29.
Elijah
la stava aspettando poggiato alla sua auto quando lei arrivò. Non a bordo del
suo inconfondibile maggiolone, ma con un taxi. Gli sembrava ancora impossibile
essere riuscito a convincerla e nonostante con Gia avesse
fallito, la sola presenza di Allison era sufficiente
per lui e sperava che lo fosse anche per Josephine.
Quando
la donna scese dall’auto Elijah pensò che fosse la creatura più bella che
avesse mai visto; fasciata da un abito grigio a costine che scendeva arricciato
su una spalla, i capelli sciolti mossi, quella frangia che le accarezzava dolcemente
la fronte le dava l’aria di una bellissima bambola di porcellana.
“Perché
sei venuta in taxi?” le chiese andandole incontro.
Lei
fece un grosso respiro stringendosi addosso il cappotto. “La mia auto è rotta.
Ho provato a farla partire ma non ha funzionato.”
“Avresti
potuto chiamare me. Sarei venuto a prenderti.”
“Il
servizio taxi esiste per un motivo. Avevo anche pensato di venire a piedi ma
con questi tacchi alti passeggiare non è proprio un piacere.”
Elijah
abbozzò un sorriso. “Lo immagino, ma sei bellissima.”
“Il
trucco fa miracoli,” Allison sospirò guardandosi
intorno. “Entriamo?”
L’Originale
annuì invitandola a precederlo, poi la seguì perdendosi nella scia di profumo
che lasciò al suo passaggio. Il cuore gli suggeriva di afferrarla per un
braccio, stringersela al petto e perdersi su quelle labbra rosate e soffici. Ma
la ragione gli suggeriva di non farlo perché non era quello il momento giusto,
il modo giusto… e lui di dar retta alla testa più che al cuore ne aveva fatto
un tratto distintivo.
Quando
le fu accanto sulla soglia della porta, fu impossibile resistere e con
delicatezza le poggiò un mano sulla schiena mentre con l’altra bussava alla
porta. Fu felice di vedere che lei non si scansava, anzi si lasciava toccare,
avvicinare, con l’aria rilassata come non la vedeva da giorni.
Stava
per dirle qualcosa quando il maggiordomo aprì e sorridendo li invitò ad entrare.
Allison lo precedette all’interno della casa e si
guardò intorno senza mostrare alcuna sorpresa o ammirazione per l’arredamento
classico ed elegante. Nonostante la casa fosse molto grande lei sembrava
totalmente a proprio agio e questo non lo sorprese perché era stato a casa sua
a Los Angeles e ricordava quanto fosse grande.
Il
maggiordomo prese i loro soprabiti, poi li guidò lentamente lungo il corridoio
fino al grande salotto. Josephine era seduta su una
poltrona, la stessa sulla quale era stata seduta quasi tutto il tempo quando
Elijah le aveva fatto visita per la prima volta, a quel tempo in compagnia di Gia e del suo talento come musicista.
“Signor
Mikaelson” disse quando li vide. Alzandosi li
raggiunse e sorrise cordiale. Poi si voltò verso di Allison.
“Lei
deve essere la signorina Morgan,” asserì. “Grazie di aver accettato il mio
invito a cena, per me era molto importante fare la sua conoscenza. Ma prego,
accomodatevi. Gradite qualcosa da bere?”
“Niente
per me” rispose Elijah attendendo che Allison si
mettesse a sedere prima di sedersi a sua volta.
“Un
bicchiere di vino sarebbe perfetto per me” chiese proprio la cacciatrice
sorridendo gentilmente all’anziana donna. “Posso sapere perché era così
importante per lei fare la mia conoscenza?”
Josephine
fece cenno ad una cameriera che sparì dietro un arco e tornando composta
rivolse lo sguardo ad Allison. “Ho chiesto di
incontrarla perché volevo raccontarle una storia.”
“Una
storia?”
“Sì,
la storia di come ho conosciuto i suoi genitori.”
Allison
sgranò gli occhi sorpresa, talmente concentrata e pallida che Elijah pensò che si
sarebbe sentita male.
LOS ANGELES –
CALIFORNIA 32 ANNI PRIMA
La serata di beneficienza
organizzata dall’ospedale era bella esattamente come l’aveva immaginata. Josephine aveva partecipato a diversi di quegli eventi, più
per ascoltare la buona musica che tanto le mancava che per altro.
Fare del bene mangiando bene e
conoscendo gente interessante – in un modo o in un altro – era bello, ma la
musica… quei musicisti seduti al pianoforte oppure col viso poggiato al loro
violino… in quelle feste erano sempre sublimi.
Lei non poteva sognare più, per
colpa di una madre gelosa e possessiva, per colpa di un sentimento che le aveva
fatto male ancor prima di sbocciare. Il suo musicista jazz non era stato
abbastanza uomo da ribellarsi, da combattere per lei. Anzi, l’aveva lasciata
quando era stato chiaro che le sue mani non sarebbero state mai più capaci di
suonare e oltre al danno Josephine aveva subito anche
la beffa.
“Queste serate sono sempre
bellissime. Partecipo a queste feste di beneficienza da anni eppure non mi
annoio mai.”
Josephine si voltò verso la donna che le
aveva parlato strappandola dai suoi pensieri e si ritrovò davanti ad una
signora elegante con bellissimi capelli rossi raccolti in un ordinato chignon.
Fasciata da un abito bianco e nero era radiosa, quasi eterea e guardandole il ventre arrotondato capì perché.
“Partecipo a molte di queste serate
anche io,” le disse. “Ma queste organizzate dall’ospedale qui a Los Angeles
sono sempre le migliori. E il dottor Morgan è un grande oratore oltre che un
ottimo medico.”
“Ah quindi conosce mio marito.”
“Suo marito?”
L’altra sorrise. “Sì, è mio marito
da quindici anni, e so che sembra che io lo racconti per vantarmi, ma in realtà
lo faccio solo perché sono molto innamorata e fiera della mia famiglia.”
“Oh lo immagino” Josephine sorrise poggiando istintivamente la mano sul
ventre, pensando solo dopo che forse non era un gesto gradito. Ma la donna
sorrise poggiando la mano bella su quella deforme.
“Nascerà tra poco e sarà la
sorellina felice di uno splendido fratellino di dieci anni” le fece sapere.
“Ha già un nome?”
“Allison
Marie. Si chiamerà Allison Marie Morgan e farà grandi
cose.”
“Lei
non era ancora nata signorina Morgan, ma sua madre era già innamorata di lei,
glielo si leggeva negli occhi.”
Allison
deglutì a vuoto e con la punta delle dita si asciugò il viso. Poi si alzò e
singhiozzando si avvicinò a Josephine per stringerla
in un abbraccio inaspettato e stranamente ricambiato dall’anziana.
****
Al
contrario di quanto lui si aspettava, Allison non
protestò quando alla fine della cena Elijah si offrì di accompagnarla a casa.
Sull’auto regnava il silenzio ma non c’era alcun imbarazzo.
La
donna era ancora persa nelle emozioni della serata appena trascorsa, un regalo
inaspettato che le aveva fatto bene al cuore anche se l’aveva fatta piangere. Josephine l’aveva omaggiata con un ricordo che le scaldava
l’animo e anche se poi le aveva chiesto di occuparsi per suo conto di una
strega che nessuno riusciva a trovare e fermare, Allison
non se l’era presa.
Sentire
parlare di sua madre era stata un’emozione talmente grande che Josephine si era meritata qualcosa in cambio e una strega
era un affare di poco conto per la cacciatrice.
Quando
arrivarono davanti casa, Elijah scese dall’auto e corse dall’altro lato per
aprirle la portiera. La seguì fino alla porta di ingresso e poi si fermò mentre
lei apriva ed entrava. Non era stato invitato e dubitava che lei gli avrebbe
chiesto di entrare… ma poco male, quello che aveva in mente poteva farlo
benissimo anche dall’altra parte della soglia.
“È
stata una serata piuttosto impegnativa per te, a livello emozionale” le disse
prima che lei avesse l’occasione di parlare e salutarlo.
Lei
annuì ma un sorriso le colorò il viso. “Sì, direi di sì. Ma è stato bello
sentire parlare di mia madre.”
Lui
fece un grosso respiro guardandosi intorno, poi tirò fuori dalla tasca interna
della giacca un cartoncino dorato e glielo porse.
“Cos’è?”
gli chiese lei.
“Devo
dirti una cosa ma visto che hai detto di non sopportare il suono della mia voce
ho pensato di scrivertelo. Leggi.”
Allison
prese il bigliettino con espressione perplessa, stringendolo delicatamente tra
le mani e accese la luce all’entrata di casa per leggere meglio.
So di non meritare
niente da te, ma ho una richiesta…
… avvicinati.
Lei
piegò poco il capo e lo guardò per un lungo istante; confusione e curiosità si
alternavano su quel viso bello, dentro quegli occhi lucidi ed espressivi. Si
tolse le scarpe e il cappotto e poi con calma gli si avvicinò, rimanendo sulla
soglia di marmo che divideva l’interno dall’esterno.
Elijah
fece finalmente quello che il cuore gli suggeriva di fare, perché della ragione
pensò che ne aveva le scatole piene. Senza esitare le avvolse la vita con un
braccio e la baciò.
Lei
rimase immobile per un attimo, sorpresa da quel tocco deciso, da quel bacio
impetuoso e dopo qualche secondo gli prese il viso tra le mani e chiuse gli
occhi abbandonandosi alla piacevole stretta di quel braccio. Dischiuse le
labbra permettendo alla lingua calda dell’Originale di insinuarsi dentro la sua
bocca, di cercare la sua lingua ed incontrarla in quella danza che sapeva di
attesa e desiderio.
Con
trasporto si strinse a lui sollevandosi sulla punta dei piedi, approfondendo
ancora di più quell’incontro di bocche.
Poi,
improvvisamente si staccò e fece un grosso respiro; le labbra arrossate, gli
occhi ancora chiusi, un sorriso quasi timido che si affacciava su quel volto.
“Questo
sì che era un bacio della buonanotte come si deve…” scherzò riaprendo gli occhi
e puntando lo sguardo dentro il suo.
Lui
la baciò di nuovo, ma stavolta fu un bacio veloce. Le spostò piano la frangia
per poi baciarle la punta del naso. “Ho un altro bigliettino per te” le disse
infilando la mano nella tasca della giacca.
Ma
lei scosse il capo poggiandogli una mano sul petto. “Dimmelo a voce” gli
sussurrò.
Elijah
sorrise. Per quello sguardo nocciola carico di attesa, per quell’espressione
dolce, perché stava per pronunciare due parole che aveva già pronunciato nel
corso dei secoli ma che non aveva mai sentito come in quel momento.
“Ti
amo, Allison” disse con voce chiara e decisa.
La
risposta che ricevette fu un bacio intenso alla fine del quale lei gli diede la
buonanotte senza invitarlo ad entrare ed Elijah sospirò accarezzandosi le
labbra con le dita.
Poi
andò a casa, ma dubitava che sarebbe riuscito a chiudere occhio.