

Ci vediamo al prossimo capitolo, finalmente con le rivelazioni misteriose! A giovedì 22 ottobre!
A presto,
Beatrix

   
 
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