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Autore: Alphacent    15/02/2009    20 recensioni
Ero concentratissima a seguire la lezione di storia dell’arte, e ci stavo riuscendo, fino agli archi a tutto sesto di San Marco, c’ero! Poi però una forza a me sconosciuta mi ha portata a voltarmi. Non l’avessi mai fatto.
Un mio compagno mi sillaba una domanda: no…hidi?nonn?
Quando finalmente traduco quello che mi sta dicendo, bhe tutte le mie buone intenzioni di concentrarmi sui i capitelli, partono con un biglietto di sola andata per Ibiza! E con un budget niente male!
Ma volete sapere quel era la celebre domanda, quali le parole mi hanno fatto abbandonare la verace via? E mi hanno gettata nella più totale confusione, parole che mi hanno sconvolto la giornata?
Ebbene sette parole gente, sette stupidissime e comunissime parole che mi hanno fatto passare tutta l’ora a rimembrare infantili ricordi! Ed eran queste...
Genere: Generale, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 13:Un pezzettino del suo mondo

"Posso farti vedere un posto?" Sei parole magiche? Non credo. No, non lo sembrerebbero, neppure sono particolarmente gentili o che, ma dette da lui, mi suonano incredibilmente tenere. E come al solito sono indecisa e divisa, una parte di me ha una voglia matta di sapere dove vuole portarmi e perché, e di passare anche del tempo in sua compagnia, l’altra ha una paura folle, di cosa poi? Non lo so.
“Per favore” mi sta chiedendo per favore? Wow. Basita annuisco con il capo, e lui prendendo la mia mano, mi conduce fuori dal parco, di nuovo in strada. Camminiamo ancora, superiamo Niki, che stranamente è chiuso, e molti altri, in silenzio, guardandomi attorno, distraendomi ad ogni luce, e tornando a pensare a dove stiamo andando, senza tentare di chiederlo a lui. Attraversiamo tutto un quartiere e poi un altro, e alla fine ci fermiamo davanti ad una casa, due piani, un edificio relativamente moderno, con un giardino dall’erba curata e le luci del primo piano accese almeno su una parte. Akito alza un coso, una specie di statuetta di quindici centimetri, a forma di rana con gli occhi strabici, e prende la chiave che sta sotto. Questa, sono sicura, non è casa sua, non starà violando una proprietà privata?
“Akito cosa stai…?” lui mi fa cenno di abbassare la voce, questo non mi sembra essere un buon segno, credo proprio che non dovremmo. Intanto il cancello si apre con il suo suono metallico e del tutto silenzioso, lo apre lentamente tentando di limitare il rumore di questo, ci beccheranno.
“Akito” sussurro questa volta, mentre senza nessuna ragione apparente lo segue nel giardino. Perché lo sto seguendo? Non mi tiene nemmeno più per mano, non c’è ragione che io continui a camminare attraverso il giardino, invece di correre a gambe levate dalla parte opposta. E allora? Che aspetti Sana? Ti stai cacciando in un guaio, grosso.
“Rilassati…” rilassarmi? Scusa e come? Come diavolo posso rilassarmi se stiamo entrando dove non dovremmo e per di più con gli inquilini presenti?! EH? Rilassarmi, è la prima cosa che mi viene in mente in una situazione così. Certo, di che mi preoccupo?
“Akito” sussurro per la terza volta mentre ormai siamo proprio nel mezzo del giardino senza nemmeno preoccuparci di comminare appartati, e non so se notate che sto parlando al plurale, finirò nei guai! Ma quello che ancora non capisco è perché io lo faccia, non mi sta obbligando! Ehi un momento! “Akito fermati, ci hanno visti, c’è qualcuna alla finestra, li guarda.. Akito?” per niente preoccupato entra nell’ingresso e apre la porta che dovrebbe dare al piano inferiore che si trova alla fine dell’ingresso. E io che mi ripeto di levare le tende, quando l’idea viene finalmente presa in considerazione e approvata dal cervello, a quanto pare un organismo del tutto separato da me, pronta a fare retrofront, Akito vedendomi indecisa sull’uscio, mi prende per mano e mi tira dentro, chiudendo la porta dietro di me, il tempo di accendere la luce e io mi ritrovo in una grande stanza con due porte sul fondo.
È una sala, grande, più di quella di Tsuyoshi sicuramente, è rettangolare, con le pareti bianche, a sinistra ci sono tre porte di vetro, che danno sull’esterno, coperte da delle tende bianche e pesanti, davanti a queste un tavolino in vetro, con almeno due dita di polvere sopra, circondato da due divani, coperti entrambi da un telo bianco, posti ad angolo di novanta gradi, e tra i due un lampadario in acciaio. Di fronte a questi, appoggiato alla parete un mobiletto in legno, con sopra un televisore un po’ vecchiotto, a sua volta coperto da un telo di plastica trasparente.
Sulla parete di fondo, dietro a uno dei due divani, c’è una libreria alta fino al soffitto e larga fino a una delle due porte, è completamente stipata di volumi, dalle più prepotenti enciclopedie e raccolte, ai libricini più sottili, messi orizzontalmente negli spazi tra gli altri volumi e la fine del ripiano, chiunque abitasse qui, doveva amare la leggere. Dall’altra parte della parete un altro mobiletto, sempre color legno più piccolo e più basso, ma altrettanto pieno di dischi e cassette, sopra questo altri libri messi un po’ in disordine. Davanti a questo quello che sarebbe stato chiamato qualche anno fa un impianto di ultima generazione, con tanto di giradischi. Sopra questo un quadro enorme. Sempre lungo la parete della mia destra un elegantissimo pianoforte nero, tutto in torno fotografie incorniciate, e tutto coperto da uno strato di polvere, lo stesso pianoforte, grigio per essa ha dei segni che indicano che qualcuno ogni tanto lo suona, senza pulirlo però.
Akito mi sfila il capotto appendendolo all’appendiabiti che era nascosto dalla porta, e fa lo stesso con il suo. Effettivamente non fa freddo, anzi sembra che sia acceso il riscaldamento, i due termosifoni vicino al televisore e il parquet fanno un ottimo lavoro. Qui tutto ha un’aria strana, abbandonata, ma viva. È strana anche al sensazione che da.
“Akito” sussurro ancora, sento anche i passi al piano di sopra, ma la sua tranquillità mi contagia, senza alcuna ragione, ma va be, e mentre lui fa qualcosa che non vedo, io mi avvicino alla foto gigante che ho visto prima, è di una ragazza, sui vent’anni, vestita in abiti tradizionali giapponesi, un kimono bianco, con motivi floreali rosa pallido, è seduta all’ombra di un ciliegio, su una coperta, mentre sorride all’obiettivo distraendo l’attenzione dal libro che tiene tra le dita affusolate, è magra, la fascia rosa del kimono la circonda fino alla vita stretta, i capelli castani, chiari, raccolti sulla nuca, con due ciocche che cadono leggermente ai lati di un viso morbido, zigomi alti, pelle candida tirata in un sorriso che mostra denti bianche e diritti. E poi gli occhi, così profondi e così caldi, sono proprio come quelli di Akito, la differenza è che sono felici. Lo si sente sotto la pelle. Lei è la stessa persona che ho vista con Akito piccolo nelle foto a casa di Tsuyoshi, sono sicura, quella donna, e questa ragazza sono la madre di Akito, ma che ci fa una sua foto qui, questa non è mica casa di Akito? No perché altrimenti mi sono persa qualche pezzo.
“Lei è tua madre?” chiedo continuando a guardare la parete e spostandomi verso le altre foto, c’è sempre la ragazza vestita in mille modi diversi, perlopiù alla yōfuku, spesso in compagnia di un ragazzo, dall’aria familiare, ma no questo è europeo, non credo di conoscere nessuno, magari assomiglia a qualcuno che conosco, questa è buffa, c’è lui che sta impastando una piazza, e lei gli mostra del sushi con un sorriso enorme, lui con le mani occupate per poter fare qualche gesto, la guarda furioso e oltraggiato! Sono momenti di vita, lei al pianoforte, lei nel giorno della laurea, lei in cucina, sul divano mentre legge, con gli amici, lei un po’ più grande con una bambina*, lei con il pancione! Mi risveglio dal sogno che mi stavo facendo, vivendo in quelle foto solo quando Akito biascica un sì. “e questo chi è ha l’aria familiare..?”
“non immagini minimamente chi sia” fa divertito.
“È bella tua madre” già, credo, Akito caro, che le devi parecchio. Finalmente mi giro “perchè qui? Perché mi hai portata proprio qui?” chiedo timidamente.
“non lo so” eeeeh? Vedete se fossi uno di quei cartoni animati giapponesi adesso una grossa, enorme goccia mi cadrebbe dalla testa.
“che significa che non lo sai?!” ma perché a me? Uffa!
“questa era la casa di mia madre quando frequentava l’università, posso venire qui ogni volta che voglio, ci vengo quasi ogni notte” eppure sembra abbandonata da anni. Perchè mi ha portata qui? Non avrà cattive intenzioni? Mi allontano di un passo, e lo guardo mantenendo la guardia alta, ha il volto verso la foto della madre da giovane, uno sguardo così triste, cosi nostalgici i suoi occhi. Non ha cattive intenzioni, piano piano abbasso le braccia, anche perché sono ridicola, e mi avvicino spostando gli occhi dai suoi alla foto, cercando di capire. Ma mica è facile, se ci mettiamo il fatto che io sono una ritardata, stiamo freschi!
“come mai è così polverosa?” chiedo, tentando di non spezzare questa atmosfera. Ho paura di dire qualcosa di troppo, di essere indiscreta e insistente.
“la proprietà è di un suo vecchio amico, che vive al piano di sopra, e che non ha voluto toccare niente… prima pensavo che fosse innamorato… prima, non capivo tante cose” l’ultima frase la pronuncia amaramente. Poi tace. Io lo guardo per un po’, curiosa e titubante. Non so cosa voglia dire, non riesco a mettere a posto i pezzi di puzzle che ho, lentamente lo abbraccio, per la seconda volta, mi sento una privilegiata, hehe, vorrei veramente trasmettergli un briciolo di serenità, non è giusto che quegli occhi così meravigliosamente ipnotici siano sempre freddi, e duri, non è giusto che il suo sorriso sia così raro, anche se rende più speciale quelle volte che me lo dedica, non è giusto che nelle sue frasi si senta un’amarezza così grande. Lui ha tutto il diritto di essere felice, di ridere e scherzare. Vorrei poter fargli capire che può parlare con me, che io non lo giudicherò, che saprò ascoltarlo e che non lo faccio se non per vederlo più felice. Continuo a tenerlo stretto a me, stretta al suo petto, sento quel cuore battere contro di me, e con il mio viso, nell’incavo del collo, sento il suo odore arrivarmi dritto al cervello, la cosa sta prendendo un’altra piega. Il contatto con la sua pelle mi fa un brutto effetto. Brutto, non nel vero senso della parola, insomma, avete capito. Brutto non potrà mai essere riferito ad Akito. “credo che tu stia facendo qualche pensierino su di me” butta li. Ma come cavolo fa a beccare sempre in pieno? Me lo spiegate? No perché non può essere, sempre sempre sempre!
“ma perché devi rovinare tutto con quella tua linguaccia!?” fa un sorriso sornione, anche se strafottente, bello da morire. Sembra quasi voler dire -non lo pensavi domenica- no non lo pensavo va bene!
“se mi annusi, hai intenzione di iniziare a sniffarmi!?” mi stacco impulsivamente e gli tiro un colpo sul petto. Ma tu guarda!
“non è affatto vero! Io stavo solo respirando!” mi giustifico mettendo le mani sui fianchi, e poi che mi devo giustificare a fare?
“dite tutte così” dice mettendosi le mani in tasca e assumendo una faccia da schiaffi incredibile!
“grrru - sei incredibile! Tu, tu ” dico voltandomi e iniziano da camminare come un’isterica gesticolando a più non posso cercando di trovare delle offese che lo zittiscano. E il movimento del mio corpo non è seguito alla stessa velocità dei piedi che mi abbandonano facendomi cadere, e nel tentativo di attaccarmi a qualcosa faccio cadere quei libri che stavano sul mobiletto dei dischi, ma prima di toccare il pavimento sento tirarmi in alto e Akito prendermi. Anche questa scena non mi è del tutto estranea, chissà. Ma perché quando mi muovo qualcosa si rompe, cade, si muove, si rovina o mi fa cadere?????
“sei un’imbranata!”
“non sono un‘imbranata!”
“…però, hai un gusto stuzzicante in fatto di intimo” CHE COSA? Ah!! La mia camicia! i bottoni? Dove diavolo?
“brutto pervertito! Lasciami” inizio a riempirlo di botte e perdiamo l’equilibrio, cioè lui mi molla e perde l’equilibrio, cadendo su di me.
“aio aio” mi lamento massaggiandomi la schiena, ha! Come se non avessi già abbastanza lividi io!!! Ci rialziamo, e inizio a raccogliere i libri borbottando tra me e me. Sono sicura l’ha fatto a posta! È un maniaco! Elementi di Fisica, Fisica Quantistica, La Fisica di Faynman, questo è quello che mi ha fatto più male quando mi è caduto addosso, è un matto 50x50 cm!! Wow questi sono tutti libri di fisica…
“tua mamma adorava la fisica per caso?”
“no sono miei”
“tuoi?”
“miei” questo è pazzo, è così assurda come materia.
“io non ci capisco niente…” chissà se… “dato che ti piace tanto, non è che tu, ecco, mi daresti qualche … aiutino?”
“non ho abbastanza pazienza”
“dai ti prego ti giuro che mi impegnerò”
“non dubito di questo”
“ah ah ah- dai!”
“e vabene!”
“o grazie Aki!” gli dico buttandogli le braccia al collo. “il mio eroe..” faccio con voce sognante.
“a una condizione” scatto subito indietro.
“scusa non dovresti farlo spontaneamente così per amicizia, compassione ecc ecc?”
“non devi dire a nessuno di questo posto” io sto per rispondere ma mi interrompe “nemmeno ad Aya o Tsuyoshi”
“ok, perché? okok quando iniziamo?” perché mi guarda brutto?
“non oggi!” e chi ne aveva voglia!! Ma come diavolo siamo finiti a parlare di fisica?
“Aki, lo sai che non hai ancora risposto alla domanda che ti ho fatto prima?”
“si che ho risposto”
“hai detto ‘non lo so’, e non è una risposta!”
“si che lo è”
“no, non lo è”
“si”
“aaaaaaaaaaaaa! Perché continuo a perderci tempo!” lui alza le spalle.
“posso chiederti una cosa?… sta tranquillo non riguarda te e il tuo occhio pandoso” lo rassicuro, e non aspetto nemmeno che mi risponda altrimenti non avrò coraggio “quello che è successo domenica, mentre vedevamo quel delizioso e romantico film..” fino a qualche minuto fa non lo volevo sapere, però mi ha portata qui e penso che sia un posto importante, mi ha aperto un pezzettino del suo mondo, devo sapere che ruolo ho, devo saperlo, anche a costo di avere una batosta, perché se sarà così, starò male, perché, perché a me Akito, a me piace. Come sia stato possibile non lo so! Giuro, però ogni volta che ci sfioriamo, ogni volta che incrocio il suo sguardo, io, io, io sento lo stomaco fare le capovolte, le guance prendere un colore rosato particolare, e quando mi rivolge la parola, io non so come faccio a rispondergli con calma, se si può chiamare calma la mia, e anche quando discutiamo e ci prendiamo in giro, mi fa impazzire, ma soprattutto quando mi rivolge quello poche parole sincere io non posso fare a meno di desiderare quei momenti e …..





































* è la foto che Nastumi mostra a Sana quando la ragazza passa la notte dagli Hayama, dopo la pubblicazione del libro sulle origini di Sana.















Scusate il ritardo ho avuto degli imprevisti gravi, e non ho nemmeno il tempo di rispondere alle vostre recensioni singolarmente, scusate ancora..spero comunque che il capitolo vi soddisfi, fatemi sapre cosa va e cosa non va, con sincerità, ne ho bisogno. Un Bacione a Tutti! LUCIA



  
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