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Autore: Nymeria90    05/10/2015    2 recensioni
La mia storia è una sorta di autobiografia di Hawke con qualche appunto di Varric.
L'intenzione è di ripercorrere tutta la sua vita: dal suo primo ricordo fino agli eventi di DA Inquisition.
" [...] Hawke tiene a te tanto quanto tu tieni a lei. Non ti ha dimenticato. Ma so che le parole non ti convinceranno, non le mie, almeno. Credo sia arrivato il momento che tu riceva la tua eredità.
Hawke me l’affidò prima che partisse per la fortezza dei Custodi Grigi, nel lontano Nord.[...] Mi ha affidato quest’oggetto perché io te lo consegnassi, cito testualmente “al momento opportuno”. Quel momento, secondo la mia modesta opinione, è arrivato. [...] L'eredità di cui parlo è il suo diario."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hawke, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il diario di Etain Hawke
 
Ho lasciato Kirkwall una settimana fa e non mi manca per niente.
Non è mai stata casa mia, nonostante tutto quello che ho fatto dimostri il contrario: sono la Campionessa di una città che non riesco ad amare.
Ho salvato Kirkwall due volte, ma nel mio intimo desidero vederla bruciare, assieme a tutti i suoi abitanti.
Immagino che se lo dicessi ad alta voce nessuno ne sarebbe sorpreso, nemmeno quegli sciocchi che mi diedero le chiavi della città dopo che uccisi l’arishock.
Per questo li detesto: non si aspettano altro da una maga. Negli ultimi tempi mi sembrava quasi di percepire i loro pensieri: non si chiedevano “se” sarei diventata un abominio, ma “quando”.
Dovrei essere abituata a quegli sguardi, dopotutto ci convivo da tutta la vita.
Fino ad oggi li ho tollerati, ma mi rendo conto che presto inizierò ad odiarli (o forse è già accaduto).
Non posso permettere che quel sentimento si impossessi di me:  l’odio è la pala con cui i maghi si scavano la fossa.
Dovevo andarmene. O avrei fatto la fine di Orsino.
Mi chiedo cosa direbbe Fenris se leggesse queste parole.
Forse anche lui, come tutti gli altri, non ne sarebbe sorpreso. Ha sempre avuto paura di me.
Non dovrei pensare queste cose, non dopo quello che ha fatto per me. Ha aiutato i maghi a ribellarsi, ha donato loro libertà. Mi ha aiutato a realizzare il suo peggiore incubo.
Mi ama. Mi ama più di quanto abbia mai odiato Danarius e la magia.
E io mi detesto per averlo costretto ad aiutarmi nella mia follia.
Sta dormendo mentre io imbratto questi fogli di pensieri inconcludenti. Invidio i suoi sonni senza sogni, privo di tentazioni e paura.
Una volta, non tanto tempo fa, Fenris mi ha domandato quale fosse il mio primo ricordo. Ho scrollato le spalle e ho evitato la sua domanda con una battuta.
Fenris non ha insistito, percependo il mio stato d’animo.
Ma ormai il danno è stato fatto: se posso evitare di parlarne non è altrettanto facile evitare di pensarci.
Qual è il mio primo ricordo? Qualunque cosa sia non è piacevole.
Sono giorni che ci rimugino sopra e, alla fine, mi è tornato in mente: il mio primo ricordo è un sogno.
 
Alberi e cespugli: una foresta nell’oscurità. Una bambina corre ferendosi coi rovi (sono io?), non sa dove sta andando.
Freddo. Un freddo che stringe il cuore in una morsa, che si aggrappa alle gambe e le rende pesanti come piombo. Freddo che gela il respiro nella gola.
Sussurri. Chiamano la bambina per nome (è Hawke il nome che gridano o stanno semplicemente gemendo?).
Non so chi parla. Sono voci che non distinguo; non so se sono uomini, donne o altro. Non so cosa vogliono: è rabbia, tristezza o dolore quello che sento?
Nel sogno la bambina che forse sono io cerca di scappare.
Ma è buio e freddo e lei non sa dove andare.
Il buio l’acceca, il freddo la paralizza, la paura l’annienta.
E all’improvviso capisce che il fuoco (FUOCO!) è l’unica cosa che può salvarla.
Non c’è una logica dietro questo pensiero, nessun ragionamento: solo istinto.
Comincia a bramare, a desiderare ad invocare il fuoco. L’idea del fuoco è sufficiente a scacciare l’incertezza e si accorge di odiare quella paura che le ha gelato il respiro e paralizzato le membra.
Non è più spaventata: è furiosa.
Un solo pensiero e all’improvviso le fiamme iniziano a divampare in quel bosco che non è più un bosco: è solo cenere. E il fuoco s’innalza, incontrollabile, feroce, famelico. Inghiotte tutto, anche la bambina.
Non importa, è felice: ha sconfitto la paura.
 
Mi svegliai di soprassalto: la mia casa era in fiamme.
Fu così che scoprii di essere una maga.
Avevo all’incirca tre anni e i ricordi di quel giorno sono confusi. Ricordo il calore delle fiamme che divoravano il mio letto. Ricordo il fumo che mi faceva lacrimare gli occhi e la voce di mio padre che mi chiamava.
So di non avere avuto paura, come nel sogno. Il fuoco era mio amico, anche se avevo i capelli in fiamme e i vestiti che bruciavano. Ricordo l’odore della mia carne che cuoceva e lo sfrigolio del sangue che bolliva. Non provavo alcun dolore.
Mio padre mi salvò da quell’inferno, gettandosi tra le fiamme protetto solo da uno scudo magico. Riuscì a portarmi fuori ma la parte sinistra del mio corpo era gravemente ustionata. I capelli non c’erano più.
Anni dopo mio padre mi raccontò che a terrorizzarlo non erano state le mie ustioni o le fiamme che inghiottivano la casa: sapeva di potermi curare (cosa che fece egregiamente: mi rimangono solo lievi cicatrici su una gamba) e di poter costruire una nuova casa. A spaventarlo fu il gelo che emanava il mio corpo ustionato.
Era come se tutto il mio calore, la mia essenza vitale, mi fosse stato risucchiato via e nessun fuoco, per quanto grande e famelico, sembrava in grado di riscaldarmi.
In seguito, quando fui abbastanza grande per spiegare il mio sogno e capirne il significato, mi padre mi spiegò che quella notte un demone era venuto a farmi visita facendo leva sulla mia più grande debolezza: l’ira.
Non so perché il demone non s’impossessò di me: mi ero abbandonata a lui con tutta me stessa. Forse si accorse che ero troppo giovane e debole: una preda ben poco appetibile. O forse temette di morire insieme a me, nel rogo che avevamo appiccato, e mi abbandonò al mio destino.
Non so cos’accadde; so solo che quel giorno la mia vita cambiò per sempre.
All’epoca abitavamo da qualche parte nella contea di Amaranthine, dopo la distruzione della casa i miei genitori decisero che sarebbe stato meglio trasferirsi da un’altra parte e, non appena fui abbastanza in forze per viaggiare, partimmo, diretti a Redcliffe. Per i miei genitori era l’ennesima partenza: mio padre non si fidava a rimanere troppo a lungo nello stesso posto. Per me fu l’inizio di un’esistenza che, ben presto, iniziai a detestare.
Eravamo dei mostri e dovevamo nasconderci.
 
Varric
 
Un giorno qualcuno dovrà spiegarmi la logica di tutto ciò. Come potevano pensare che i loro continui spostamenti e i comportamenti evasivi non destassero sospetti? E poi perché rintanarsi in sperduti villaggi dove si conoscono tutti e l’arrivo di forestieri è un evento da segnare negli annali? Una delle regole del ladro è di nascondersi dove tutti possono vederti, metterti in piena luce mentre gli altri ti cercano tra le ombre. Sarebbero dovuti andare ad abitare accanto a una caserma di templari. Chi cercherebbe un eretico lì? Invece si comportavano esattamente come nel più classico dei drammi sui maghi fuggiaschi. Mancava solo che si mettessero un cartello intorno al collo con scritto “NON sono un mago”!
Anche un nug penserebbe che c’è qualcosa di losco in un uomo che scappa dopo che gli si è incendiata la casa … d’altronde cos’altro potrei aspettarmi dalla famiglia Hawke?
 
Hawke
 
Ho pochi ricordi della nostra permanenza a Redcliffe. La casa che mio padre aveva comprato per pochi soldi a un contadino mezzo matto era piccola e piena di spifferi. A zio Gamlen sarebbe piaciuta molto. Era distante dal centro abitato, su un’altura che dominava il castello. Da lassù si poteva vedere il lago che rifletteva le pendici rosse delle colline che davano il nome al villaggio.
Poco distante dalla casa c’era un mulino abbandonato. Mi piaceva trascorrervi i pomeriggi, quando non ero insieme a mio padre che cercava d’insegnarmi cose che non riuscivo a capire. Lui parlava di magia, incantesimi e oblio. Io sapevo solo che, quando mi arrabbiavo o ero molto felice, le mie mani diventavano calde e le cose intorno a me iniziavano a bruciare. Non scatenai più un inferno di fiamme come avevo fatto la notte del mio debutto nel mondo della magia, tuttavia non ero in grado di controllare i miei poteri. Motivo per cui i miei contatti con il mondo esterno furono limitati ai miei genitori e ai topi che popolavano il mulino.
Osservavo il mondo degli uomini dall’alto della mia collina, come una piccola eremita di cui nessuno conosceva l’esistenza.  
Non ero scontenta, affatto. Non avevo bisogno di amici o compagni di gioco: avevo la magia e riempiva le mie giornate come nessun essere di carne ed ossa avrebbe mai potuto fare. Non percepivo nessun pericolo in essa: per me, all’epoca, era solo una cosa divertente e strana che mi permetteva di trascorrere molte ore con mio padre. Solo io e lui, senza la mamma e questo … questo mi riempiva di gioia.
Il rapporto con mia madre è sempre stato … difficile. E in parte penso che dipese da una conversazione che sentii, per caso, pochi giorni dopo il nostro arrivo a Redcliffe, quando ero ancora convalescente.
Grazie alle cure magiche di mio padre le mie ferite guarivano in fretta, ma il dolore delle ustioni era insopportabile. Per calmarmi mio padre mi dava da bere una brodaglia infame (ora so che si trattava di un decotto di radice elfica e funghi delle profondità, molto utile, soprattutto quando ti trovi faccia a faccia con un drago!) che faceva diminuire il dolore ma mi lasciava un po’ stordita. Io dormivo in cucina, in un piccolo pagliericcio vicino al fuoco (nonostante tutto non ne avevo paura e mai ne ho avuta), ricordo il fumo che impregnava l’aria e il caldo soffocante. Sudavo e avevo sete, così mi alzai barcollando per raggiungere la caraffa d’acqua appoggiata sul tavolo e, attraverso i vetri sporchi e fessurati della finestra, vidi i miei genitori seduti su un ceppo poco distante dalla casa. Ricordo che, nell’aria fredda dell’inverno, il fiato di mio padre si condensava in bianche nuvolette. Mi avvicinai alla finestra , forse per chiamarli e dir loro di rientrare, e qualche parola giunse fino a me.
È pericolosa … non può controllarli …
Di chi stava parlando mia madre? Chi era pericoloso?
Accostai il viso alla finestra e la socchiusi leggermente.
- Non ci sono più stati incidenti da quella sera, nostra figlia è forte: sa dominare il suo potere.- di me. Stavano parlando di me.
- Nostra figlia ha tre anni e non ha idea di che cosa le stia accadendo! Per lei è solo un gioco, una cosa buffa che riesce a fare con il pensiero! Ma tu sai bene che potrebbe perdere il controllo da un momento all’altro!-
- Credi che non lo sappia, Leandra? Ero bambino anch’io quando sono comparsi i miei poteri, ma con l’aiuto di altri maghi ho saputo controllarli e dominarli. Etain ha me. Non le serve altro.- la voce di mio padre tremava. Pensai che fosse per il freddo, oggi so che tremava di paura.
- La bambina ha tre anni! Sai anche tu che non è normale. I poteri magici si manifestano attorno ai nove anni lei è …- vidi che si nascondeva il viso tra le mani. All’epoca non mi chiesi perché non pronunciava mai il mio nome, ora non posso fare a meno di domandarmi se era un modo per non affezionarsi a me.
- … la parola che stai cercando è “abominio”.- sibilò mio padre con voce gelida, molto diversa da quella che ero abituata a sentire.
- Malcom, ti prego, non attribuirmi parole che sai non pronuncerei mai. Un’incognita. È questa la parola che cercavo.- mia madre si sporse verso di lui e gli strinse una mano, provai una fitta di gelosia – Non puoi gestire qualcosa che non conosci, Malcom. Avevamo messo in conto che potesse essere una maga … ma questo, questo è troppo per noi. Cos’accadrà se dovesse perdere il controllo un’altra volta? Cosa farai se un demone …?-
- Cosa stai cercando di dirmi, Leandra?-
- Tu sei un uomo adulto, hai fatto le tue scelte e sei consapevole dei rischi che corri, così come lo sono io. Ma lei è solo una bambina: una bambina in balia di forze che non può controllare e che noi non siamo in grado di arginare. Non possiamo aiutarla, Malcom!-
Mio padre si alzò di scatto e io mi abbassai in fretta, per paura che mi scorgesse dietro la finestra. Quando lo sentii urlare temetti che ce l’avesse con me, poi mi accorsi che le sue parole erano rivolte verso la donna seduta di fronte a lui.
- Il Circolo? Tu vorresti mandarla al Circolo!-
- Abbassa la voce, ti prego.- azzardai un’occhiatina e vidi che anche mia madre si era alzata, il viso bagnato di lacrime – Malcom, ascoltami. So come la pensi, ne abbiamo parlato tante volte, e sono d’accordo con te. Ma tu sei un mago adulto, responsabile … lei è una bambina di tre anni con un potere troppo grande. È pericolosa, lo capisci?! Per noi e per se stessa …- avrei voluto tapparmi le orecchie e mettermi a gridare. Ma ero come pietrificata. Non capivo pienamente il senso di quella discussione, ma una cosa mi era chiara: mia madre aveva paura di me e voleva mandarmi via.
- Non potremo più vederla Leandra, sarebbe come se non fosse mai esistita! È tua figlia e tu vorresti gettarla in pasto a quelle belve? Non hai idea di che cosa accade nel Circolo …-
- Non deve andare per forza come dici tu. Non tutti i Circoli sono terribili come quelli dove sei stato tu. Ci sono templari onorevoli, lo sai meglio di me: quel Carver ti ha aiutato o sbaglio? Potrebbe essere la cosa migliore per lei e per tutti noi. Un tempo potevamo permetterci di pensare soltanto al suo benessere. Ora non più.- la vidi ergersi in tutta la sua statura, bella e autoritaria come immaginavo dovesse essere una regina. Ne rimasi abbagliata. – Sono incinta, Malcom.-
Vidi mio padre rattrappirsi, come schiacciato da un peso enorme, che non riusciva più a sostenere. Temetti di vederlo cadere al suolo e non rialzarsi più.
In parte fu ciò che fece: si prostrò in ginocchio e prese le mani di mia madre tra le sue appoggiandovi sopra la fronte.
- Se la porteremo al Circolo la trasformeranno in un’adepta della Calma. Non vorranno correre rischi, non con una maga così giovane. Nessuno, nemmeno il templare più ragionevole di questo mondo, riuscirebbe a impedirlo. Piuttosto che riservarle un simile destino, Leandra, la ucciderei con le mie mani. È questo che vuoi?-
Mia madre vacillò e la vidi esitare.
Oggi, ripensando a quel momento, so di averla perdonata per le parole che pronunciò quel giorno. Comprendo la sua paura.
Ma non posso perdonare quell’ esitazione: quei secondi spesi a considerare la mia morte.
Alla fine cadde in ginocchio davanti a mio padre – No, Malcom, non voglio questo. Promettimi che non la perderai d’occhio e che non esiterai se dovesse accadere il peggio. Non lo chiedo per me, ma per il figlio che porto in grembo: prometti che proteggerai questa famiglia, anche da tua figlia.-
Lui l’abbracciò e io mi sentii avvizzire, come l’erba bruciata dal troppo sole – Te lo prometto, amore mio. Vedrai, andrà tutto bene.-
Mi scostai dalla finestra e tornai al mio pagliericcio. Il cuore mi batteva forte. Mi strinsi le coperte attorno al corpo e piansi.
 
Varric
 
Il legame tra Hawke e Leandra mi ha sempre incuriosito. Si volevano bene, era evidente, ma erano a disagio l’una in presenza dell’altra. Credo che, dopo la morte di Malcom, l’unica cosa che avessero in comune fosse l’affetto che nutrivano per i gemelli e, dopo la perdita di Bethany, il loro unico legame fu Carver. Si contendevano il ragazzo come due cani si contendono l’osso.
Quando anche lui se ne andò divennero due sconosciute che abitavano nella stessa casa.
Poi accadde ciò che accadde, Leandra morì e Hawke cominciò a comportarsi come se sua madre non fosse mai esistita. Non entrò più nella sua camera e smise di nominarla. Pensavo che ciò fosse dovuto al fatto che si sentisse in colpa per non essere riuscita a salvarla e che il solo pensiero della madre le fosse insopportabile. Ora mi rendo conto che la ragione di quella “damnatio memoriae” era molto più profonda.

Hawke la stava punendo.
E, onestamente, non posso biasimarla.
  
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