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Autore: X_debs    04/10/2015    6 recensioni
Non appena riuscii a liberarmi dall'airbag, spalancai la portiera in preda alla furia.
- Ma che diavolo fai?- gridai - C'ero lo stop! Per caso sei stupido o hai semplicemente seri problemi mentali?!-
Mi sorrise come se stesse osservando una bambina scema fare i capricci, cosa che mi fece venire una dannata voglia di tirargli un pugno. - Non sei tanto gentile-.
- Tanto gentile?! Mi sei appena venuto addosso razza di idiota! -
- Spiegami una cosa principessa: ti pagano per sparare insulti o lo fai gratuitamente per hobby?- appoggiò il fianco contro la sua auto a braccia conserte aspettando la risposta.
Sgranai gli occhi: regalare insulti?! Principessa?!
- Va' a farti fottere- sbottai.
Rise -Questo si che mi fa male. Mi hai ferito principessa, davvero-
- Sai ne ho conosciuti di coglioni, davvero, la mia scuola ne è piena. Ma tu li batti tutti!-
- Interessante- parve pensarci per un secondo poi mi scrutò - Sai che ci sono dei centri per il controllo della rabbia? Potrebbero aiutarti-
Strinsi i pugni - Ti è mai arrivato un pugno in faccia? Scommetto di si-
- Si lo so che vuoi toccarmi...- il tono con cui parlò mi diede i brividi.
Gli indicai il medio: non meritava che perdessi davvero la calma.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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"Reagisci e fai vedere chi sei. La vita non è facile. Mai. E prima lo capirai prima vivrai davvero". 
Questa è la prima cosa che mi ha insegnato mia madre.
Avevo sette anni ed ero appena tornata da scuola, in lacrime. 
Arianna Varriale mi aveva dato del mostro per i miei occhi viola, fatto stranisimo dato che nessuno in famiglia aveva gli occhi di questo colore, e tutta la classe aveva iniziato a ridere e ad osservarmi come se fossi chissà quale fenomeno da baraccone.
Io ero scappata in bagno a piangere e poi ero corsa dritta a casa.
Non avevo detto una parola. Niente. Solo silenzio.
Non sono mai stata una bambina molto tranquilla, tutt'altro. Ho sempre fatto cose spericolate e non ho mai chiuso la bocca quando la pensavo diversamente o quando dovevo rispondere. I miei la trovavano una cosa divertente. Mi chiamavano la "piccola rivoluzionaria".
Molte volte mi sono chiesta il perchè quella volta non avessi reagito, il perchè non avessi risposto. Forse semplicemente perchè ero una bambina e non volevo ferire nessuno.. Forse perchè non me lo aspettavo.
Non mi saprò mai rispondere.
Avevo raccontato tutto ai miei fratelli e loro erano pronti a fargliela pagare e difendermi. Poi ero andata da mia madre per cercare conforto.
Erano questi i pensieri che mi annebbiavano la mente mentre camminavo in una piccola radura intricata e le foglie pungenti e i massi sparpagliati qui e lì mi graffiavano i piedi nudi.
L'aria era secca, senza un filo di vento, e il vestito color latte mi si attaccava al corpo, come un secondo strato di pelle, e l'unico suono che avvertivo era il bubulare di un gufo in lontananza.
Non che questo mi rincuorasse, anzi. Era molto inquietante.
Mia madre stava impastando la pasta frolla per preparare qualcosa di speciale per il suo anniversario con papà. Era il loro quindicesimo anno di matrimonio e sembravano ancora due ragazzini innamorati.
Mi sedetti su uno sgabello intorno l'isola dove si stava dando da fare e sospirai.
-Qualcosa non va amore?- mi sorrise e il suo tono dolce e pacato mi rasserenò almeno in parte.
Era una sua caratteristica, il rendere tutto più sereno e il farti sentire il cuore leggero.
-Oggi una mia compagna di classe mi ha preso in giro- sputai tutto d'un fiato, come quando ti strappi di colpo un cerotto per non prolungare il dolore. Un colpo netto.
Si grattò via della farina dalla guancia col dorso della mano, ma non mi guardò 
-Chi?-
-Non la conosci-
- Mh- parve pensarci -E tu cosa hai fatto?-
Mi strinsi nelle spalle, in imbarazzo -Niente- mormorai.
E questa era la cosa che più faceva male. Il fatto che io non avessi reagito.
Restò in silenzio per qualche secondo, continuando a impastare con energia.
Svoltai a destra, imboccando un piccolo sentiero e l'aria parve diventare ancora più secca se possibile.
Sapevo che stava per succedere qualcosa, come ogni volta ormai. Come ogni notte.
Era una cosa a cui fai l'abitudine dopo tanti anni.
Mi accorsi solo dopo un po' che anche il gufo taceva e iniziai a tremare.
La paura si insinuò nelle mie vene, nel mio sangue, nelle mie cellule e io chiusi gli occhi, concentrandomi solo su quel momento.
- E perchè?- chiese in fine mia madre fingendo un tono indifferente, ma sapevo che quel suo perchè volesse intendere molto più di quello che lasciasse trapelare.
Giocherellai con dei granelli di farina che le erano scappati pensando a cosa dire 
-Non lo so, non ci sono riuscita e basta. Ridevano tutti-
-Sei scappata e basta?-
Annuii desiderando solo sprofondare sotto terra. Dovevo sapere che da lei non avrei trovato molto conforto. Lei sprona le persone, le incoraggia, ma non le conforta. Per lei il conforto è roba da deboli.
- Non merita neanche il tuo dispiacere lo sai vero?-
- Si, lo so. Però vorrei sapere cosa fare adesso-
Per la prima volta alzò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono i miei, pieni di un amore che solo una madre può provare -Reagisci e fai vedere chi sei. La vita non è facile. Mai. E prima lo capirai prima vivrai davvero-
Pensai a lungo a quello che mi aveva detto, e non colsi subito il senso. Avevo solo sette anni dopotutto, non riuscivo ancora a capire cosa fosse il mondo.
A volte vorrei ritornare a quel tempo, a quel mio essere genuina e a non avere troppi pensieri. A volte vorrei solo tornare quella bambina col broncio che cercava di capire che fare. Che cercava di capire chi essere. Forse perchè sto ancora cercando di capirlo.
Sentivo i piedi sanguinare e il respiro corto, mentre un gelo innaturale mi circondò i muscoli.
Aprii gli occhi di scatto e davanti a me apparve una bambina, tutta occhi e guanciotte.
Era magrolina e riccioli color castagna le incorniciavano il viso.
Ma io guardavo i suoi occhi: erano neri come due buchi neri, come se potessero assorbire tutta la materia, e vuoti, come se cercassero di cogliere qualcosa alle mie spalle.
- Ciao Paige- il suo tono gelido mi provocò una fitta allo stomaco e un freddo innaturale piombò intorno a noi rendendo tutto ovattato.
- Cosa vuoi?-mormorai incapace di parlare per il freddo.
Mi sorrise mostrandomi una serie di dentini perfettamente allineati che rese ancora più inquietante quella scena -Te- gracchiò -Solo tu puoi aiutarmi-.
Il suo viso iniziò a mutare e ad essere solcato da vene pronte a scoppiare e la sua risata si riversò nell'aria, talmente acuta che sembrò potesse penetrarmi. 
Le braccia e le gambe si contorsero, come se stessero mutando e i capelli iniziarono a caderle, poi si librò in volo con un sorriso satanico sulle labbra e si precipitò su di me.
Nascosi il volto tra le mani e mi lasciai cadere al suolo pronta ad essere inghiottita.
Il giorno dopo la chiacchierata con mia madre andai a scuola e Arianna Varriale continuava a ridere indicandomi. Presi un profondo respiro e andai verso di lei mentre parlava con le sue amiche, fermandomi a pochi centimetri dal suo viso, poi prima che dicesse una parola, chiusi la mano a pugno e la colpii in pieno viso facendola cadere a terra. 
Il naso le sanguinava copiosamente imbrattando tutto il pavimento e la parete che aveva colpito.
Subito dopo corsi in bagno e scoppiai in lacrime.
Nessuno osò più dire nulla sui miei occhi e io iniziai a capire cosa volesse dire vivere.





Aprii gli occhi sobbalzando e scacciai le lenzuola con un calcio in modo nervoso.
Stupidi sogni e stupidi ricordi.
Sospirai passandomi una mano tra i capelli: facevo sogni di questo genere da quando ero bambina, sogni incomprensibili e spesso terrificantemente reali. Troppo reali.
A volte realizzavo che fossero sogni solo dopo una doccia gelata e una tazza di caffè bollente.
Da piccola, dopo sogni di questo genere, correvo nel lettone di mamma e papà per cercare rifugio e loro mi lasciavano dormire con loro raccontandomi che non erano altro che sogni dovuti alla mia immaginazione e che avrei dovuto chiudere gli occhi e pensare a quanto fossi forte per scacciarli via. E a volte funzionava.
Mia madre a volte in queste occasioni mi raccontava storie su come una sola donna avesse battuto un esercito intero e ne fosse uscita vincitrice. Riuscivo persino ad immedesimarmi.
Poi un anno e mezzo fa, in seguito all'incidente, avevo scoperto la verità e tutto era cambiato: la mia vita, la mia visione del mondo, i miei genitori... Io ero cambiata.
Mi tirai su, ignorando l'emicrania che esplodeva lentamente nella mia testa come una bomba, e aprii le tende sentendo l'aria fresca del mattino pizzicarmi sulle gambe nude.
Siamo a Baiano, un piccolo paesino montano in provincia di Avellino, con una popolazione di circa 4 754 abitanti e un'estensione di 12,25 km2, in cui tutte le persone si conoscono tra loro da quando erano praticamente in fasce.
I miei avevano deciso di trasferirsi in questo posto sperduto nel mondo a causa di mia madre e delle sue responsabilità e dei suoi sensi di colpa nei confronti dei suoi figli per i suoi continui viaggi. Ma certo! Sradichiamo pure un'intera famiglia per portarla in un posto che io reputo sicuro per i miei figli e non sentirmi più costantemente in colpa! L'ho sempre detto che non ha mai avuto idee geniali
Così adesso eccoci qui, imprigionati in questo buco che molti chiamano cittadina. Io lo chiamavo il "buco nero del mondo", perchè assorbe la vita dalle persone proprio come i buchi neri assorbono materia, e temevo che prima o poi avrebbe assorbito anche me.
Certo, alcune volte non era male: qui in inverno tutti accendono i camini, l'aria è inondata da un odore di castagne e carne arrostita e la città si riempe di luci e bancarelle che vendono di tutto.
Ma ormai non ci facevo più nemmeno caso.
Mi infilai una vestaglia da notte color latte e scesi di sotto a cercare del caffè da ingurgitare.
- Buongiorno- non appena entrai in cucina, mio fratello maggiore mi accolse con un caloroso sorriso. Aveva i capelli castano chiaro, del colore delle noci, che gli ricadevano sulla fronte e risplendevano continuamente, gli occhi profondi color grano con un taglio vagamente a mandorla. Era snello, ma sotto i suoi abiti si intravedevano i suoi muscoli, aveva lineamenti regolari e una pelle liscia e la bocca sempre incurvata in un sorriso radioso.
Indossava dei jeans scoloriti e una camicia bianca, che gli conferivano anche un fascino sbarazzino.
Ricambiai il sorriso, sollevata, come riusciva a farmi sentire solo lui.
- Buongiorno- mi avvicinai, dandogli un leggero bacio sulla guancia, e mi versai una tazza di caffè - Che fai già sveglio?-
- Io e i ragazzi abbiamo una partita prima dell'inizio della scuola- era entusiasta come un bambino il giorno di Natale - Una vecchia tradizione-.
Feci schioccare la lingua contro il palato provando a nascondere un'espressione di disgusto: preferivo non pensare al fatto che domani sarei dovuta ritornare a quell'Inferno che era la mia scuola.
- Tu invece perchè sei già sveglia l'ultimo giorno di pace?-
Mi strinsi nelle spalle sorseggiando la bevanda calda - Devo comprare dei libri, giù in centro-
Mi guardò con aria protettiva - Vuoi che ti accompagni?-
Scossi la testa, sorridendo - No, tu va' a battere chiunque tu debba battere-
Non insistette, anche se non sembrava per niente tranquillo. - Ti va se domani pomeriggio andiamo al lago insieme?- mi chiese. 
Alzai gli occhi al cielo. Adoravo mio fratello, ma quando voleva andare al lago o era per parlarmi o per farmi socializzare.
- E’ per trascorrere un po’ di tempo con me o perché vuoi farmi conoscere un altro gruppo dei tuoi amici?-
- La prima, tranquilla-
Lo guardai sospettosa e lui mi sorrise - Te lo prometto-.
Sospirai - Allora ci sto!-.
- Grazie-
- Ti metterai a fare il sentimentale?- gli sorrisi, sarcastica
- Ma certo che no! Pensavo di doverti dire ti voglio bene, ma eviterò-
Risi - Allora io eviterò di dire che te ne voglio tanto anch’io-.
Mi cinse le spalle con il braccio e mi baciò i capelli.
Credo che Josh sia sempre stato la mia ancora di salvezza, l'unica persona che riuscisse a capirmi sul serio.
Mi salutò dopo pochi minuti, uscendo allegro come suo solito e io mi diressi al piano di sopra per farmi una doccia.
Andai in bagno, una stanza abbastanza grande e luminosa, che aveva una sfumatura sul rosa, aprii il getto dell’acqua, mi spogliai e entrai nella cabina.
Il contatto dell'acqua fresca sulla pelle mi diede i brividi, ma poi riuscii ad ottenere l’effetto rilassante e mi insaponai col bagnoschiuma alla fragola e mi risciacquai. 
Non appena uscii mi avvolsi nell'accapatoio color malva e mi osservai allo specchio: due occhi viola come l'ametista liquida, con piccoli screzi color oceano, ricambiavano lo sguardo, incornociati da lunghe ciglia; avevo il viso incorniciato da una cascata di capelli ricci e rossi, ma non quel rosso carota né quel rosso fragola, piuttosto quel rosso rame, il colore del fuoco, che scendevano dolcemente sulle spalle in morbidi boccoli fino a metà schiena, sempre troppo ribelli da gestire. Avevo le labbra piene e rosse, quasi sempre imbronciate e lineamenti delicati.
Distolsi lo sguardo in fretta e indossai un jeans a sigaretta e una cannottiera color malva, ma prima che potessi mettermi le scarpe qualcuno bussò alla porta.
Ma chi diavolo era a quest'ora?
Bussarono di nuovo, e ancora e ancora.
Mi alzai di controvoglia sbuffando e corsi ad aprire prima che Josh si svegliasse.
Aprii prima che riuscissero a bussare di nuovo scoccando un'occhiataccia torva.
Un uomo sulla quarantina mi sorrise viscido sull'uscio della porta asciugndosi il sudore dalla testa calva con un fazzolettino.
- Si?- ringhiai quasi.
- Buongiorno signorina, mi scuso per l'insistenza- aveva una voce nasale, un po' ridicola al dire il vero.
Annuii continuando a guardarlo male: per poco non ci distruggevi il campanello a furia di premerlo brutto idiota.
- E' sua la macchina parcheggiata di fronte la villa qui a fianco?- sembrava imbarazzato.
- Si perchè?- mi poggiai allo stipite della porta a braccia conserte.
- E' proprietà privata signorina, dovrebbe spostarla o rischia la multa o che un carroattrezzi venga a prendersela-
Certo un carroattrezzi a Baiano! Ma se persino la polizia se ne stava seduta al tavolino dell'unico bar della piazza a mangiare cornetti e bere cappuccini tutto il giorno tenendo l'auto in doppia fila e se passava qualche ladro (anche se dubito esistesse qui qualcuno tanto attivo da rapinare qualcun altro) lo avrebbero salutato facendo cin cin con le tazze del caffé! 
- Quella villa è disabitata da anni ormai, non infrango nessuna legge o proprietà-
- Non più- mi sorrise come se fosse una bella notizia, ma ci rinunciò quando si accorse della mia espressione infastidita
- E da quando?-
- Da stamattina, sono della ditta dei trasporti e dobbiamo traspostare le scatole all'interno e la macchina non ci permette di parcheggiare il camion- era entusiasta. In effetti nessuno si trasferiva da questa parti, infatti tutti quelli delle ditte di trasporti (di solito muscolosi e in forma) qui erano grassi e sudaticci, quindi finalmente avevano qualcosa da fare.
Mentre io ero solo irritata di avere un altro vicino che avrebbe rotto le palle, e sarei anche dovuta stare attenta durante le mie escursioni notturne.
Davvero fantastico.
Sbuffai - Arrivo subito a spostarla-
- Grazie mille- chiusi la porta prima che aggiungesse altro poggiando la testa contro la porta fredda.
Dovevo uscire da questa casa prima che spaccassi qualcosa in testa al ciccione pelato.
Il nostro era un viale isolato che costeggiava i campi incolti formato da tre villette a schiera a due piani, ognuna con un proprio cortile, con l'esterno bianco e il tetto color noce.
La villa sulla destra era casa mia, o meglio, il posto in cui vivevo, dataci in eredità da mia nonna deceduta anni fa; mentre quella al centro, che affiancava la mia, era stata disabitata da più di anno, da quando la proprietaria era rimasta incinta di non so chi, dato che non era sposata nè aveva un compagno fisso, e aveva deciso di trasferirsi. Ma a quanto pare le cose sarebbero cambiate.
Entrai nell'abitacolo, accesi il motore e partì immediatamente November Rain dei Guns N'Roses. Accesi l'aria calda e feci retromarcia, mentre l'uomo mi sorrideva dal camion facendomi ciao con la mano.
Gliela avrei volentieri mozzata quella mano.
Avevo sedici anni, quindi sapevo che usare la macchina qui in Italia era assolutamente vietato, qui la polizia era troppo pigra per alzarsi dal loro tavolino al bar, in un paesino talmente tranquillo che l'aggiustare una giostrina alla villa comunale è considerato un evento eclatante. 
E poi ero sicura che mio padre sarebbe inervenuto se fosse successo qualcosa, quindi decisi di osare almeno per oggi.
Dopotutto quante possibilità c'erano che mi avessero beccata proprio oggi? Poche, ecco quante.
Era una Freemont grigia che ci alternavamo io e mio fratello, mentre lui aspettava
una Honda Cr-V per il suo diciannovesimo compleanno, 
Le strade di Baiano erano tutte strette e piene di curve fino all'autostrada e venivano costeggiate da alberi e siepi e sparsi qui e lì qualche piccolo negozio.
Imboccai l'autostrada cantando a squarciagola "Shook me all night long", forse superando leggermente il limite di velocità, ma la canzone mi aveva presa un po' troppo.
Rallentai quando arrivai nelle strade più affollate, ma per evitare poliziotti e carabinieri, decisi di imboccare dei sentieri alternativi, guidando più lentamente e guardandomi attentamente intorno.
Mi fermai allo stop di un incrocio deserto e sospirai poggiando la testa sul volante: ero stanca di questa vita, di questa routine, di questo peso costante spalle che ogni giorno mi ricordavo chi fossi.
Forse un giorno ce l'avrei davvero fatta ad andarmene e lasciare tutto.
Ero ancora immersa nei miei pensieri quando udii uno stridio di freni alle miei spalle.
Avvenne tutto in un attimo, non ebbi il tempo di rendermene conto.
Un urto violento mi fece urlare di sorpresa mentre l'auto balzava in avanti 
Senza pensarci spinsi a fondo il pedale del freno e immediatamente l'airbag si gonfiò come una medusa colpendomi in pieno viso: la ruvidezza della stoffa mi graffiò le guance e la fronte, e il colpo mi fece andare a sbattere la testa contro il poggiatesta. 
Mi mancò il fiato e ogni muscolo del mio corpo era contratto mentre il rumore di metallo che strideva mi perforava i timpani.
Tentavo disperatamente di liberarmi da quel cuscino che sembrava di pietra anche se lentamente si stava afflosciando muovendomi a tentoni per cercare la maniglia della portiera.
Non appena la trovai la spalancai in preda alla furia.
- Ma che diavolo fai?- gridai - C'era lo stop! Per caso sei stupido o hai semplicemente seri problemi mentali?!-
Fu allora che guardai per la prima volta il ragazzo che avevo di fronte. 
Era così ben proporzionato da sembrare una scultura classica: ogni suo muscolo pareva scolpito nel marmo. 
Era alto e snello, aveva spalle larghe e a giudicare dalla t-shirt che indossava anche degli addominali pazzeschi. Notai che i suoi muscoli erano tesi, aveva le labbra carnose color ciliegia, zigomi affilati e luminosi capelli neri come la pece. 
Indossava gli occhiali da sole che mi impedivano di guardarlo degli occhi, ma notavo gli zigomi alti e pronunciati.
Indossava una giacca di pelle nera con una t-shirt nera e Levi's neri.
Mi sorrise come se stesse osservando una bambina scema fare i capricci, cosa che mi fece venire una dannata voglia di tirargli un pugno su quel bel faccino.
- Non sei tanto gentile- aveva una voce profonda e ferma, quelle voci che ti incantano anche senza sapere a chi appartengano.
- Tanto gentile?! Mi sei appena venuto addosso razza di idiota! -
- Spiegami una cosa principessa: ti pagano per sparare insulti o lo fai gratuitamente per hobby?- appoggiò il fianco contro la sua auto a braccia conserte aspettando la risposta. 
Sgranai gli occhi: regalare insulti?! Principessa?!
- Va' a farti fottere- sbottai.
Scoppiò a ridere e non potei fare a meno di notare le fossette sulle guance:   
-Questo si che mi fa male. Mi hai ferito principessa, davvero-
Controllai i danni della mia auto: era messa piuttosto male.
Mi passai una mano tra i capelli: e ora che diavolo dicevo a Josh?!
Ero anche minorenne! Non potevo chiamare il carrattrezzi!
- Sai ne ho conosciuti di coglioni, davvero, la mia scuola ne è piena. Ma tu li batti tutti!- 
Inclinò la testa senza smettere di guardarmi, gesto che aveva un che di seducente, anche se probabilmente non era intenzionale, e mi sorrise in modo sghembo e malizioso. Un sorriso che prometteva guai.
- Interessante- parve pensarci per un secondo poi mi scrutò - Sai che ci sono dei centri per il controllo della rabbia? Potrebbero aiutarti-
Strinsi i pugni - Ti è mai arrivato un pugno in faccia? Scommetto di si-
- Si lo so che vuoi toccarmi...- il tono con cui parlò mi diede i brividi. 
Gli indicai il dito medio e scossi la testa decidendo di lasciar perdere: non meritava che perdessi davvero la calma. 
Mi voltai verso la macchina cercando di capire cosa fare.
I danni mi sarebbero venuti una fortuna, una fortuna che non avevo.
Gli puntai contro il dito accusatore.
- Tu mi hai distrutto la macchina, adesso risolvi il problema-
Alzò un sopracciglio -Bel caratterino. Mi piace-
Sapevo che mi stava guardando in modo malizioso anche se non potevo guardarlo.
- La cosa non è reciproca- mi strinsi nelle spalle non staccando gli occhi da lui.
Si avvicinò lentamente continuando a guardarmi e lasciando solo qualche centimetro di distanza tra noi - E sei anche dannatamente dolce- sussurrò e il suo alito mi sfiorò la pelle.
Deglutii a fatica.
- Va' all'inferno-
Scoppiò a ridere.
- Possiamo anche andarci insieme-
Sorrisi.
- Ti piacerebbe-.
- In effetti...- fece scivolare languidamente lo sguardo lungo il mio corpo.
- Davvero divertente- sibilai
- No, però sei arrossita-
Impassibile,almeno in apparenza, poggiai la mano sul cofano dell'auto per indicarla.
- La mia auto. Risolvi.il.problema.adesso- scandì ogni parola lentamente, quasi come per ficcargliela a forza in quella sua testa di cazzo.
- Sei sexy quando ti imponi, lo sai?-
Alzai gli occhi al cielo: - Dovevo proprio scontrarmi con una testa di cazzo?-
- Non ci vuole molto per metterti in imbarazzo vero?- era divertito.
Lo sarebbe stato anche senza testa? Io direi proprio di no.
- Pensi di imbarazzarmi o impressionarmi?-
- Non ho nemmeno iniziato a provarci- la sua affermazione aveva un che di minaccioso e qualcosa scattò dentro di me. Come un avvertimento.
- Per quanto vorrei restare qui a parlare con te per molto tempo ho di meglio da fare- gli sorrisi con aria sarcastica mettendo quanta più distanza possibile tra me e lui.
- Se vuoi posso darti un passaggio principessa-
- Preferirei farmela a piedi scalza fino all'altra parte del mondo- 
Rovesciò la testa all'indietro e rise sommessamente - Ti conosco da soli cinque minuti e hai già spezzato il mio povero cuore- 
Lo ignorai afferrando il cellulare e provando a chiamare Josh per supplicarlo di venirmi a prendere.
Nessun servizio di rete. Fantastico, oggi era proprio la mia giornata.
Se non ci fosse stato questo tipo probabilmente avrei urlato e avrei dato di matto, ma dovevo restare calma
- Cos'è? Non c'è rete?- le sue labbra erano piegate in un ghigno pigro.
- Ti dispiacerebbe chiudere il becco? Anzi perchè non te ne vai?-
- Perchè sei adorabile quando ti arrabbi-
Presi lo zaino e le chiavi dalla mia auto e gli feci un cenno col capo - Direi che è stato un piacere, ma non lo è stato-
- Non arriverai mai a casa-
Sorrisi - Non penso ti interessi-
- No infatti, ma mi interessa di me, e non voglio essere accusato di omicidio a causa di una stupida ragazzina-
Non so se mi avesse colpito più la "stupida" o il "ragazzina".
- So badare a me stessa- schioccai la lingua contro il palato.
- Su questo avrei da ridire e poi vedila così: penso che qualcuno, probabilmente qualcuno della tua famiglia, dato che con il tuo carattere sarai praticamente sola, è così ottuso da preoccuparsi per te, quindi questo può essere visto come un compromesso- si appoggiò di nuovo alla sua auto, in attesa.
Restai immobile per qualche secondo scrutando più attentamente il ragazzo che avevo di fronte, forse per la prima volta da quando l'avevo visto: provavo una strana sensazione, un misto di paura, eccitazione, avversione, sospetto, attrazione e non so cos'altro e avevo il sospetto che forse aveva capito più di quanto dovesse.
Presi un profondo respiro: che altra scelta avevo? Senza contare che io non avrei neanche dovuto guidarla quell'auto.
Mi avvicinai cauta alla sua auto:
- D'accordo accetto solo perchè non posso restare qui per ore e a proposito- impiantai i miei occhi nei suoi, per quanto fossero ancora coperti dagli occhiali da sole - se solo ti azzardi a sfiorarmi, o anche a pensare di sfiorarmi, ti ritrovi senza un arto chiaro?-
Si carezzò la mascella - Cercherò di trattenermi-
Entrai nell'auto sbattendo la portiera e scivolai sul morbido sedile di pelle allaciandomi la cintura.
Meglio essere sicuri, a quanto pare non aveva affrontato esami per avere la patente.
Entrò anche lui e mi fu così vicino che riuscii a captarne il profumo: era intenso, qualcosa che mi ricordava il pino o il cedro, un profumo selvaggio, che in qualche modo si addiceva al suo modo di fare. 
- Ehi sii gentile con la mia bimba- diede un colpetto affettuoso al cruscotto della macchina.
- Chiami la tua macchina bimba?-
Si voltò verso di me alzando un sopracciglio - Hai qualche problema?-
Alzai gli occhi al cielo- Sei disgustoso-
Non rispose ma capii che stava sorridendo.
L'interno dell'auto era immacolato e la radio mandava una canzone dei Green Day.
- Ti piace questo gruppo?- indicai la radio
- Si, hai dei problemi anche su questo?-
Mi sorpresi che avessimo almeno una cosa in comune, ma non glielo dissi.
- Tu sei il mio problema-
Mise in moto e sgommò, non prendendo per poco di nuovo la mia macchina:
- Mi dai troppa importanza-
Mi appoggiai allo schienale e mi stropicciai gli occhi così forte da vedere rosso e lui alzò il volume. Che arrogante!
Proseguimmo lungo tutta la strada, in silenzio per mia fortuna, svoltando in isolati viottoli ombreggiati fino a prendere poi la tangenziale.
-Allora principessa dov'è che abiti?- 
Mi sforzai di non inserire un paio di insulti nella frase -A Baiano, un paesino di Avellino-
- Ma non mi dire..-
Gli rifilai un'occhiataccia furiosa -Che diavolo vorresti dire?-
Mantenne l'espressione seria, ma dal tono della sua voce capii che era divertito -Niente, ma mi è di strada-
- Buon per te- ribattei acida
- Anche se onestamente non mi sembri un tipo da vivere da quelle parti-
Soppesai le sue parole - Ci conosciamo da neanche un'ora è già pensi di poter dire di conoscermi?-
Mi guardò, ma fu per una frazione di secondo, tanto che potrei tranquillamente essermelo immaginato.
- Tu sei un tipo da grandi città, da metropoli, luoghi in cui non ti senti in trappola perchè la cosa più importante per te è la libertà e non vuoi che qualcun altro decida quello che sei o cosa tu debba fare-. 
Deglutii stando attenta a non far notare il mio sgomento, infatti lui continuò spedito. Parlava con naturalezza, quasi con pigrizia - Sei una di quelle persone che vuole autodefinirsi e non lasciarsi definire dagli altri. Sei tu che vuoi scegliere chi sei. Non ti fidi di nessuno e non ami le persone perchè sei troppo chiusa nel tuo mondo e mascheri tutto con sarcasmo e insulti e sputando continuamente sentenze- mi osservò con quell'aria da condiscendenza che mi fece venire voglia di buttarlo fuori dalla macchina in moto -Ci sono vicino?-.
- Neanche lontanamente- ringraziai me stessa per non aver balbettato.
Dovevo allontanarmi da questo tipo e in fretta.
- Quindi ti piace vivere in quel paesino?-
Mi strinsi nelle spalle - E' la scelta migliore-
- Per te o per la tua famiglia?-
Mi voltai verso di lui -Per tutti, ma onestamente non penso siano affari tuoi-
- Scommetto che non lo pensi davvero-
- Pensala come ti pare-
- Non ami fare conversazione- non era una domanda, ma risposi ugualmente:
- No-.
- Sei sexy anche da infastidita possibile?- lo disse ammiccando.
Sapevo che scherzava, ma mi infastidiva ugualmente.
Sospirai alzando il dito medio.
Arrivati alla fine dell'autostrada svoltò a sinistra e proseguimmo abbastanza spediti lungo tutto la strada poco battuta, scorgendo i campi incolti di granturco. 
Gli indicai solo con lievi cenni del capo la strada  e mi trattenni dall'urlare di gioia quando vidi casa mia.
Parcheggiò sotto l'albero di fronte la villetta del nuovo vicino dato che ormai il camion era sparito. E speravo anche il vicino.
- Che piacevole coincidenza...- lo ignorai, tanto ogni cosa che diceva o era un insulto o una provocazione.
- Ti direi che devi pagarmi i danni, ma ciò significherebbe che dovremmo rivederci, quindi fa niente. A mai più mi auguro-
- Non penso sia così semplice principessa-
Alzai un sopracciglio -Io non ti piaccio, tu non mi piaci. E' semplicissimo-
Mi sorrise onestamente divertito e scrollò le spalle - Sono il tuo nuovo vicino-.





   
 
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