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Autore: Adeia Di Elferas    03/10/2015    0 recensioni
Cesare arriva in Egitto per recuperare Pompeo, un tempo alleato ed amico, ora traditore in fuga. Quello che trova, una volta giunto alla corte di Tolomeo XIII, però, è tutto fuorché ciò che avrebbe voluto. L'ira ed il desiderio di vendetta lo fanno propendere per una risoluzione drastica della situazione. Tuttavia un incontro inaspettato con la sorellastra di Tolomeo porterà Cesare a cambiare i suoi piani in modo radicale, trascinandolo in scelte che spesso lo costringeranno a rimettere in dubbio alcune delle sue certezze. [Avvertenza: pur essendo basato su personaggi realmente esistiti e fatti storici accertati, il racconto è ovviamente stato romanzato, per rendere la lettura più gradevole e la vicenda più interessante]
Genere: Drammatico, Erotico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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~~ Dopo l'arrivo dei rinforzi, giunti a Pergamo, Cesare passò giorni interi preda della più irrefrenabile frenesia.
 Era il momento di forzare davvero l'assedio e distruggere ciò che restava dell'esercito dei fratelli di Cleopatra.
 Quando ricevette la notizia della fuga di quei due, non potè fare a meno di sentire quello strano formicolio che lo prendeva ogni volta che una vittoria era a portata di mano.
 Senza aspettare oltre, malgrado Cleopatra, proprio in quel momento, mostrasse qualche perplessità, Cesare si decise a sferrare l'attacco decisivo.
 “Mi raccomando, romano.” disse Cleopatra, mentre Cesare si preparava a salpare per forzare una volta per tutte il blocco navale messo in piedi da Arsinoe IV e Tolomeo XIII: “Cerca di non farti uccidere.”
 Cesare rise piano, come se trovasse incantevole il candore con cui la sua amante gli aveva parlato.
 Tanto bastò ad accendere l'animo di Cleopatra, che gli afferrò i polsi, distogliendo la sua attenzione dalla daga che si stava sistemando al fianco: “Non sto scherzando. Se tu muori, io sono finita. Mi sono compromessa troppo.”
 Cesare non rise più: “Bene, vedo che finalmente hai davvero paura.”
 Cleopatra gli lasciò andare i polsi. Che ne sapeva lui, della paura che lei aveva provato per tutto il tempo, fin da quando era nata?
 “Vedi, Cleopatra...” riprese Cesar, tornando a sistemarsi l'arma al fianco, leggermente pentito per la durezza con cui aveva parlato: “Questa è una guerra e se cè una cosa che ho capito, nei molti anni che ho passato in guerra, è che nessuno può non avere mai paura mentre è in guerra. Chi sostiene di non averne, o delira o mente. E a paura, assieme al dolore fisico, sono i tuoi migliori alleati, mentre sei sul campo, ricordatelo.”
 “Anche io ho fatto una guerra, se l'hai dimenticato.” disse Cleopatra, irritata dal tono paternalistico che Cesare aveva usato: “Anche se col mio fratellastro non volevo arrivare a tanto, prima che tu arrivassi, avevo mosso un esercito contro di lui.”
 “E avevi avuto paura?” chiese Cesare, ormai pronto per partire.
 “Sì. E non immagini quanta.” rispose Cleopatra: “E sono sopravvissuta, quindi sappi che non è per me che provo paura. Se è questo che pensi, devo essermi espressa male, prima.”
 Cesare chiuse il morso e la fissò a lungo.
 “Adesso devi andare.” disse l'egiziana: “I tuoi uomini ti aspettano.”
 Cesare la strinse a sé, senza trovare resistenza, ma nemmeno entusiasmo.
 “Qualcosa non va?” domandò, gli occhi a pochi centimetri da quelli della donna che l'aveva convinto a salvare l'Egitto per salvarle la vita.
 Cleopatra scosse appena il capo e gli diede un veloce bacio sulle labbra, per poi allontanarsi da lui con un semplice: “Non farti uccidere.”
 
 Il Nilo si tinse di rosso e l'acqua salmastra del mare si mescolò al sangue di vincitori e vinti, formando un'onda impetuosa che inghiottì per sempre Tolomeo XIII e i suoi sogni di gloria.
 Le navi romane avevano distrutto la flotta del sedicente faraone e veleggiavano verso Roma, gonfie le vele di patria e libertà.
 Ora l'azzurro del mare sembrava una tavola tranquilla e accogliente e il sale che si alzava col vento si posava sulle labbra di Cesare come l'ultimo bacio che aveva ricevuto da Cleopatra.
 L'uomo non vedeva l'ora di toccare terra e mandare dei messaggi alla sua donna, e dirle di correre subito a Roma, di raggiungerlo e si prepararsi a essere accolta come una vera regina.
 Però sapeva che la cautela era tutto, quindi prima si sarebbe sincerato sulla situazione della repubblica e solo dopo le avrebbe scritto di partire.
 Era stato via troppo tempo, per i suoi gusti, e non poteva essere certo di trovare la stessa Roma che aveva lasciato. Senza contare che a casa lo attendeva una moglie. Moglie che forse lo detestava già, ma che comunque l'avrebbe di cert disprezzato, dopo aver saputo la verità sulla sua campagna egiziana.
 Prima di partire, Cesare aveva fatto in modo che Cleopatra sposasse il suo fratellastro minore, inoffensivo e malleabile, in modo tale da essere completamente legittimata agli occhi del suo popolo.
 Avendo annientato l'esercito di Tolomeo XIII, non gli restva che assicurarsi della propria posizione a Roma e poi era fatta. Era riuscito laddove molti prima di lui avevano fallito: aveva creato un impero sconfinato, che prendeva il legno dalle foreste del nord e il grano dalle pianure al di là del mare.
 Cesare si passò la lingua sulle labbra, assaporando la salsedine con lentezza, perdendosi nei ricordi dei giorni passati pigramente tra le mura del palazzo di Cleopatra.
 “Cesare – lo chiamò uno dei soldati – stiamo aspettando ordini!”
 Cesare annuì, passandosi il dorso della mano sulle labbra e ritornando a concentrarsi sui problemi immediati.

 “Ne siete certi?” chiese Cleopatra, immobile, guardando i due soldati che le stavano davanti in un modo che avrebbe fatto cedere anche il più abile dei bugiardi.
 Uno dei due uomini accennò un sorriso: “Ne siamo più che certi. Ora Cesare è in mare, alla volta di Roma.”
 “E di mio fratello cosa mi dite? Davvero è rimasto ucciso?” domandò la donna, accigliandosi appena.
 “Così sembra, mia signora.” fece il secondo soldato: “Dicono che si sia inabissato e che non sia più tornato a galla.”
 Quella sì che era una fine adatta al suo fratellastro. Con il suo corpo, quell'acqua avrebbe cancellato anche il suo nome, per sempre. Cleopatra voleva fare in modo che il mondo intero non sapesse mai che una volta un certo Tolomeo XIII aveva camminato sulla Terra.
 “Quando avrete altre notizie, tornate da me.” ordinò Cleopatra, congedando con un gesto rapido della mano i due soldati.
 Si mise seduta su uno sgabello da campo, lasciato lì da Cesare e cominciò a pensare a cosa sarebbe accaduto nei mesi a venire.
 Lei era la Regina d'Egitto, sposata ufficialmente al suo fratellastro minore, ma tutti sapevano che si trattava solo e unicamente di una copertura.
 Voleva andare da Cesare il prima possibile, anche se lui a Roma aveva moglie e impegni, anche se i romani non l'avessero subito accettata. Sarebbe stata capace di farsi amare, come sempre. E se non ce l'avesse fatta, allora avrebbero conosciuto una faccia ben diversa, che mostrava a pochi. Avrebbero conosciuto tutti la Cleopatra capace di testare i veleni sui condannati a morte, quella che li ascoltava lamentarsi per il dolore, cercando di capire quale veleno fosse più rapido, quale causasse più tormenti, quale...
 “Chi è?” chiese Cleopatra, scattando in piedi, quando sentì dei passi alle sue spalle.
 Apollodoro era entrato senza annunciarsi e ora se ne stava a un paio di metri da lei in silenzio. La guardava di sottecchi, il volto scuro e le mani strette l'una nell'altra.
 “Sei tu...” soffiò Cleopatra, tornando a rilassarsi. Da quando Cesare era partito, ogni rumore la faceva sobbalzare. In fondo, finché il romano era stato con lei, aveva potuto contare di una protezione in più che ora le mancava.
 Apollodoro ancora non diceva nulla, mentre nei suoi occhi si affacciavano nuvole ch Cleopatra non vedeva da tempo.
 “Come mai sei qui?” chiese allora la giovane, facendogli segno di accomodarsi accanto a lei sul tappeto steso accanto al tavolo basso: “Ci facciamo portare qualcosa da bere?”
 “Partirai anche tu per Roma, vero?” chiese Apollodoro, senza muoversi di un millimetro.
 Cleopatra alzò lo sguardo verso di lui e aggrottò la fronte: “Lo dici come se non l'avessi saputo fin dall'inizio. Vuoi che ti ricordi chi ha avuto l'idea vincente che mi ha fatto entrare nelle grazie di Cesare nel giro di una notte?”
 “Entrare nelle grazie...” ripeté Apollodoro, con una specie di ghigno che si faceva largo sul suo volto.
 Cleopatra si rimise in piedi e cercò di raddrizzare il più possibile la schiena, mentre si poneva proprio di fronte a quello che era sempre stato il suo più fidato consigliere e amico.
 Quella sera la Regina dei Re indossava una tunica di lino bianca, semplice, fermata in vita da una sottilissima cintura di cuoio. Apollodoro cercava di non guardare le sue forme, più che intuibili sotto la stoffa leggera, tentava con tutto se stesso di non lasciarsi distrarre dal profumo speziato e dolce che la circondava e si sforzava di non lasciarsi sciogliere dalla voce un po' roca che le usciva dalle labbra.
 “Tu lo sapevi dall'inizio come sarebbe andata a finire.” gli disse Cleopatra, tanto vicina che quasi lo sfiorava: “Lo sapevi forse più di me.”
 Detto ciò, Cleopatra si sentì sopraffare da tutto quello che era successo negli ultimi tempo e le braccia lunghe e sicure di Apollodoro le parvero l'unico rifugio possibile. L'abbraccio, sperando di trovare conforto, invece sentì solo freddezza e distacco. Così, con la morte nel cuore, si staccò e si allontanò appena.
 Apollodoro strinse il morso e si specchiò nei suoi occhi scuri e infiammati: “Hai ragione, sapevo quello che avreste fatto, però... Credevo che però non te ne saresti innamorata.”
 Cleopatra abbassò lo sguardo: “Non sono discorsi che un servo deve fare davanti alla sua padrona.”
 Apollodoro, allora, si irrigidì e disse, veloce e velenoso: “Hai ragione. Un servo non deve provare sentimenti, né dare consigli. Altrimenti ti direi che è tutto un gigantesco errore e che non devi andare a Roma, se non vuoi finire in una trappola che ti porterà alla rovina.”
 Cleopatra alzò una mano, ma non lo colpì. Si fermò perchè la rabbia che provava era tale che non si sarebbe placata con un semplice schiaffo.
 “Sei stato un ottimo servo, Apollodoro.” sussurrò Cleopatra, facendo con enfasi un passo indietro: “Ma a Roma non mi sevrirai.”
 “Parli per rabbia – la contraddisse l'uomo – aspetta a prendere certe decisioni.”
 “Tu mi hai fatta arrabbiare e non credo che in futuro eviterai di farlo di nuovo. Non mi serve uno come te.” scosse il capo Cleopatra.
 Apollodoro chinò il capo e sospirò in modo lento e carico di risentimento.
 “Ti ringrazio per gli anni che hai trascorso al mio fianco, sei stato un vero amico.” concluse Cleopatra, a mo' di congedo.
 “Dicono che il mare e il Nilo si siano tinti di rosso, oggi.” fece Apollodoro, con un tono molto strano: “Attenta a giocare coi romani, o la prossima volta potrebbe essere il tuo sangue a tingere di rosso le nostre acque.”
 “Meglio che tu non dica più niente, per stasera.” disse Cleopatra, irritata, indicandogli la porta col braccio e accompagnandolo all'uscita.
 Apollodoro le afferrò il braccio che teneva teso e la guardò a lungo negli occhi. Cleopatra non si era mai resa conto appieno della forza di quell'uomo. Improvvisamente, ne aveva paura.
 “Hai ragione, mia regina.” fece Apollodoro, quasi ringhiando: “E complimenti per i tuoi successi.”
 Le lasciò il braccio di colpo e uscì di corsa dalla stanza, lasciando Cleopatra sola a chiedersi cosa mai fosse successo quella sera tra loro due.

   
 
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