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Autore: theuncommonreader    04/10/2015    2 recensioni
|Nuova introduzione | Zeus/Persefone; Ade/Persefone|
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Prima della regina degli Inferi, prima di Persefone, c'è Kore, la giovane incarnazione della primavera. Per un Immortale le stagioni scorrono in un ciclo senza fine, ma l'esistenza della figlia di Demetra ha preso a girare impazzita: la vita ritirata che ha condotto in Trinacria non l'ha preparata ad affrontare se stessa e la sua stirpe, e ora un segreto più grande di lei le grava sulla coscienza: un segreto che, privata della sua confidente, deve tenere per sé; che sua madre è disposta a tutto per scoprire; che suo padre non desidera altro che celare.
A tutti è richiesto un sacrificio - ad alcuni più di altri. Ma la bilancia del Fato non tiene conto di Odio e Amore, solo di Necessità, e quando servirà uno sposo, poco importa che si tratti di chi le ha portato via la sua Leuce e che il suo sia un regno remoto e inaccessibile: il Caso non esiste e Kore è fiduciosa di avere una meta. Scoprirà, però, che quando ci si crede arrivati, spesso bisogna ancora partire.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Demetra, Persefone, Zeus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
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tre
III.

Il decimo 

giorno






Il decimo giorno. [1]

Il fanciullo senza nome si libera in parte dalla costrizione delle fasce, agitando le gambe rosee. Kore segue la linea soffice di un minuscolo tallone, quella morbida del calcagno, con la punta di un dito.

Stringe il fardello caldo e palpitante contro il seno gonfio di latte, accosta i petali grinzosi delle labbra affamate al capezzolo e sorride una smorfia di pianto quando esse si chiudono, una morsa dolce attorno alla carne sensibile.

« Piano, zagreo… » redarguisce senz’astio, solleticando la tenera pianta di un piedino nudo. [2]

« Un nome importante. » [3]

Non lo ha sentito arrivare, ma Ecate, accucciata lì accanto, solleva il muso canino dal suolo polveroso, orecchie sensibili di bestia tese. La gola di Kore si chiude, strozza un verso di tormento ed estasi. All’ombra della palma [4], la distesa placida del mare verde-blu rumoreggia quieta come i loro respiri, il succhiare di Zagreo e il tamburo del proprio cuore.

Zeus posa lo sguardo di nuvola sul fanciullo che, irrispettoso, gli preferisce la poppa; ma Zeus Olimpio non la prende a male: sotto la barba, le labbra carnose si curvano ed egli sorride (sorride quando è gentile, sorride quando è crudele). « Figlia mia » la saluta, paterno, riempendo la distanza tra loro, baciandole la fronte salata di salsedine e sudore. « Mia amata »   e Kore si assaggia sulla bocca di lui, si succhia dalla sua lingua.

Ecate si alza, guarda, va. Zeus prende il suo posto, contro il tronco, e la sabbia fresca lo accoglie come il grembo di una madre; Kore, nel lasciarsi abbracciare, è meno certa.

Senza fretta, Zeus denuda del tutto il corpo del figlio dal lino delle fasce, esplorandolo nei suoi anfratti col compiacimento negli occhi - quelli di Kore, appresso, un’ombra: assieme, risalgono dai piedi alle cosce paffute, il minuscolo fallo tra di esse (Zeus si abbandona a un sorriso più largo); il profilo del torace, il braccio sollevato perché un palmo minuto possa riposarle sul seno in un gesto di possesso.

A fatica Kore è capace di staccarsi da tanta perfetta simmetria; ma le grandi mani di Zeus si allungano per accogliere il fanciullo tra loro, senza riguardo per la creatura affamata che, in cambio caccia un ruggito di protesta, graffiandole le orecchie.

« Dioniso », [5] mormora Zeus, come basso è il mormorare lontano dei fulmini quando spira aria di tempesta; ma è la sorpresa che la coglie alla meraviglia nel tono, quasi non abbia altra creatura al mondo, Zeus Keruranio [6], che possa chiamare frutto dei suoi lombi.

(Fugace, si domanda se una volta era lei, al sicuro nella coppa di quelle mani, ancora calda del ventre di Demetra; se lei sia più che la copia pallida di sua madre, il fantasma di carne di quel tempo passato.)

Il sorriso si attenua, sul volto di lui. «Ma Zagreo sarà il suo nome », decreta, e Kore assottiglia occhi e labbra, perché non le sfugge la ragione, e sotto la maschera di pelle e sale bianco, la prudenza soffoca a fatica l’urlo dell’ira. Tace, complice in quel delitto, ma le dita pugnalano la sabbia umida e scura, affondano come lame di daga.

« Le cime d’Acaia [7] gli faranno da culla, le sue bestie, da insegnanti. »

Non la terra del padre [8]; l’Acaia. Foreste di selce e ossidiana per celarlo dagli occhi di Era; un mare a strapparlo a sua madre. Kore guarda suo figlio, i piedi nudi puntati contro le dita di Zeus, e inizia a dire addio.

« E di me che ne sarà? », chiede, quando è certa che la voce non tremerà dal caldo e dal freddo che dentro la scorticano. « C'è grotta abbastanza remota, quale luogo abbastanza lontano dagli artigli di Era ? »

« A ciascuno di noi è richiesto un tributo, Fanciulla. ».

Fanciulla. Persino pronunciando il suo nome egli mente, perché anche quello gli ha offerto in sacrificio. Kore si alza a fatica, e per la prima volta, una sola, lo sovrasta; e la vampa della collera si fa solo più alta alla vista della creatura addormentata che egli si stringe al petto.

« Mi domando quale sia il tuo, padre », sibila, poiché anche lei sa essere un serpente, e si sente avvelenare, « Oltre a quello che ti sei scelto.» Se ha provato mai compassione per Zeus, in passato, o per la moglie-prigione che si era imposto, ora gliela augura, come si augurano le pestilenze.

Le guance di lui si fanno porpora, e la imita scattando in piedi, incombente su di lei quanto la montagna innevata da cui prende il nome.

« Rinunciare a te, sciocca ragazza, è il mio prezzo da pagare. » Il tuonare della voce pare nascergli dal ventre e rimbomba nell’infinitesimale intervallo tra il rollare di un’onda e l’altra. Lo sguardo di Kore corre a Zagreo – che però pare troppo allettato dal sonno per lasciarsi tentare da un brusco risveglio. Torna dunque a Zeus, e specchiano gli occhi negli occhi, e il silenzio si gonfia tra loro come una vescica – scoppia in una falcata rapida, in un bacio purulento che lascia icore e amarezza sulle loro labbra.

 «Ma ciascuno di noi ha un posto, nell’ordine delle cose; è tempo che tu reclami il tuo », [9] sussurra contro di esse, e Kore lo detesta, questa creatura così imponente, così mutevole, ora padre, ora amante, che pretende da lei che sia egualmente cangiante.

Altrettanto fieramente, lo ama.

Gli addii sono muti; un’ultima volta li divora, padre e figlio, mentre assieme raggiungono il cocchio di Zeus, oro sul verde della macchia erbosa che scurisce sul biancore della sabbia.  

« Uno sposo verrà a reclamarti, in segreto. » La voce di Zeus è un conato di bile, neppure un ordine, ma un fatto della vita.

Kore pensa a Demetra, che, in Trinacria [10], regge il gioco delle apparenze. Se la figura, ansiosa che lei torni a presiedere con lei ai riti, a correre tra le ninfe di Artemide, una qualunque al suo seguito; a coglier fiori con Atena e la cara Ciane.

La sua tenera madre, che non si rende conto che Kore è persa, ed è sola a doversi ritrovare; che quanto i Cronidi sottraggono non può esser restituito né sostituito.[11]

« Attendi. Sarà cosa buona per tutti », continua Zeus, e se vuol convincere di ciò anche se stesso, lo cela abilmente. Monta agile sul cocchio, Zagreo al sicuro contro il petto imponente. Kore è in più pezzi di quanti possa contare, e non c’è replica giusta che non sia il silenzio.

Eppure, egli esita, si attarda. Stringe le redini, si imbianca le nocche.

« La vita attecchisce nelle terre più aride, e certi fiori sbocciano persino sulla sabbia. Così farai tu»

Poi, con uno schiocco di briglie, le strappa via il cuore.



Più tardi accanto a lei giunge Ecate, ancora una cagna nera come i tori di Creta. Avvicina il muso, e Kore la cerca con le braccia vuote, che disperatamente desiderano qualcosa da stringere nel loro cerchio desolato. Helios dal mare punta l’occhio su di loro, accaldando il suo corpo senza poter scioglierne il ghiaccio tra muscoli e pelle.

Inginocchiata sulla sabbia bianca, Kore immerge il viso contro il collo di Ecate, e all’odore muschiato di quanto ora non più è pelliccia ma pelle, fonde il sale di sudore e lacrime.




NOTE:

[1]: Al decimo giorno dal parto, nell'Antica Grecia avveniva il riconoscimento del bambino da parte del padre.

[2]: Uno dei significati del nome Zagreo, letteralmente "a piedi nudi".

[3]: Il secondo significato del nome Zagreo, letteralmente "grande cacciatore".

[4]: Albero che protegge le partorienti e le giovani madri.

[5]: Letteralmente "figlio di Zeus".

[6] : Un attributo di Zeus.

[7]: Una regione prevalentemente montuosa del Peloponneso.

[8]: Una volta sfuggito a Crono, Zeus venne allevato a Creta.

[9]: Una vaga citazione da Mulan.

[10]: Antica denominazione della Sicilia derivata dalla forma triangolare dell'isola.

[11]:  Intende, tra le altre cose, il rapimento di Leuce.

   
 
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